< L'olmo e l'edera
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XXII

XXIII.

Intenderà l’agonia di Guido Laurenti colui il quale s’è violentemente strappato dalla sua terra, col duro proposito di non tornare mai più.

Triste cosa, acerbo strazio dell’anima sferrare dal lido e dover dire: ecco, è l’ultima volta che io vedo tutto ciò! La rondine lascia per terre lontane il nido saldato con tanta assiduità di cure al trave della casa ospitale; ma come l’anno è trascorso, la rondine torna a pispissare, con l’ali aperte e ferme, dintorno al nido abbandonato. L’uomo che lascia la patria, a lui cara per le consuetudini della vita, cara per la ricordanza dei dolori, l’uomo che rompe di tal guisa la trama sottile de’ suoi affetti, soffre, io mi penso, come la pianta che, divelta dal suolo, lascia nel profondo le sue più dilicate radici. Il cuore sanguina, e il patimento non si disacerba col piangere; regna anzi sul volto una calma severa, ma dentro ribolliscono, lava ardente, le collere tutte, i rancori, i furori dell’anima.

La notte era alta, e la vaporiera s’innoltrava brontolando nella fosca distesa del mare. I passeggieri, gente assai tenera della propria salute, erano scesi nel salotto per non buscarsi infreddature. Guido solo rimaneva sul cassero di poppa, seduto, colla testa sprofondata nel cavo degli omeri, che si appuntellavano forte al capo di banda del piroscafo, e cogli occhi aggrondati, che guardavano verso terra.

Genova, quantunque vicina, non si vedeva già più. I contorni della montagna erano spariti, confusi nel buio dell’atmosfera, e in cambio di quel mirabile anfiteatro di palazzi e di case variopinte che è così bello a vedere di giorno, si scorgeva un fantastico anfiteatro di bagliori, disposti a capricciosi scaglioni in un fondo d’azzurro cupo. Parevano stelle, fuochi fatui, sospesi a centinaia sulla superficie del mare.

Qualcheduno dei passeggieri radunati nella sala di prima classe, si dilettava a suonare il cembalo, e le gaie battute di un valzer giungevano fino agli orecchi di Guido. Ma quali pensieri danzavano nella sua mente, al suono di quella musica? Tristi pensieri; danza turbinosa.

Dov’era in quel momento Luisa? Egli non ne aveva più chiesto al Giacomo: ma certo ella era sulla via di Firenze. Non voleva pensare a lei, e ne discacciava sdegnosamente l’immagine; ma quella immagine, figlia del suo spirito infermo, gli tornava a balenare negli occhi, ed egli invano tentava di chiuderli, come il fanciullo allo spesseggiare dei lampi in una notte tempestosa, dappoichè la luce penetrava le palpebre e gli ripeteva quella sensazione molesta.

Fu una notte tormentosa, a gran pezza peggiore delle altre, come quella che gli recava i primi dolori della disperazione. Tutto era finito; gli ultimi stami erano recisi: nè più speranza, timidamente vagheggiata nel profondo del cuore, di mutate venture; nè più agio a pentimenti della sorte capricciosa; la sentenza era irrevocabile, chiuso il libro dei fati.

Giunse l’alba, e il povero condannato era tuttavia seduto al suo posto, cogli occhi sbarrati, ma senza veder punto quel miracolo di bellezza che è lo spuntar dell’aurora in alto mare.

Il cielo s’imbiancava man mano; poi di temperanze in temperanze, riusciva di un azzurro carico, simile a quelle dipinture cinesi, fatte di turchiniccio, a vaporosi contorni, una fusione insomma di cielo e di mare. Ma l’aurora dalle rosee dita, come l’hanno chiamata i classici, cominciava a spargere il suo color prediletto dal balzo d’oriente; i vapori si diradavano, le leggi della prospettiva incominciavano a trionfare. Le nuvole, allungate in cirri fantastici, risaltavano tinte di rosso sulla linea dell’orizzonte, donde emergevano, nereidi mattiniere, le isole e le coste del Tirreno.

