Questo testo è incompleto. |
◄ | Ciamancherebbe quest'antra | L'abborto | ► |
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
L'ASSEGNATI1
Ecco si cche vvor dì de sta2 ddu’ mesi
Drento in concraudio3 e ffà li Papi frati:
Se svortica er budello4 a li paesi,
Eppoi s’ha da ricurre all’assegnati.
Quanno che li stamporno li francesi,
Ce restassimo5 tutti cojjonati,6
Sò ccartacce da culo: e cchi l’ha spesi
All’un per cento o ar dua, nun l’ha bbuttati.
Io, co’ st’orecchie, venti vorte in fila,
L’ho inteso oggi ar vangelio, che dde sbarzo7
Ce ne vonno appoggià ddodisci mila.8
Vedi che llume de luna de marzo!9
E cquanno er prete a mmessa te le sfila,
Pijjesce puro10 un giuramento farzo.
- ↑ Carta moneta della Repubblica Gallo-Romana. [Questo sonetto è senza data; ma mi pare che stia bene qui, per l’affinità che ha col precedente, di cui vedi specialmente la nota 4.]
- ↑ Ecco se che vuol dir di stare.
- ↑ Conclave. [Gregorio XVI, già frate benedettino - camaldolese, fu eletto papa dopo sessantaquattro giorni di Sede vacante, e cinquanta di conclave.]
- ↑ Si rivolge; si esaltano. [Allude, s'intende, ai moti rivoluzionari cominciati appunto mentre Gregorio veniva eletto.]
- ↑ Ci restammo.
- ↑ Gabbati.
- ↑ D’un colpo.
- ↑ Duodecim milia signati. [Queste parole ricorrono davvero, non venti, ma dodici volte in fila, nel breve passo del cap. 7 dell’Apocalisse, che dà a ogni tribù d’Israele dodicimila segnati in fronte come servitori di Dio, e che si legge nella messa d’Ognissanti.]
- ↑ [Vedi che piccola bagatella!]
- ↑ Pigliaci pure.
Note
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.