< L'uomo delinquente
Come e perchè fu scritto L'uomo delinquente
Postfazione di Gina Lombroso
Parte undicesima - IV
Questo testo è completo.

Quando Giuseppe Bocca — l’editore di mio padre — che ha seguito con tanto ardore la traiettoria dell’Antropologia criminale mi scrisse poi che io facessi un sunto dell’Uomo Delinquente in qualche centinaio di pagine, io mi ritrassi sgomenta. Solo chi ha letto integralmente l’Uomo Delinquente nella sua ultima edizione in tre volumi ed un atlante (complessivamente più di 2000 pagine), solo chi si accinto ad una simile impresa può farsi un’idea delle difficoltà che essa presenta. Quasi tutti i libri si possano riassumere, sopratutto i libri scientifici, perché quasi tutti sono dissertazioni, parafrasi, dimostrazioni di poche idee preconcette; sono lo svolgimento di un piano freddamente fatto a tavolino; e a cui il riassuntore può ritornare. Ma non è questo il caso dell’Uomo Delinquente. L’Uomo Delinquente non è la fredda documentazione di una idea, ma di un cumulo infinito di idee di indole diversissima, convergenti alla soluzione del problema del delitto, il quale è qui messo in relazione, come dice il titolo, “all’antropologia, alla giurisprudenza e alla psichiatria„. E queste idee si sono moltiplicate complicate ancora per gli studi speciali che il Lombroso e i suoi discepoli son venuti facendo nei lasso di tempo che intercede fra la prima e l’ultima edizione, che tutte le ingloba. Documento poderoso di cifre, di dati scientifici che si legge come un romanzo, che si segue palpitando con ansia come battaglia, in cui si vedono a poco a poco i piccoli episodi isolati riattaccarsi l’uno all’altro in un misterioso piano preconcetto che non ti è mai rivelato, l’Uomo Delinquente segna, nella sua ultima edizione, la vita tumultuosa di una scienza che prende anima e soffio a mano a mano che il libro si svolge. Non basta; l’Uomo Delinquente è un nuovo sistema penale, o meglio un nuovo orientamento del sistema penale, che sorge e si forma in contrapposto all’antico, ma che volendo esterne umilmente la continuazione, ha conservato attraverso le pagine l’impronta dell’origine che lo ha determinato. È questo un libro che ha per sola guida i fatti, ma fatti dei più infiniti generi, e del più vario valore; cifre imponenti che vertono su migliaia di casi, piccole cifre che ora parrebbero ingenue; statistiche su 1000 crani, e poi su 50 e poi su 10, e qualche volta accanto ad esse la descrizione di un caso isolato, di un cervello, di un cranio, di un’anomalia su cui l’autore improvvisamente si sofferma e non sapete il perchè; e accanto ai fatti provanti, fatti contrastanti che l’autore non già tace, ma ti spiega e ti fa rientrare nella regola; e accanto alle cifre, delle lunghe apostrofi, dei lunghi racconti intercalati, che ti paiono digressioni, e scopri poi essere parte integrante dell’opera. Un libro, per di più, legato da un interno filo che nessuno vede, ma che riordina misteriosamente e magicamente i fatti e le idee scritte, così come misteriosamente e meccanicamente lo scuoter della cassetta ne riordina il disordinata contenuto, formando un’opera così organica, come poche altre lo sono al mondo. Come si fa a riassumere un libro simile? Io mi ero già spuntate le ali, mio padre vivente e andante, a un lavoro di questo genere per l’America, ma la fatica immensa e lo scarso risultato me ne avevano ritratta spaventata per sempre. Questi ragionamenti venivo sforzandomi di far capire all’editore, ma questi, ostinato, insisteva sulle ragioni economiche le quali gli impedivano in questo momento di rifare un’edizione completa dell’opera, e su quelle scientifiche che ne rendevano necessario un sunto. Sotto l’assillo della necessità un’idea mi venne. L’Uomo Delinquente non si può riassumere, forse si può ridurre; Questo che presento al lettore non è un sunto, è una letterale riduzione dell’opera nella sua ultima edizione. Esattamente uguale ne è la suddivisione in parti e capitoli, dirò di più: per quanto mi è stato possibile, dell’Uomo Delinquente ho tenuto le frasi, tra scrivendo intere le parti riassuntive, rigorosamente attenendomi ai testo anche là dove