< L'uomo delinquente < Parte undicesima
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Capitolo I. L’atavismo e l’epilessia nel delitto e nella pena.
Parte decima - V Parte undicesima - II

1. Epilessia. — 2. Criminaloidi. — 3. Psicopatici. — 4. Pazzi rei. — 5. Cause.

Dopo quanto qui esponemmo, chiara risulta la inanità del vecchio edificio criminologico. Abbiamo potuto sostituirgli un edificio più saldo nelle sue basi? Se l’orgoglio per un lavoro lungamente faticato non ci accieca, crediamo di sì. E prima di tutto non può rimaner dubbio che assai più del delitto in astratto si debba, per ben difendercene, studiare il delinquente. Riassumiamo infatti rapidamente ciò che abbiamo cercato di dimostrare. Noi abbiamo veduto come molti dei caratteri che presentano gli uomini selvaggi, le razze colorate, ricorrono spessissimo nei delinquenti nati. Tali sarebbero: la scarsezza dei peli, la poca capacità cranica, la fronte sfuggente, i seni frontali molto sviluppati, la frequenza maggiore delle ossa wormia, specie epactali, la sinostosi precoce, specie frontale, la salienza della linea arcuata del temporale, la semplicità delle suture, lo spessore maggiore delle ossa craniche, lo sviluppo enorme delle mandibole e degli zigomi, il prognatismo, l’obliquità delle orbite, la pelle più scura, il più folto ed arricciato capillizio, le orecchie voluminose, si aggiunge l’appendice lemuriana, le anomalie dell’orecchio, l’aumento di volume delle ossa facciali, il diastema dentario, la grande agilità, la ottusità tattile e dolorifica, la buona acuità visiva, la disvulnerabilità, la ottusità degli affetti, la precocità ai piaceri venerei e al vino, e la passione esagerata per essi, la maggiore analogia dei due sessi, la poca sensibilità dolorifica, la completa disvulnerabilità morale, l’accidia, la mancanza di ogni rimorso, l’impulsività, l’eccitabilità flsiopsichica e sopratutto la imprevidenza, che sembra alle volte coraggio, e il coraggio che si alterna alla viltà, la grande vanità, la passione pel giuoco per gli alcoolici e surrogati, passioni tanto fugaci quanto violente, la facile superstizione, la suscettibilità esagerata del proprio io, e perfino il concetto relativo della divinità e della morale. Abbiamo visto che le analogie vanno fino ai piccoli dettagli che male si saprebbero prevedere, come, per es., le leggi improvvisate dentro le associazioni, la influenza tutta personale dei capi, il costume del tatuaggio, i giuochi spesso crudeli, l’abuso dei gesti, il linguaggio onomatopeico con personificazioni di cose inanimate, la stessa speciale letteratura che ricorda quella dei tempi eroici, come li chiamava il Vico, in cui si lodava il delitto, e il pensiero tendeva a rivestire la forma ritmica e rimata. Si aggiunga infine che l’atavismo del delinquente può spingersi più in là dal selvaggio fino ai bruti ove manca ogni traccia di pudore e di pietà. A questo ci aiuta l’anatomia patologica che col maggior sviluppo cerebellare, colla coufluenza della scissura calcarina, colla parieto-occipitale interna, colla mancanza delle pieghe di passaggio del Gratiolet l’incisura nasale a doccia, la frequenza del foro olecranico, delle costole e vertebre in più e sopratutto colle anomalie istologiche scoperte nella corteccia dei criminali da Roncoroni, specie colla mancanza degli strati granulari e colla presenza di cellule nervose nella sostanza bianca, fa rimontare l’atavismo dei criminali fino ai carnivori, perfino agli uccelli. Spingendo le analogie atavistiche, così fino al di là della razza, ci possiamo spiegare anche la frequenza della saldatura dell’atlante coll’occipite, la sporgenza del canino, l’appiattimento del palato, la concavità dell’apofisi basilare, la frequenza della fossa occipitale mediana e il suo sviluppo straordinario, precisamente come nei lemuridi e nei rosicchianti, il piede prensile, la semplicità delle rughe palmari, il mancinismo anatomico, motorio e sensorio, la tendenza al cannibalismo anche senza passione di vendetta, e più ancora quella forma di ferocia sanguinaria mista a libidine che ci manifestarono il Gille, il Verzeni, il Legier, il Bertrand, l’Artusio, il Marchese di Sade, pari affatto ad altri studiati da Brierre in cui l’atavismo era favorito da epilessia, da idiozia o da paresi generale, ma che sempre ricordano l’accoppiamento di animali preceduto ed associato a lotte feroci e sanguinarie, sia per domare le renitenze della femmina sia per vincere i rivali in amore. Questi fatti ci provano chiaramente che i crimini più orrendi, più disumani, hanno pure un punto di partenza fisiologico atavistico in quegli istinti animaleschi di cui l’infanzia è una pallia eco, che rintuzzati nell’uomo civile dall’educazione, dall’ambiente, dal terrore della pena, pullulano poi ad un tratto sotto l’influsso di date circostanze: le malattie, le meteore, l’imitazione, l’ubriacamento spermatico prodotto dall’eccessiva continenza, ecc. Sapendosi che alcune condizioni morbose come i traumi del capo, le meningiti, l’alcoolismo ed altre intossicazioni croniche e certe condizioni fisiologiche come puerperio, senilità, provocano l’arresto dì sviluppo dei centri nervosi e quindi le regressioni atavistiche, comprendiamo come debbano facilitare la tendenza ai delitti. Sapendosi come tra il delinquente e il selvaggio e fino il bruto la distanza è poca, ed alle volte scompare del tutto, comprendiamo perché gli uomini del volgo, anche non immorali, abbiano pel reo si spesso una vera predilezione, se ne foggino una specie di eroe e giungano fin ad adorano dopo morto, e perché i galeotti a loro volta si mescolino così facilmente coi selvaggi, adottandone i costumi tutti, non escluso il cannibalismo (Bouvier, Voyage à la Guyane, 1896), come accadde in Australia e alla Guyana pei galeotti deportati. Osservando come i nostri bambini prima dell’educazione ignorino la distinzione fra vizio e virtù, rubino, battano, mentano senza il più piccolo riguardo, ci spieghiamo come tanta parte dei figli abbandonati, orfani ed esposti, si diano al male: ci spieghiamo la grande precocità del delitto. L’atavismo ci aiuta ancora a comprendere la inefficacia nei rei nati della pena, e il fatto singolare del ritorno costante e periodico d’un dato numero di delitti.