L’Amerigo Vespucci, come la nave di Giasone, s’innoltrava baldanzoso in mezzo a quel risveglio di deità marine; ma Guido, ben diverso dagli argonauti, non vedeva nulla, nè splendori di cielo, nè luccicar d’onde guizzanti, nè variopinti sereni in lontananza. Tutto chiuso nella sua cupa tristezza, egli non badava a quella grandiosa veduta. Le maraviglie della natura, come quelle dell’arte, vogliono mente calma e serena; colui che ha l’anima oppressa, non dà retta alle esterne sensazioni, legge senza intendere, guarda senza vedere. Egli badò soltanto ad alcuni viaggiatori i quali uscivano dai camerini, per venire a godersi la prima frescura, e pensò che se gli altri uscivano, egli doveva andarsi a rinchiudere, poichè non voleva farsi scorgere, così rabbuffato e sciatto com’era.

Ma in quella che si alzava per scendere, vide comparire dall’orlo del cassero di poppa la testa del Giacomo, il quale saliva la scaletta per venire da lui.

— O come? — gridò il giardiniere, vedendo sulla persona di Laurenti e sul viso i segni della insonnia prolungata. — Non ha dormito, Vossignoria? Male, male! Se la va di questo passo quando saremo laggiù, non vuol durarla di molto.

— Tanto meglio, Giacomo, tanto meglio! La vita non franca davvero la spesa di essere vissuta. Ma vedete un po’ che stupendo mattino!

Era il primo sguardo che Laurenti volgeva a quel risveglio della natura.

— Mattino! mattino! altro che mattino!.. borbottava tra i denti il giardiniere.

— Che paternostri dite voi ora?

— Oh, lo so io, quello che dico. Il viaggiare è assai bello, e contemplare il levar del sole piace anco ai cacciatori di pernici; ma sarebbe assai meglio dormire nelle ore del sonno. Se Domineddio ha fatto il giorno e la notte, gli è segno che ci aveva le sue gran ragioni.

— Che cosa volevate da me, Giacomo?

— Ah, ora che ci penso...... ma in verità non ardisco parlarne...... Si figuri Vossignoria che ho fatto la più grande bestialità del mondo, e bisogna che Ella me la perdoni.

— Che cosa? — gridò Laurenti turbato.

— Vede? Vossignoria si riscalda già il sangue.

— Ma che cosa, in nome di Dio, che cosa? — incalzò Guido spazientito, il quale indovinava che nell’errore del Giacomo si trattava della donna gentile.

— Vossignoria mi perdonerà? ripetè il Giacomo.

— Sì, sì, vi perdono. La fatalità mi perseguita, ed io non darò cagione a voi dei colpi ch’ella mi avventa. Suvvia, dite, che cosa avete fatto di male?...

— Ecco! avevo una lettera fin da ieri mattina, per consegnarla a Vossignoria; ma Ella è stata sempre fuori; alla sera poi tutti que’ bravi signori, amici di Vossignoria, mi hanno fatto alzare il gomito un po’ troppo. Lo sciampagna non è acqua.... ed io, oltre a quello che mi mettevano nel bicchiere, ho trincato anche quello che Vossignoria non voleva mai bere.

— Giacomo, non mi tenete in aria coi vostri racconti! Quella lettera.....

— L’ho giù nel camerino, e se Vossignoria la vuole.

— Se la voglio! Andate, correte a pigliarla!

L’accento di Guido era cosiffattamente imperativo, che il Giacomo no istette a baloccarsi più oltre, e scesa la scala a precipizio, disparve nel vano della boccaporta.

Laurenti avea la febbre addosso. Che cosa era scritto in quella lettera! Che fatalità pesava su lui, da farlo partire senza che il Giacomo si ricordasse di dargli quel foglio, nel quale certamente v’era la sua vita o la sua morte?

Così pensando, rimase inchiodato sul sedile, ansante, sgomentito, ad aspettare che il Giacomo tornasse. Questi venne finalmente venne con aria contrita, il manigoldo, tenendo la lettera tra le mani.

