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II
Il Re dei Granchi
L’uomo da cui tutti si ritraevano, senza prendersi la briga di nascondere il loro disgusto, era un individuo di statura alta e assai tarchiata, con spalle larghe, braccia corte e muscolose ed il ventre assai prominente.
Dimostrava una cinquantina d’anni ed era ben poco attraente con quella testa grossa, coperta da un ampio cappello di paglia a forma di fungo, con quella pelle nera, gli occhi grossi, lucenti come se fossero di porcellana, il naso schiacciato e quelle grosse labbra sporgenti, rosse come corallo, senza un pelo sul viso.
Invece d’indossare giacca e calzoni, come gli altri spettatori, il negro, poichè tale doveva essere, aveva una lunga tunica di seta rossa a fiori gialli e azzurri, con un drago ricamato in argenta in mezzo al petto, una fascia altissima pure di seta, sostenente una borsa dalla quale usciva il manico d’un ventaglio e calzava zoccoletti a punta rialzata, con suole di feltro molto spesse. Appariva insomma un robusto africano nella pelle d’un cinese. Come mai quel negro, invece di avere in testa la tuba, la camicia inamidata e magari guanti alle mani come i suoi compatriotti arricchiti, indossava quel costume da celestiale? Era quella la prima domanda che si erano rivolta gli spettatori.
E come mai quell’essere disprezzato, per quanto potesse essere ricco, osava aspirare alla mano della vezzosa fanciulla? Allo stupore, che prima aveva colto i giovani californiani, era successo un urlo d’indignazione, seguito da violentissime apostrofi.
— Fuori di qui!...
— Vattene in Africa!...
— Non sei degno d’avere una fanciulla bianca!...
— Gettatelo in mare!...
— Fuori l’uomo nero!...
Il negro, che era rimasto solo in mezzo alla sala, essendosi tutti i suoi vicini ritirati precipitosamente, non si era nemmeno degnato di protestare contro quelle frasi ingiuriose, che gli cadevano addosso come una fitta gragnuola.
Solidamente piantato sulle grosse gambe, il massiccio corpo eretto, la testa alta, guardava miss Annie cogli occhi ardenti, aspettando pazientemente che la bufera si calmasse.
Le grida e le invettive invece aumentavano. Ad un certo momento anzi, un giovinotto gli si scagliò contro cercando di percuoterlo sul viso, quando l’africano, pronto come un lampo, gli afferrò la mano, stringendogliela con tale forza da strappargli un urlo di dolore; poi, quasi senza sforzo, lo mandò a ruzzolare quindici passi lontano.
Gli americani, grandi ammiratori dei robusti muscoli e delle persone che sanno imporsi, zittirono come per incanto e per poco non proruppero in urrah all’indirizzo del vigoroso discendente di Cam.
— Che polso!... — aveva esclamato uno. — Ecco un uomo che non si lascerà prendere nè pel naso, nè pei capelli.
— Lasciamolo parlare!... — gridarono altri. — È nel suo diritto!... Silenzio!... L’asta è aperta per tutti!...
Il negro, appena il baccano cessò, levò la destra, le cui dita erano coperte di grossi anelli d’oro con pietre che parevano preziose, e ripetè con voce ferma:
— Offro sessantamila dollari!...
Il giovane che si teneva sempre ritto sulla sedia, gettò uno sguardo feroce sul suo competitore, poi disse:
— Settantamila!...
— Ottantamila, — ribattè il negro con voce tonante.
Vi fu un momento di silenzio. Tutti guardavano con ansietà i due uomini, chiedendosi a quale sarebbe toccata la bellissima fanciulla.
Miss Annie pareva che facesse degli sforzi violenti per mantenersi calma. Si asciugava di frequente la fronte col suo fazzolettino ricamato ed impallidiva a vista d’occhio. Anche il californiano sembrava che soffrisse atrocemente. Si era nuovamente appoggiato al muro e dalla sua fronte cadevano abbondanti stille di sudore.
Il negro invece conservava una impassibilità assoluta, come se fosse certo del trionfo.
— Ottantacinquemila, — disse finalmente il giovane.
— Novantamila, — ribattè il negro.
— Centomila!...
Mezzo milione di lire oro!... Erano dunque follemente innamorati di quella fanciulla i due uomini, per disputarsela con tanto accanimento e profondere somme così enormi?
Gli spettatori, raccolti, silenziosi, aspettavano con ansietà la fine di quello strano duello, facendo voti pel californiano.
Disgraziatamente pareva che quel bel giovane avesse esaurite tutte le sue risorse in quell’ultimo colpo, a giudicare dal pallore del suo viso e dalla profonda angoscia che trapelava dai suoi sguardi smarriti e dal suo accasciamento.
