< L'uomo delinquente < Parte settima
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Capitolo VII. Conclusioni
Parte settima - VI Parte ottava - I

1. Chi ha percorso questo ingrato e faticoso studio sul pazzo criminale, avrà compreso quanto meno sia agevole il coercire con linee precise questo gruppo in confronto degli altri. Ve ne hanno si, e predominano, delle forme che si potrebbero dire la ipertofia del delitto, l’esagerazione del delinquente nato, così per i caratteri somatici, funzionali, eziologici, come pel movente, come per la maniera di eseguire il crimine, di comportarsi dopo eseguitolo, sicché come gli epilettici ci giovarono per darci l’ingrandimento delle tendenze impulsive, oscene e crudeli, essi ci giovano per additare la grande simulazione e la tendenza alla bugia nei criminali e la loro recidiva, e la contemporanea persistenza della coscienza lucida in menti alienate. Ma ciò si spiega, oltreché dalla mancanza di senso morale o dalla facilità di riuscire a perfezionarsi nel male, perché essi sono in genere o epilettici larvati o delinquenti-nati, su cui si fondono o s’aggiungono: la melanconia, o la monomania; ecc., per una specie di simbiosi, per quella naturale tendenza che hanno ad innestarsi l’una sull’altra le forme psichiatriche, sul guasto terriccio della degenerazione; e solo per lo speciale colorito se ne distinguono e più attirano l’attenzione nostra. Abbiamo veduto come l’isterico, l’alcoolista, il monomane omicida, il dipsomane, il piromaniaco, il cleptomane, l’affetto da follia transitoria, riproducano quasi tutti i caratteri dell’epilettico e presentino come questo una esagerazione del pazzo morale. E così anche lì dove meno l’avremmo creduto, nel mattoide, che nella calma abituale, nell’assenza di caratteri degenerativi e di eredità tanto se ne dilunga, fa capolino quella forma che abbiamo veduto costituire il vero nucleo del crimine, l’epilessia. Ma ve n’hanno, specie nei monomani, nei mattoidi, nei melanconici con moventi e maniera di agire così diversa, così fuori del comune, anche degli uomini criminali, e, ben inteso, dei normali da non potersi formulare a priori in un gruppo speciale, avendo quasi per carattere di non averne alcuno, potendone assumere dei meno presumibili da quella immensità di indirizzi che può dare la associazione delle idee arrestata o pervertita nel suo cammino. Chi può dare una regola per le passioni erotiche che possono andare da una cuffia a un tovagliolo o a uno stivale? Chi può immaginare gli oggetti e il modo che preferirà un cleptomane? Chi potrà prevedere, per es., il movente di un monomane che per avere una parentela che si avvicina al nome di Savoia, o per avere una rivoltella che fu toccata da un principe si crede invulnerabile e crede aver diritto a speciali riguardi? Questo solo si può dire che anche in mezzo alle varietà incoercibili i pazzi offrono una certa finalità (come la chiama Paulhan), una certa omogeneità, che si risolve nell’impulsività o senza o con moventi assurdi; nell’azione dell’allucinazione; nell’importanza data a certi dettagli, a certe parole speciali, nell’esaurirsi dopo la crisi criminosa, nella preferenza pei simboli, nella speciale forma della scrittura. Perciò, essi offrono una straordinaria differenza dai delinquenti nati, e da questo lato non posso comprendere come parecchi scienziati americani possano confondere i delinquenti nati coi paranoici, che fra le altre differenze offrono così frequente l’altruismo esagerato e la scarsezza di caratteri degenerativi e di eredità morbosa. Però in genere, se vien meno il modo di riunire in un gruppo speciale tutti i pazzi criminali, un fatto emerge in modo singolare: la sequenza anche qui delle forme epilettoidi, che s’infiltrano, dandoci una cert’aria di uniformità allo scombinato mondo pazzesco, e abbiamo veduto, che nelle più strane tendenze di psicopatie sessuali la manifestazione eccessiva, precoce e intermittente, e le note somatiche ed ereditarie sono epilettoidi. Per tutti questi casi, in cui il delitto e la pazzia fondonsi in modo da non lasciar una traccia di distinzione, l’unica applicazione che possa farsi è di trattare allo stesso modo col sequestro gli uni e gli altri, salvo anzi una maggiore precauzione, pei maggiori pericoli cui l’impulso cieco dei pazzi può esporre la società indifesa. Ciò entra anche nella pratica volgare suggerita dalla necessità, perché infine i pazzi si sequestrano con minore infamia certo, ma con più rigore e in genere per maggior tempo dei rei nei manicomi; e nelle carceri certo tutti i pazzi morali e quasi tutti gli epilettici sono rinchiusi con una certa intermittenza è vero, ma in compenso con una ingiustissima infamia. E chi ben scruta, fuori delle interessate declamazioni leguleie, il sentimento pubblico, che spesso erra, ma quasi mai nelle questioni pratiche, in cui l’interesse diretto snebbia i pregiudizi, lo trova d’accordo con noi. Se Jack, lo squartatore di Londra, venisse arrestato e riconosciuto poi epilettico e necrofilomaniaco (come è probabilissimo), l’opinione pubblica non permetterebbe che gli venisse assegnata una condanna temporanea per pochi mesi in un manicomio, ma lo vorrebbe eliminato per sempre.

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