< L'olmo e l'edera
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XIX XXI

XX.

Se tu lo avessi veduto, o Percy, quello sguardo! Se tu lo avessi sentito, quel sobbalzo repentino del cuore di lei! Certo la baldanza ti sarebbe svanita, e più tardi, la speranza di riconquistare il terreno perduto, di essere riamato da lei, non ti avrebbe popolato di sogni leggiadri la solitudine del notturno riposo.

Il cuore ragiona assai comodamente talvolta, allorquando il raziocinio è fuori di casa ed egli va a sedersi sulla scranna deserta del vicino. Tira a sè tutti i più minuti particolari e i più inconcludenti, per farne manipolo a sostegno di ciò che egli desidera; storce a nuove e inaspettate apparenze le cose, sicchè coloriscano meglio i suoi dirizzoni; non dissimilmente da un avvocato storcileggi che fa forza agli articoli del codice, per far parere il dritto storto e il torto dritto. Senonchè il leguleio vede il baco della argomentazione, e Percy non vedeva quello della sua; anzi avrebbe dato del pazzo a colui che gli avesse detto come tutti que’ nonnulla da lui posti a mosaico non avessero cemento da tenerli uniti, e come Luisa nel fondo del cuore ci avesse ben altra immagine che la sua.

Io non fo, lettori umanissimi, un romanzo a guisa di trappola, per cogliervi alla sprovveduta colle mie invenzioni; e neppure vo’ tenervi a bada con meditate reticenze e bene architettate sospensioni. Se io tenessi voi sulla corda, potreste darla di santa ragione a me, che ho scritto per fare una dipintura di caratteri, la quale non debba avere altro pregio, salvo quello del vero, dell’umile vero. Però, non voglio (sebbene sarebbe stato più fine accorgimento) aspettare altre otto o dieci pagine per dirvi che Luisa non pensava punto a riconquistare il Percy. Ma il Percy le era necessario, e per averlo a’ piedi ella non ebbe neppur bisogno di artifizi, di lusinghe donnesche; egli aveva dato nella pania di per sè, e la pania non era stata che la naturalezza della donna gentile. Il perdono della noncuranza, temperato dalla cortesia di un’anima che non voleva ricordarsi di aver patito, egli, ingegno volgare, lo aveva interpretato come un dolce richiamo ad altri tempi, che la sua sconfinata baldanza, memore di tutti i trionfi ottenuti, gli faceva credere di poter rinnovare.

Alla dimane, come fu ora di visita, andò a salutarla, vestito con studiata eleganza di foschi colori. Ella lo accolse colla stessa serenità, colla medesima dimestichezza della sera innanzi. Ma egli non poteva tenersi in que’ modesti confini dov’ella stava così agevolmente; volle scusarsi del passato, e per iscusarsi, mentì, sebbene ella non gli chiedesse nè menzogne, nè scuse. Parlò della marchesa Bianca come di un capriccio nel quale era stata impegnata la sua dignità mascolina; lasciò intendere che dal suo trionfo medesimo era stato costretto a rimaner lontano da quella che non aveva mai tralasciato di amare; che poi la vergogna, il timore di averla offesa, e che so io, lo avevano tenuto in disparte, vicino ad una donna che non gl’importava un bruscolo; ed ella diffatti, la signora Luisa, aveva potuto vedere co’ suoi occhi com’egli se ne fosse liberato senz’altri riguardi.

Tutto ciò sembrerà orribile ai lettori, imperocchè io ho già detto come stessero le cose tra lui e la Roccanera; ma se cotesto è orribile, non parrà altrimenti inverosimile, nè strano. Quanti, mettendosi con un po’ di buona voglia a frugare nella loro coscienza, non ci troveranno la colpa di una così trista bugia, che non parve delitto, solo perchè fu sussurrata all’orecchio di un amico? Calunniare una donna è la cosa più agevole del mondo. La veduta delle esterne apparenze aiuta la credibilità nell’animo di chi ascolta; tutti vi hanno veduto aliare intorno a quella donna, come l’ape dintorno al fiore; che cosa c’è di più naturale che il fiore abbia aperto il calice de’ suoi profumi e dato ascolto all’amoroso ronzìo dell’alato raccoglitore di miele? La credulità del mondo è come una macchina bene inoliata; date col dito sul primo congegno e la macchina va, stritolando a vostro benefizio la prima riputazione che le avrete messa tra i denti.