molte scoperte sono state fatte di maggior valore che quelle citate, attenendomi alle cifre anche quando esse sono state sostituite da poderose statistiche ufficiali. Nella prima parte, però, la antropometrica, che non osavo attentarmi neppure a, ridurre, tanto delicata cosa è il toccarla, per restare fedele al mio programma di lasciar parlare l’autore, mi son giovata di un auto-riassunto dell’Uomo Delinquente da Lombroso stesso vergato nelle sue Lezioni di Medicina Legale, ultima edizione, corretta dal più fedele dei suoi discepoli, continuatore della sua cattedra: Mario Carrara. Ma a lavoro finito mi sono data conto di un altro problema che questa pubblicazione poneva sul tappeto. Il lettore, il quale legge nel 1924 la riduzione di questo libro cominciato nel 1864, i citi ultimi rimaneggiamenti rimontano al 1900, appartiene ad una generazione diversa da quella O cui il libro è stato diretto. Egli non sa più come, quando, in che condizioni, per quali fini un tale studio è stato condotto. Per questo, il libro gli può sembrare in alcune parti manchevole, in altre parti soverchio, può, secondo lui, “qui sfondare delle porte aperte„ Id rispondere a obiezioni che hanno già avuto la, loro risposta, dimenticare altrove problemi urgenti, proporre riforme che sono già state fatte. A prevenire tutto ciò dirò qui qualche parola in proposito.


* * *

Partendo dalle condizioni attuali della scienza e degli scienziati, si immaginano i giovani di oggi dell’Uomo Delinquente sia nato su per giù cogli scopi e con i mezzi dei libri scientifici moderni, redatti per arrivare ad un posto, per vincere un concorso. Si immaginano essi che Lombroso, professore o assistente ad una cattedra affine all’antropologia criminale, prendesse un giorno a studiare “gli uomini delinquenti„ o perchè un professore gli avesse dato questo terna da svolgere, o perché gli fosse capitato sottomano materiale di questo genere, che egli ideasse di sfruttare, su per giù come avrebbe impresso a studiare una qualunque tribù africana gli fosse capitata sotto mano, coll’esame della quale avesse avuto la speranza di arrivare a una posizione onorevole. Si immaginano ancora i giovani di oggi che Lombroso, decisosi allo studio di questo tema, vi si sia accinto munito di tutto l’occorrente per portarlo alla perfezione, a capo di uno splendido laboratorio sperimentale ricco dei più moderni strumenti di precisione, disponente di una biblioteca ben fornita sull’argomento coadiuvato da una valanga di inservienti e di assistenti pronti ai suoi cenni, con centinaia di delinquenti a sua disposizione, di nient’altro desiderosi che di essere esaminati. Ben diverse furono invece le cose![1]. Quando Lombroso cominciò i suoi studi, non esistevano né cattedre di antropologia criminale né di antropologia, non esistevano laboratori sperimentali, né biblioteche annesse, l’esame dell’Uomo Delinquente non poteva servire, come non servì all’A., ad avanzare nella gerarchia universitaria o a far in qualunque modo carriera. Vigeva allora, parlo del ‘63, indiscussa la scuola classica di diritto penale, la quale considera il reo un individuo normale, dotato, meno in casi eccezionali, di corpo e anima in tutto simile a quella degli altri uomini un individuo normale il quale compie il delitto per un atto cosciente e libero di prava malvagità. Per questo atto, la società a mezzo del giudice gli commina una pena adeguata che deve emendarlo, dopodiché il delinquente è presupposto riabilitato. Il diritto penale classico, però, considerando il delinquente un uomo normale, comandava implicitamente e esplicitamente di punire i delinquenti solo quando erano normali, cioè responsabili dei delitti commessi. Ma nella realtà i giudici si trovavano assai spesso davanti a individui che essi stessi giudicavano pazzi quindi irresponsabili. Molte più volte essi rimanevano incerti. In questi casi usavano essi rivolgersi agli psichiatri, la cui precipua funzione era appunto quella di illuminar i giudici sulla responsabilità o no dei rei su cui pesava qualche dubbio e di insegnare agli studenti a fare questa distinzione. Le cose stavano a questo punto quando Lombroso fu chiamato