Questo testo è completo. |
◄ | Parte terza - VI | Parte terza - VIII | ► |
1. Tatuaggio nei selvaggi e nei popoli antichi. — 2. Tatuaggio nei delinquenti, suoi caratteri. — 3. Importanza come segnalamento.
1. Tatuaggio nei selvaggi e nei popoli antichi. Il tatuaggio è certamente uno dei caratteri più singolari dell’uomo primitivo esso è per lui un ornamento, un vestiario, un distintivo nobiliare, onorifico e quasi gerarchico; è un primo richiamo sessuale, perché segnala la pubertà nel maschio; è persino una specie di archivio ambulante, nel quale l’individuo nota i fasti più notevoli della propria vita.
Così un Eschimese (Andrée, Etnograph. Parall., 1878), che abbia freddato un nemico, si fa subito una o due strisce blu sotto il naso, ed acquista l’onorifico titolo di omicida (Torquota); anche i Sumatresi Pagai si tatuano un segno speciale ad ogni nuovo nemico che abbiano ucciso: i debitori in Oceania segnavano coi tatuaggi gli obblighi contratti coi creditori e perfino la qualità ed il numero degli oggetti ricevuti.
Esso è talvolta usato anche tra i selvaggi a solo scopo ornamentale, per giovarsene nella scelta sessuale; ed assume allora, come una moda, varie forme: come quello usato per nascondere il rosso del labbro nelle ragazze.
Ma più spesso il tatuaggio è indizio e privilegio della nobiltà. A Nuhaiva le nobili possono portare tatuaggi più estesi delle popolane. — Nella Nuova Zelanda il tatuaggio è un vero blasone di nobiltà di cui non possono fruire i plebei; anzi, nemmeno i capi possono fregiarsi di certi segni quando non abbiano compiuto qualche grande impresa.
Toupee, quell'intelligente Neo-zelandese che fu anni or sono portato a Londra, insisteva presso il fotografo perché facesse spiccar bene il suo tatuaggio. «L’Europeo, diceva, scrive il suo nome colla penna; Toupee lo scrive qui». — «Quantunque, diceva egli a Dumont d’Urville, i Chouqui siano più potenti di me, non potrebbero portare queste linee che io porto nella fronte, perché la mia famiglia è più illustre della loro».
I Celti praticavano pure con notevole frequenza lo stesso costume; i Pitti Britanni si chiamarono così appunto per la ricchezza dei loro tatuaggi; ed Erodoto ci racconta che fra i Traci solo i plebei non erano tatuati. — È noto pure che nella Bibbia (Levitico, XX) vi hanno proibizioni esplicite contro i tatuaggi, e così nel Corano (Cap. IV); ma sempre con poco effetto, poiché gli Arabi continuano ancora, specialmente le donne pubbliche, a segnarsi croci e fiori sul seno, sulla faccia e sulle braccia.
I soldati romani si tatuavano sulle braccia il nome del loro generale; i primi cristiani il nome di Cristo, e l’uso continuò, malgrado i decreti dei Concili, tanto che Thévenot ci racconta che nel 1658 non v’era pellegrino a Gerusalemme che non si facesse tatuare per devozione. — Gli operai nel Medio Evo si tatuavano tutti coi segni del proprio mestiere.
Fra noi l’uso è andato man mano scomparendo dagli alti strati sociali e permane solo nei contadini, operai, pastori, marinai, soldati, i quali osi disegnano cuori trafitti, o date preziose, o nomi cari, o gli strumenti del mestiere, o segni di devozione, e solo sulle braccia, od al più sul petto.
2. Il tatuaggio permane nei delinquenti e nelle prostitute (v. fig. 14), nelle quali si presenta inoltre con speciali caratteri.
Anzitutto ne è caratteristica la maggior frequenza. In uno studio comparativo che feci sopra 4880 soldati e 2898 carcerati ho trovato tra i primi il tatuaggio nell’1 % circa, mentre i delinquenti adulti oltrepassavano il 9%, i minorenni il 40%; anzi il Ribaudo l’ha trovato nel 12,50% dei soldati onesti. È più frequente nei maschi che nelle femmine ree (0,90-1,60%); però nelle prostitute sale fino all’1,90%. Il maggior numero dei tatuati è dato
dai recidivi e dai delinquenti-nati, sia ladri che assassini; il minimo dai falsari e truffatori.
Il Lacassagne trovò 24 delinquenti su 156 che se l’erano praticato fra i 5 e gli 11 anni, e il Battistelli a Napoli su 394 rei minorenni ne rinvenne ben 122 di tatuati (30%), e tutti fra la più triste canaglia.
Significato del suo contenuto. Vendetta. — In molti il disegno esprime stupendamente l'animo violento e il desiderio di vendetta (v. fig. 16). Uno, esaminato da me, portava sul petto, in mezzo a due pugnali, inscritto il triste motto: «Giuro di vendicarmi». Era un antico marinaio piemontese, truffatore ed omicida per vendetta.
Un altro s’era scritto in fronte: «Morte ai borghesi», e sotto era disegnato un pugnale.
