< La Mala Femmina domata
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William Shakespeare - La Mala Femmina domata (1593)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto secondo
Atto primo Atto terzo

ATTO SECONDO


SCENA I.

Una stanza nella casa di Battista.

Entrano Caterina e Bianca

Bian. Cara sorella, non mi fate l’oltraggio e nol fate a voi stessa, di ridurmi allo stato di fante. Io mi toglierò tutti questi vani ornamenti, se lo desiderate; farò quel che volete, tant’è il rispetto che vi porto.

Cat. Ti comando di dichiararmi quale è di tutti i tuoi adoratori quello che tu ami di più; pensa a non dissimularmi il vero.

Bian. Credetemi; sorella, fra tutti gli uomini che vivono non ne ho ancora veduto uno che mi piaccia veramente.

Cat. Ipocrita, tu menti: non ami forse Ortensio?

Bian. Se egli vi piace, sorella, giuro che gli parlerò per voi, e farò ogni sfozo per procurarvelo.

Cat. Se così è, preferirete dunque le ricchezze, aspirerete a Gremio per esser doviziosa?

Bian. È forse a cagion sua che siete gelosa di me? Via, mi avveggo che non è che una celia, e vi prego di mutar discorso.

Cat. (battendola) Se prendi questi colpi per celie, potrai prendere del pari tutto il resto. (entra Battista)

Batt. Come, Caterina! Da che procede tanta insolenza? — Bianca: allontanatevi — Povera fanciulla! Essa piange! Va; mia figlia, rientra nella tua stanza, e non parlar mai più con costei. — Tu, spirito diabolico, perfida giovine, perchè bistratti così tua sorella che non ti ha mai causato il più piccolo dolore? Quando ti ha ella pur solo contraddetta, o dato il più lieve rimprovero?

Cat. Il suo silenzio m’insulta, e saprò vendicarmi. (insegue Bianca)

Batt. Che! anche sotto ai miei occhi? Esci tu Bianca. (Bianca esce)

Cat. Voi non potete soffrirmi. Veggo bene che amate lei sola, e che ella avrà uno sposo, mentre a me converrà danzare a piedi nudi a motivo della predilezione che nudrite per lei. Tacete, non dite altro; vado a rinchiudermi, e a piangere di rabbia fine a che possa trovare l’occasione di vendicarmi. (esce)

Batt. Vi fu mai onest’uomo contristato al pari di me? Ma chi viene? (entrano Gremio con Lucenzio in mal arnese, Petrucchio con Ortensio vestito da maestro di musica, e Tranio con Biondello che porta un liuto e alcuni libri)

Gre. Buon giorno, vicino Battista.

Batt. Buon giorno, Gremio: il Cielo vi salvi, signori.

Pet. E voi ancora. Dite, di grazia, non avete voi una figlia chiamata Caterina, bella e virtuosa?

Batt. Ho una figlia, signore, chiamata Caterina.

Gre. (a Pet.) Cominciate con troppa franchezza; andate più lento.

Pet. Voi non sapete nulla, Gremio, lasciatemi dire. — Io sono un cittadino di Verona, signore. (a Batt.) che, avendo udito vantare la bellezza, lo spirito e l’affabilità, la modestia e la dolcezza della tempra dii Caterina, ho presa la libertà dì venir in vostra casa per appurare coi miei occhi la verità dell’elogio che ho inteso fare tante volte di lei, e qui m’accompagna un uomo (presentando Or.) ch’io conosco per esperto assai di musica e di matematiche, atto ad istruire mirabilmente vostra figlia nelle scienze, di cui so ch’ella ha già qualche nozione. Accoglietelo, ve ne prego, com’egli merita: il suo nome è Licia, ed ebbe i natali in Mantova.

Batt. Voi siete il benvenuto, signore, ed egli pure, a contemplazion vostra: ma rispetto alla mia figlia Caterina so che non vi piacerà, e di questo mi dolgo.

Pet. Veggo che non volete separarvi da lei, oppure ch’io non son l’uomo che vi appaga.

Batt. No, non credete ciò, signore; io parlo come penso. Ma di qual paese siete voi? Si può sapere il vostro nome?

Pet. Mi chiamo Petrucchio, e son figlio di Antonio, uomo ben conosciuto in tutta Italia.