nel’63 a coprire o meglio a fondare h cattedra di Psichiatria nella Università di Pavia. Fin dalle prime lezioni Lombroso si accorse e qui sta il suo grande merito — risolvere il problema della responsabilità del delinquente non era possibile al punto in cui stavano le cose, perchè si chiedeva al medico di trovare un’incognita, la normalità del reo, basandosi su due altre incognite, i caratteri pro proprii del reo e del pazzo; egli si accorse che per discriminare in modo sicuro il reo dal pazzo bisognava prima determinare i caratteri precisi dei pazzi e dei criminali, difficili problemi, ambedue, non mai ancora abbordati. “Qualunque volta ci si affaccia a un’opera o ad un problema di Medicina legale delle alienazioni mentali„ scriveva egli nella prefazione alle ricerche che iniziò per risolvere questo problema, “ci sentiamo involontariamente sorpresi da un senso di sconforto e di ribrezzo. Gli è che ai termini misurati, precisi, a cui la medicina moderna ci ha abituati, noi vediamo sostituite delle espressioni vaghe, indeterminate, mal comprese da quegli stessi che le hanno inventate, e che non hanno nessuno di quei riscontri obbiettivi a cui tutta l’educazione medica ci ha abituati e per i quali soltanto il giudice intende interrogarci; e così accade che o per eccessiva precauzione, o per una ingiusta reazione alla diffidenza dei giudici, gli uni non vogliono trovare pazzo nessun criminale anche alienato, come qualche volta incappa a fare il Casper, e gli altri abbondano in senso contrario, così da convertire in manicomio tutte le prigioni. “Memore ed allievo della vera scuola italiana, di quella che mise a stemma il gran motto “provando e riprovando„ io volli darmi d’attorno a vedere se potessi sostituire a quei termini vaghi ed indecisi e così presto oppugnabili di ragione umana, di libero arbitrio, di passioni focose,. di istinto prepotente, celle espressioni più concrete che rispondessero a fatti obbiettivi, di facili e sicure constatazioni. Sono solo le cifre e gli strumenti di precisione quelli che hanno fatto fare alla scienza quei passi da gigante che noi tutti ammiriamo, che ci hanno dato in mano sì larga parte di dominio della natura. E perchè non si dovrebbe egli applicare questo meraviglioso metodo anche alla scienza psichiatrica, posto che l’alienato, oltreché di spirito, è composto anche di corpo, e posto che alle variazioni della forza psichica e quindi dello spirito deve accompagnarsi anche quella della forma lo mi sono messo quindi a. studiare gli alienati che avevo sott’occhio come un oggetto di storia naturale, ed ho tentato di descriverne e riassumerne in quadri statistici i caratteri principali Questa idea di “studiare i pazzi come un oggetto di storia naturale„ di applicare cioè il metodo sperimentale allo studio delle anomalie della mente, fu l’origine dell’Uomo Delinquente, e di tutta la scuola psichiatrica ed antropologica sperimentale del nostro secolo. Essa sembra oggi un truismo, fu un’immensa innovazione allora, quando chi non cedeva all’anima separata completamente dal corpo, credeva religiosamente alla teoria delle localizzazioni, la quale assegnava al cervello, anzi a determinate porzioni del cervello ogni nostra funzione morale e intellettuale. Lombroso cominciò invece ad esaminare i pazzi sistematicamente in tutte le loro parti, dalle più esterne alle più intime e recesse: statura, peso, pelle, peli, denti, vista, olfatto; sensibilità tattile, dolorifica, meteorica; ricambio orina, sangue; temperatura; organi, stomaco, cuore, fegato, milza; psicologia, scrittura, disegni, attività manuale, intellettuale; malattie pregresse, malattie dei genitori, dei parenti; anatomia patologica, cervello, meningi, ecc. Ed il primo esame sistematico fu fatto sui malati della sua clinica egli pubblicò nel 66 col nome «Medicina legale delle alienazioni mentali studiate col metodo sperimentale», memoria che può considerarsi come il primo nucleo dell’Uomo Delinquente[2]. Ma se Lombroso, appena avuta l’idea, aveva potuto accingersi ad un esame sistematico dei pazzi, confrontarli coi normali e pubblicarne due anni dopo i risultati, sia pur disponendo soltanto di una