Nei tatuaggi di un giovane ligure, capo di una sommossa al Riformatorio della Generala, erano ricordati gli avvenimenti più importanti della sua vita ed idee di vendetta; sull’avambraccio destro vedevansi due spade incrociate, e sotto, le iniziali M.N., nome di un intimo amico; sul lato interno ed in direzione longitudinale v’era il motto: « A morte i vili - W l’alleanza».
Salzano, uno dei più temuti camorristi ed omicidi napoletani, oltre ai soliti tatuaggi alle braccia e alle spalle, aveva nel torace un vero quadro a colori mirabilmente eseguito, che rappresentava lui, Salzano, mentre con un bastone minaccia una guardia di Pubblica Sicurezza: non manca lo sfondo del quadro con alberi, case, marina; ma per lo psicologo vi era qualche cosa di ancor più curioso; la iscrizione: Spara tutti, e la cornice del quadro fatta da una catena di forzato.
Un veneto, ladro e recidivo, portava sul petto le parole: Misero me, come dovrò finire; fatali parole, che ricordano quelle altrettanto lugubri che il Philippe, lo strangolatore di meretrici, si era disegnato, molti anni prima della condanna, sul braccio destro: «Nè sous mauvaise étoile».
Tardieu notò un marinaio già carcerato che s’era tatuato le parole: «Pas de chance sulla frònte», come se in questo e nel precedente caso il delinquente volesse incidere sulle proprie carni il presagio della sua fine.
E così Malesen, il forzato più sanguinano della Nuova Caledonia, tutto ricoperto di tatuaggi grotteschi o terribili dalle spalle ai piedi, sul petto s’era disegnata una ghigliottina rossa e nera, con queste parole in rosso: «J’ai mal commencé — Je finirai mal — C’est la fin qui m’attend». — Sul braccio destro poi, che aveva freddato tanti uomini, aveva inciso: «Mort à la chiourme».
Anche qui Lacassagne ha confermate le mie osservazioni: egli trovò tatuati nei rei dei disegni e delle iscrizioni spaventevolmente ciniche, come queste, ad esempio: Il Bagno m’attende. — Sempre il medesimo. — Il passato mi ha ingannato Il presente mi tormenta; L’avvenire mi spaventa. — Figlio della disgrazia. — Morte alle donne infedeli. — Morte ai Gendarmi. — Piuttosto la morte che cangiare. — Morte alle bestie brute. — Viva la Francia e le patate fritte. — Morte agli ufficiali francesi — e questa ancor meno patriottica, ma per la quale certo Victor Hugo non sprecherebbe uno dei suoi capitoli: «La m... vaut mieux que la France entière».
E in taluni di quei disegni v’è una testa di gendarme minacciata da un pugno, proprio come nel nostro camorrista. Oscenità e per il disegno e per la parte su cui è inciso.
Su 142 delinquenti esaminati da me, 5 portavano dei tatuaggi sul pene: 3 dei quali rappresentavano una donna nuda; un altro aveva disegnato sul glande il viso di una donna per modo che la bocca era costituita dal meato urinario, e nel dorso del pene era inciso lo stemma sabaudo; un quinto vi aveva le iniziali dell’amante.
Lacassagne trovò sul pene uno stivale con speroni, per poter fare, gli dissero, questa oscena pompierata: «Je vais te mettre ma botte au...» Inoltre emblemi amorosi, o meglio, lubrici: busti di donna, donne nude, disegni che raffigurano l’atto del coito, ecc.
Sul ventre, al disotto dell’ombelico, preferiscono sempre soggetti lubrici ed inscrizioni della specie di queste: Rubinetto d’amore. — Piacere delle donne. — Venite, signorine, al rubinetto d’amore. — Ella pensa a me.
Parent-Duchtelet non rinvenne mai simboli osceni nelle prostitute (v. fig. 16; però noto come le tribadi incidessero tra l’ombelico e il pube le iniziali dell’amasia, le altre i nomi degli amanti che cercano di far sparire man mano che li mutano.
Queste forme provano non solo l’impudicizia, ma anche la strana insensibilità di costoro, essendo la regione degli organi sessuali una delle più sensibili al dolore, cosicché la risparmiano nei loro tatuaggi i selvaggi stessi.
Eppure in mezzo ai simboli più nefandi non mancano i delicati e gentili, che provano come la natura umana sia varia e complessa. Io notai spesso il nome della madre; e in un ladro accanto al nome della madre e a quello dell’amante Luigia v’era questa epigrafe: Luigia, cara amante, unico mio conforto. E qualche volta vi sono dei fiori, viole, ecc., e al disotto, il ritratto od il nome della donna amata. Mentre nei normali non trovammo tatuate che le braccia, o al più il petto, invece nei criminali i chiarLWova dello loro insensibilità. Lacassagne ne osservò su 378 ben 35 che s’erano tatuato l’intero corpo. Uno s’era fatto disegnare tutto un uniforme da ammiraglio; e un altro si fece ritrarre, sul dorso l’accidente del duca d’Orléans sulla strada di Neuilly.
