< La Rosa del Dong-Giang
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L'appuntamento L'inseguimento

LA FUGA


Era una notte magnifica, una di quelle notti limpide, profumate, incantevoli, tutte proprie dei climi tropicali.

Nelle immense profondità del cielo, fra miriadi di stelle d'uno splendore vivissimo, vagava nell'azzurro trasparente l'astro notturno illuminando come in pieno giorno la fiumana, che calava dai lontani monti del settentrione a guisa d'un immenso nastro d'argento, e facendo scintillare vagamente le tegole azzurre dei templi e i dorati comignoletti delle svelte torri e dei campanili dai tetti arcuati.

Un dolce venticello, impregnato di penetranti aromi, spirava ad intervalli passando con lieve mormorìo fra le immense piantagioni e sussurrando fra le foglie dei calambuc e degli immensi tek. Un silenzio, una quiete solenne regnava in tutta la pittoresca vallata, solo interrotta dal tremolo delle tre corde del tro siamese, che un battelliere suonava sulla riva del fiume, o dai ruggiti acuti delle belve affamate, vaganti sotto le cupe ombre delle lontane foreste.

Tay-See, ebbra, rapita, si arrestò dinanzi alla finestra cogli occhi fissi sopra due uomini che si avanzavano attraverso le piantagioni di sesame nero, l'uno vestito da cocincinese e l'altro da ufficiale europeo.

Un grido le uscì dalle labbra:

— Josè!... Josè!...

Sentì le forze venirle meno, sentì che la gioia la uccideva, ma reagendo contro quella improvvisa debolezza, s'aggrappò con sovrumana energia al davanzale della finestra.

In pochi istanti quei due uomini giunsero presso l'abitazione. Thay-Mit, l'amante di Kia, si arrestò sotto un fitto cespuglio colla scimitarra snudata, e lo spagnolo, pazzo di gioia, con un salto slanciossi verso la finestra.

Due braccia lo cinsero e lo attirarono nell'interno della stanza vagamente illuminata da un raggio di luna, d'una infinita dolcezza.

— Tay-See! Tay-See! — esclamò egli, stringendosi amorosamente al petto la giovane cocincinese.

— Ah! Mio sospirato Josè! — rispose con voce soffocata la Rosa del Dong-Giang.

Non seppe dire di più e s'abbandonò fra le braccia dello spagnolo.

Egli accostò le sue labbra a quelle di lei e le baciò, mentre calde lagrime cadevano sulle brune gote di lui.

La trascinò verso la finestra e rimase lì muto, ansante, colla febbre nel sangue, avvolgendo con uno sguardo innamorato il corpicino esile dell'amata donna.

— Ma sogno io? — si chiese egli fuori di sé, stringendosela al petto con tale forza da toglierle il respiro. — È proprio la mia Tay-See questa? Donna divina, lascia che io ti guardi, lascia che io ti ammiri. Dio onnipotente!... Ti ringrazio di avermi concesso di rivederla!

— Josè, Josè — mormorò ella singhiozzando. — Sento che la gioia mi uccide...

Josè non finiva di ricoprirla di baci.

— Ti rivedo alfine — riprese egli con ineffabile accento di tenerezza. — Se tu sapessi, o mia adorata, quante volte ti invocai! Se tu sapessi, o Tay-See, quanto ho sofferto in questi due lunghi anni di separazione! Ho subito tale martirio che mi sembra un sogno di essere ancora vivo. Lascia che io miri ancora i tuoi occhi che sempre mi seguirono ne' miei deliri. Lascia che io baci ancora queste tue labbra, lascia che ti dica ancora una volta che ti amo e che vorrei morire per te, pur di vederti felice.

Tay-See singhiozzava sul petto di lui e si lasciava baciare.

— Josè, mio amato Josè, quanto sei buono — diss'ella cingendogli la testa colle piccole mani. — Ti sei ricordato, dunque, della tua Tay-See che moriva per te; ti sei ricordato della tua povera Rosa trapiantata sulle rive del Dong-Giang.
Ho sofferto anch'io tanto, che mi chiedo ancora se sia viva o se sia un'ombra.
Oh! Come furono terribili quei due lunghi anni! Quanti strazi, quante lagrime, quante tempeste devastarono il mio povero cuore; quante angosce, quante speranze, quante illusioni! Ogni dì ti aspettavo, ogni dì ti chiamavo e il sole nasceva sempre e tramontava sempre senza che tu fossi venuto. Guarda come mi ridusse la passione! Non ho più forze, non ho più sangue, non ho più vita...
Sento di essere agli estremi. Perché, crudele, aspettare tanto? Perché non venire prima a salvarmi? Perché, Josè, perché?...