Il negro non aveva subito risposto. Pareva che fosse immerso in un calcolo difficile. Dalla sua calma però si comprendeva che stava preparandosi per una botta decisiva che doveva dargli nelle mani la Sovrana del Campo d’Oro.
Già stava per aprire la bocca, quando sul palco echeggiò un debole grido e si vide il notaio balzare verso Annie e prenderla fra le braccia.
La folla si era precipitata innanzi, travolgendo il negro, gridando e schiamazzando.
— Un dottore!... — disse il notaio.
Mentre due o tre uomini si facevano largo fra gli spettatori, due servi avevano presa delicatamente la fanciulla portandola via.
— Signori, — disse il notaio. — L’emozione ha causato uno svenimento a miss Annie. Sospendo per oggi l’asta, che verrà ripresa domani, alla medesima ora, tenendo ferma la somma a centomila dollari.
La folla, forse non troppo soddisfatta di quell’inaspettato malore, che la privava dell’emozionante lotta sul più bello, sgombrò lentamente. Ultimi a uscire erano stati il giovane bruno ed il vincitore della lotteria.
Il primo pareva preoccupatissimo e si era allontanato quasi a malincuore, col capo basso, percuotendo nervosamente i muri delle case colla punta del bastoncino.
L’altro lo seguiva, guardandolo con curiosità. Due o tre volte aveva affrettato il passo come se avesse voluto raggiungerlo o fermarlo, poi era rimasto sempre indietro, come se non si sentisse il coraggio d’avvicinare quel signore elegante.
Ad un tratto parve decidersi. Aprì le sue magre e lunghissime gambe ed in quattro passi gli fu dietro.
— Signore, — gli disse. — Mi permettereste una parola?
Il giovane bruno si era voltato vivamente, squadrando il biondo.
— Ah! — esclamò ad un tratto. — Il vincitore della lotteria.
— Sì, signore, io sono Harry Blunt. Non faccio in questo momento una troppo bella figura accanto a voi, colle mie vesti rattoppate, tuttavia potrei esservi forse utile.
— Parlate, master Harry, — rispose il bruno. — Non è sempre la veste che fa il monaco e sarei ben lieto se potessi anch’io fare qualche cosa per voi. Vi debbo già della riconoscenza per aver rifiutata miss Annie.
— Ah!... L’amate dunque assai? — chiese lo scrivano, sorridendo.
— Sì, alla follìa e mi pare d’impazzire pensando che forse, non ostante il prezzo che ho messo per vincere, me la porterà via quel cane d’un negro. Lei, moglie di quel brutto africano!... No... preferisco ucciderlo e poi farmi saltare le cervella.
— È meglio vivere, signore, e farla all’africano.
— Egli deve essere più ricco di me. Ho gettata tutta la mia fortuna sull’asta e non mi rimane che qualche migliaio di dollari, che non conteranno di certo per una nuova offerta.
— Me l’ero immaginato, signore, ed è perciò che ho osato fermarvi.
Il giovane elegante lo guardò con sorpresa.
— Voi siete californiano al pari di me, è vero? — chiese lo scrivano.
— È vero, quantunque nato presso le frontiere messicane e benchè mia madre fosse una spagnuola di Vera-Cruz.
— Credete che quel furfante di negro tenga ad altri ventimila dollari? Miss Annie è senza dubbio bellissima e la si può pagare cara; ma anche centoventimila dollari sono una bella somma, in fede mia. Una vera fortuna.
— E dove trovarli questi ventimila dollari? Sono solo al mondo, non ho nè parenti, nè amici, essendo qui da sole cinque settimane. Ho dinanzi uno splendido avvenire essendo ingegnere delle miniere del Colorado, tuttavia non potrei trovare nessun prestito.
— Ed io forse non conto? — chiese Harry Blunt. — Non vi ho già fermato per scambiare due chiacchiere.
— Come, voi?... — chiese il giovane bruno, con accento commosso.
— Vi offro i ventimila dollari che ritirerò questa sera dal notaio John Davis, onde possiate prolungare la lotta e strappare al negro miss Annie Clayfert, — disse lo scrivano. — Le accettate, ingegnere? Me le restituirete quando potrete.
— Voi avete un cuore d’oro, Blunt, ma io non posso togliervi una tale somma che vi è troppo necessaria.
— Sì, per rimettermi in gambe e comperarmi un vestito più decente, — rispose lo scrivano, ridendo. — Con cento dollari ne avrò d’avanzo, mio caro signore. Non rifiutate la mia offerta, ve ne prego. Anch’io, come voi, non mi consolerei giammai se quella adorabile fanciulla dovesse cadere nelle mani del lurido negro.
L’ingegnere si era fermato, guardando il giovane biondo. Era più commosso di quello che sembrava e si sentiva indosso un vero desiderio di abbracciare quel povero diavolo così generoso.
