< L'olmo e l'edera
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IX XI

X.

È mia opinione che il sole non spuntasse mai più splendido dal monte di Portofino, che in quel giorno il quale segui la visita di Laurenti alla sua bella vicina.

So bene che molti si proveranno a darmi sulla voce, mettendo fuori le loro ricordanze personali (e chi non ci ha le sue, lampi di gioia viva in un cielo di tenebre!) o quelle dei loro amici; ma io tengo fermo, e non patisco osservazioni. Essi notino, del resto, che nell’anima di Guido Laurenti si riunivano, si maritavano anzi, due consolazioni: l’amore nascente che ottiene la sua prima vittoria, e la coscienza d’essere stato utile in qualche modo alla persona amata.

Il giovanotto s’era addormentato con cinque o sei libri di medicina tra le pieghe del suo coltrone, e si svegliava più tardi del solito. Però, quando fu alzato, vide che il servitore aveva fatto egli stesso il giardiniere, e maneggiato l’inaffiatoio per lui; cosa che non era accaduta tre volte in un anno.

Si vestì con la sua eleganza consueta, che era gemella della semplicità; passeggiò alquanto pei viali; poi quando gli parve ora, scese nella viottola, e spinse l’uscio del giardino di sotto, che il Giacomo aveva già aperto secondo la sua intenzione.

Il Giacomo, dal canto suo, quantunque non avesse nulla a fare laggiù, stava baloccandosi nella prateria, e rimondava un salice, che ci aveva la gran ventura d’essere vicino a quella postierla per cui doveva entrare il Magnifico.

— Buon giorno a Vossignoria — gridò il giardiniere, appena lo ebbe veduto. — Questa mattina ella ha aspettato l’alba dei tafàni per alzarsi da letto.

— Sì, ero un po’ stanco. Ma come va la signora?

— Benissimo, e sia benedetto il medico che l’ha curata! Io ci ho proprio avuto una buona ispirazione, e me ne voglio vantare, quantunque i miei vecchi dicessero che chi si loda s’imbroda. Sa Lei, signor Laurenti? L’ispirazione m’è venuta quando eravamo in casa sua, dove, per sua grazia, mi condusse a vedere quella filza di bestiuole e di barattoli. E veda un po’ se non ho fatto bene; la signora ha detto che da tre mesi in qua non aveva più avuto un sonno così tranquillo come stanotte. Bravo, signor Magnifico, e bravo io che l’ho tirato giù dal suo muraglione!

— Voi dimenticate, caro il mio Giacomo, che prima d’esser tirato giù da voi, vi avevo tirato su io stesso con una pianta di camelia...... che io avevo tirato giù a bella posta.

Il lettore intenderà di leggieri che quest’ultima parte del suo ragionamento, Guido non l’avea messa in parole, e se l’era tenuta gelosamente per sè.

— Del resto, buon Giacomo, — proseguì il giovane, — la gran medichessa è stata sempre la natura. V’hanno sostanze semplici le quali fanno tutto, e l’uomo se ne piglia immeritamente il vanto, come se fosse lui l’inventore, il creatore delle sostanze stimolanti e delle deprimenti che un giorno a caso conobbe, nè tutte per bene, e che battezzò tutte con orribili nomi. Nel caso della vostra signora, e’ non c’era a far altro che stimolare un tratto l’inerte materia, e questo ho fatto io, senza molta fatica.

— Sì, sarà vero, ma queste sostanze bisogna saperle adoperare a tempo e luogo. O che, mi canzona? Vossignoria è un gran mago, e non vuol sentirselo a dire.

Laurenti si messe a ridere, e salutato il buon giardiniere, si avviò verso la palazzina.

Anche per la signora Argellani il sole s’era levato più bello, quel giorno. Ella s’era alzata alla sua ora consueta, e stava seduta presso la finestra, a bere la tiepida aria del mattino, quando Laurenti entrò nel suo pensatolo.

