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1. Caratteri generali. — 2. Camorra, mafia. Omertà.
1. Un ultimo carattere di grande importanza pratica della psicologia criminale è la tendenza che hanno ad associarsi, non soltanto in bande ed in gruppi ristretti, ma in vaste associazioni che s’infiltrano subdolamente colle loro potenti trame in tutta la società.
Questo dell’associazione al mal fare è uno dei più importanti caratteri del mondo criminale, non solo perché anche nel male si verifica la grande potenza che dà l’associazione, ma perché dalla unione di quelle anime perverse, si genera un vero fermento malefico, che facendo ripullulare le vecchie tendenze selvagge, rafforzandole per una specie di disciplina e per quella vanità del delitto di cui toccammo più sopra, spinge ad atrocità, a cui gran parte degli individui isolati ripugnerebbe.
Come è ben naturale, cotali sodalizi si formano più frequentemente là dove abbondano i malfattori, coll’importante eccezione però, che essi scemano cli tenacia, di crudeltà, nei paesi molto civili, trasformandosi in associazioni equivoche, politiche o di commercio. Lo scopo delle associazioni malvagie è quasi sempre l’appropriarsi dell’altrui associandosi in molti appunto per far fronte alla difesa legale. Si videro però associazioni per aborto, per avvelenamento, per omicidio senza scopo di lucro, come era la banda degli accoltellatori di Livorno, altre che vanno fino al cannibalismo ed allo stupro per fanatismo religioso, come avveniva nei settari russi.
Sesso. Età. Professione. — Il sesso maschile vi ha la massima prevalenza, le donne entrandovi più come segnalatrici, come manutengole e come amanti. Vi fu un caso eccezionale però di una banda capitanata da una donna, Luigia Bouviers, nel 1828.
L’età è quasi sempre la giovanile, e la professione quella di mestieri sanguinari, macellai, pastori e militari.
I sodalizi fra persone educate si formano solo nelle grandi capitali, ma se ne formano di tali, come la banda Coulin, composta di merciai, portinai e pittori; e come la banda Mallet capitanata da un capitano della guardia nazionale.
Organizzazione. — Queste bande hanno una specie di organizzazione loro propria. Quasi tutte hanno un capo, armato di potere dittatorio, che come nelle tribù selvagge dipende più dalle sue doti personali che dalla turbolenta acquiescenza dei più, e tutte hanno affiliati esterni e protettori in caso di pericolo, e tutte seguono una specie di codice o rituale che sebbene impersonale e non scritto, vien rispettato alla lettera dai più.
2. La più completa organizzazione di associazione a delinquere ci è offerta dalla camorra di Napoli. Essa si costituiva dovunque vi si trovasse un certo numero di carcerati o ex-carcerati, divisi in piccoli gruppi indipendenti fra di loro, ma subordinati a quelle di Castel Capuano, e queste a quelle di Procida, ecc. Vi si distinguono vari gradi.
Il picciotto o tamarro o razzo (aspirante) che diviene picciotto cli sgarro dopo aver dato prove di coraggio sfregiando o uccidendo qualcuno in obbedienza alla setta.
Il picciotto durava nel noviziato da 2 a 8 anni, servo di un camorrista che gli affidava le prove più pericolose e faticose dandogli pochi denari. Fatto un grosso colpo, il protettore faceva eleggere camorrista, e qui egli rinnovava davanti ai capi i giuramenti. I camorristi si dividevano in semplici e proprietari, questi ultimi eleggevano fra i più prepotenti un capo, il quale non poteva prendere deliberazioni senza consultare gli elettori, ed era assistito da un contabile (contarulo), da un tesoriere (capo-carusiello) e da un segretario. La sua funzione più importante era di distribuire alla domenica il frutto della camorra o barattolo o sala, frutto delle estorsioni.
Il loro codice non era formulato, né scritto, ma era eseguito alla lettera. Essi cavavano denari dai rivenditori di cocomeri, di giornali, dai vetturali, dai mendicanti, dai macellai, e perfino, sotto i Borboni, arricchivano obbligando i pusilli a comprare i ritratti del re.