Due grosse lagrime caddero dagli occhi dello spagnolo che non si saziava di baciarla e ribaciarla.

— Perché il vascello lasciò la terra sulla quale viveva la sventurata Rosa del Dong-Giang?

— Ho tutto tentato, Tay-See, per non allontanarmi ma tutto fu vano. Oh! Quante volte maledii la mia spada!.. Quante volte tentai riguadagnare le rive della Cocincina!

— E dove ti portarono?

— Assai lontano, a Cuba.

— E hai sofferto tanto?...

— Tanto, tanto, tanto, Tay-See. Non sognavo che te, non pensavo che a te, non aveva sulle labbra che il nome tuo. Giorno e notte io ti vedevo folleggiar dinanzi a' miei occhi e giorno e notte mi struggevo di rabbia, di disperazione pensando che io non potevo salvarti. Ad ogni metro che mi allontanava dalla terra da te abitata, sentivo riaprirsi la piaga del cuore. Quante volte, Tay-See, seduto sulla poppa del vascello, spingevo lo sguardo verso l'oriente e abbondanti lagrime cadevano nei flutti che bagnavano pur le coste della patria tua. Quante volte io t'invocai e quante volte, disperato, meditai il suicidio.

— Povero Josè!

— Ma sono ritornato e per non lasciarti più mai, mi capisci, Tay-See, più mai. Vengano pure i tuoi compatrioti, venga pure quell'odiato Tay-Shung...

— Taci, taci — diss'ella, posando le sue dita sulle labbra dello spagnolo che le baciò avidamente.

— Tacere!... — esclamò egli con rabbia estrema. — Perché debbo tacere? Non fu il maledetto Tay-Shung la causa di tutti i nostri dolori? Quando penso a lui, sento il cuore accendersi d'odio e nel sangue la febbre della vendetta.

— Non parlare così, Josè — mormorò dolcemente Tay-See.

— Io l'odio — continuò lo spagnolo, tendendo i pugni. — Sì, l'odio, perché fu lui che pose un abisso fra due esseri che si amavano; fu lui che ti trascinò sulle rive del Dong-Giang e che ti spinse sull'orlo della tomba; fu lui che mi mise di fronte alla morte; fu lui che straziò il cuore ad entrambi. Ho sete del suo sangue, e sento che lo berrei tutto fino all'ultima stilla.

— Mi amava, Josè — diss'ella sospirando. — L'amore lo acciecò.

— Io vorrei calpestarlo sotto i miei piedi il suo amore, e disperderlo in modo che non ne rimanesse nemmeno il più lontano ricordo.

— Povero Tay-Shung!

— Oh non dire così, Tay-See, dimmi che tu lo disprezzi.

— No, non lo posso, Josè, io lo compiango.

— Ma quel maledetto non ti riavrà più mai! — esclamò lo spagnolo, con furore. — E che si provi...

S'interruppe e rabbrividì mentre Tay-See incrociava le braccia attorno al collo dell'amante e lo contemplava con occhio triste.

— Josè!... Josè!... — mormorò.

— Sarai mia? — le chiese egli. — Verrai con me?...

— Non tentarmi, Josè. Sono legata a lui per sempre.

— Spezza questo legame.

— Sono sua moglie.

— No! Perché ti ha comperata e fatta sua colla violenza.

— Ma se io fuggissi commetterei un delitto.

— Non è un delitto, Tay-See. Noi siamo stati creati per vivere e amarci: quell'uomo si pose fra me e te scavando un abisso. Ebbene varchiamolo, vieni con me, affidami il tuo destino, lascia questi luoghi. Io ti porterò lontana, nella mia patria, in grembo alla felicità. Io sarò tuo e tu sarai mia per sempre. Infrangi quel legame, Rosa del Dong-Giang, e fuggi con me.

— Non lo posso... non lo devo, Josè...

— Perché?... Forse che tu lo ami quell'uomo?

— No... ma non posso odiarlo... non devo diventare adultera.

— Fuggiamo, Tay-See!... I minuti sono preziosi!... Vieni... vieni se tu m'ami.