La donna gentile arrossì lievemente, come poteva una povera anémica, vedendo il suo giovine Esculapio.

— Signora, — balbettò egli, inchinandosi profondamente, come per nascondere la sua commozione — già alzata a quest’ora?

— Sì, mi sentivo meglio, assai meglio dei giorni scorsi; — rispose la signora Argellani, — ed ho voluto poterle testimoniare col fatto la efficacia delle sue cure. Ma anzitutto il suo nome, perchè io lo ricordi come quello di un amico.....

— Guido Laurenti, signora, e desideroso di meritare questo titolo.

— Già siamo buoni vicini; — disse ella; — ma io per verità non sapevo che Ella fosse medico, e che il rimedio stesse accanto alla malattia, con un semplice muro di separazione. Qui tutti la credevano un naturalista, e più particolarmente un botanico.

— Mi diverto, signora; lo studio è una grande consolazione alla gente sola, e fa bella la solitudine stessa.

— Alla sua età!

— Ho già vissuto molto, signora, e senza lo studio, che apre nuovi orizzonti allo sguardo dell’anima, avrei potuto finir male. Ma parliamo di Lei; come va il polso?

— Veda; — gli rispose la signora Argellani, sporgendogli il braccio.

— Non c’è male; ma sono troppo piccole pulsazioni. Signora, badiamo bene; qui c’è una malattia di sfinimento, che alla sua età (lasci che parli anch’io dell’età) che alla sua età non ci dovrebbe essere. Ora, se io le ragiono liberamente della sua malattia.....

— Oh non ho paura, io! — interruppe la signora Luisa sorridendo malinconicamente. — Amo anzi che mi si parli così.

— Sta bene, e ciò mostra la buona tempra dell’animo suo; ma io non ho poi da dirle nulla che metta alla prova il suo coraggio; — rispose Laurenti. — Se io le ragiono liberamente della sua malattia, egli è che il suo organismo non ci ha punto colpa, sibbene il pensiero.

La signora Luisa non fe’ motto, quantunque Laurenti si fosse fermato a bella posta per avere una parola di lei, da riappiccare il discorso. Ella in quella vece chinò la testa e guardò il pavimento.

— Orbene, gli è il pensiero che fa guerra all’organismo, e in Lei, signora, l’organismo ha resistito e resisterà ancora un pezzo; ma non bisogna far troppo a fidanza con esso. Quello che è accaduto ier sera non deve ripetersi.

— Oh lo desidero anch’io; — esclamò con atto di sgomento la signora Argellani — Fu invero una brutta visione. Stavo seduta pensando.....

— A che cosa? — interruppe Laurenti.

Quella dimanda parve riuscisse molesta alla signora, poichè, fattasi anche più pallida dell’usato, alzò gli occhi a guardar fiso Laurenti.

— Signora — proseguì egli — non le paia disdicevole la mia dimanda. Chi le parla è un medico, e quando anche non lo fosse, Ella ha voluto cortesemente salutarlo col nome di amico.

— Sì, sì, e perchè alla perfine tacerei? — disse l’inferma, dando in uno scoppio di pianto improvviso. — Stavo pensando a morire. Mi pareva d’essere già supina nella bara, ad attendere il mio ultimo momento. La campagna tutt’intorno era bella; un usignuolo cantava tra i rami di un albero dietro la mia testa: più lunge mi pareva di scorgere una strada e centinaia di allegre persone che andavano e venivano, ragionando e ridendo, senza accorgersi punto di me. Ma le son fanciullaggini, coteste.....

— No, signora; rispose Laurenti, prendendole affettuosamente la mano — La prego anzi a continuare.