Luisa stette silenziosa ad udire i racconti apologetici del bruno Percy. Aggiustava ella fede a quelle triste invenzioni? Io non saprei dirvelo; forse non vi badava più che tanto. Egli del resto non raccontava le cose appuntino; chè ella non lo avrebbe consentito; ma si aiutava a furia di mezze parole, rigiri di frasi e reticenze sottili, che adombravano il pensiero, senza metterlo in evidenza, e facevano indovinare il nome della donna, senza che fosse mai pronunziato.

L’arrivo di nuovi visitatori interruppe la difesa di Percy, il quale non potè nemmeno sapere che impressione avesse fatto il suo discorso nell’animo di lei. E frattanto, Laurenti non si vedeva comparire.

Il giorno seguente, fu la medesima storia, con questo solo mutamento che il Percy era accompagnato dal duca di Marana. Dopo un’oretta di conversazione, piacque a Percy di invitar la signora a scendere un tratto in giardino; ma la signora Argellani non ne volle sapere, perchè era un po’ stanca; padroni essi, se ci volevano andare.

— Oh, non sarà mai! — gridò il Marana. — Un giardino senza fiori, non è un giardino.

Perchè ricusava di scendere in giardino la signora Argellani? Temeva forse di far vedere in sua compagnia il Percy a Guido Laurenti, che certamente doveva essere appiattato dietro i vasi del suo muraglione! O forse non voleva guastare il giardino, sacro ai soavi rapimenti di un nuovo affetto, oltre i quali ogni passo di piede profano sarebbe paruto un sacrilegio?

Io, per me, mi accosto più volentieri a quest’ultima sentenza.

Frattanto quattro giorni passarono, quattro giorni segnati a nero dalla assiduità del Percy e di molti altri visitatori dei due sessi. E di Laurenti nessuna notizia; le sue finestre erano sempre chiuse.

Era proprio lui che essa aveva veduto, nel salire in carrozza? La donna gentile voleva dubitarne, ma non le veniva fatto. Tra pel buio della strada e per la fretta del salire, ella non lo aveva ben guardato; ma l’impressione che aveva risentito dalla vista di quel malinconico personaggio sul margine estremo della via, era stata così violenta da non consentire alcun dubbio intorno alla materiale presenza di Guido. Quella veduta aveva operato su lei come una corrente elettrica; ora una semplice rassomiglianza, un dubbio, avrebbero forse potuto far tanto?

Come a Dio piacque, venne il quinto giorno, e suonarono le due dopo il meriggio. La signora Argellani era seduta nel suo salotto col bruno Percy, e col duca di Marana che veniva per la seconda volta a salutarla, quando fu annunziato il signor Guido Laurenti.

Lascio pensare a voi quale effetto facesse, e segnatamente in quel punto, il semplice annunzio. Luisa tremò tutta; a Percy, memore delle ciarle altrui intorno al medico della signora, si strinse il cuore; solo il duca di Marana rimase tranquillo ad aspettare la comparsa del nuovo venuto.

Dopo dieci secondi, che bastarono a Percy e alla signora Argellani per ricomporsi, ma non già per avvedersi scambievolmente del loro turbamento, Laurenti apparve sull’uscio. Egli era pallido come la morte, severo nel portamento, accigliato nel viso, sicchè non parve più a Luisa quello di prima. E invero egli non era più quel Laurenti che col suo Virgilio tra mani si avanzava modesto pel sentieruolo della villa verso l’albero di pino, a’ piedi del quale ella stava seduta; non era più quel Laurenti che le diceva un inno di amore cogli occhi, innanzi di volgerle la prima parola.

Questo mutamento vide Luisa nella occhiata fuggevole che volse a lui, mentre egli entrava con passo misurato nel salotto, volgendosi al canapè sul quale ella stava seduta. In quel viso sparuto, in quegli occhi affondati nelle orbite, ella lesse il lavorìo distruttore di un lungo soliloquio. L’amore, con tutti i suoi patimenti, con tutte le sue collere, trapelava da quel volto e da quegli sguardi severi.

