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La Consulta
§. IV.
Le bestie si consigliano. Serpente greco di Esculapio. Coccodrillo egiziano del Dio Serapi. Il Coccodrillo adopera le forme del linguaggio, trovate nel quaresimale del padre Segneri. Il Coccodrillo è interrotto. Villanie del Cignale di Meleagro in oltraggio degli Avvocati. Opinione di un mandarino giallo intorno agli Avvocati. Serpente a sonagli nell’assemblea delle bestie fa l’ufficio del campanello. L’Asino è proposto, e perchè. Ricetta per far tacere gli Asini. Importanza di questa scoperta. Meriti crescenti dei padri Gesuiti. Vertigine, e svenimento dello scrittore. Rinvengo. La valle di Giosafatte degli Asini. Asino in accomandita. Il Barone Rotschild. Il milione è dotto nato.
Chiesta ed ottenutane licenza, si ridussero a conferire sul caso presente l’Aquila di Giove, e l’Aquila di San Giovanni evangelista, il Leone di San Marco ed il nemco, il Bove di San Matteo, quello del Dio Api, e la Vacca di Brama; convennero ancora la Pecora di San Giovanni Battista, e l’altra di Frisso, il Gallo di San Pietro e quello di Mercurio, il Porco di Santo Antonio ed il Cignale di Meleagro, e per non andare troppo alle lunghe, non mancarono perfino le Vipere di Santa Verdiana, né quelle della testa di Medusa; insomma tutte bestie titolate; bestie nobili per eccellenza, ed aristocratiche a perdita di vista. Siccome anche tra le bestie il serpe ha credito di prudentissimo, fu richiesto il Serpente di Esculapio a manifestare primo il suo avviso; ma questi, che era per bene davvero, si scusò col dire, che trovandosi giusto fra loro il Coccodrillo del Dio Serapi, a lui come più anziano e più esperto stava consigliare il collegio amplissimo delle bestie.
Il Coccodrillo avendo tentato invano esimersi dal grave a un punto ed onorevole carico, stette alquanto sopra di se pensoso, come e cosa avesse a dire: per buona ventura gli risovvenne aver letto il quaresimale del padre Segneri della Compagnia di Gesù; ond’è che con la sua voce più pietosa, con quella voce con la quale, divorato che ha l’uomo, egli lo piange, incominciò così:
— Dilettissimi fratelli miei, il mio parere sarebbe, che mettessimo l’occhio sopra qualche bestia perita nella favella e dotta, e quella costituissimo per avvocato.
— Che avvocati, e non avvocati? Interruppe drizzando le setole il Cignale di Meleagro. — Valeva il pregio di scomodare il Coccodrillo di Serapi per imparare sì fatte grullerie? Ogni bestia ha da difendersi da sè. Gli uomini costumavano dire: in causa propria quaere advocatum; egli erano cotesti tiri furbeschi e giunterie da pari loro. Una parte degli uomini in tutte le condizioni del mondo ha studiato sottrarsi alla maledizione di che fu maledetta per via di Adamo cioè bagnare la terra col proprio sudore; per non farsi calli alle mani avrebbe fatto carte false, e fece peggio; imperciocchè si mettesse a suscitare paure, fisime ed errori di ogni maniera, senza fine bisogni; e sopra tutti questi trovati, pose a sedere un’arte, o professione, o mestiere, circondandoli poi diligentissimamente di astruserie e d’imbrogli da non si capire altro che da loro, anzi nemmeno da loro. Così ad ogni mascagno la ignoranza assegnò dieci imbecilli per fargli le spese. Gli avvocati formarono uno dei tanti bertovelli per chiappare gli uomini come i pesci.... — Tale almeno opinava Kan—ki mandarino giallo, mio reverito padrone, interruppe a sua posta un Pappagallo verde smeraldo, a cui certo mercante veneziano venuto nelle parti della China contando mirabilia degli avvocati, egli ebbe a pregarlo, che al suo prossimo viaggio a Canton procurasse di