— Orbene, mentre l’usignuolo cantava, ed io avrei pur voluto scorgerlo; mentre quella moltitudine allegra andava a diporto, mentre il cielo era sereno e una brezza leggiera correva per l’aria, facendo stormire le fronde, a me andava man mano affievolendosi il respiro. La vita se ne andava, e mi pareva di vederla, come un umor diafano, rifuggirsi dalle estremità, rifluire verso il cuore, dove c’era uno spiraglio, per cui quell’umor diafano svaporava, svaporava sempre. Io non potevo muovermi; le mani e le braccia, che già erano gelide, non mi obbedivano più, siccome avrei voluto, per metterle contro quello spiraglio aperto e chiuder dentro un rimasuglio di vita, tanto almeno ch’io potessi veder dileguare in fondo della scena quella allegra processione di felici, e udir l’ultimo gorgheggio dell’usignuolo che seguitava a cantare. Volevo gridare, ma non mi veniva fatto; lo sforzo anzi non faceva che aiutare, precipitare, lo svaporamento di quell’umor diafano che rifluiva al cuore, ed io, con gli occhi sbarrati, ne stavo a contemplare la spaventosa consunzione. E il vapore saliva, saliva in leggieri vortici che non mi era dato di respirare, imperocchè quella brezza che se li rapiva, non giungeva mai fino alle mie labbra. Oh, fu un lungo e terribile sogno che io non vorrei rifare per fermo.

Così dicendo, la donna gentile si nascose il viso tra le palme, singhiozzando amaramente.

Guido stette un momento sovra pensieri; quindi, accostandosi a lei, le disse con accento soave:

— Signora, desidera che io le spieghi il suo sogno?

— Ella?

— Sì, io; non ho la scienza dei magi antichi, ma ho fede che il mio poco ingegno riesca ad interpretare il suo sogno, e meritarmi il suo favore, come la interpretazione di un altro sogno meritò a Giuseppe ebreo la grazia del Faraone. Vuol dunque udirmi?

— Ella è il mio medico, sebbene da ieri soltanto; — disse la signora Luisa — ed ha il diritto di farsi ascoltare.

— Orbene, signora, la sua triste visione dice apertamente una cosa: che Ella ama la vita.

— Io? — esclamò l’inferma, accompagnando la parola con un amaro sorriso.

— Sì, Lei. Non l’ama certamente come l’amano tanti, per le sue gioie materiali, pe’ suoi sollazzi, ma l’ama, perchè è istinto della creatura amar quello che il creatore le ha dato; perchè infin de’ conti, nella vita vita più malinconicamente vissuta, egli c’è sempre alcun che di leggiadro, di gentile, poniamo il canto di un usignuolo invisibile, la favella arcana di una onesta coscienza, o il soffiar della brezza, o un raggio di sole, alito e luce di poesia, che i crassi vapori della tristizia dei più non possono dileguare nè spegnere nelle anime elette. Guai se non fosse così; guai se l’istinto della conservazione non fosse riposto qui, nel profondo del cuore. Chi di noi non vorrebbe farla finita, e rompere ad un tratto questa catena di miserie? Il suicidio, atto di aberrazione, quando non è una pena volontariamente inflitta alla colpa che si giudica da sè, diventerebbe la cosa più normale del mondo. Ella ama la vita, signora; Ella ama la vita, inconsapevolmente, come l’amo io apertamente, dopo aver bevuto la sua coppa, e sentito che era amara. Dunque, signora, mi lasci parlare, mi consenta di entrare nel segreto del suo cuore, colla discreta autorità del medico e dell’amico. La sua malattia è una di quelle che crea il pensiero, e in esse si compiace; ed Ella si strugge, perchè il pensiero, dopo aver dato argomento al male, assiste inerte ai suoi spaventosi progressi.

— È vero! — disse la signora Argellani, guardando in viso, non senza curiosità, quel vecchio di ventott’anni, dai capegli biondi e dagli occhi cilestri che le parlava a quel modo.

— Ora, — proseguì Laurenti, — come il pensiero sta seduto a contemplare la propria rovina, così le sue membra si prostrano, e direi quasi che rifuggono dal moto, se il rifuggire non indicasse moto egli medesimo. Ecco perchè, più le sue forze si scemano col distrursi della sostanza vitale, più Ella ama rimanersi immobile, seduta lunghe ore su d’una scranna; ecco perchè il pensiero ha modo di foggiarsi una bara e adagiarvisi dentro ad aspettare la morte. Non è così?

