< La Sovrana del Campo d'Oro
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V - I tenebrosi progetti del Re dei Granchi
IV VI

CAPITOLO V


I tenebrosi progetti del Re dei Granchi


L’asta era finita da un paio d’ore, quando mastro Simone, assai più robusto e resistente dei due cinesi e dei facchini negri, si svegliò, ancora intontito dai troppi bicchieri vuotati, ma soprattutto dall’oppio che aveva fumato in quel sigaro traditore.

Ci vollero parecchi minuti ed un bicchiere di acqua gelata, recatogli dal garzone del bar, prima che il suo cervello incominciasse a funzionare.

Una spaventevole bestemmia, che fece scappare il garzone, gli uscì dalle labbra quando vide i suoi sudditi ed i due amici negri rovesciati sulla spalliera delle sedie e ancora addormentati.

— Ci hanno ubriacati con qualche droga infernale!... — esclamò, digrignando i denti come una tigre. — Sia dannato quel cialtrone di Fo, il dio gambero e tutti i santi del calendario cinese!... Garzone!...

Il giovanotto che lo spiava, stando nascosto dietro il banco, fu lesto ad accorrere col miglior sorriso sulle labbra.

— Un’altra bottiglia signore? — chiese, con tono un po’ ironico.

— Che ti colga il cancro!... — urlò il negro furioso. — Che cos’hai messo nel gin che ci hai servito?

— Nel gin?... Nel brandy, nel whisky, volete dire, signore.

— Fa lo stesso.

— Io non ho messo nulla. Erano liquori finissimi.

— Eppure è impossibile che io mi sia ubriacato, io che vuoto cinque bottiglie al giorno e da solo. Dov’è quel giovane bianco che beveva con noi?

— È uscito dopo aver pagato il conto.

— Non l’avevi mai veduto prima?

— Mai.

— Quel miserabile deve aver mescolato qualche narcotico nei liquori... Per la morte di tutti i granchi dell’oceano!... È quel sigaro che m’ha addormentato!... Triplice imbecille che sono stato!... Che ore sono?

— Sono le sei, signore.

Un urlo di furore uscì dalla gola dell’erculeo figlio dell’Africa ardente, un urlo beluino.

— L’asta!... l’asta!... È chiusa!... M’hanno turlupinato!... Parla stupido!... Parla, o ti strangolo!...

— Badate, — disse il garzone facendo un salto indietro. — Vi è una sezione di polizia qui vicino.

— Ti domando se l’asta è ancora aperta!...

— Ah!... Quella del Club Femminile? No, è stata chiusa due ore fa.

— E miss Annie?...

— Toccata ad un ingegnere, — rispose il garzone. — Mi hanno detto che è lo stesso che ieri aveva offerto centomila dollari.

— Per tutbi i leoni e i leopardi dell’Africa!... — urlò il negro. — Mi hano giuocato come un bambino!... Mi occorre la loro pelle!... Portami dell’ammoniaca, del fuoco, un tizzone, della pietra infernale, qualche cosa insomma perchè svegli questi stupidi che continuano a russare.

— Fate inghiottire loro un bicchiere di ginepro. Il rimedio sarà migliore dell’ammoniaca.

— Portamene una bottiglia, dieci, venti purchè aprano gli occhi.

Il garzone s’affrettò a portarne una e la sturò, riempiendo i bicchieri.

Il Re dei Granchi prese pel naso Sam, costringendolo ad aprire la bocca e gli versò in gola, tutto d’un colpo, il fortissimo liquore, a rischio di soffocarlo.

Il facchino ebbe un orribile singhiozzo, che gli fece rigettare parte del liquido, ma aprì subito gli occhi starnutando fragorosamente, mentre un formidabile colpo di tosse gli lacerava il petto.

— Agli altri ora, — disse il Re dei Granchi, senza preoccuparsi delle smorfie e dei singhiozzi del povero diavolo.

Il rimedio suggerito dal garzone non fallì nemmeno su Zim e sui due cinesi. È vero che per poco un celestiale non morì soffocato, ma si era svegliato, se non completamente, almeno in parte. Un poderoso scapaccione somministratogli dal Re dei Granchi proprio in mezzo al cranio, completò l’opera.