— Ebbene... sono tua... e... sventurati! — esclamò tremante e atterrita. — Parliamo di felicità e la morte sta fra noi!

— La morte!... — mormorò lo spagnolo cacciandosi le unghie nel petto.

— Lo vedi, Josè, il destino per noi è inesorabile.

Josè soffocò un grido di rabbia.

— Esecrato destino! — esclamò. — Quando finirai di perseguitarmi? Dio, Dio, non permettere che la morte tronchi l'esistenza di due esseri che tanto si amano e che tanto hanno sofferto!

Tay-See sollevò il capo e guardò piangendo l'amante.

— Josè, — disse con voce rotta, — io non voglio che tu muoia, voglio che tu ritorni libero. Tay-Shung stanotte sarà qui ed io gli svelerò ogni cosa. Egli è terribile, ma è anche generoso, mi ama assai e nulla mi rifiuterà; tu domani potrai essere libero e ritornare fra i tuoi compatrioti; io morrò presto... sì, lo sento... ma morrò felice d'averti salvato.

I singhiozzi le spensero la voce. Lo spagnolo la sollevò fra le braccia, la baciò in viso, poi disse:

— Giammai, o mia Tay-See. Lasciarti qui per salvar me? Mai, mai!...

La condusse verso la finestra e mostrandole l'orizzonte che si copriva rapidamente di fosche nubi:

— Tay-See, — disse, — la notte si avanza a gran passi. Laggiù la via è libera e più oltre stanno accampati i miei compatrioti. Finché Tay-Shung è lontano io sono libero; chi c'impedisce, col favor delle tenebre, di fuggire? Io sono pronto a versare tutto il mio sangue per te, pronto a tutto, anche a uccidere quel mio rivale.
Guarda: qui c'è l'infelicità, qui ci sono gli strazi, qui c'è la morte; là la libertà, l'amore, la felicità, la vita: scegli.

— Josè, abbi pietà di me! Non tentarmi, non spingermi a tradire quell'uomo che mi ha fatta sua... ho dei sinistri presentimenti, sento che una disgrazia ci sta vicina!

— Se vi saranno ostacoli noi li supereremo; se vi saranno pericoli li vinceremo. Di che hai paura, Tay-See? Non sono io con te?

— E Tay-Shung? Hai dimenticato Tay-Shung?

Lo spagnolo si sentì montare il sangue alla testa.

— Non parlarmi di lui, Tay-See. Del resto egli è lontano.

— Ma può raggiungerci e Tay-Shung è terribile. Ah! Josè, quale triste presentimento mi si affaccia alla mente!

— La febbre ti fa vedere dappertutto pericoli. Odimi: stamane ho veduto al nord un grand'arco nero, segno infallibile d'un prossimo uragano. Non odi tu il vento soffiare fra le montagne? Non odi il tuono rumoreggiare sull'orizzonte? Non vedi tu la luna coprirsi sotto nere masse di vapori?

— Sì, odo e vedo tutto.

— Quando l'uragano scoppierà noi fuggiremo. Thay-Mit mi aspetta qui vicino e sarà facile a lui procurarci un cavallo. Di' a Tay-Shung che c'insegua se ha coraggio! Di' a quell'uomo che osi sbarrarci la via, se ne è capace! La palla del mio fucile lo fredderà. Di che hai paura, o mia bella Rosa del Dong-Giang? Tra due giorni, fra noi e la Cocincina, avremo posto un abisso insormontabile: l'oceano.

— E tu vuoi portarmi teco?

— Sì, voglio portarti con me nella mia patria.

— Nella tua patria!... Ma non sai, Josè, che io sono una cocincinese, una donna di colore, una nemica della tua razza!.. La sola idea, che un dì tu avessi dei dispiaceri per cagion mia, mi spaventa. No, Josè, no, parti solo. Va', giacché la via è libera, sii felice... e qualche volta pensa alla tua sventurata Tay-See.

— Dio!... Dio!... — esclamò lo spagnolo delirante. — Tu sei divina!

La fece sedere sul letticciolo, accese la lanterna di talco e si slanciò verso la finestra.

La luna era scomparsa sotto un fitto velo di vapori e l'oscurità era profondissima.

Di tratto in tratto verso il nord guizzava un gran lampo livido, tremulo, e una folata di vento scendeva, facendo schicchiolar i rami degli alberi e cigolar lugubremente le innumerevoli banderuole della cittadella.