L’inferma accennò dal capo, in atto di assentimento.

— Così seduta, non turbata da alcuno, perchè è padrona in casa sua, e può sorseggiarsi a sua posta quel veleno soave, Ella pensa, pensa di continuo. Il sangue, in cui vanno sempre scemando la materia colorante e le altre parti più sostanziali, s’è fatto più acquoso, a gran pezza più leggiero, e scorre dieci cotanti più rapido. Donde un facile mutarsi di pensamenti e d’imagini; i dolori della vita..... Io non conosco, nè m’attento d’indagare i suoi, signora; ma ci debbono essere, ed io li considero come un elemento della mia argomentazione.... I dolori della vita, dico, le fanno ressa, si affollano intorno al cuore, esalano al cervello di continuo, si trasformano in pallide visioni, le quali per l’appunto riflettono lo scemarsi della vita nelle sue vene, e il suo struggersi in tenui vapori; e qui la mente si offusca, il cervello dolora, fischiano gli orecchi, le idee cozzano, si confondono, la lingua s’impaccia, e sventuratamente non c’è tanta vitalità insita nelle fonti, per rifluire vigorosa alle estremità, e dissipare quella orrenda pressura.

— È vero tutto ciò, è spaventosamente vero! — disse la inferma crollando mestamente il capo.

— Or bene, signora, tutto ciò ha da finire. Gli stimolanti della scienza possono in cosiffatte agonie richiamare la vita, ma fino a tanto che la loro efficacia non siasi perduta, consumata dalla consuetudine sulle regioni cardiache e sulle estremità delle membra. Ma all’interno vuolsi provvedere, perchè coteste agonìe non si ripetano. Le sostanze ferruginose, i tonici, i cibi analettici (tutte parole che io non le starò a spiegare, perchè la scienza non perda anch’essa la sua materia colorante) debbono rinnovare il sangue, e ravvivare l’organismo per conseguenza. Alla complicità assassina del pensiero debbono far guerra i mezzi igienici, che consistono principalmente nel moto, nel mutamento dell’aria, cose tutte che recano novità di sensazioni e, disviando gradatamente l’animo dalle sue morbose consuetudini, finiscono a cacciar di sede l’interno nemico.

La signora Luisa stette anch’essa un poco sopra pensieri, come solea fare il suo interlocutore; poi gli rispose con quella lentezza che le era dimestica:

— Ella parla divinamente, signor dottore. Intendo ora com’Ella abbia saputo incantarmi il Giacomo, il quale non sa discorrere più che di Lei. E certo, se a me premesse molto di ricuperare la salute per godere la vita, io potrei mettermi ad occhi chiusi nelle sue mani, ed esser sicura del fatto mio. Ma innanzi di pensare a risanare, bisognerebbe che rinascesse in me il desiderio di vivere.

— Ma questa che Ella mi chiede sarebbe la convalescenza; — rispose Laurenti — ora nessun medico, sia pur Boherave redivivo, potrebbe condurla di primo salto a cotesto.

— Vede Ella dunque? Io non desidero la vita. Soltanto mi spaventa il dolor fisico; quello svenimento di iersera mi ha fatto paura, lo confesso. Ma se io potessi andarmene chetamente, senza una commozione violenta.....

— Ma perchè, Dio santo, perchè?..... — proruppe Laurenti, cogli occhi gonfi di lagrime. — Questo, signora, è odio di sè, e un’anima eletta non ha da sentire di così brutte passioni.

— Odio? no — rispose l’inferma. — Io non ho mai odiato nessuno, lo giuro a Dio che mi ascolta, e che Ella ha invocato. Non odio neppur me, povera creatura, che non ho mai fatto male ad alcuno. Ho a tedio ogni cosa, ecco tutto, senza frasi sonore, senza ira, senza rammarico.

Laurenti non seppe rispondere più nulla. Quella malattia resisteva a tutti i suoi consigli, a tutte le sue esortazioni. Chinò il capo, chiuse il volto nelle palme, e stette immobile, silenzioso, mentre nel profondo del suo cuore infuriava la tempesta.

Il soave accento della signora venne ad interrompere quel lungo silenzio.

— Suvvia, che cos’ha? che cosa ho detto io di male?

— Oh, gli è doloroso, signora, ciò che Ella dice, e più doloroso ancora ciò che fa pensare altrui. Perchè dispregia la vita? La vita è triste, ma è santa del pari, come tutte le tristi cose. V’hanno dolori da temprare, lagrime da tergere, adorazioni da innalzare, splendori da scorgere, e ci lasceremmo intristire nello sconforto? Il mondo, o signora, ha pure le sue gioie severe, le sue consolazioni profonde, che francano la spesa di vivere.

— Lo credo anch’io, signor Laurenti; Ella, come uomo, ha potuto trovarle, e nella sua operosa gioventù saprà prepararsi il conforto della età matura. Ma che faremmo noi donne, noi deboli, noi diseredate di questo gran patrimonio dell’umana attività?

— C’è apparenza, non sostanza di verità, in ciò che Ella dice. Io le concederò che la donna, o per natura sua, o per diversità di educazione, ma sempre per tirannia di consuetudine, non apparisca chiamata a partecipare ai gaudii multiformi della operosità umana. Ma, dicendole tirannia di consuetudine, ho detto ogni cosa. La educazione si può mutare; la natura si tempera col mutarsi della educazione.

La signora Argellani rispose a queste parole con un sorriso d’incredulità che messe Laurenti al punto di volerla convincere.

— Ella sorride? — soggiunse egli. — Voglia starmi ad udire. Andrò un po’ fuori della medicina, ma che importa? Poi, con una malattia come la sua, anche il mio ragionamento potrà riuscire un rimedio.

— Vediamo dunque il rimedio — disse la signora Argellani. — Ella ha da dimostrarmi che la donna può partecipare alle grandi consolazioni della operosità umana. Io ho detto che non può; Ella dice che potrebbe, se non fosse la consuetudine. Io dico ciò che è; Ella ciò che dovrebbe essere. Ora io la avverto, signor dottore, che il mostrar la terra promessa da lunge, il dire «così potreste essere» non è punto un rimedio.

— Ho io detto cotesto? — rispose Laurenti. — La donna apparisce non chiamata a certe cose, ma pur ch’ella voglia, può dare una mentita a tutte le teoriche de’ suoi avversarii. Poi, egli non è detto che tutte le supreme consolazioni della attività, consistano nel dar leggi ai popoli, nello scoprire i segreti della natura, nel sottoporre a teoremi il finito e l’infinito. V’hanno gaudii più conformi all’odierno modo di vivere della donna, i quali superano di gran lunga quelli dello scienziato e del pensatore, ed Ella non vuol metterli in conto?

— E quali sono? — chiese la signora Luisa.

— La storia progressiva della educazione e della importanza della donna nell’umano consorzio li dimostra assai meglio d’ogni mio ragionamento; — rispose il giovine. — Andando per due o tremil’anni a ritroso nella storia della civiltà, noi vediamo il ginecèo essere l’antica forma dell’esistenza femminile in quella medesima società di cui siamo gli eredi. Colà, in que’ tempi, la donna non è che strumento di voluttà. I figli stessi che essa dà alla luce, non li educa lei. Sparta ed Atene educano i figli in comune; Roma stessa li sottrae per tempissimo alla madre, per metterli sotto la bacchetta del precettore. L’adolescente romano canzona sua madre intorno alle segrete trattazioni del Senato, e gli scrittori applaudono a quell’arguto sennino, imperocchè le donne non hanno da entrare nelle faccende dei loro mariti e figliuoli, ma da starsene in casa, alla conocchia ed al fuso, per meritarsi l’epitaffio della matrona romana: Casta vixit, lanam fecit, domum servavit. L’unica donna libera dei tempi antichi era la cortigiana, l’eteria; la quale, per conseguenza, era la sola che fosse utile a qualche cosa nel mondo, dappoichè intorno a lei convenivano, come oggi nella conversazione di una gentildonna, i più ragguardevoli personaggi, ed ella inspirava i filosofi e i magistrati, governava la repubblica ed esercitava il più bel diritto del reggitore di Stati, il diritto di grazia. Per tal modo la famiglia, diventando presso che inutile, tornava uggiosa all’uomo. Quella importanza che si negava alla moglie, alla sorella, alla madre, alla donna di casa, era acquistata dalla eteria, col sacrificio del pudore, il quale in fondo in fondo non doveva parer troppo grave, se era fecondo di tanti benefizi per lei.

— Fin qui, disse la signora Argellani, salvo l’ingegno del mio ottimo medico, non vedo nulla che faccia al caso mio.

— Ora vengo al buono, gentil signora, rispose Laurenti sorridendo. — La società cristiana ha trasformato la donna, o, per dir meglio, ha accettato la trasformazione che il cozzo di parecchie nazioni, la fusione di un nuovo metallo di Corinto, avevano recata nel suo grembo. Certo, per dar ragionevole nascimento all’uomo-dio, bisognava immaginare una donna superiore a tutte le altre, un vaso d’elezione. Ma se Maria nei primi tempi cristiani è già grande, non è ancora la Madonna, la consolazione degli afflitti, la madre della misericordia, la regina dell’amore. Il gran miracolo dell’affetto, nei primi tempi di cui parlo, è compiuto dalla donna di Magdalo, anche essa un’eteria, che sparge d’unguenti preziosi i piedi del Nazareno, che li asciuga col volume dei suoi capegli, che è la prima ad affermare il mistero della risurrezione. La vera donna, il tipo della società moderna, si manifesta più tardi, quando la società germanica e la società giudaica si confondono nella nuova fede, quando la Vestale romana, la profetessa di Rugen e la profetessa d’Israele, scompaiono, e rimane, giganteggia la forma femminile più umana e più vera, che è rappresentata dalla donna teutonica che combatte sui carri, e dalla gran madre dei Maccabei, Nella nuova società, la donna è già considerata come l’educatrice dei proprii figli, la consigliera del marito, il compimento dell’uomo. Cotesta gran novità ha portato i suoi nobilissimi frutti. Nel medio evo la donna è già elemento potentissimo di civiltà; essa ingentilisce il costume, accende gli animi alle mirabili imprese, e, dopo aver presieduto le corti d’amore, detta un poema a Dante, un canzoniere a Petrarca. Ancora un passo innanzi, ed ella stessa contenderà all’uomo gli allori, sarà viaggiatrice ardita con Ida Pfeiffer, scienziata insigne con Maria Sommerville, scrittrice e pensatrice profonda con Giorgio Sand. Se ella possa diventar pari all’uomo, non so, e non voglio indagare, poichè mi è noto che in tante e tante cose lo ha superato. Ma veniamo al caso nostro, signora. Ella è sola, ha cuore e mente, e nessun ostacolo allo svolgimento della sua operosità. Quanta libertà di azione, che alla più parte delle donne è vietata, sta raccolta nelle sue mani! Ed Ella non vorrà usarne? Si lascierà vincere da arcane malinconie, si lascierà morire come la povera vittima dell’antico ginecèo, perchè l’uomo, il sultano, l’aveva posposta ad un’altra?

— Non intendo il paragone; — disse la inferma rizzando il capo e guardando in volto Laurenti, come se volesse indagar negli occhi di lui un intento riposto di quelle sue ultime parole.

— Ed io non ho voluto fare un paragone; — rispose prontamente ii giovine. — Le chiedevo in quella vece se le paresse dicevole una imitazione di quella fatta. —

La signora Luisa stette un tratto silenziosa; poi, a mo’ di commento a tutto il discorso del suo medico, si fece a dirgli:

— Queste sue argomentazioni, delle quali riconosco il pregio, sono molto generiche, e non mi persuadono ancora della utilità del vivere, per una donna mia pari.

— Perchè? C’è egli bisogno di intender tutto? Si opera secondo il proprio cuore, secondo il proprio consiglio. L’attività è l’uomo. Fare, fare, è l’impresa gentilizia di questo grande ignorante che è l’uomo, di questo credente nel cuore, scettico nella mente, che Goëthe ha incarnato nel suo Fausto. Fare, fare; ed è perdonato anco l’errore, e i patti col diavolo, anco se scritti col proprio sangue, non tengono; chi più ha operato, colla coscienza di voler giungere al vero, ha salvato l’anima sua. Infine, o signora, chi saprà dire il perchè siamo nati? E se cotesto non si potrà saper mai, perchè fermarci a mezza strada? Operiamo con retti intendimenti; non turbiamo l’ordine prestabilito. Ella, che si reputa un granellino di sabbia, la cui scomparsa non abbia a guastare, e nemmanco ad essere notata, può essere in quella vece necessaria a qualche cosa per utile di qualcheduno, o a qualcheduno per utile di qualche cosa. Mi avvedo che comincio a ragionare come un filosofo tedesco, ma la sostanza è vera. —

Il naturalista filosofo si fermò, aspettando qualche nuova obbiezione da combattere; ma la signora Luisa era rimasta muta. I concetti che egli aveva svolti le giravano confusi per la mente, come una musica nuova di cui non s’è anco potuto cogliere il senso melodico.

— Dunque, — proseguì egli, a mo’ di perorazione — farà Ella ciò che io le ho detto?

— Non so, signor Laurenti. — E perchè, poi?...

— Perchè? Già lo ho detto le sode ragioni. Se queste non approdano, metterò mano alle scherzevoli. Pensi Ella che il suo medico è giovane; che ha bisogno di una clientela, e che se Ella si lasciasse morire, e’ si farebbe canzonare da mezzo mondo, e l’altra metà non vorrebbe far capo a lui. Ella dunque vede che si può esser sempre utili a qualche cosa.

— Oh, se la mia missione in terra ha da esser questa... — disse la signora Luisa.

— Ho trovato questa, — rispose Laurenti — poichè Ella non ha voluto saperne delle altre.

— Intendo benissimo; ma anche per questa, mi ci vorrà la vocazione, e in verità non la sento ancora, sebbene io vorrei pare far cosa grata ad un amico come Lei. Non creda del resto che io desideri morire; la verità si è che non mi sento la voglia, nè il bisogno di vivere. Ella faccia i suoi esperimenti; gli è ciò che io possa consentire al mio medico; ma penso che sarà una vana fatica.

— Vedremo! — sclamò Guido, e si alzò, poichè notava che quella lunga conversazione aveva affaticato lo spirito della signora Argellani. — Del resto, tornerò domattina.

— Ella sarà sempre il benvenuto.

— Come medico?

— Come amico.

— Torna lo stesso, infin de’ conti. Gli amici sono ottimi medici, ed io ci guadagnerò una doppia laurea. Ella intanto si attenga alle ordinazioni del suo.... amico.

Com’egli fu uscito dalla camera, la signora Luisa si fece a meditare su tutte le cose che egli le aveva detto, ma con pochissimo frutto, imperocchè il dolore che la donna gentile ci aveva nel profondo, non la perdonava a nulla, pari all’orribile tenia che si cela nelle viscere e distrugge il cibo, volto al sostentamento del corpo.

— Buon giovine e forte intelletto! — pensò la donna gentile. — Se fa il medico, salirà presto in rinomanza. Ma la sua fama e’ non ha certo a cominciarla con me. —

E sospirò. Il suo pensiero era già altrove.

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