modesta clinica e di più modesti strumenti, così non fu per i delinquenti. I delinquenti segregati nelle loro carceri ad emendarsi, erano assai ben difesi da ogni contatto del mondo esterno che potesse scemare l’efficacia della pena, nessuno poteva entrare nelle carceri, e proibito era in Italia perfino di fare o pubblicare la fotografia dei rei. Lombroso dovette pertanto studiar i rei come potè: nelle relazioni di scienziati stranieri, nelle fotografie di autori tedeschi o per interposta persona, pregando medici delle carceri amici, italiani, francesi e tedeschi, di fare questa o quella ricerca, accontentandosi dei risultati disparati che egli poteva raccogliere da questi disparati osservatori; a quando a quando soltanto controllando direttamente queste cifre coll’esame diretto di qualche criminale che gli capitava di parlare o in affrettate visite alle carceri quando ne otteneva il permesso. Questa è la ragione della varietà enorme di cifre, di statistiche, di documenti, che si trova, come dissi, nell’Uomo Delinquente, delle quali parte vertono su migliaia di casi, parte su qualche centinaio o decina, parte sono italiani, parte francesi o tedeschi; statistiche, documenti che obbligano a un doppio complicato lavoro dì discriminazione da parte dell’autore e che rendono assai difficile l’opera del riassuntore. Mancandogli i delinquenti vivi su cui ripetere l’esame già fatto sui pazzi, Lombroso cerca di colmare la lacuna girando il problema, esaminando scheletri e crani radunati nei musei in di diverse carceri del regno o ottenuti facendo scavare nei cimiteri dei giustiziati. La sostituzione dell’esame dello scheletro e del cranio a quello del vivo pare un’idea molto strana a chi non è addentro negli studi di storia naturale e non sa quale enorme importanza ha lo scheletro per determinare la figura del corpo a cui esso serve di ricetto e di sostegno. Credono infatti gli, estranei alla scienza che il sistema osseo sia immobile, e rigido nella sua durezza, e che le parti molli ad esso si adattino. È invece il contrario; il sistema osseo, l’ultimo a formarsi ne corpo, è il, più adattabile ed è il più trasformabile dei nostri tessuti, per l’attività degli osteoclasti e osteoblasti i quali continuamente lo distruggono e lo riplasmano adattandolo alle parti molli che su esso si riposano e si innestano; così è che semplici protuberanze, semplici depressioni, possono essere preziosi indizi per ricostruii-vi il corpo e l’anima a cui quelle ossa appartennero. il determinare dal semplice esame dello scheletro e del cranio la figura del delinquente era dunque possibile come era possibile il recitare le analogie e le differenze che il reo offriva rispetto al normale e ai pazzo confrontando lo scheletro e il cranio tuo con quelli di questi — ma era assai difficile. Si trattava sempre di indizi, di induzioni che l’autore non aveva la possibilità di controllare. li lavoro procedeva quindi assai a rilento, tanto più che le osservazioni contraddicevano la tesi da cui l’A. era partito — essere i delinquenti in massima normali, in mezzo ai quali qualche pazzo — quand’ecco una mattina del novembre 1872, facendo l’autopsia di un certo Vilella, un brigante, che, malgrado i suoi 72 anni, era sfuggito alle guardie come un capriolo sui monti, Lombroso trovò alla base del cranio, proprio là dove nei normali si erge una cresta che divide i due emisferi: una fossetta, la quale ira così liscia che pareva avesse dato ricetto ad un lobo mediano, come quello che si trova nelle scimmie inferiori, negli uccelli, nei pesci e come negli embrioni umani si riscontra ai primi mesi. Fu questa per Lombroso, che già aveva notato nei criminali, senza saperseli spiegare, altri caratteri animaleschi, una rivelazione, del genere della lampada per Galileo. I delinquenti che egli ne indusse, non erano dei anormali e neppure dei pazzi, ma degli normali che avevano questo di speciale, di rappresentare fisicamente e psichicamente i nostri proavi giù giù fin alle scimmie, ai carnivori, agli animali inferiori; erano degli esseri “atavici„ (fu in quel giorno ed in quella circostanze che egli trovò questa parola). Questa era la ragione