< La Sovrana del Campo d'Oro
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XVI - Buffalo Bill
XV XVII

CAPITOLO XVI


Buffalo Bill


Buffalo Bill, diventato poi popolarissimo anche in Europa e sopratutto in Italia, facendosi ammirare con la sua banda indiana ed i suoi più intrepidi cow-boys, era allora l’eroe delle praterie americane.

Certo nessun uomo si era acquistata tanta fama quanto quell’intrepido avventuriero, che incarnava l’antico tipo del vero scorridore e del cacciatore della prateria, e forse a nessuno più di lui erano toccate tante straordinarie vicende.

Egli era allora la vera bestia nera degl’indiani, sia delle regioni settentrionali che meridionali, ed è certo che i rossi guerrieri non avrebbero esitato a perdere tutti i loro cavalli e le loro armi, pur di avere nelle mani la sua capigliatura.

Quell’uomo straordinario, che ad una forza e ad un’audacia prodigiosa univa una bellezza fisica degna di un dio greco, aveva cominciata la sua carriera giovanissimo, guadagnandosi rapidamente una grande popolarità, invidiata da tutti i cow-boys del centro e del grande ovest.

Senza di lui, chissà quante centinaia di vittime si sarebbero aggiunte a quelle già numerose, che caddero durante la costruzione della prima grande linea che congiunse l’Atlantico, al Pacifico, attraverso tutto il continente americano.

Uno dei problemi più gravi che le compagnie non riuscivano a risolvere, era l’alimentazione degli operai d’avanguardia, i quali ogni giorno erano in procinto di morire di fame.

Erano quasi tremila uomini, che lavoravano accanitamente in regioni lontane, esposti agli attacchi incessanti degli indiani, i quali inoltre impedivano ai furgoni recanti i viveri di giungere fino a quei pionieri.

Sovente non avevano altra risorsa che quella della selvaggina, assai abbondante è vero, ma troppo scaltra per lasciarsi prendere dal primo venuto, ignaro delle astuzie del cacciatore di prateria.

La paura di dover sospendere i lavori e rimandare indietro i lavoratori, che si esaurivano rapidamente per mancanza di buoni ed abbondanti alimenti, cominciava già ad angosciare capi e ingegneri, quando comparve Buffalo Bill.

Non era allora che un giovanotto dì appena diciott’anni, e tuttavia in tutti i distretti godeva fama di essere il più intrepido cacciatore delle praterie.

Chiamato dal sopraintendente delle costruzioni, furono esposte al giovane cacciatore le miserande condizioni in cui si trovavano i lavoratori della linea, che da settimane non vedevano giungere più i furgoni destinati a vettovagliarli, perchè le retrovie erano state tagliate dagl’indiani.

— Vivranno di caccia, — aveva risposto semplicemente Bill.

— Metto a vostra disposizione quanti uomini vorrete, — aveva aggiunto il sopraintendente.

— Sono inutili: pei bisonti basta una carabina di precisione ed un buon cavallo.

Fu creduta una spacconata; invece il giovane cacciatore mostrò subito ai poveri lavoratori che morivano di fame, quanto fosse sicuro del fatto suo e quanto seria fosse stata la sua risposta.

In quei tempi i bisonti erano ancora numerosissimi nelle praterie. Spaventati da quegli intrusi e dalle macchine sbuffanti, si erano allontanati dalla linea in costruzione, ma Bill sapeva dove andarli a scovare.

Il giovane possedeva un fucile ancora sconosciuto ai cacciatori delle frontiere, un Springfield ad ago, che gli era costato un occhio, con cui sapeva fare veri prodigi, ed un superbo cavallo bianco che aveva battezzato col nome di Brigam, un animale che gli era affezionatissimo e gli aveva salvata varie volte la vita, distanziando sempre i mustani della prateria.

Il giorno dopo, i primi bisonti giungevano al campo a pezzi. Il famoso cacciatore, da solo, ne aveva uccisi undici!...

La sua fama era assicurata e si accrebbe maggiormente nei giorni seguenti. Si calcola che nei diciotto mesi in cui rimase ai servigi delle due compagnie ferroviarie, consegnasse al campo non meno di cinquemila bisonti!... La cifra potrebbe sembrare favolosa per chi non sapesse che, in quell’epoca, quei colossali animali migravano a migliaia e migliaia, dirigendosi verso il nord durante i grandi calori, e tornando al sud dopo le prime nevicate.