E frattanto dovergli sorridere, come al più spensierato, al più gaio de’ suoi visitatori! E frattanto dovergli rivolgere una di quelle parole in cui non si potesse indovinare l’accento della pietà, sorella dell’amore! Povera donna! Era quello un tristo momento per lei; o essere male intesa da lui, o sospettata dagli altri.

Mentre questi pensieri si agitavano confusi nella mente di Luisa, gli occhi di Percy e di Laurenti si scontrarono, acuti e gelidi come lame di pugnale; chè amendue si sentivano nemici implacabili e fatali.

— Finalmente! — esclamò Luisa, simulando il più gaio sorriso. — Ella è di ritorno, signor Laurenti?

— Ella! — ripetè amaramente in cuor suo il giovine Laurenti. — Ella! Ella! Si torna allo stile di cerimonia, a quanto pare. Donne, donne, avrò io sempre a provarvi mutevoli, fugaci come l’onda? —

Questo pensò, e frattanto si avvicinò a lei per stringerle la mano; ma il pensiero comandava agli atti, e la sua mano freddamente toccò la mano di Luisa, senza quella pressione che dice tante cose nel fuggevole ma veemente scocco di una scintilla elettrica fra nervi e nervi. E Luisa del pari non aveva ardito stringere la mano di Guido.

— Quando è Ella arrivata? — gli chiese la donna gentile, così per tener vivo il discorso.

— Ieri a sera, signora, e non ho voluto lasciar passare la giornata senza venire a chieder sue nuove.

— Il signor di Marana; il signor Percy! — disse ella presentando i suoi visitatori a Laurenti; quindi, voltasi ai due nominati, presentò loro il nuovo venuto, a cui soggiunse andar debitrice della ricuperata salute.

I tre s’inchinarono leggermente, salutandosi a vicenda; ma il duca di Marana, il quale senza saperne il perchè, sentiva d’essere la testa più tranquilla della conversazione, fu il solo che si facesse a parlare.

— Signor Laurenti, — disse egli, — io sono lieto di conoscerla, e di unire i miei ringraziamenti a quelli di tutti i sinceri amici della signora Argellani. Avevo udito parlare della sua scienza e m’è accaduto, come a tanti altri in simili occasioni, di crederla un vecchio professore. L’autorità del sapere si dipinge sempre nella nostra mente coi capegli grigi; ma quind’innanzi io sosterrò ch’essa li ha biondi, o neri, e sarà tanto di guadagnato per l’onore della gioventù calunniata.

— Io la ringrazio, signor di Marana; — rispose Laurenti arrossendo. — Qui per l’appunto il gran medico, se non è stato un giovane (che non posso attribuirmi questo vanto) è certamente stato la gioventù, ed io non ho fatto che secondarla.

— La modestia del dottor Laurenti si giova perfino dei bisticci — interruppe Luisa. — Ma ora, Ella ci dica un po’ che cosa ha fatto a Milano.

— Nulla che franchi la spesa di essere raccontato, signora mia. Ho passeggiato, ho curiosato, mi sono distratto, come si può fare in ogni altra città.

— Non in tutte, signor dottore! — gridò il duca di Marana. — Qui Ella casca in una materia nella quale io mi tengo baccelliere. In ogni città si può passeggiare e curiosare, non già distrarsi. La vera distrazione e’ bisogna andarla a cercare molto, ma molto lontano, e non certamente nei ristretti confini dell’Europa.

— In India, per esempio, come ha fatto Ella! — disse Luisa sorridendo.

— Appunto, in India. Colà si vive una vita nuova, ed io non ho potuto dimenticare l’antica se non colaggiù. In ogni città di Europa, il sole, il tramonto, la luna, e tutte le ore della giornata mi richiamavano alla mente ore simiglianti vissute a Madrid, e colle ore mi rinnovavano nel cuore i maledetti stringimenti di una travagliata giovinezza. Le conversazioni, i teatri, le passeggiate di Parigi, di Vienna, di Napoli, mi mettevano sempre sotto gli occhi le tertullie, i teatri, il Prado della mia nativa città. Il raffronto mi perseguitava dovunque; la negra cura saliva in arcioni con me, e mi guastava il piacere del correre; un cappellino di donna elegante che io vedessi a passare per via mi faceva giungere all’anima i dolori che m’erano già derivati da un altro cappellino e da un’altra veste di seta. La conformità del costume in tutti gli angoli di questa vecchia Europa non mi dava pace nè tregua.