Batt. Lo conosco io pure benissimo, e vi faccio la più lieta accoglienza.

Gre. Permettete, Petrucchio, anche a noi di parlare. Signore, (a Batt.) io vi presento un uomo (indicando Luc.) che è così versato nel greco, nel latino, e in molte altre lingue, come quel signore lo può essere nella musica e nelle matematiche: si chiama Cambiò; e vi prega di accettare i suoi servigi.

Batt. Con mille ringraziamenti, Gremio, e siate il benvenuto, (a Luc.) — Ma voi (a Tran.) mi sembrate un forestiere: si potrebbe sapere quello che veniste a fare nella nostra città?

Tran. Perdonatemi, signore, sarà forse temerità in me, che sono straniero, il pormi nella fila di coloro che aspirano a vostra figlia, la bella e virtuosa Bianca: ma la fama dei di lei meriti è andata tant’oltre che vedrete accorrere persone da tutte le parti per domandarla.

Batt. Voi vi chiamate Lucenzio? Di qual paese siete?

Tran. Di Pisa, signore; figlio di Vincenzo.

Batt. Un illustre casato, lo so. Son lieto di ricevervi, signore. Prendete il liuto, e i libri voi altri: (a Or. e Luc.) frappoco vedrete le vostre discepole. Olà, qualcuno! (entra un Domestico) Conducete questi signori dalle mie figlie, e dite loro che sono i maestri che aspettavano: li accolgano come meritano. (esce il Dom. con Or., Luc. e Bion.) Noi andremo a far una passeggiata pel giardino, e poscia pranzeremo. Siate i benvenuti, signori; vi veggo con vera gioia.

Pet. Signor Battista, l’affare mio esige sollecitudine, io non posso recarmi qui tutti i giorni. Voi avete conosciuto mio padre, e in lui conoscete me, suo figlio, ch’egli ha lasciato solo erede di tutte le sue terre e degli altri suoi beni, retaggio che ho piuttosto ampliato che diminuito. Ditemi dunque, se ottengo l’amore di vostra figlia, quale sarà la dote che le darete?

Batt. Dopo la mia morte avrà la metà delle mie terre; per ora le toccheranno ventimila scudi.

Pet. Io le assicurerò tal dote coi miei possessi: stendiamo dunque, se volete, gli articoli del contratto.

Batt. Sì; quando si potrà contare sopra la cosa principale, che è l’amore di mia figlia.

Pet. A ciò non pensate. Io sono fermo e tenace quant’ella può essere dispettosa e superba. Allorchè due fuochi violenti s’incontrano essi si distruggono l’uno coll’altro. Bisognerà bene che ella mi ceda, perch’io sarò inflessibile, e non le farò già la corte da fanciullo.

Batt. Possiate voi riescire nel vostro intento, e ottenere si felice successo. Ma pensate a ben armarvi contro le sue scortesie.

Pet. Sarò inconcusso come una montagna. (rientra Ortensio con una contusione nella testa)

Batt. Perchè, amico, siete così pallido?

Or. Per paura.

Batt. Mia figlia apprenderà dunque bene la musica?

Or. Credo che diverrà prima un buon soldato: il ferro potrà resisterle ma non i liuti.

Batt. Perchè?

Or. Perchè ella mi ha rotto il mio sulla testa: io non le avevo detto se non che errava, e le aveva insegnato a por le dita, quando in eccesso di rabbia diabolica: «si chiama questo ammaestrare? ha gridato. Volete farmi impazzire?» E così dicendo mi ha rotto l’istrumento sul capo. Sono rimasto stordito e confuso come un uomo in berlina, ed ella ne ha approfittato per opprimermi di epiteti ignominiosi.

Pet. È una fanciulla energica, e l’amo dieci volte più che non facevo. Oh quanto desidero di avere un colloquio con lei!

Batt. (a Or.) Scuotetevi, venite con me, e date le vostre lezioni alla mia figlia minore che è buona, e riconoscente del bene che le si fa. — Signor Petrucchio, volete seguirci, o debbo io mandarvi qui Caterina?