I due negri ed i cinesi parevano ancora intontiti, e guardavano con occhi smarriti il colosso, che era disposto ad accopparli se non riacquistavano prontamente un po’ di lucidità.

— Fateli camminare, — disse il garzone. — Un po’ d’aria farà loro bene.

— Hai ragione, ragazzo, — rispose il Re dei Granchi.

Gettò sul tavolo due dollari, poi spinse fuori della porta i quattro uomini, minacciando di prenderli a pedate se non camminavano diritti. Quando giunsero sulla riva della baia, dove era ormeggiata la piccola scialuppa a vapore, i due cinesi non erano più ubriachi.

— Padrone, — disse Sam, che si sentiva meglio degli altri, — che cos’è accaduto dunque? Io non riesco a spiegarmi come mi sia ubriacato. Possibile che pochi bicchieri di brandy e di whisky mi abbiano così istupidito?

— Siamo stati giuocati da quel furfante che partiva per l’Australia, — rispose mastro Simone, furioso, — ed io ho perduta miss Annie, la Sovrana del Campo d’Oro.

— Come!... Non l’avete vinta all’asta? — chiese Zim.

— Stupido!... Forse che sarei qui a chiacchierare con un pappagallo par tuo?

— L’avete perduta, dunque? — chiese Sam.

— Hanno ubriacato anche me, ma, per tutti i granchi del mondo, avrò la pelle di quel gaglioffo, che mi ha giuocato un così brutto tiro, se non è partito per l’Australia.

— Inseguitelo.

— Prima di quel giovanotto vi è qualche cosa d’altro che mi preme di più. Ah!... Crede quell’Harris che mi rassegni!... S’inganna: dovessi perdere perfino l’ultimo mio dollaro, gli riprenderò la Sovrana del Campo d’Oro. Ho giurato che sarebbe diventata mia moglie e lo sarà.

— Non la rimetterà certo all’asta, — disse Zim.

— Tu sei un cretino, — disse il Re dei Granchi. — Bisognerebbe cambiarti la testa, giovanotto mio. Imbarchiamoci, e vedremo se accetterete di entrare ai miei servigi.

Entrarono nella scialuppa ed il Re dei Granchi diede ordine ai suoi uomini di seguire la costa, in direzione di Cartown.

— Che cosa vi rende il vostro mestiere? — chiese Simone, quando l’imbarcazione fu lontana dalla spiaggia.

— Non si guadagna molto sul quai, lo sapete, mastro Simone, — disse Sam. — Certi giorni è difficile racimolare anche un dollaro.

— Siete uomini di mano lesta?

— Lo credo, — rispose Zim, ridendo e mostrando le sue braccia muscolose.

— Sapete adoperare le armi?

— Sono un discreto tiratore, — disse Sam. — Un tempo ero servo d’un cacciatore della Sierra Nevada.

— Ed io so adoperare bene la rivoltella, — disse Zim.

— Badate che io voglio avere ai miei servigi gente risoluta e priva di scrupoli, che pagherò come un principe.

— Siamo ai vostri ordini, padrone, — risposero i due negri.

— Vi offro cinquanta dollari al mese ed il vitto. Accettate? — chiese mastro Simone.

— Getto subito in mare la mia casacca da facchino, — disse Sam.

— Ed io faccio altrettanto, — rispose Zim.

— Siete, da questo momento, ai miei servigi, — disse il Re dei Granchi, guardando con compiacenza i due suoi compatriotti, che dimostravano entrambi di possedere un vigore straordinario.

Poi aggiunse, come parlando fra sè:

— Ecco due buone reclute che non esiteranno a dare un colpo di coltello al momento opportuno.

Fece cenno al macchinista di accostarsi alla spiaggia, poi, volgendosi verso Sam, gli disse:

— Affido a te ed a Zim una missione importante. Recatevi subito a Cartown e sappiatemi dire se l’ingegnere si è recato colà.