degli zigomi sporgenti, delle orecchie ad ansa, della sproporzione delle membra, dell’ispessirne0 delle ossa, delle altre molte anomalie che egli aveva già trovato nei delinquenti. Un delinquente egli, ebbe poco dopo a peritare, un certo Verzeni il quale aveva successivamente strangolate una ventina di donne. Egli confessò al Lombroso, che le strangolava per poi succhiarne il sangue, il che faceva nei dì susseguenti al delitto in una capanna dove portava i cadaveri. Prova più diretta dell’atavismo vegli no poteva trovare. Mosso da questa scoperta sulla strada, avuto un punto di sapere, l’esame procedette assai più spedito. Ma la dimostrazione della anormalità del delinquente non era il fine che Lombroso si era proposto. Egli si era messo a studiare i rei per aiutare i giudici a rendere giustizia. Si accorse egli ben tosto che le sue scoperte stavan mettendo invece i giudici in grave imbarazzo, poiché, una volta dimostrato le i delinquenti erano degli anormali e quindi degli irresponsabili il giudice doveva, secondo il giudice, o liberare degli individui sommamente pericolosi alla società o punire dei disgraziati che erano irresponsabili. Egli si diede quindi a tutt’uomo a cercare il modo di conciliar le sue scoperte col Codice, in modo da illuminare la giustizia e difendere la società. Se i delinquenti sono una specie di pazzi, egli pensò, essi non devono essere puniti, ma trattati i presso a poco come i pazzi, in ragione non del fallo compiuto, ma della loro “pericolosità„ concetto questo per la prima volta sistematicamente espresso dal Lombroso. Nel ‘73 infatti, poco dopo la scoperta della fossetta occipitale mediana, mentre L’Uomo Delinquente prendeva rapidamente forma, egli pubblica una memoria sui Manicomi criminali (quella che sarà la terza parte della prima edizione dell’Uomo Delinquente), che un vero progetto di legge, col quale dare modo ai giudici, senza intaccare il Codice vigente, di difendere la società dai rei più pericolosi, i quali, irresponsabili dei falli commessi, sono pure fatalmente indotti dalla malattia a commetterne altri infiniti con pericolo sociale grandissimo. Forte di tutti questi studi; completati anche dal lato profilattico colle indicazioni dei mezzi atti a prevenire il delitto colla cura e rieducazione dei delinquenti minorenni e col sequestro perpetuo dei recidivi inveterati, Lombroso diede alle stampe nel ‘76 il suo Uomo Delinquente studiato in rapporto alla medicina legale, all’antropologia e alle discipline carcerarie, le cui preoccupazioni pratiche e giuridiche sono rispecchiate nell’introduzione che ho qui riportata il piccolo volume ebbe subito un immenso successo teorica e pratico. La legge per i manicomi criminali, per la riforma dei minorenni corrigendi, fu portata alla Camera e al Senato quasi contemporaneamente in Italia, in Francia, in Germania, in Spagna, nel Sud America. Le teorie ivi esposte furono discusse in tutti i ceti, in tutte le classi sociali. Antropologi, giuristi, psichiatri, legislatori, medici, naturalisti, proposero a Lombroso di controllare, propagandare, svolgere, applicare le sue teorie nei più diversi campi; giudici e giuristi geniali — fra i quali Ferri e Garofalo — assunsero di portar i nuovi concetti dell’Uomo Delinquente alle loro ultime conseguenze giuridiche e penali. Tutti insieme formarono due scuole: la Nuova Scuola di Diritto penale, imperniata sul concetto della anomalia del delinquente e della sua pericolosità, e l’Antropologia criminale, clic ricercava le prove della anomalia del delinquente. Il contributo di tanti discepoli, l’esame diretto dei rei, che verso il 1890 gli fu concesso come medico delle carceri, indusse l’autore a grandi sviluppi, a grandi rimaneggiamenti. Dalla prima edizione infatti, stampata nel ‘76 di 250 pagine, all’ultima, stampata nel ‘97, in tre volami di 2600 pagine, fermi restando e indiscussi i pernii della anomalia dei delinquente e della sua temibilità, moltissime furono le modificazioni appor tate delle quali le più importanti sono l’introduzione nella eziologia del delinquente, della pazzia morale dapprima e poi quella della epilessia, clic nell’ultima edizione diventò il