— Ditemi che non rifiutate la mia offerta, — ripetè Harry. — Miss Annie è fatta per voi e non pel negro. Orsù, è affare concluso, vero?
L’ingegnere stava per dargli la mano come per sigillare il contratto, quando si sentì battere leggermente sulle spalle, mentre una voce, che lo fece sussultare come se avesse ricevuto una scarica elettrica, diceva in pessimo inglese:
— Si può trattare con voi, signore?
Il giovane si era voltato rapidamente stringendo i pugni.
Il negro che osava disputargli la Sovrana del Campo d’Oro gli stava dinanzi.
— Che cosa volete, voi? — chiese il giovane, inarcando le ciglia e guardandolo biecamente.
— Dirvi una parola sola, signor Guglielmo Harris, — rispose il negro con voce pacata.
— Come sapete il mio nome? — chiese l’ingegnere, facendo un gesto di sorpresa.
— Simone Kot può sapere questo ed altre cose ancora. È perchè sono un negro?
— Che cosa volete infine da me?
— Darvi un consiglio.
— Quale?
— Di lasciarmi il campo libero.
— Ossia?
— Di non disputarmi la Sovrana del Campo d’Oro — rispose il negro.
— Lasciarla a voi!... — esclamò l’ingegnere, facendo un gesto minaccioso.
— La perdereste egualmente, perchè non potreste competere coi miei dollari. Io so a quanto ammonta la vostra ricchezza.
— Ma chi siete voi?
— Eh!... Un tempo non ero che un facchino del porto e mi chiamavano semplicemente Simone. Oggi sono il Re dei Granchi. Un re ed una sovrana!... Ecco una coppia bene assortita, non vi pare?
L’ingegnere aveva alzato un pugno e stava per scagliarsi contro il negro, quando lo scrivano con una mossa improvvisa si gettò fra i due rivali, dicendo:
— Non fate accorrere i policemen; guastereste le vostre faccende. Guardate, già la gente si ferma e vi osserva.
— Avete ragione, signor Harry, — disse Guglielmo Harris, facendo appello al suo sangue freddo.
— Volete seguirmi nella mia scialuppa a vapore? — chiese il negro, che non aveva perduto un atomo della sua calma. — Là potremo parlare a nostro agio e discutere senza che altri ascoltino le nostre parole.
Signor Harris, avete mai visitato i villaggi del Rio Granchio? Sono interessanti e poi, quando saremo colà, vi mostrerò una cosa che modificherà forse le vostre idee. In un’ora e mezza ci saremo e la spiaggia non è che a cento passi.
— Io venire con voi! — esclamò l’ingegnere.
— E perchè no, signor Harris? — disse Harry. — Sono appena le sei e la notte rimarrà a nostra disposizione per completare i nostri progetti. Questa gita vi farà bene, quantunque vi possa sembrare inopportuna in questo momento.
L’ingegnere, messo anche un po’ in curiosità dalle parole del negro, e prevedendo che miss Annie sarebbe stata in giuoco, dopo una breve esitazione, rispose:
— Sia pure ma vi avverto che sono armato e che la mia rivoltella contiene sei palle.
— Ed anch’io, — aggiunse lo scrivano.
— Quindi, — rispose l’ingegnere, — se avete l’idea di trarmi in qualche agguato, siete avvertito che non vi risparmierò.
— Il Re dei Granchi non sarà così sciocco da compromettersi, — rispose il negro, mostrando i suoi denti più bianchi dell’avorio e così acuti da sfidare quelli d’una lupa. — Favorite seguirmi.
Quel singolare individuo, negro di razza, cinese per costume, si diresse verso il quai, non senza destare una viva curiosità fra le persone che incontrava e si fermò dinanzi ad una piccola scialuppa a vapore, di forme eleganti montata da quattro negri di forme massicce, vestiti da marinai americani.
— Salite, signori, — disse il Re dei Granchi. — Vi è posto per sei persone, quindi starete comodi.
L’ingegnere e lo scrivano entrarono nella scialuppa e si sedettero sul banco di prora che era imbottito di velluto rosso, mentre il negro si collocava a poppa, alla barra del timone.
La leggera imbarcazione si staccò dalla gettata e filò rapidissima in mezzo alla moltitudine di navi che ingombravano la baia: velieri, piroscafi ed incrociatori della squadra del Pacifico.
Nessuno aveva più parlato. L’ingegnere d’altronde pareva assai pensieroso e gettava solo, di quando in quando, sguardi biechi verso il negro, che fumava tranquillamente un grosso virginia. Anche lo scrivano pareva preoccupato e taceva, guardando distrattamente le navi che la scialuppa rasentava.