Nel medesimo tempo cercate d’informarvi se la Sovrana del Campo d’Oro si prepara a sloggiare dal suo carrozzone o se intende intraprendere un viaggio. Mi hanno detto che deve avere dei progetti. Eccovi venti dollari d’anticipo per ciascuno.

— Dove vi troveremo?

— Nel mio villaggio. Noleggiate due cavalli e venite a riferirmi ogni cosa senza ritardo.

— Addio, padrone, — risposero i due negri, balzando sulla riva e allontanandosi frettolosamente.

Il Re dei Granchi li seguì con lo sguardo, finchè ebbero svoltato l’angolo d’una casa, poi, ad un suo cenno, i marinai spinsero al largo la scialuppa, dirigendola verso S. Pablo Bay.

Il negro si era seduto a poppa mettendosi alla barra del timone, mentre i due cinesi si erano sdraiati ai suoi piedi.

Pareva di cattivo umore: di quando in quando digrignava i denti, come una tigre in furore, e dalle sue labbra sfuggivano sorde imprecazioni. Nella mente dell’erculeo figlio della terra africana doveva imperversare una tremenda burrasca e maturarsi qualche sinistro disegno.

Quando la scialuppa, dopo una buona ora, giunse dinanzi alle aride colline, sulle cui cime si ergevano i villaggi dei pescatori di granchi, la fronte di Simone, fino allora aggrottata, si spianò.

Sbarcò, dicendo ai suoi negri di mantenere i fuochi accesi, e si arrampicò lentamente su pel sentiero, seguito dai due cinesi che mantenevano un silenzio assoluto e sembravano ancora scombussolati dall’oppio fumato col sigaro e dagli abbondanti liquori tracannati.

Entrando nella sua dimora, mastro Simone fece accendere la grande lanterna di talco e, stappata una bottiglia, si sedette dinanzi ad un tavolo, immergendosi in profondi pensieri.

Le tenebre erano calate da qualche ora, quando fu avvertito da uno dei suoi cinesi che due negri erano giunti al villaggio e desideravano vederlo.

Il Re dei Granchi era subito balzato in piedi, dicendo:

— Introducili subito.

Aveva appena pronunciate queste parole, che Sam e Zim si trovavano dinanzi a lui, grondanti di sudore e coperti di polvere fino ai capelli.

— Se non abbiamo fatto scoppiare i cavalli è un vero miracolo, padrone, — disse il primo.

— L’avete veduto, l’ingegnere? — chiese Simone.

— E anche l’altro, quello che ci ha ubriacati.

— Ah!... Cane dannato!... Non è partito?

— Ma parte domani mattina coll’ingegnere e con miss Annie, — disse Sam. — Abbiamo ascoltato il colloquio fra la Sovrana del Campo d’Oro ed il signore, e poi quello fra quel biondaccio e l’ingegnere.

— Parla subito.

Il negro in brevi parole lo informò di quanto aveva potuto apprendere, tenendosi nascosto sotto il carrozzone di miss Annie prima, poi sotto quello del venditore di tè.

— Che storia mi narri tu!... — esclamò mastro Simone, quando Sam ebbe finito. — Vanno nell’Arizona!... Suo padre prigioniero!...

— Di un certo Roock.

— Hai ben udito questo nome?

— La fanciulla bianca lo ha ripetuto varie volte e anche Zim lo ha inteso perfettamente.

— È vero, — confermò il secondo negro. — Will Roock; sì, è proprio così.

Il Re dei Granchi rimase parecchi minuti silenzioso, passeggiando nervosamente per la stanza, poi battè sul tavolo un pugno formidabile facendo cadere bottiglia e bicchieri.

— Ecco una fortuna che non speravo, — disse. — Il Gran Cañon!... Ma io lo conosco!... Ho lavorato in alcune di quelle miniere in gioventù. Bel luogo per rapirgliela!... Per tutti i granchi del mondo, mio caro Simone, tu sei nato sotto una buona stella.

Prendete questo forziere e seguitemi subito.

— Dove si va, padrone?

— Nell’Arizona, se non ci arresteremo prima.