fulcro maggiore del delitto, fulcro anche della pazzia morale e di infinite altre forme di pazzia che vanno oggi ancora sotto altra terminologia. Ma la fortuna non arrise agli sforzi dell’autore. A mano a mano che gli scienziati si davan conto dell’importanza dell’opera, essi cominciavano ad avversarla. Gli avversari divennero falange, in Italia sopratutto, dopo che il nuovo codice penale 1888, invece di applicarne le idee, eliminava dai suoi paragrafi tutto quanto negli antichi Codici regionali c’era che in qualche modo, per pratica se non per dottrina, si avvicinasse alle misure richieste dal Lombroso. Gli rimproveravano alcuni l’audacia di tirare deduzioni dì immensa portata pratica da casi isolati, “da un cranio assimetrico, da un orecchio ad ansa„. Gli apponevano essi che, affermando egli stesso trovarsi il tipo nel 40%, dei criminali, ammetteva implicitamente con ciò l’esistenza di criminali senza tipo completo. Gli obbiettavano ancora la variabilità delle anomalie da lui stesso descritte nei delinquenti, la varietà dei fattori a cui egli stesso ascriveva il delitto, attribuendo grande importanza ora all’uno ora all’altro fattore, ora al cranio, ora all’educazione, ora alle meteore. “Ora, senza contare„ rispondeva egli nella Prefazione all’Uomo Delinquente, ultima edizione 1897, “che non si trova mai nell’umano cristallo un’anomalia di formazione la quale non abbia una ragione di essere, specialmente nell’arresto di sviluppo, noi ricorderemo come non facciamo a priori queste deduzioni, ma sì bene dopo averle trovate in una proporzione maggiore nei criminali confrontati coi sani; e che noi consideriamo le anomalie isolate solo come un indizio, come una nota musicale dalla quale non pretenderemmo né potremmo cuvarne un accordo se non quando sì trovi insieme ad altre note fisiche e morali; e quella di aver commesso un reato o di esserne indiziato ci pare pure qualcosa„. “Vero è„ rispondeva ancora, “che dai nostri stessi rapporti, risulta 60% dei delinquenti non aver tipo completo. Ma oltre che il 40% è una quota che merita di essere considerata, il passaggio insensibile dall’uno all’altro carattere si manifesta pure nelle specie animali e vegetali, anzi perfino tra le une e le altre. Il tipo insomma de ve. essere accolto con quel riserbo con cui nelle statistiche le medie. Quando, si dice che la vita media è di 32 anni e qualche mese, e che il mese più fatale è il dicembre, niuno si intende giunto all’ultimo dì di sua vita nel 32° anno di età né che in dicembre tutti debbono morire. Né giusto è chi ci appunta di errore quando citiamo insieme anomalie anatomiche e condizioni meteoriche fra le cause del crimine, fondandosi sul fatte che insieme vi agiscono anche l’occasione, i costumi, ecc. Così succede di tutti i fenomeni umani, che determinati pure da un dato fattore, sono però soggetti a molte oltre influenze che non si escludono, si associano anzi fra loro. Chi non riderebbe a sentire affermare che lo sviluppo del grano dì— pende dalla pioggia e dal sole? ma non è lecito da ciò concludere che la pioggia ed il sole bastino senza il seme, la terra, il concime, ecc., a fare fecondare il grano„. Sì, è vero che le cifre proporzionali dalle anomalie differiscono nei diversi rei„ rispondeva infine; “che, mentre un tale carattere si riscontra per esempio nel 20%, un altro si ha nel 10%, un altro nel 50% ma gli è che nella natura così multiforme e complessa mai i caratteri sono precisi, matematicamente concordanti come nella teoria, senza dire ché i dati biologici di maggiore importanza variano meno assai dei minori, e certo fra una razza e l’altra facilmente troviamo differenza di statura, di colore, più che non troviamo differenza nella struttura del cervello e neppure nel cranio, donde la conseguenza evidente che nelle ricerche antropologiche vi siano variazioni nella anormalità così come ci sono nella normalità„. Ma le obbiezioni di maggior valore che si ripetevano con insistenza al Lombroso erano:

I. Non esserci alcuna ragione fisiologica che giustificasse la relazione fra i caratteri fisici descritti da lui come proprii dei delinquenti e le loro tendenze psichiche e morali;