Ancora nel 1870, da statistiche redatte con cura, i branchi di bisonti erano così numerosi da interrompere il traffico delle linee ferroviarie, e quelle statistiche aggiungono che dal 1865 al 1880 furono uccisi ben undici milioni di quegli animali e se ne impiegarono le ossa per fertilizzare i terreni!... Con tale abbondanza di grossa selvaggina nessuno può meravigliarsi se Buffalo Bill riuscì, anche da solo, con la sua formidabile carabina, a provvedere carne a parecchie migliaia d’operai.

Terminata la linea, ecco Buffalo Bill sulle frontiere, in lotta continua cogl’indiani suoi implacabili nemici, emulando le gesta di Kit Carson, di Uncle Dick Wootam, di Zim Brigda e di altri famosi scorridori della prateria, misurandosi volta a volta coi Sioux, coi Cheyennes, coi Kiowas, coi Comanci, coi Piedi Neri. Alcuni anni dopo, eccolo capo degli esploratori di Sherman, di Sheridan e di Miles e dei più insigni generali che combattevano nel Grande Ovest.

Nel 1876, Buffalo Bill, nominato colonnello, è fra le Montagne Nere, dove Sitting Bull, il famoso capo dei Sioux, aveva dissotterrata la scure di guerra e distrutta completamente la colonna del generale Custer, mangiando perfino il cuore al capo della spedizione.

Era agli ordini del generale Mereit, incaricato di sorprendere i Cheyennes al Gran Corno, prima che potessero riunirsi con Sitting Bull. Fu in quell’occasione che il terribile cacciatore si acquistò anche fra gli indiani la fama di essere assolutamente invincibile.

Cercava di sorprendere i Cheyennes, quando il 12 luglio si vide invece attaccato da una banda di oltre cento guerrieri.

Buffalo Bill non aveva con sè che pochi uomini, tuttavia, vedendo avanzarsi a galoppo sfrenato i rossi guerrieri, non esitò a far fuoco, uccidendone tre.

Il generale Mereit non era molto lontano con le sue truppe e si affrettò a raggiungerlo, salvando così gli esploratori da una morte certa.

I due piccoli eserciti si trovavano di fronte, pronti ad impegnare la lotta, quando Buffalo Bill vide uscire dalle file dei Cheyennes un indiano, armato di un Winchester e coperto di ricchi ornamenti e di penne, che gli gridò:

— Io ti conosco Pa-he-has-ka (capelli lunghi). Tu sei un gran capo e hai ucciso molti indiani. Io sono pure un gran capo ed ho ucciso molti visi pallidi. Vieni a misurarti, se l’osi, con Yellow-Hand (la Mano Gialla).

— Sono pronto, — rispose Buffalo Bill. — Che i guerrieri rossi e gli uomini bianchi ci lascino il campo libero e non si muovano.

Quindi balzarono in sella, si slanciarono a corsa sfrenata e si fecero fuoco addosso. Il cavallo dell’indiano era caduto ferito; quello dello scorridore aveva messo le zampe in una buca e si era pure rovesciato. Nessuno dei cavalieri era rimasto contuso: s’alzarono entrambi sparando nuovamente.

Mano Gialla, colpito al petto, stramazzò al suolo e Buffalo Bill, fattoglisi sopra, lo scotennò, strappando inoltre il diadema di penne di tacchino che ornava il dorso del Capo indiano.

Da quel giorno divenne il terrore delle Pelli Rosse, che lo considerarono come il più formidabile guerriero delle praterie americane.

Appena Annie e tutti gli altri furono scesi dalla diligenza. Buffalo Bill comandò ai suoi uomini di disporsi intorno al campo improvvisato, per non venire sorpresi dagli indiani che potevano sbucare dalla foresta, poi, volgendosi verso Koltar che stava levando il morso ai cavalli:

— Vecchio mio, — gli disse, — tu vuoi dunque lasciare la capigliatura fra le mani dei Navajoes? So che sei un valoroso, e appunto per ciò dovresti essere più prudente.

— La colpa è mia, colonnello, — disse l’ingegnere avanzandosi. — Koltar si è arreso alle mie preghiere.

Buffalo Bill lo guardò un po’ meravigliato, poi fissò i suoi sguardi sulla fanciulla e mandò un grido di sorpresa.