Pet. Sì, mandatela: io qui l’aspetterò. (escono Batt. Gre., Tran. e Or.) Le farò la corte con tuono sentito, allorchè verrà. Se poi m’oltraggia, le dirò che il suo canto è dolce come la voce del rosignuolo. Se la sua fronte si corruga, noterò che essa è ridente e serena come la rosa del mattino rinfrescata dalla rugiada novella. Se affetta d’esser silenziosa, e persiste a non aprir bocca, celebrerò la efficacia della sua eloquenza. Se mi scaccia, la ringrazierò come se mi pregasse di restare per una settimana. Se rifiuta di sposarmi, la supplicherò di statuire il giorno in cui seguirà il nostro matrimonio. Ma eccola: animo, Petrucchio. — (entra Caterina) Buon giorno, Cattina; poichè tale è il vostro nome, da quanto mi dissero.

Cat. Non intendeste bene, signore, io mi chiamo Caterina.

Pet. Voi mentite, sull’onor mio! perchè siete chiamata Cattina, la buona Cattina, e qualche volta anche la cattiva Cattina; ma, in ogni modo, la Cattina più bella di tutta la cristianità. Udendo esaltare la vostra dolcezza, in tutte le città per cui sono passato, udendo celebrare le vostre virtù ala vostra bellezza, (e nondimeno quanto il ritratto è al disotto dell’originale!) mi son sentito sospinto a venirvi a chiedere in isposa.

Cat. Sospinto! Ottimamente detto. Ma quegli che vi ha sospinto qui, ve ne ricacci ancora. Ho ben veduto tosto che eravate uno stolido.

Pet. Cosa vuol dire stolido?

Cat. Andatelo a chiedere al diavolo.

Pet. Vi andremo insieme: sedete vicino a me.

Cat. I giumenti son fatti per portare, e voi dimenticate la vostra parte.

Pet. Le donne ancora debbono portare, e voi siete una donna.

Cat. Ma una rozza non sono come voi, signore, se voleste mai pormi in vostro confronto.

Pet. Oimè! buona Cattina, io non vi caricherò di soverchio; so bene che siete giovine e alacre.

Cat. Troppo alacre sono per poter andare in groppa ad una bestia quale siete voi.

Pet. Oh tortorella! e su qual groppa andrai dunque a posarti?

Cat. Una tortorella non sono, e le vostre frasi m’infastidiscono.

Pet. Sei dunque una vespa. Che altro potresti essere?

Cat. Se sono una vespa, temete il mio pungolo.

Pet. So un rimedio; è quello di strapparlo.

Cat. Sì, se poteste trovare il luogo dove sta.

Pet. Chi non sa dove la vespa ha il pungolo? È nella coda.

Cat. È invece nella lingua. Ma addio, sono stanca.

Pet. Fermatevi, Caterina; io sono un gentiluomo.

Cat. Vuo’ farne prova. (dandogli uno schiaffo)

Pet. Vi giuro che vi pentirete di ciò.

Cat. Se siete un gentiluomo non vi vendicherete contro una donna.

Pet. Davvero, Caterina, siete dotta in cavalleria. Vi prego di mettermi nel vostro blasone.

Cat. Quale stemma avete? Una cresta di gallo?

Pet. Un gallo senza cresta, e voi siete la mia gallina.

Cat. Voi non sarete il mio gallo: avete troppa inerzia.

Pet. Raddolcite, Caterina, quegli aspri sguardi.

Cat. Sono gli sguardi ch’io vibro sopra gli uccelli selvatici.

Pet. Ma qui non ve ne sono, onde raddolciteli.

Cat. Ve ne sono, ve ne sono.

Pet. Indicatemeli.

Cat. Se avessi uno specchio, ve li mostrerei.

Pet. Volete parlar di me?

Cat. Sì.

Pet. Per San Giorgio.....

Cat. Siete tutto aggrinzito.

Pet. Sono i dispiaceri.

Cat. Non me ne cale.

Pet. Ascoltatemi, Caterina: affè che non la passerete così.

Cat. Vi sdegnerete, se rimango di più: lasciatemi dunque partire.