1. Epilessia. — Ma gli stessi fenomeni atavici che si trovano nei delinquenti nati si rinvengono nei pazzi morali e su più grande scala negli epilettici siano essi criminali o non criminali, in cui non manca alcuno dei fenomeni prettamente morbosi, come cefalee, ateromi, deliri, allucinazioni, ecc. Ma del resto anche nel reo nato, oltre agli atavici, vediamo alcuni caratteri che parevano solo patologici e atipici, che ricordano più la morbosità che l’atavismo; ad esempio, nel campo anatomico la esagerata asimmetria cranica e facciale, l’oxicefalia, le sinostosi precoci, ecc., l’ernia, le calvizie e canizie tardive, le rughe anomale, il torace ad imbuto; nel campo biologico le alterazioni dei riflessi, le ineguaglianze pupillari, gli scotomi periferici. Queste derivazioni, che si trovano in proporzioni maggiori nei degenerati in genere, idioti, cretini, si spiegano appunto coll’innestarsi all’atavismo, oltre che delle intossicazioni alcooliche, anche dell’epilessia. Ma l’intervento di questa non distrugge l’atavismo, perché essa congloba assieme caratteri che sono atavici e patologici, come la macrocefalia, la sclerosi cranica, le orecchie ad ansa, le ossa wormiane, la barba scarsa e nel campo biologico il mancinismo, l’analgesia, l’ottusità dei sensi, l’impulsività, l’oscenità, l’inerzia, la superstizione, il cannibalismo, l’impertuosità, l’iracondia, la tendenza a riprodurre grida o atti animaleschi. e sopratutto le anomalie istologiche della corteccia dei criminali che riproducono le condizioni degli animali inferiori. Molte volte, del resto, certi caratteri frequenti nei rei e negli epilettici furono classificati come anormali e morbosi e non atavici solo per la scarsezza delle nostre cognizioni embriobogiche e fibogenetiche. Così l’asimmetria facciale appare atavica se si ricordano i pterodattili, e la ruga anomala è atavica se si studiano le scimmie; perfino le ernie, come giustamente osservava il Feré, ricordando alcune condizioni normali nei vertebrati inferiori, come nei feti. E molte volte la morbosità e l’atavismo rimontano a una causa comune, come diceva il Wagner citando le belle scoperte dell’Ettinghausen, che cioè se noi raffreddiamo una radice di quercia così da mortificarla solo in parte, l’anno dopo essa dà foglie le quali non sono più simili alla foglia della quercia moderna, ma a quella dell’epoca terziaria, sicché così si può venir in chiaro di forme fossili intermediarie e non ben distinte. Dunque le influenze che generano una malattia, che generano l’epilessia, possono provocare insieme regressioni morfologiche ataviche. E l’indole epilettica, mentre fissa il carattere clinico ed anatomico del pazzo morale e del delinquente nato, che vagavano nel limite delle ipotesi semigiuridiche e semipsichiatriche, spiega l’instantaneità e l’intermittenza e il contrasto paradossale dei loro sintomi, che è forse il loro carattere più speciale, come la coesistenza e il passaggio dalla bontà alla ferocia, dalla vigliaccheria alla audacia spavalda, dal genio alla stupidità più completa, e lo spirito di associazioné che al di fuori degli epilettici manca sempre nei pazzi.