portargliene uno dentro a una gabbia. — Al quale il veneziano tutto maravigliato rispose: — Come! dentro la gabbia vuol ella, ch’io le porti un avvocato? — E il mandarino di rimando: — Sicuro eh? Diodoro Siculo sulla fede d’Imbolo racconta, che in Taprobana occorrevano uomini grandi e belli, i quali per avere la lingua fessa fino alla radice accadeva, che in due diverse maniere, a due diversi individui al punto stesso favellassero. Ma i Greci gli riputavano mostri e non uomini, e per tali gli annunziarono al mondo. Con tanta maggiore ragione l’uomo, che stima sè, e gli altri tengono lui capace di conoscere le faccende dei terzi, meglio di quello che questi stessi possano e devano sapere, che fa professione per moneta di parlare, ed anche appassionarsi con una lingua intera pro e contra sopra negozii che non gli appartengono, con tanta maggiore ragione dico, io devo credere, che questo uomo non ha ad essere un uomo, bensì un Drago, una Chimera, un Ippogrifo, o per lo meno un Satiro, un Centauro, un Minotauro, un Fauno, una Sirena, una Sfinge; insomma una delle tante sconciature della generazione mezzo uomini, e mezzo bestie. — Ma la si assicuri, eccellenza, insisteva il veneziano, che l’avvocheria fra noi si reputa tale e tanto ministero, che uscendone per qualsivoglia più sublime ufficio non si cresce, e rientrandovi non si menoma; gli avvocati riescono alla magistratura di utilità inestimabile dichiarando le leggi, interpretandole se dubbie, se discordanti accordandole. — Quanto mi dici, concluse il mandarino coll’indice alzato della mano destra toccandosi la fronte, s’è vero, mi fa manifesta di queste due cose l’una: o che nel tuo paese le leggi sono fatte male, o che i giudici sono tanti Asini...
Il Coccodrillo del Dio Serapi, non si trovando sotto la mano il campanello per imporre silenzio a cotesto arrogante sfringuellare, ordinò ad un Serpente a sonagli, che dimenasse la coda, e ne facesse l’ufficio. Le bestie sbigottite da cotesto formidabile fruscìo stettero chete come olio. —
Allora il Coccodrillo continuò: — e questo avvocato, a parere mio, dovrebbe essere un Asino.
— Un Asino! Un Asino! Tra corrucciate e stupite si misero ad esclamare le bestie, come quando si ascolta qualche suprema enormezza.
— E non è nuovo: al contrario lo esercizio dell’avvocherìa fu, sto per dire, fino ab antiquo come una loro privativa. Almeno così afferma il poeta:
«Nel tempo, che le bestie erano uguali
Agli uomini nel fare i fatti suoi,
Vo’ dir quando parlavan gli Animali
Al pari, e forse meglio anche di noi.
Girare si vedean pei tribunali
Con la toga e il collare Asini e Buoi1»
— Ma un asino poi!
— E’ dovrebbe essere un Asino, soggiunse imperturbato il Coccodrillo; imperciocchè la diuturna esperienza del vivere nel mondo mi abbia fatto conoscere, che chi grida più forte ha ragione: ora, quantunque intorno agli altri meriti dell’Asino possiamo trovarci per avventura discordi, in questo poi di leggeri consentirete voi altri tutti meco, che la natura dotò l’Asino di gagliardissima e poderosissima voce. — Nè questo è tutto: la prudenza persuade di mettere innanzi gli Asini allo sbaraglio, non mica come procuratori nostri, bensì come gente, che cura i suoi propri interessi, onde, se caso mai avvenga ch’essi sieno ributtati, a noi rimarrà sempre lo scappavia di biasimarli come impronti, attenuando e correggendo quanto abbiamo in animo di domandare; nè per la prova che avranno sperimentato contraria a noi, ci terremo per disperati: all’opposto a spese loro istruiti di quello che dovremmo omettere, e di quell’altro che gioverà aggiungere, verremo ad accertarci il fine a cui noi altri miriamo...