Io ne osservai 100 tatuati alle braccia ed al tronco, 8 al pene, 3 alle coscie.
Tatuaggi nei pazzi. — Esso è raro, il pazzo ricorre a strani passatempi, arrota delle pietre, tagliuzza vestiti e perfino le carni, scarabocchia sui muri, ma assai di rado pratica veri disegni sulla pelle. Io su 800 pazzi di Pavia e di Pesaro ne osservai solo 4 e tutti tatuati prima dell’avvenuta alienazione. L’egregio De Paoli a Genova non ne rinvenne che 19 su 278, ma di questi 19, 11 provenivano dalle carceri.
Qualcuno dei pazzi tatua parole o disegni che alludono al suo delirio. La maggior parte dei pazzi tatuati sono pazzi morali.
3. Il tatuaggio può evidentemente servire a stabilire l’identità di persona e in particolare degli autori di un reato che abbiano interesse a nasconderla.
Nel processo Tichborne, quello che decise contro il tenace simulatore fu il fatto che gli mancava il tatuaggio di cui era provveduto il vero Sosia.
Vidocq, volendo scoprire se un tale fosse un galeotto evaso che portava sul petto tatuato un serpente, lo provocò a duello, lo ferì nel petto, e trovatogli il serpe nel denudano per la medicazione, poté farlo arrestare.
E serve anche a riconoscere l’identità psichica dell’individuo, cioè certe sue abitudini.
I pederasti, per esempio, avendo maggiore tendenza a piacere altrui, si fanno numerosi tatuaggi, e forse con forme loro caratteristiche: alcuni pederasti studiati da Lacassagne avevano infatti disegnate mani allacciate, o il nome dell’amico e il suo ritratto, o le iscrizioni: L’amicizia unisce i cuori — Ami du contraire — o peni con le ali o con le vele o un serpente rivolte verso l’ano, oppure in ogni natica un occhio, o il ritratto di Bismarck e di un Prussiano, ironia facile, a capirsi; o uno zuavo che incrocia una baionetta e sostiene una bandieruola su cui è scritto: Non s’entra.
Il prof. Filippi in un pederasta falsario trovò tatuato sull’avambraccio sinistro: Pasquino, tesoro mio sei tu, che segnalava il suo vizio ed il suo complice, ed R., stupratore, ha rappresentate nei tatuaggi (v. fig. 14) le sue avventure oscene, il che pure può essere prezioso segno rivelatore di reati rimasti ignoti.
Ed ecco come la teoria scientifica può venire direttamente in aiuto alla pratica.
TR., stupratore, ha tutto il corpo occupato. da tatuaggi simbolici (vedi fig. 14), allusivi, con una scrittura proprio primitiva, agli stupri commessi.
Sul braccio destro, per es.: vi è una donna alata e coronata: alata, dichiara egli stesso, perché le fece prendere il volo (ratto); coronata, perchè essa sostituì alla corona di vergine la corona reale diventando sua amante.
Sul braccio sinistro vi è un cuore (l’amante) ferito da una freccia perché egli l’aveva abbandonata con due fanciulli rappresentati da due piccoli cuori sanguinanti. L’iscrizione dice: Il cuore della mia amante.
La presa di Sfax è allusiva, ironicamente, ai suoi trionfi amorosi.
Sull’avambraccio vi sono due cuori trafitti da due spade simboleggianti due amanti che minacciate di morte si piegarono ai suoi desideri; sono uniti da una catena alla quale è sospesa un’ancora, perché le amanti appartenevano a famiglie di marinai.
Sulle gambe vi sono i nomi e le figure delle amanti.
Cause. — Tra le cause per cui si mantiene nelle classi basse e più nelle criminali un simile uso, sono da annoverare anzitutto:
1) la religione, come si vede nelle torme di pellegrini, per esempio, a Loreto;
2) l’imitazione, che agisce tanto nell’esercito quanto nella marina, come nelle carceri;
3) la vendetta, che vogliono così eternare almeno in effigie come un impegno ed una minaccia; è importante perché corrisponde alla registrazione che usano i selvaggi e perché mostra l’imprudenza dei criminali;
4) l’ozio e la vanità, come avviene nei selvaggi;
5) ma più di tutte l’atavismo, come riproduzione d’un costume diffusissimo tra le popolazioni primitive e tra i selvaggi, con cui i criminali hanno tanta affinità, com’è stato accennato, per la violenza delle passioni, per la stessa torpida sensibilità, la stessa puerile vanità e il lungo ozio; e ancora l’atavismo storico come sostituzione di una scrittura con simboli e con geroglifici alla comune alfabetica.
Corrispondono bene a questa genesi atavica lo sfregio che i camorristi praticano sulle loro amanti, anche senza scopo di vendetta, ma soltanto per affermarne il possesso, proprio come fanno delle loro donne e delle loro proprietà i capi delle tribù selvagge; e il tatuaggio di Paranza, con cui si distinguono e si contrassegnano i vari gruppi della mala vita: vi è così il gruppo bandiera, tre frecce, del Campanaro, del Carmine, ecc. (De Biasio).