Si curvò sul davanzale, guardò attentamente a dritta e a manca, accostò le mani alla bocca e imitò il grido del pavone.

— Che fai?... — domandò Tay-See, atterrita.

— Chiamo Thay-Mit.

— Perché?

— Tay-See, tu non devi restar qui. Tu fuggirai con me, dovessi strapparti a viva forza da questa casa.

— Josè... ma tutti mi malediranno per essere fuggita con un nemico della patria mia.

— Verrai tu, Tay-See?

— Ebbene... sì, sono tua, infrango tutto... Prendimi, sono tua, eccomi! Non ho più patria!...

— Ripetilo! Ripetilo!

La cocincinese si avvinghiò al collo dello spagnolo e accostò le labbra al volto di lui.

— Sì, tua!

— Basta così — gridò Josè. — Guai ora a chi ti tocca!... Guai a lui!

I due amanti rimasero alcuni istanti stretti in un tenero amplesso. Il tuono che rumoreggiava e un buffo di vento che quasi spense la lanterna, richiamarono in sé lo spagnolo. Si sciolse dalle braccia dell'amante e volgendosi verso la finestra, a cavalcioni della quale tenevasi Thay-Mit:

— Amico mio, — disse lo spagnolo con febbrile agitazione, — sei devoto alla Rosa del Dong-Giang?

— Kia è la schiava di Tay-See e Thay-Mit è lo schiavo di Kia. Parla, che debbo fare?

— Thay-Mit, questa notte io devo fuggire.

— E Wang, il carceriere, che dirà? — domandò il cocincinese, spaventato. — Egli m'incolperà di averlo ubriacato perché ti lasciasse libero.

— La Rosa del Dong-Giang lo vuole e tu devi ubbidire! Se io rimango, Tay-Shung mi ucciderà e oggi non posso morire perché appartengo anima e corpo a questa donna.

— E la Rosa del Dong-Giang?...

— Verrà con me. Tay-Shung non la vedrà più mai.

— Ma Tay-Shung scatenerà la sua collera contro di me.

— La via del sud è libera e là si trovano i miei compatrioti. Io fuggo con Tay-See, tu con Kia e le faremo felici. Ti do l'appuntamento al campo spagnolo.

— Sì, sì, fuggirò anch'io — diss'egli. — Comandate. Che devo fare?

— Mi occorre un buon cavallo, che corra come il vento. Fra pochi minuti bisogna che io sia molto lontano di qui.

— E la tempesta? Badate che sarà tremenda poiché da tre giorni un arco nero solca l'orizzonte.

— In questa notte sfiderei anche l'ira di Dio! Va', io lo voglio e Tay-See pure lo vuole.

— Sia fatta la volontà della Rosa del Dong-Giang — diss'egli, scavalcando il davanzale.

Pochi minuti dopo egli era di ritorno conducendo a mano un focoso destriero il quale nitriva e s'impennava ad ogni rumoreggiar di tuono, fiutando colle nari dilatate i soffi impetuosi della tramontana.

— Tay-See, — disse con voce commossa lo spagnolo, sollevando la giovinetta fra le braccia, — da' un ultimo addio a questa casa e a questi luoghi che mai più rivedrai. Coraggio, amica mia: la felicità ti aspetta.

Lo spagnolo la trasse verso la porta, e nel medesimo istante la lanterna si spense sotto un potente soffio e l'upupa del tetto mandò tre volte il suo lugubre strido. Tay-See trasalì mormorando:

— Ci toccherà una sventura...

Lo spagnolo non rispose. Staccò dalla parete un fucile e due pistole poi uscì sostenendo l'amante che non si reggeva più. Thay-Mit frenava a gran pena il cavallo il quale continuava ad impennarsi ad ogni guizzar di lampo.

— Montate, presto, — disse il cocincinese, — che la tempesta sta per scatenarsi.

Josè balzò in arcione, strinse le ginocchia, raccolse le briglie, poi afferrò Tay-See serrandosela contro il petto.

— Coraggio! — le disse.

— Son tua, in vita e in morte — rispose ella aggrappandosi al collo di lui.

— Addio povera Rosa del Dong-Giang — disse Thay-Mit. — Ti raggiungerò al campo.

Josè fece un cenno. Thay-Mit lasciò le briglie, e l'ardente corsiero, portando in sella l'amorosa coppia, partì rapido come il vento, scomparendo fra le tenebre.


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