2. Criminaloidi. — Né per essere una specie diversa, quella del criminaloide manca di un rapporto coll’epilessia e coll’atavismo. Vero è che questa varietà ha alcuni gruppi di anomalie speciali come ateromi, paresi, cicatrici, dipsomania; vero è che manca in essi la passione del male per il male, e il cinismo, che essi presentano, più completa affettività, più sincera e facile confessione, meno raro il pentimento, maggiore forse la .lascivia e l’erotismo, maggiore certo nella donna la suggestionabilità, che in gran parte sono tratti al delitto da una occasione. Ma non manca in essi l’impulsività epilettica che li fa delinquere anche senza quella. Ma essi danno materialmente un numero di epilettici maggiore che il normale e una maggiore proporzione di tipi criminali. I criminaloidi sono dunque una attenuante, non una variazione della specie. Tanto è vero che i più, divenuti rei d’abitudine, grazie alla lunga dimora in carcere, non si distinguono che grazie ai caratteri fisici.
Rei latenti. — E meno ancora divariano dai delinquenti nati quei rei latenti e potenti che la società venera spesso come suoi capi, che hanno del delinquente nato tutti i caratteri ma a cui la potente posizione sociale diede un diversivo grande, da non permettere loro di manifestarsi se non nelle famiglie, di cui sono il flagello, o a spese dell’intero paese.

3. Psicopatici. — Anche quelle specie strane dei rei monomani, psicopatici sessuali, che pei moventi, come pel modo d’agire, sembrano divariare dall’epilettico puro, pure per l’ossessione, per l’impulsività, per l’intermittenza degli accessi, per l’esaurirsi dopo la crisi criminosa, per le note ereditarie, rivelano il nucleo epilettico ed atavico.