Avevano già percorso un paio di miglia e cominciavano a solcare le acque libere, quando lo scrivano disse:
— A che cosa pensate, signor Harris?
— All’imprudenza che abbiamo commesso seguendo questo negro, — rispose l’ingegnere. — Avremmo fatto meglio a recarci da miss Annie.
— Ditemi, signor Harris, la conoscevate anche prima che si presentasse all’asta?
— È un mese che la seguo.
— Sa chi siete voi?
— Le sono stato presentato in un ricevimento dato dall’ingegnere delle tramvie californiane.
— Allora siete certo che non rifiuterà di ricevervi?
— Lo spero. Durante l’asta non mi ha staccato gli occhi di dosso.
— Dunque non le spiacete?
— Mi sembra, purchè non sia una mia illusione, — rispose il giovane con un sospiro.
— Ebbene, signor Harris, dopo andremo a Cartown. Le fanciulle americane non temono di ricevere anche dopo le otto o le nove di sera e per quell’ora noi saremo di nuovo a S. Francisco.
Sarei curioso di sapere che cosa desidera farvi vedere questo negro. Il Re dei Granchi!... La tribù dei Granchi è formata di cinesi pescatori. Come mai quest’uomo ne è diventato il capo?
— Anche a me la cosa sembra straordinaria, — disse l’ingegnere. — I cinesi non si uniscono mai agli stranieri.
— Ah!... — esclamò ad un tratto lo scrivano. — Mi ricordo di un matrimonio che ha fatto molto chiasso fra i cinesi della colonia. Deve essere stato questo negro a sposare la Regina dei Granchi...
— Che cosa volete dire, Harry? — chiese l’ingegnere.
— Mi ricordo che due anni or sono, nel villaggio N. 3, che era il più importante della colonia dei pescatori cinesi, regnava una donna invece d’un uomo. Essa era chiamata appunto la Regina dei Granchi, vedova d’un capo e si diceva fosse molto ricca.
Se la memoria non m’inganna, correvano voci che avesse non meno di cinquantamila sterline depositate presso le banche.
— Un milione e mezzo di lire!... — esclamò l’ingegnere impallidendo.
— So che i capi di quei villaggi percepiscono sul ricavato della pesca dei granchi il cento e tredici centesimi e venti terzi.
— Delle frazioni curiose.
— Che assicurano loro dei guadagni straordinari, signor Harris. Dunque vi dicevo che quella regina vedova si era unita ad un uomo appartenente ad un’altra razza e che quel fatto aveva prodotto molto scalpore fra i celestiali della colonia. Ora io penso che quell’uomo possa essere questo dannato negro.
— Allora la Regina è morta?
— Lo suppongo, — disse lo scrivano.
— Dunque questo negro...
— Se è lui che l’ha sposata...
— Continuate, signor Harry.
— Avrà ereditate le ricchezze della Regina, e allora, signor Harris, ci darà dei grattacapi e non so come faremo a vincerlo nella lotta.
L’ingegnere aveva sussultato e si era portato nervosamente il fazzoletto alle labbra, ritirandolo insanguinato.
— Vi comprendo, — disse con voce cupa, mentre faceva un gesto disperato.
— Non scoraggiatevi signore, — disse ad un tratto lo scrivano. — Da qualche minuto mi frulla pel capo un’idea... Ah!... Se potessi farla a quel maledetto negro!... Ventre di foca!... E perchè no?
— Quale idea avete? — chiese Harris con ansietà.
— Non è questo il luogo di spiegarsi, — rispose lo scrivano sottovoce. — Vi sono troppi orecchi qui. A più tardi.
La scialuppa che s’avanzava con una velocità di undici nodi all’ora, era giunta in quel momento all’imboccatura della rada di San Pablo nel punto dove il Print San Pedro ne taglia le acque, a circa cinque chilometri da San Rafael, e cominciava a rallentare.
I villaggi cinesi non erano lontani, ma non si potevano ancora scorgere, trovandosi nascosti tra le brulle colline che strapiombano lungo la costa.
Solo all’estremità della baia pareva che sonnecchiasse una di quelle navi barocche chiamate giunche, dalle forme pesanti, che dai lontani tempi di Confucio non si sono modificate, con le fiancate spesse dieci pollici e col fasciame massiccio, tenuto insieme da cunei di legno, i cinesi non adoperando chiodi nelle loro costruzioni.
Certo quella nave aspettava qualche carico di granchi destinato probabilmente alla colonia cinese di S. Francisco.
Il Re dei Granchi si era alzato, dicendo ai due giovani:
— Fra dieci minuti saremo al mio villaggio. Non avrete da arrampicarvi molto, essendo il primo.
Guidò la scialuppa in modo da evitare la giunca e la spinse verso la costa sabbiosa, facendola arenare dolcemente.