— Miss Annie Clayfert, — disse accostandosi a lei col sombrero in mano. — La figlia del ricco minatore! Non m’inganno io?

— No, colonnello, — rispose la Sovrana dal Campo d’Oro, — non vi siete ingannato.

— Che cosa fate qui, miss, in mezzo alla prateria? Mi avevano detto che voi eravate a S. Francisco.

— Dunque voi ignorate tuttora la sorte toccata a mio padre? — chiese la fanciulla.

— Una disgrazia? Eppure sei mesi or sono io ha fatto colazione con lui nella sua miniera del Gran Cañon.

— Da due mesi è prigioniero di Will Rook.

Buffalo Bill aveva mandato un grido di rabbia e di sorpresa.

— Di quel briccone!...

— Colonnello, — disse Harris, facendosi innanzi — conoscete quell’uomo?

— È il peggior bandito che esista nel Gran Cañon, — rispose il cacciatore di bisonti. — Lo conosco personalmente, ed un giorno poco è mancato che non l’uccidessi col calcio del mio fucile.

— Chi è? — chiese Annie.

— Una specie di gigante, brutale come un orso grigio, canaglia come un ladro di cavalli, che io sarei ben lieto di poter un giorno appiccare a qualche solido ramo. Ah!... È lui che ha fatto prigioniero vostro padre!... Domanderà una bella somma per lasciarlo libero.

— Enorme, colonnello, — rispose Annie.

Il volto del colonnello era diventato terribile.

— Quel miserabile ha osato tanto, dopo essere stato beneficato da vostro padre? Miss, voi mi racconterete dettagliatamente ogni cosa e, parola di Cody, quel brigante finirà la sua triste esistenza appeso ad un albero. Mastro Koltar, accampiamoci qui per questa notte e, se hai dei viveri, prepara un po’ di cena per questi signori e per i miei uomini, che non hanno mangiato nulla da stamane. Il servizio nella prateria è pesante e non si sa mai quando ci si potrà sfamare.

Miss Annie, mi narrerete ogni cosa cenando.

— E gl’indiani? — chiese il gigantesco corriere.

— Per ora non precccuparti di loro. Sapendo che io sono con voi, non ci assaliranno tanto presto. Mi hanno già riconosciuto, e non oseranno nulla pel momento. Domani vedremo.

— Si raccoglieranno in buon numero, Buffalo Bill, — rispose il corriere.

— E noi raccoglieremo le nostre cartucce, — rispose tranquillamente il colonnello. — I miei cow-boys non sono uomini da spaventarsi tanto facilmente. So scegliere i miei uomini e, se non sono coraggiosi, li ripudio.

— Scusate, signor Cody, — disse Harris, — che cosa facevate nella prateria ad un’ora così inoltrata?

— Stavo scortando un migliaio di buoi provenienti dal Gran Cañon, che un ricco ranchman, mio amico, mi aveva affidati perchè li conducessi in salvo a Peach Springs. Li avevo mandati molto innanzi e noi coprivamo la ritirata, quando udimmo le vostre fucilate. Immaginando che i Navajoes assalissero un gruppo di ritardatari, abbandonammo il bestiame, e partimmo al galoppo per porgere aiuto. Sono ben lieto di essere giunto in così buon punto. Koltar, hai qualche cosa da darci?

— Il castello della corriera è sempre provvisto, — rispose il gigante.

— Accampiamoci e aspettiamo l’alba, — disse Buffalo Bill.

Koltar accese le due lanterne della diligenza, disponendole dietro un cespuglio, perchè gl’indiani, che forse scorrazzavano ancora per la prateria, non potessero scorgere la luce, poi levò dalla cassa del salmone conservato, dei salsicciotti di prateria già arrostiti e delle gallette, nonchè una bottiglia di brandy.

Buffalo Bill chiamò uno ad uno i suoi uomini, dando loro una razione sufficiente per sfamarli, poi tutti si misero a mangiare, mentre le sentinelle vigilavano attentamente, con la carabina sulle ginocchia.

Fra un boccone e l’altro, Harris ed Annie informarono il colonnello circa i motivi che li avevano spinti in quella regione, senza omettere di narrare il tentativo fatto da Simone, il perfido Re dei Granchi.