Una parentesi, e sarà breve. In quella che il duca di Marana proseguiva il suo ragionamento, Guido cercava uno sguardo di Luisa. Ma gli occhi della signora cansavano sempre i suoi. Percy le era seduto vicino, e la dardeggiava di malinconiche occhiate; ella sorrideva ai discorsi del Marana e poi andava a finire il sorriso dal lato di Percy. Le era caduto il fazzoletto, e Percy s’era chinato sollecitamente a raccoglierlo: donde i muti ringraziamenti e gli inchini scambievoli.

Il cuore di Laurenti durava un’aspra guerra, una tortura così acerba da togliergli perfino la coscienza di sè.

— E dica, signor di Marana, — soggiunse egli, — come è venuto a capo di distrarsi dalle sue cure laggiù? Come ha potuto dimenticare?

— La contento in poche parole. In India c’è, sto per dire, un altro sole; almeno ei non rassomiglia punto a quello d’Europa. Là non c’è tramonto; l’astro maggiore se ne va dall’orizzonte insalutato hospite, e al giorno succede improvvisa la notte. C’è già dunque il risparmio delle malinconie del crepuscolo. Là, il dramma è la guerra cogli uomini e colle fiere; la conversazione si fa colle tigri, delle quali si odono i ruggiti in lontananza. I fiori di quella regione non ricordano i mazzolini di rose e viole che si offrivano in Europa ad una bella spensierata o crudele; le jungle di folti bambù e di liane avviluppate in giganteschi festoni non le rammentano i querceti dove Ella è andato a nascondere i suoi primi dolori. Io là, signor Laurenti, ho amato Sumitra... un elefante sul cui dorso andavo alla caccia della tigre, e il cui barrito mi annunziava l’appressarsi del nemico. Ad Ellora ho ammirato i templi scavati nel sasso, e mi piacquero quelle immani divinità dai mille piedi, dalle mille braccia, e dal viso terminato in proboscide, poichè non arieggiavano nessuna fisonomia di cristiani. Insomma l’ho detto, la natura è al tutto diversa colà, e la dea della bellezza, che da noi si chiamerebbe Venere ed avrebbe il viso bianco, laggiù porta il nome di Lacmi, ed è tutta dal capo alle piante di color cioccolatte.

— Ella ne parla con molto affetto, dell’India! — soggiunse la signora Argellani.

— Sì, perchè io le sono debitore della pace dell’anima. Ero infermo e l’India mi ha risanato. Ero partito dall’Europa colla morte nel cuore, e sono ritornato pieno di vita, e così forte che ho potuto rivedere Madrid senza tristezza, e le persone che mi avevano fatto patire, senza che il mio cuore accennasse con un battito più frequente di averne sentito la vicinanza.

— Veda che strano concatenamento di pensieri e di cose! — esclamò Laurenti. — Ella parla dell’India, signor duca, ed io ci andrò tra pochi giorni..... sebbene io non abbia da andare a cercarvi altre medicine che quelle della sua flora così ricca e svariata.

— Ella in India? — proruppe Luisa; ma seppe frenar subito il ribollimento del sangue; di modo che, allorquando Laurenti volse gli occhi a lei per risponderle, non ebbe a notare che uno sguardo sereno e freddo, e quello sguardo gli gelò il cuore, dove accanto alla menzogna già stava per germogliare il rammarico di averla detta.

— Sì, in India, o signora. Mi è stata offerta una missione scientifica; ed era da ricusare o da accettare sui due piedi. L’ho accettata, e debbo per conseguenza recarmi ad Alessandria d’Egitto; di là fino al golfo Persico...

— Oh, non faccia questo viaggio senza visitar le rovine di Babilonia e di Ninive! — interruppe lo spagnuolo giramondo. — Quello è uno spettacolo mirabile, fecondo di commozioni, in mezzo alle quali l’antiquario diventa poeta.

— Certamente farò com’Ella mi consiglia, e vedrò anche Balsora e Bagdad, la città del califfo Arun Al Rascid, la culla meravigliosa delle Mille e una notti; poi m’imbarcherò per Bombay.

— Benissimo, e le raccomando, quando sarà a Bombay, di dare una scorsa fino ai templi d’Ellora. Felice Lei, signor dottore! Se le mie faccende non mi tenessero ancora per qualche mese in Europa, chi sa? mi salterebbe il ticchio di partire con Lei. Sono due anni da che ho lasciato que’ paesi, e mi paion già mille.

— L’aspetterò a Madras, sulla costa del Coromandel; — rispose Guido che provava un amaro diletto a parlare di quel suo viaggio imminente, natogli pur dianzi nel cervello.

— Sta bene, siamo intesi. Io già ho sempre avuto in pensiero di tornarvi, e la sua presenza sarà un incentivo di più.

— E’ pare — disse Luisa, — che nasca una grande amicizia tra il signor di Marana e il signor Laurenti!

— Sotto gli auspici di Vostra Mercede, come no? — rispose con galanteria il Marana. — Il dottore è un giovinotto come me, sebbene io ci abbia qualche anno più di lui; egli è un dotto, ed io un dilettante di scienze; ecco dunque pareggiati i conti fra noi due. Abbiamo, da quanto ho potuto intendere, i medesimi gusti, e perchè, se egli l’accetta, non gli profferirei la mia schietta amicizia?

— Grazie, signor di Marana! — soggiunse Guido commosso, mentre si alzava per stringergli la mano. — Quando Ella vorrà, vogliamo correre l’India da cima a fondo.

— Dalle vette nevose del Davalagiri fino al capo Comorino! rispose lo spagnuolo. — A Lei il viaggio riuscirà certamente più profittevole che non a me; ma che importa? Ella sarà il capitano ed io il sopraccarico; imparerò comodamente quello che avrà studiato Lei, e le insegnerò quel poco che so per esperienza, cioè dove si trovano le più belle tigri e i più sperticati boa.

— Che orrore! — gridò la donna gentile. — Dunque ella, signor dottore, ci ha portato questa bella novità da Milano?

— Non da Milano signora; da Torino, dove ho passato questi ultimi giorni.

— Questi ultimi giorni! — pensò Luisa. — Il disegno è dunque nato qui a Genova... dopo la sera di lunedì.

La signora Argellani si tenne naturalmente queste considerazioni per sè, e proseguì a voce alta:

— Anch’io ho in animo di viaggiare, ma non andrò così lontano. Poichè la salute m’è tornata, piglierò il bordone di pellegrina e andrò, secondo l’antica usanza, a sciogliere il voto a qualche santuario famoso.

— Davvero... Ella partirà? — chiese turbato il Percy, che fino a quel punto era stato tranquillo e sorridente vicino a lei.

— Sì, partirò; ma non si ponga in mente, per carità, che io voglia andar molto lunge. L’Oberland della Svizzera e le sponde del Reno avranno pure qualche eremo dove io possa andarmi a rinvigorire le membra affralite.

— L’Oberland! il Reno! — pensò il bruno Percy. — Anch’io potrò andare da quella parte quando mi aggradi.

Questo pensiero gli restituì la calma e gli fece rifiorire il sorriso arrogante sulle labbra.

A Laurenti, in quella vece, il cuore si stringeva, si gelava sempre più. Se egli rimaneva ancora dieci minuti nel salotto della signora Argellani, certo schiattava, non potendo contenersi più oltre.

Si alzò allora per accomiatarsi da lei.

La signora Luisa, turbata anch’essa, si alzò del pari; gli porse la mano, che egli toccò a mala pena, e guardandolo in viso con una cert’aria ansiosa che il Percy non poteva scorgere, seduto com’era dietro di lei, ma che bene notò il duca di Marana, gli disse:

— Ci vedremo?

— Sì; — rispose asciutto Laurenti. — Verrò di questi giorni a ricevere i suoi riveriti comandi.

E inchinatosi a lei, stretta convulsivamente la mano al duca di Marana, salutato severamente quell’altro, uscì con rapido passo dal salotto.

Il giovine addolorato non vedeva nemmanco la strada; le lagrime, non potendo uscire, per la vergogna, dagli occhi, gli offuscavano la vista. Come fu a casa, nella solitudine della sua camera, si lasciò andar bocconi sul letto, mormorando tra i singhiozzi che gli facevano gruppo alla gola:

— Oh, mio povero cuore! mio povero cuore!

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