— Ho capito, notò un gatto, ai tempi suoi mignone del cardinale di Richelieu, leccandosi la zampa e strofinandosela intorno al muso; questo, secondochè sua eminenza avvertiva, si chiama cavare le castagne dal fuoco con le zampe del Gatto. —
— Voi m’intendete, disse il Coccodrillo, mostrandogli i denti in forma di sorriso. Che se per lo contrario riesca agli Asini di conseguire lo intento loro, egli è chiaro, che senza un fastidio, nè fatica al mondo saremo venuti a guadagnare anche il nostro, imperciocchè quello che sarà concesso agli Asini, bestie reputate da nulla e plebee, come volete che possa rifiutarsi ad animali di alto affare, illustri per lignaggio, di abito gentilesco, e per costume spettabili come siamo noi? Finalmente, a contarvela intera io mi sono mosso a proporvi l’Asino, perchè la scienza mi ha insegnato la maniera di fargli cessare il discorso, caso mai ragliasse a sproposito...
— Come! Voi sapete questo segreto e lo tenete celato? Jenner serbò forse nascosta la scoperta della vaccinazione del vaiolo? Su dite presto ed intero, se non volete che vi mettiamo addosso l’accusa di lesa umanità.
— Sia come piace a voi. Certo reverendo padre della Compagnia di Gesù, avendo percorso la massima parte dello impero celeste della China per procacciare anime alla fede, vi fece al punto stesso tesoro di molte belle ed utili notizie, che tornato in Europa procurò per via delle stampe si pubblicassero a vantaggio del prossimo, tra le quali occorre notabilissima la ricetta per far tacere gli Asini. Ella è molto semplice, come tutte le cose veramente grandi, e consiste, quando dei ragli dell’Asino non ne vuoi più, andargli cheto per di dietro ed appiccargli un pietrone alla coda2. E in onta ai detrattori di cotesti buoni padri; io vo’, che notiate il coraggio di quel magnanimo a cui il cuore non sofferse di tenere sotto il moggio una tanta scoperta, nonostante il pericolo di vederla applicata a se, e a’ confratelli tutti della sua inclita Compagnia.
Al racconto di questi portenti io mi presi la testa con ambedue le mani, e me la sbatacchiai a destra e a sinistra, finchè vinto dalla passione mossi un lamento:
— O gloria degli uomini, come bene il divino Alighieri ragionando di te cantava:
«La vostra rinomanza è color d’erba.
Che viene e va, e quei la discolora,
Che fuor la trasse dalla terra acerba!»
Qual è oggimai l’intelletto, che possa reggere al paragone dell’inventore del rimedio per far tacere gli Asini? Chiude la bottega co’ suoi caratteri il Guttemberg. Le campane cessano di suonare la gloria di San Paolino vescovo di Nola, che le inventò. L’Harvey, che scoperse la circolazione del sangue sente nelle vene agghiacciarsi il suo. Il Galileo rimette nella fodera il telescopio. A Klepero le sui leggi del sistema del mondo paiono adesso gli statuti della repubblica di San Marino. La luce dei fiammiferi viene meno intorno alle tempie del Barrier. Il Newton traballa sul trono della sua teoria della gravità. Il Montgolfier contempla disperato sgonfiarsi i suoi palloni volanti. Le Ranocchie ballano un rigoletto intorno al Galvani deridendolo della sua pila; e i giustiziati rincorrono il Volta tirandogli dietro la testa come i ragazzi costumano con le sassate. Giacomo Farina vede ad una ad una impallidire e cadere in deliquio le mille virtù della sua acqua di Colonia... ogni gloria s’inchina, il cielo e la terra si cavano la berretta all’inventore del rimedio per far tacere gli Asini. O China, tu inventasti la bussola, tu il gnomone, tu la carta serica, tu la stampa, tu la polvere da botta, ma non per questo potevi vantarti donna e madonna del mondo; ora sì che la sapienza, o la fortuna ti ha sublimato in parte dove la natura umana confondendosi con la divina quasi s’india, puoi trarti dietro secoli e popoli come schiavi incatenati al carro del tuo trionfo. Oh! perchè non nacqui Chinese, o perchè piuttosto non peregrinai nella China col reverendo padre Huc! Quante ingiurie avrei riparato! Quanti danni sfuggito! Quanti beni fatto! Se con questo segreto in corpo mi fosse capitato fra i piedi il nobile compilatore delle Memorie Storiche, marchese Filippo Gualtiero orvietano, ed io presto un pietrone alla coda: se i reverendi scrittori della Civiltà cattolica non volevano smettere il vezzo di tagliare la carotide al senso comune, ed io un pietrone alla coda; se i fiscali duravano incaponiti a ficcare le dita negli occhi alla coscienza, se i moderati stavano sodi a scorticare la verità, se i giudici caparbi a mantenersi la faccia, Siberia del pudore, ed io pietroni e poi pietroni e sempre pietroni alle code.