Essi lavorano molto fuori, ma anche più in carcere, che costituisce il loro più sfruttato provento. I carcerati devono pagare loro per be1e, per mangiare, per giuocare, sono costretti a ceder loro la minestra, la giocata, la fumata. Il capo camorrista in carcere è dittatore assoluto, manda ordini ai suoi dipendenti e a quelli delle altre stanze, premia e. punisce, ognuno è verso lui come schiavo alla catena; ciò che vuole, caschi il mondo lo deve ottenere, fosse pure un desiderio osceno. Se qualcuno denuncia alle autorità è immediatamente punito, sfregiato, ammazzato.
Mafia. — È una variante della camorra, variante forse dovuta alla maggior tenacia nel segreto, e alla maggior estensione della setta negli alti ceti, specie avvocateschi, e soprattutto al predominio feudale di cui essi conservano gli usi e fino i gradi. Cravatta, ciuffo, capello a sghembo, linguaggio spiccato e conciso.
Essi seguono le regole di quel codice anonimo rivelatoci da Pitrè e da Vincenzo Maggiorini, i suoi articoli principali sono l’assoluto silenzio sui delitti che si vedono commettere dagli altri, l'obbligo di fare false testimonianze, di accordare protezione ai ricchi dietro denaro, di sfidare la pubblica forza in qualunque tempo e luogo, far duelli, menar coltellate.
Omertà. — L’omertà (v. Pitrè, Usi e costumi della Sicilia) è un sentimento tutto proprio dei siciliani, che consiste nel rendersi indipendenti dalle leggi sociali, nel risolvere tutte le controversie colla forza e al di fuori delle leggi. Questi mezza variano dal duello (abbastanza raro) all’uccisione delle persone che hanno avuto mano all’offesa. Base e sostegno dell’omertà è il silenzio. L’imputato innocente del delitto commesso subisce la pena senza denunciare il vero colpevole; la vittima del furto, della grassazione tiene silenzio sui riconosciuti o sospettati carnefici.
Molti dall’osservare, questi costumi e queste leggi speciali delle associazioni criminose vollero dedurne una testimonianza in favore del principio eterno della giustizia.
Se non che l’idea di giustizia qui non c’entra, è la necessità che ve li costringe. Senza un ostacolo alla reciproca denunzia ogni associazione in brev’ora finirebbe di esistere. D’altronde è naturale che ogni gruppo d’uomini, quando coesista insieme per qualche tempo si atteggi a speciali costumi, come avviene dei sacerdoti o dei militari. Questa specie di organismo giudiziario sarebbe come la pseudo membrana dell’uomo ammalato, che nessuno potrà dire esser indizio di sanità, benché a lungo si conservi e acquisti una specie di accomodamento, di adattamento alla vita. Ma, come le false membrane, più facilmente delle normali esse tendono ad alterarsi, conservando la morbosa fragilità delle origini loro e dando l’idea dell’ordinamento informe tra anarchico e dispotico che si osserva nelle tribù selvagge.
Così molti fondandosi sulla singolare tenacità rituale, e sulla tendenza cavalleresca e sul colore politico e religioso che qualche volta assunse la camorra e la mafia, potrebbero dubitare della loro natura essenzialmente criminosa. Ed è un fatto che qualche volta esse hanno lampi di generosità, qualche volta offrono efficace protezione ai deboli che hanno sfruttato, ma questa generosità non è che una vernice per coprire le azioni malvagie, per combattere la legge nemica del mal fare sotto nome di combattere il Governo, forse qualche volta per illudere se stessi. Ed infatti i camorristi si atteggiarono a rivoluzionari sotto i Borboni ed a borbonici sotto il nostro Governo e i mafiosi fecero lo stesso.
D’altronde una certa aureola di cavalleresco l’uomo delinquente l’ebbero sempre i grossi malandrini, un po’ per quella generosità che non va mai disgiunta dalla forza, un po’ per la necessità di aver favorevole il popolo minuto che li fornisce di ricovero e di soccorso. Che nel fondo la camorra e la mafia non siano se non varianti di volgari malandrini lo dice il fatto che i camorristi e mafiosi hanno tutti i caratteri fisici, hanno il gergo speciale e tatuaggi, e canti, usi, costumi e passioni proprie dei veri criminali.