4. Pazzi rei. — Perflno nei pazzi criminali in cui predominano delle forme che si potrebbero dire la ipertrofia del delitto, l’esagerazione del delinquente nato, sono in genere o epilettici larvati o delinquenti nati, su cui si innestò la melanconia, la monomania, per quella naturale tendenza che hanno all’impiantarsi l’una insieme all’altra le forme psichiatriche sul guasto terriccio della degenerazione. Abbiamo veduto come l’alcoolista, l’isterico, il’ dipsomane, il piromane, il cleptomane, riproducano molti dei caratteri dell’epilettico. E perfino nel mattoide, che nella calma abituale, nell’assenza dei caratteri degenerativi e di eredità, tanto se ne di- lunga, fa capolino qualche volta quella forma epilettica che abbiamo veduto costituire il vero nucleo del crimine.
Rei per passione. — Quella sola serie di rei che costituisce una specie a parte, che anzi per le linee armoniche del corpo, per la bellezza dell’animo, per l’eccesso della sensibilità e affettività, costituisce il contrasto più completo col reo nato, così per la nobiltà della causa che ve lo spinge, pure anch’esso ha qualche punto che lo ravvicina agli epilettici, come l’istantaneità e la frequente amnesia dell’atto, così come la parentela con pazzi ed epilettici.
Rei d’occasione. — Non v’ha che i rei d’occasione o meglio i .pseudo criminali che non cercano l’occasione per delinquere, ma ne sono quasi cercati, che sfuggono a un rapporto coll’epilessia, ma questi non dovrebbero chiamarsi neanche rei.

5. Cause. — Né lo studio delle cause menoma quella fatalità fissata dall’influenza organica in un rapporto che certamente va fin al 35 e forse al 40 %; le cause non sono spesso che l’ultima determinante del reato che ad ogni modo sarebbe in altra occasione avvenuto. Ma quello che più importa è che le stesse cause che diminuiscono alcuni delitti ne aumenta-. no altri, il che rende sulle prime disperato lo statista che voglia portarvi rimedio. Così vedemmo che la istruzione, le ricchezza, la densità di popolazione che diminuiscono alcuni reati ne aumentano altri; perfino l’alcool, che quando è a buon prezzo aumenta tutti i reati di sangue, quando è caro aumenta i delitti contro la proprietà per procurarsi i mezzi di berlo. Il delitto, insomma, appare, così dalla statistica come dall’esame antropologico, un fenomeno naturale, un fenomeno, ‘direbbero i filosofi, necessario, come la nascita, la morte, i concepimenti. Questa idea della necessità del delitto, per quanto ardita possa sembrare, non è poi una idea così nuova, non così poco ortodossa come può parere a molti. S. Bernardo dettava: « Chi è di noi, per quanto esperto, che possa distinguere nei suoi impulsi l'influenza del morbus mentis da quella del morsus serpentis? », e Bucellati scrive: « Nello stato attuale della scienza non è esagerazione dichiarare che la piena imputazione a tutto rigore è praticamente impossibile ». Diritto di punire. — Ci si dice, ma voi negando la imputabilità che diritto avete di punire qualcuno? Io non credo che ci sia alcuna teoria sul diritto di punire che si regga salda sulla sua base; toltone quella che appunto ricorre alla necessità naturale, al diritto della propria difesa, l’antica teoria italiana di Beccaria e Romagnosi, di Carmignani e Rosmini, di Mancini e di Ellero, e che da ultimo ebbe da noi due vigorosi propugnatori, Ferri e Garofalo, e prima ancora Poletti, che giunse, prima della comparsa di questi studi, a voler cangiato il diritto punitivo in tutela penale. Potrà alcuno questionare se le fiere sbranino l’uomo per prava malvagità o per effetto del proprio organismo, ma non vi sarà alcuno che nel dubbio si astenga di uccidere la fiera, anzi vi sono ben pochi che, o pensando al diritto di quelle altre creature di Dio che sono gli animali domestici, alla vita e alla libertà, si astengono dall’aggiogarle e poi dall’ucciderle per uso alimentare. E con qual altro diritto se non quello della difesa sequestriamo noi i pazzi, i sospetti di malattie contagiose? Con qual altro diritto priviamo, almeno legalmente, del più nobile diritto, di quello di aver famiglia, il soldato, e con qual altro lo mandiamo senza colpa e spesso senza voglia alla morte? Appunto perché si basa sui fatti, la teoria penale fondata sulla necessità della difesa è la meno esposta alle contraddizioni. Vi è necessità nel delitto, ma vi è necessità nella difesa e quindi nella pena, che parte dalla temibilità del delinquente e su questa si deve misurare. La pena acquisterà così un carattere assai meno odioso ma anche meno contraddittorio e certo più efficace.

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