II. Essere troppe grossolanamente raccolte le cifre che egli dava in appoggio alle sue teorie.

A queste obiezioni, contro cui egli non potè opporre che delle induzioni nel primo caso e la richiesta di rigorosi controlli pubblici nel secondo, siamo in grado di rispondere ampiamente noi e colle ricerche endocrino logiche che riassumo nella IV appendice. e colle inchieste ufficiali fatte dal Governo Inglese e dal Governo Belga, che riassunto nella I e nella II. Le pubbliche inchieste Belga e Inglese confermano le dottrine Lombrosiane con una documentazione così accurata e precisa come maggiore non si potrebbe immaginare. La endocrinologia, rivelandoci la impensata relazione fra la secrezione di alcune ghiandole interne, di cui si conosceva una volta appena la esistenza, e le forme e funzioni dell’organismo umano; ci dà il nesso fisiologico fra le molte anomalie somatiche e morfologiche proprie dei criminali e i loro istinti; ci dà la ragione del come e del perchè speciali caratteri fisici, somatici e funzionali nei delinquenti sieno legati non solo al loro impulso a delinquere, ma a delinquere in quel determinato modo, sieno cioè legati alla loro complessa e speciale psiche, ci apre nuovi orizzonti sulla terapia del delitto, che completa e rafforza la profilassi consigliata dal Lombroso. Il Lichtestein e lo Steinach sono, già arrivati infatti a darci casi di delinquenti speciali — i sessuali la cui sindrome intera cambia, la cui tendenza sessuale anomala sparisce, i cui caratteri morfologici e scheletrici si modificano coll’innesto di ghiandole sane, esattamente come si era visto avvenire colla cura tiroidea in certi cretinosi.


* * *

Questa la genesi e la traiettoria dell’Uomo Delinquente. Non creda però il lettore, quando avrà letta questa riduzione e, sia pure corredata di questa introduzione, di aver letto L’Uomo Delinquente, e di aver capito la traiettoria di questa dottrina. Egli ne ha letta una riduzione, egli ne ha fra le mani lo scheletro. Mai, per quanta pena si dia il riassuntore, egli riuscirà a far capire la fiamma che questo libro suscitò nel mondo, il cumulo di studi e di idee cui diede luogo; bisogna leggere il libro tale e quale è, per capirlo, colla sua enorme mole di prove in ogni genere, col suo stile smagliante, irruente, che sa vestire della sua passione anche le cifre più aride. Valga però questo schema a riempire il vuoto che intercederà fra l’esaurita ultima edizione dell’Uomo Delinquente e la nuova che io spero non tarderà a uscire. Valga questa riduzione — e questo sarebbe il supremo desiderio di chi vi si affaticò — a destare nel lettore italiano il desiderio di veder applicate le misure reclamate da questa Scuola, là quale se è stata una delle glorie maggiori dell’Italia nel secolo XIX, è stata pure l’ultima angoscia, l’ultima disillusione del suo fondatore. Scriveva infatti Cesare Lombroso a questo proposito [3]: “Rivedendo ancora una volta, in questi studi la traccia delle lotte continue, disperate per difendere dall’opinione pubblica sviata e ingannata le conclusioni sull’antropologia criminale, sulla Psichiatria sperimentale, queste figlie predilette e così poco accette del mio pensiero, e ricordando e fatiche e le fitte crudeli di cui anche qui portano il segno e gli, stenti frutti che ne ho raccolto, mi paragono ad un uomo che coll’occhio affaticato ma incapace di riposo sogguardi i vetri infranti e le spoglie inonorate di un’orgia fumosa, in cui la stanchezza e la noia soffocarono ogni orma di piacere, e comprendo quanto inutile è l’opera di chi parla in epoche o paesi che non, l’intendono, a meno di volere, come i santi e i mattoidi, passare per martiri„.

Firenze, 1923. Gina Lombroso

Note

  1. Per maggiori detagli, vedi Storia della vita e delle opere di C. Lombroso narrata dalla figlia Gina, 9a ediz., Zanichelli edit., 1890.
  2. Per maggiori detag1i, vedi Storia della vita e delle opere di C. Lombroso narrata dalla figlia Gina, 9a ediz., Zanichelli edit., 1890.
  3. Lombroso, Pazzi e anormali, Lapi, Città di Castello, 1889.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.