Pet. No no: vi trovo anzi molto amabile. Mi aveano detto che eravate dispettosa, trista, torbida, e veggo ora che la fama mente, perocchè siete gioviale, piacevole, civile, dolce, come i fiori di primavera: voi non sapete neppure aggrottare il ciglio, nè guardar bieco, nè mordervi le labbra, come fanno le fanciulle bisbetiche: non provate alcun piacere a contraddir male a proposito, ma accogliete con dolcezza i vostri amanti, e vi intrattenete con essi in ameni propositi, con una cortesia ed una affabilità rare. Perchè il mondo dice dunque che zoppicate? Mondo calunniatore! Caterina è dritta ed agile, come un giovine pioppo;, ella ha il colore delle sue foglie, ed è più soave di una mandorla amara. Voglio vedervi camminare. Andate.

Cat. Stolto, comandate a coloro che dipendono da voi.

Pet. Non mai Diana abbellì tanto della sua presenza un boschetto, come Caterina abbellisce questa camera colla maestà del suo portamento! Ah! siate voi Diana, e Diana divenga Caterina; e allora Caterina sia casta, e Diana voluttuosa.

Cat. Dove avete imparato questo bel discorso?

Pet. L’ho improvvisato.

Cat. Avete molto spirito.

Pet. Non è vero?

Cat. Statevi caldo.

Pet. È quello che desidero, ma nel vostro letto, onde lasciando tutte queste vane ciance, vi dichiarerò che vostro padre ha dato il suo assenso, affinchè diveniate mia sposa: la vostra dote è fermata, e vogliatelo o no io vi sposerò. Oh Caterina! io sono il marito che vi si addice: e in nome di questa luce, mercè la quale io veggo la vostra bellezza, giuro che non dovete essere moglie di altri che di me: io sono l’uomo nato per voi, Caterina, per mettervi alla ragione, e domarvi, e far di voi una donna amabile e civile. — Ecco vostro padre: non mi rifiutate, perchè voglio che diventiate mia. (entrano Battista, Gremio e Traino)

Batt. Ebbene, signor Petrucchio, come vanno le vostre cose con mia figlia?

Pet. Come volete che vadano? a meraviglia, signore. Era impossibile ch’io non riescissi.

Batt. E voi, che ne dite, mia figlia? Siete in uno dei vostri impeti?

Cat. Voi mi date il nome di vostra figlia? In verità, mi porgeste una bella prova di tenerezza paterna, volendo accoppiarmi ad un uomo pazzo, ad un automa che non sa che giurare, e crede ottener molto coi suoi giuramenti.

Pet. Padre, vi dirò una cosa. Voi, e tutti quelli che hanno parlato di lei, tutti si sono ingannati sul suo conto: se ella è fiera, lo è per affettazione, perchè per natura sarebbe dolce come una colomba, placida come il mattino. Delle sue virtù sono tanto conscio, che domenica è il giorno che stabilisco per le nostre nozze.

Cat. Ti vedrò appiccato domenica, prima che ciò avvenga.

Gre. L’udite, Petrucchio? Ella dice che vi vedrà appiccare, prima che ciò avvenga.

Tran. È tale il successo che avete ottenuto? Converrà dir addio alle nostre speranze.

Pet. Siate pazienti, signori; io la scelsi per me: se noi siamo contenti, che deve a voi altri importarne? Fu un patto conchiuso fra di noi due, allorchè eravamo in colloquio, che ella si mostrerebbe sempre maligna quando v’è gente. Impossibile è il darvi ad intendere com’essa mi ami. Oh cara Caterina! Ella mi stringeva affettuosamente al collo, poi mi dava baci tenerissimi dichiarando con mille giuramenti, che si era innamorata della mia persona al primo sguardo. Voi siete novizii in queste materie. Meraviglioso è il vedere come un tapino, pauroso, timido, può con un dialogo solo domare la donna più feroce. Datemi la vostra mano, Caterina, andrò a Venezia per farvi le compere dei doni nuziali. Padre, disponetela festa, e invitate gli amici: fo fede che la mia Caterina sarà bella e ben adorna.

Batt. Non so che dire: datemi tutti e due le mani. Dio vi renda felice. Petrucchio, il matrimonio è conchiuso.

Gre. e Tran. Amen, didam noi, e saremo i testimonii.

Pet. Padre, moglie, signori, addio: io vado a Venezia. Acquisterò i gioielli necessarii: voi intanto abbracciatemi, Caterina. Addio. Pet, e Cat. escono da diverse parti)

Gre. Si vide mai un matrimonio conchiuso più rapidamente?