— Noi soli?

— Non sono così stupido, Sam, — rispose Simone. — Prenderemo con noi anche i quattro negri della scialuppa, gente fidata e robusta.

Chiamò i due cinesi che erano forse i suoi segretari, e disse loro:

— Parto per un viaggio che può durare solo pochi giorni o forse molte settimane. Curate le mie rendite e badate che se al mio ritorno mi avrete derubato, vi farò tagliare gli orecchi. Svelti, ragazzi, prendete il forziere e seguitemi. Lì dentro vi sono i fondi per la guerra che stiamo per intraprendere.

Sam e Zim sollevarono, non senza fatica, la cassa e seguirono il Re dei Granchi, che scendeva il sentiero frettolosamente.

Giunti alla riva della baia, imbarcarono il forziere, poi Simone disse ai suoi marinai: — A S. Francisco con la massima velocità. Non ho tempo da perdere.

La scialuppa partì rapidissima, lasciando a poppa una lunga scia bianca, che la luna, allora sorta, faceva scintillare vivamente.

Alle undici entravano nella rada della capitale della California, passando fra la moltitudine di navi ancorate dinanzi agli immensi docks, ingombri di merci accumulate sotto le tettoie.

Mastro Simone, che pareva avesse la febbre, fece sbarcare il carico, diede al macchinista alcune istruzioni, poi cogli altri cinque negri s’inoltrò nella città.

Non occorre dire che il forziere contenente i tesori accumulati dalla Regina dei Granchi, non era stato dimenticato.

Attraversarono parte di S. Francisco, e si fermarono dinanzi ad una bella e pittoresca casa del quartiere cinese, la cui porta si aperse subito, al primo colpo battuto sulla lastra di metallo sospesa allo stipite.

Mastro Simone fece portare la cassa nell’interno, poi salì le scale, dicendo ai negri di aspettarlo.

Quando discese, portava con sè una valigia piuttosto voluminosa ed un grosso pacco accuratamente legato.

— Alla stazione, — disse ai negri. — Qui abbiamo banconote e rivoltelle. Con queste cose si può andare in capo al mondo.

A mezzanotte il Re dei Granchi ed i suoi cinque negri si trovavano già al caffè della stazione orientale, seduti dinanzi ad un punch fiammeggiante.

Pochi minuti prima della partenza abbandonavano il luogo, accomodandosi in un carrozzone attiguo al tender.

Avevano abbassate le tende, però il Re dei Granchi osservava attentamente le persone che entravano nella stazione.

I cinque negri, rincantucciati negli angoli, fumavano silenziosamente, avvolti nelle loro ampie coperte di lana a tinte smaglianti, i larghi cappellacci da cow-boys calati sugli occhi.

Ad un tratto Simone lanciò una bestemmia.

— Che cos’avete, padrone? — chiese Sam alzandosi.

— Sono giunti.

— Miss Annie e l’ingegnere?

— Sì.

— E bestemmiate?

— Per non poter strozzare quel birbante che ci ha ubriacati.

— Vi è anche lui?

— Accompagna l’ingegnere.

— E ci aveva dato da bere che s’imbarcava per l’Australia!...

— Meglio così, perchè a suo tempo noi gli leveremo la pelle, e vedrai se il Re dei Granchi saprà mantenere la sua promessa.

— Che carrozzone hanno occupato?

— Il penultimo.

— Allora siamo sicuri di non venire scoperti, padrone.

— Se qualcuno di voi si mostra, guai!... Vi fracasso il cranio con un pugno.

— State tranquillo, padrone, nessuno ha il desiderio di fare la conoscenza coi vostri pugni.

— Silenzio.

Un fischio acuto e prolungato squarciò l’aria, ripercuotendosi sotto l’immensa galleria coperta di vetri, poi il treno si mosse lentamente con fragore metallico, fuggendo verso il sud.

— Vedremo se giungeranno a destinazione, — mormorò Simone, mentre un cupo lampo gli balenava negli sguardi. — La via è lunga e chissà cosa può succedere durante il viaggio...

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