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DEDICA
O gente che, nel modo il villano butta il panno vermiglio sopra le groppe dell’Asino per rimpiattare i guidaleschi suoi, la viltà infinita, la grulleria, la frivolezza, la pedantesca prosunzione, l’astiosa impotenza, la molta cupidità di guadagnare e la troppo maggiore paura di perdere tentaste dissimulare con le parole di moderazione e di ordine, rendendo in questa guisa esecrandi ed abbominevoli due nomi di cose di bontà suprema, e piuttosto prossime alle divine, che superiori alle umane!
O maestri manovali di memorie storiche!
O scorticatori, che avendo preso una capra malata per la Musa della Storia, scorticate bestiali ed intaccate la pelle!
O vagliatori patentati della zizzania anarchica!
O fabbricanti con esclusiva e privilegio della Libertà dei popoli!
O irrequieti e valorosi odiatori della tirannide straniera!
O della tirannide domestica inflessibili e metuendi avversatori!
Io confesso senza corda avervi offeso: me ne pento e me ne dolgo: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa!
Col canapo al collo, facendo delle braccia croce, piangente e gemente io vi domando misericordia per amore di Dio. Quando papa Gregorio e la Contessa Matilde videro Arrigo umiliato fino alla polvere, sentirono di lui pietà. O gente moderata, per avventura sapreste voi perdonare meno di una donna e di un prete?
Codardi, conoscendovi io vi spregiava ed ebbi torto. Un giorno il vostro Genio agguantandomi il mento lo drizzò di uno strettone verso il cielo, e disse: guarda!
Avendo levato gli occhi in su, ecco mi apparve una botte grande quanto il sole quando tramonta, e immense nuvole buie le si stipavano dintorno.
Allora la voce del Genio mi ammonì con queste parole: la botte che tu vedi, contiene tutto il vino puro da Noè fino a oggi guasto dai moderati per loro uso: coteste nuvole sono le anime loro convertite in Moscerini, che vengono a deliziarsi nell’opera illustre.
Io non vi credeva cotanto poderosi, in verità io non vi credeva; chinai però vinta la faccia pensando: la moltitudine dei Moscerini vinse una volta a Nisibia lo esercito di Sapore re della Persia, e il raccapriccio percorse le ossa.
E di nuovo mi fu detto: leva le ciglia in su; ed io le levai e vidi frotte di preti riformatori, di giudici liberali, di cortigiani patriotti, d’impiegati costituzionali, di soprastanti filantropi, di sbirri progressisti di spie umanitarie, ed io esclamai: com’entrano gli ebrei co’ sammaritani? Ma il Genio di rimando: sono tutti una minestra e fratelli ascritti all’arciconfraternita dei Gesuiti riformati.
Battevano le ale variegate di più maniere colori a destra e a sinistra, sicchè, mirabile a dirsi! nelle volubili ruote del volo irrequieto ora mi apparvero rossi e bianchi, ora bianchi, verdi e rossi, ora tutti rossi, ora tutti neri, e per colmo d’infamia anche neri e gialli.
Co’ vanni aperti e fermi tendevano verso certa collina dove era stato fatto un trofeo di drappelloni di calunnie, di alabarde d’invidie, spade, stocchi e pugnali di astiosa mediocrità frammezzati con le foglie della cicuta, donde estrassero il sugo che bevve Socrate: vi si vedeva eziandio la clava con la quale Caino ammazzò Abele; di qua e di là pendevano dalle bandiere le chiavi di Faenza consegnate dal traditore Truffaldino e sul terreno stavano ammonticchiate a similitudine di palle da bombarda le frutta da frate Alberigo imbandite ai suoi consorti: dentro una caraffa custodivano le lacrime sparse da Cesare allo annunzio della morte di Pompeo. Da un lato il bacio di Giuda conservato nello spirito di vino, dall’altro per riscontro impagliate tutte le riforme, amnistie e statuti concessi dai principi italiani nel 1848, meno uno. D’intorno sparse le insinuazioni perfide e i giuramenti traditi in forma di anelli di oro rotti: in mezzo poi appariscente lo scudo, che faceva per impresa un Castrone col capo di Faina, che mostra i denti; e questa mi fu accertato essere la insegna vera dell’Arciconfraternita dei Moderati.
Circuito ch’ebbero il trofeo levarono un rombazzo, un frastuono, un rovinio! chi suonando corni in nota di amore di patria, chi scacciapensieri su l’aria di carità del prossimo e fischietti di timore di Dio con l’accompagnatura di tamburini coperti di pelle umana conciata dalla ipocrisia.
Poi di repente il fracasso cessò e la voce del Mezzuino moderato si diffuse all’intorno, la quale gridava: «non vi è altro Dio, che il Dio dei Moderati, e il Maestro manovale delle Memorie storiche è il suo profeta»1 Il frastuono infernale cuopriva il cordogliare singhiozzoso delle migliaia e migliaia dei traditi, se non che dalle loro lacrime si vedeva formare una nuvola, che saliva, saliva verso la casa di Dio ed anco di tratto in tratto ne scoppiavano fuori baleni tinti in sanguigno. Di questi, ed altri auspici punto sbigottivano i fratelli dell’Arciconfraternita nei Moderati, i quali fra loro confortandosi dicevano: «e’ non è nulla, egli è pianto di popolo: quando questa nuvola si romperà pioveranno per noi le rugiade dei grossi beneficii, dei grassi uffici, delle pensioni, delle croci con la effigie dei santi e alla più trista con quella delle Bestie.»
Sbalordito della visione portentosa ecco sentii stringermi il cuore da contrizione ardentissima; onde deliberato, presa in abbominio la trascorsa mia vita, di rendermi a vera penitenza, levai la voce con doloroso guaio: «o Moderati di Dio, che a posta vostra cavate le macchie da questo mondo, abbiate misericordia di me!»
E poichè anche gli Dei (così almeno c’insegnarono sempre i sacerdoti) vengono pei doni propizii, oltre al mio pentimento, oltre agli affanni e ai dolori che non hanno nome, io vi offro, dedico e consacro questo Asino mio.
Dall’accettarlo non vi arresti peritanza niuna, conciossiachè da un lato tanti sono e tali gli obblighi, che io vi professo, che per quanto io dica e faccia non penso potermi sdebitare con voi, e dall’altro (quantunque ciò non incastri nei precetti di buona politica) io ve lo voglio pur dire: dedicandovi l’Asino, mi faccio l’onore del sole di luglio, avvegnadio l’Asino uscito di stalla, quando io non ce lo mandassi, tanto a casa vostra ei ci verrebbe da sè.
E con questo pregando Dio, che vi tenga nella sua buona e santa guardia, do fine.
- ↑ S’intende dello orvietano marchese Filippo Gualtiero