Come i vetri della lanterna magica riflettono sopra l’avversa parete fugacemente le immagini in essi dipinte; così ecco ora prende a schierarmisi davanti la turba infinita dei ceffi moderatamente traditori, dei grugni legalmente feroci, e dei musi sacerdotalmente ignoranti, che tanta guerra mi fecero nel mondo, e lo sgomento mi assalse; la modesta vertigine, stretto in mano il mio cervello, lo scaraventò dentro un turbinio di code, e di berretti, di toghe, di pietroni, di orecchie marchionesche, baronali ed equestri, e di orecchie asinine; poi non vidi più nulla; al tempo stesso un irrequieto raglio e maligno, che chiamava da lunge mille miglia il pietrone alla coda, mi intronò le orecchie, e non intesi più nulla, ond’è che sopraffatto io venni meno,
«E caddi come corpo morto cade.»
Quando io mi ridestai rivolsi intorno gli occhi esterrefatti, e non vidi altro che Asini, immensa, prodigiosa, innumerabile quantità di Asini, che mi spinse alla bocca le parole di Dante:
.......... «io non credeva
Che morte tanti ne avesse disfatti!»
Però così è da credersi, gli Asini non l’avevano cavata meglio degli altri animali inquanto alla faccenda di ricostruire le proprie corporature; per la qual cosa parecchi fra loro recandosi a singolare onoranza la richiesta delle altre bestie, e volendo pure satisfarla col decoro, che meritava, come gente bene avvisata e discreta, andarono d’accordo di sagrificare al bene pubblico qualche porzioncella di privata comodità (articolo, che gli uomini non hanno capito mai, e gli Asini sì) collettandosi fra loro per mettere in punto certo Asino tenuto appresso i suoi in estimazione grandissima di filosofo e di oratore da presentarsi decentemente a dire la ragione di tutti in giudizio. Povera gente! e’ s’erano industriati meglio, che avevano potuto.
A questo Asino filosofo od oratore, che bigio fu, e bigio si manteneva nelle parti in cui risuscitò, ebbero a cucire su la testa a sopraggitto due orecchioni neri. I punti di filo bianco si vedevano espressi a venti passi di distanza, ma come schermirsi? Bene si erano dati a cercare seta nera di Napoli da cucire, ma per quanta diligenza ci avessero posto dintorno non erano giunti a trovarne. — Le gambe rifatte a pezzi avevano incannucciate e strinte con cordicelle e spaghi. Alla estremità dell’osso sacro avevano confitto con quattro bullette una coda, la quale comechè da tanti secoli sepolta, sprimacciata adesso, ravviata e pettinata aveva l’aria della seconda edizione di un libro rivista e corretta dallo scrittore. Voi l’aveste visto quel povero animale! Egli aveva più toppe addosso che non dice spropositi in cento anni un professore di metafisica, e per di più l’una soprassellava all’altra in quella guisa che gli accattoni si accalcano alla porta dei conventi dei cappuccini sporgendo chi la pentola, chi scodella, per buscare la minestra a mezzogiorno: non pertanto così come era, per Asino rattoppato poteva passare; e di petto agli altri Asini sconquassati, sto per dire che pareva il barone Rotschild.
Egli, l’Asino, non mica il barone Rotschild (e l’avverto a sgravio di coscenza, perchè in grammatica il pronome si appropria al sostantivo più prossimo, e non vorrei che c’incastrasse l’equivoco; quantunque equivoco non ci potrebbe cascare: il milionario, anche in onta alla grammatica, non può essere mai un Asino), egli si presentò con modi urbani e cortigianeschi anzichè no, come trasecolando notarono certi astiosacci che se lo aspettavano meno; e fatti prima i debiti convenevoli, chiesta ed ottenuta a sermonare licenza, con voce chiara incominciò distesamente a ragionare così.