— Due avversari da combattere e per di più gl’indiani sul sentiero di guerra, — disse Buffalo Bill. — Non avete certo scelto un bel momento per venire qui. La faccenda è più seria di quello che credevo. Ah! Quella canaglia di Will Rook vi ha rapito il padre e chiede per la sua liberazione una simile somma?... La vedremo!... È di lui innanzi a tutto che ci occuperemo, se permettete, miss, che io mi unisca a voi.

— Chi rifiuterebbe un simile appoggio, colonnello? — disse Annie. — La più terribile carabina del Grande Ovest farà prodigi.

— Cercherà di farli, — rispose Buffalo Bill, sorridendo. — Si tratta ora di sapere dove si sarà rifugiato quel mascalzone di Rook.

— Che si trovi sempre nel Gran Cañon, o che, per timore di venire preso dagli Apaches, si sia invece allontanato? — chiese Harris.

— È un bandito che tutti conoscono in questa regione, e non verrebbe accolto in nessun rancho, nè in alcun villaggio, — rispose il colonnello. — I bianchi per lui sono più pericolosi dei Pelli Rosse e non avrà lasciato il Cañon. D’altronde, laggiù vi sono numerosi nascondigli e le miniere non mancano.

— Riusciremo a scoprirlo?

— - Non ne dubito, signore. Conosco il Cañon palmo a palmo fino a Marble e anche più sopra, oltre gli Echo Cliffs. Ci occorrerà del tempo, ma lo troveremo quel furfante e lo appiccheremo se...

— Se?... — chiesero ansiosamente Annie, Blunt e l’ingegnere, vedendo il colonnello corrugare la fronte.

— Mi è nato un sospetto.

— Quale?

— Che egli possa essersi alleato agli Apaches. Non sarebbe la prima volta che gl’indiani accettano nelle loro file dei banditi dalla pelle bianca. Ne ho conosciuto uno io, nel Nuovo Messico, che era diventato capo d’una tribù di Comanci.

In tal caso non sarebbe facile pigliare Rook. Orsù, signori, e anche voi, miss, non scoraggiamoci. Ah!... Vi è quel negro di cui mi avete parlato, anche. Per quello non dobbiamo preoccuparci troppo. Con gl’indiani che battono la prateria, non potrà andare lontano e sarà per forza immobilizzato, assieme ai suoi vaqueros, in qualche borgata. Se le Pelli Rosse non risparmiano i bianchi, non dànno quartiere nemmeno ai negri.

Signori, giacchè gl’indiani non si fanno vivi, possiamo dormire qualche ora. I miei uomini vegliano su di noi e non si lasceranno sorprendere.

Annie, che era stanchissima, tornò nella corriera dove poteva dormire abbastanza comodamente, perchè tutti i sedili erano a sua disposizione; gli altri si sdraiarono fra le erbe, mentre i cavalli, liberati dal morso, si rimpinzavano di buffalo grass e di jasche.

Contro ogni previsione, nessuno turbò il loro sonno. Che gl’indiani si fossero allontanati e avessero rinunciato all’inseguimento, era improbabile. Forse aspettavano l’alba, per meglio conoscere le forze dei loro avversari.

Ed infatti il cielo cominciava a tingersi di riflessi rosei,’ quando nella prateria si udì una serie di modulazioni melanconiche che pareva uscissero da un flauto.

— L’ihkischota!... — esclamò Buffalo Bill, che era già in piedi, occupato ad insellare il suo cavallo..

— Che cos’è? — chiese Blunt, che si stiracchiava le membra.

— Il fischietto di guerra dei Navajoes, formato con una tibia umana, — rispose il colonnello. — Ero più che certo che i guerrieri rossi non ci avrebbero lasciati.

In quel momento giunsero, ad un ad uno, i cow-boys, i quali si tiravano dietro per le briglie le loro cavalcature.

— Che c’è di nuovo, Buck? — chiese Buffalo Bill, rivolgendosi, ad un giovane bellissimo, di statura imponente, che portava i capelli lunghi e indossava un costume messicano.

— Vengono, — rispose il cow-boy.

— Molti?

— Non mi sembra che siano aumentati.

— Koltar, metti il morso ai cavalli e partiamo subito. Se non riescono ad arrestarci, questa sera potremo giungere al Gran Cañon. In alto i soldati.

— Non siamo che in quattro, colonnello, disse il capo della piccola scorta. — Uno è morto ieri, fulminato da una palla nel cranio ed un altro, che era stato ferito, è spirato due ore fa.

— Li avete sepolti?

— Sì, colonnello.

— