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I.
N giorno dell'inverno 1882-83, tornando dalla Certosa di Bologna, fui costretto da una pioggia dirotta a riparare sotto il portico che conduce al Meloncello.
Io non sapeva che sotto quegli archi si trovasse un'esposizione permanente letteraria ed artistica, di poco valore estetico, se si vuole, e anche poco pudica, ma in compenso largamente ornata di una modestia rara pei tempi che corrono.
Pochi lavori hanno la firma dell'autore cosicchè si dovrà sempre lamentare una grave lacuna nella storia dell'arte e della letteratura italiana.
Quei versi e quei disegni sono quasi sempre ispirati dal più largo naturalismo, e al loro confronto certi sonetti del Marino e certe novelle del Casti possono sembrare trattati di morale.
Solo le opere degli espositori più piccoli, le quali naturalmente si trovano più in basso, se mostrano minor tecnica e minor logica, superano però tutte le altre nella decenza. Oltre a ciò (bisogna notarlo a titolo di lode) si diradano considerevolmente le traccie poetiche!
La tristezza del giorno, del luogo e dell'anima, che mal comportava gli epigrammi sconci e feroci di coloro che avevano lavorato nella zona superiore, mi conciliò con l'arte ingenua dei bambini e mi suggerì l'idea di questo studio.