Guido gliela strappò dalle dita; ma come l’ebbe afferata, non gli diè l’anima di rompere tosto il suggello. Guardò il cielo con atto disperato, come per accusarlo, nella piena del suo dolore, di quel calice d’amarezza ch’egli era forse sul punto di bere; quindi, scuotendo il capo, aperse la lettera e lesse:


«Guido,

«Bisognerà dunque cadervi a’ piedi e gridar mercè? Voi temete di porre a risico la vostra dignità, parlando; e quando parlate, siete già lontano, come se aveste paura dell’effetto delle vostre parole.

«Vi amo; vi ho sempre amato, fin da quel giorno che mi avete condotta al camposanto, o per dire più veramente, egli fu in quel giorno che mi accorsi di amarvi. Che? credete voi forse che alla margheritina io dimandassi soltanto se sarei risanata?

«V’hanno di tali cose che non si può, non si ardisce, non si dee dirle a voce. Ma pensateci un tratto voi stesso e poi giudicate. Poteva io operare diverso con voi? Potevate voi fraintendermi a quel modo? Io, povera donna abbandonata da tutti, dovevo andare incontro alle vostre mezze confessioni? La passione di un gentiluomo par vostro, so di meritarla; ma un giorno sarebbe pure venuto che voi avreste pensato a quello stato di cose nel quale vi eravate per la prima volta imbattuto in me, e Luisa non poteva correre il risico dei vostri pentimenti.

«Ecco perchè ho riconquistato il mondo, innanzi di dirvi una parola, o di udirne una simigliante da voi. Ho veduto molti a’ miei piedi, e vi giuro che ad ottenere cotesto non mi bisognarono lusinghe. Direte che fu vanità, o non crederete piuttosto che la dignità mia voleva così?

«Intanto, vedete quello che ho fatto. Quel regno che mi tornava in balìa, io l’ho rispinto, non esso me. Io esco regina, regina per tutti, salvo per voi che avete voluto vedermi ginocchioni, udire la mia confessione, in quella che io avrei avuto il compenso di molti patimenti ad udire la vostra. Ora tutti sanno che sono partita da Genova, dove non tornerò. Ho annunziato che andavo a Firenze, dove non mi troveranno di certo. Che importa a me? Vo a vivere una vita nuova, e per viverla debbo dimenticare affatto la prima.»


Una vita nuova! Dove? La lettera non diceva altro, si fermava a quel punto.

Guido non intendeva nulla di quel mistero. La confessione di quella divina lo aveva commosso per modo che non sapeva più dove fosse, se in terra o in cielo; la chiusa poi lo teneva sospeso nell’abisso, tra il cielo e l’inferno.

Il vecchio Giacomo era sparito, mentre egli leggeva. Si alzò agitato per andarlo a cercare, ma non potè fare un passo verso la scala. Dall’altra banda del cassero e’ vedeva comparire il giardiniere, che col suo cappello in mano aiutava una signora a salire lassù.

Quella signora era vestita di seta cenerognola, a larghe pieghe; portava uno sciallo rosso di Persia mollemente raccolto intorno alla vita, e sulla bruna capigliatura aveva posato un cappellino di velluto alla foggia garibaldina, colle sue tre penne rosse nella risvolta della fronte.

Il cuore di Guido Laurenti fu per rompersi a quella vista, e le sue labbra mormorarono un nome: Luisa!

La donna gentile che già era salita sull’ultimo gradino, volse gli occhi sfavillanti verso di lui, gli sorrise, e si pose un dito sulle labbra, accennandogli che si volesse chetare.

Giacomo rideva di sottecchi, il susornione!

Allora Guido ricadde sul sedile, sopraffatto dalla gioia improvvisa; e come poco innanzi aveva mormorato il nome di Luisa, così mormorò ancora quest’altre parole: — regina delle donne!

Il sole in quel punto usciva radiante sul mare, e un lungo sprazzo di luce inondava la tolda dell’Amerigo Vespucci, che parea navigare in un oceano di splendori. La costa e le isole vedute in distanza, circonfuse di azzurro e di ranciato, non avevano apparenza di terre conosciute, ma piuttosto di regioni fantastiche alle quali due anime innamorate andassero a chiedere l’oblio del volgo umano e l’ombre propizie al più verecondo, al più nobile affetto che mai infiammasse creature mortali.

FINE.

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