Batt. In verità, signori, io riempio qui la parte del mercatante, ed arrischio ogni mio bene in un’impresa disperata.

Gre. Chi più arrischia, più raccoglie. Ma parliam ora della vostra figlia minore, Battista. È venuto infine il giorno per cui abbiamo tanto sospirato: io sono vostro vicino; e fui primo ad amar Bianca.

Tran. Ed io amo Bianca più che le parole non possano esprimerlo, o le menti concepirlo.

Gre. Via, via, voi non potete amarla al pari di me.

Tran. L’amor vostro appresso al mio è di ghiaccio.

Gre. Giovine pazzo, non sapete quello che dite.

Tran. Vecchio insensato, voi smarriste la ragione.

Batt. Calmatevi, signori, io concilierò questa disputa: sono i fatti che debbono patrocinare la vostra causa, e quegli che assicurerà più ricco corredo a Bianca diverrà suo sposo. Dite prima voi, Gremio, quali beni le darete.

Gre. Anzitutto, come ben sapete, la mia casa di campagna è ottimamente fornita di vasellamenti e d’oro e d’argento, di bacini di platino, entro cui ella potrà lavare le sue belle mani. Le mie tende sono tappezzerie di Tiro: i miei denari stanno dentro scrigni d’avorio; casse di cipresso racchiudono gli splendidi miei abiti, e tappeti di Turchia cuoprono i pavimenti. Le mie stalle son piene di ardenti cavalli, e le dovizie mi sorridono da tutte le parti. Se dimani muoio, perchè son vecchio, lo confesso, tutti questi beni andranno a lei, purch’ella acconsenta a divider meco il po’ di vita che mi resta.

Tran. È quest’ultimo articolo che guasta ogni altra cosa. — Signore, (a Batt.) ascoltatemi: io sono figlio unico ed erede del padre mio, e se posso ottenere vostra figlia per isposa, le lascierò nell’opulenta Pisa case cento volte più belle di quelle che il signor Gremio possiede in Padova, e inoltre due mila ducati di rendita annua. Che dite di tal avvenire, signor Gremio?

Gre. Due mila ducati all’anno! Le mie terre non rendono tanto, ma io aggiungerò ad esse un vascello che ora voga verso Marsiglia. Che ne pensate voi? Tale aggiunta non vi toglie la voce?

Tran. Gremio, tutti sanno che mio padre ha tre vascelli e dodici galere; anche tutto questo io le darò.

Gre. Io offersi quanto aveva, e di più non saprei dare. Se vi piace prescegliermi (a Batt.) avrete ogni mio bene.

Tran. Ciò essendo, Bianca diverrà mia: mantenete quanto prometteste: io vi do più di Gremio.

Batt. Consento che la vostra offerta è maggiore, e se vostro padre vuol approvarla, ella diverrà vostra moglie; altrimenti vi pregherei a scusarmi, perocchè se moriste prima di lui, ella non avrebbe più nulla.

Tran. Queste sono parole: mio padre è vecchio, ed io son giovine.

Gre. E i giovani non possono essi morire al pari dei vecchi?

Batt. Signori, ecco la mia ultima risoluzione. Domenica, lo sapete, mia figlia Caterina deve maritarsi; ebbene, la domenica succedente Bianca pure si farà sposa con voi, se mi darete tal cauzione: se no, diverrà di Gremio. Intanto io mi accommiato, e vi ringrazio entrambi.

Gre. Addio, degno vicino. (Batt. esce) Ora non ho più timore. (a Tran.) Vostro padre sarebbe assai pazzo cedendovi tutto, per restare a discrezion vostra negli ultimi suoi anni. Ah! quel vecchio astuto non sarà così compiacente, credetelo. (esce)

Tran. La peste divori le rughe della tua pelle di volpe! Ma io giungerò a far ottener l’intento al mio signore. Non veggo perchè il falso figlio, Lucenzio, non possa ingenerarsi un falso padre, chiamato Vincenzo: la cosa sarà anzi prodigiosa: avvegnachè sono per lo più i padri che ingenerano i figliuoli, ma nel caso di questo amore, sarà un figlio che avrà ingenerato un padre. Così la mia astuzia non mi venga meno. (esce)





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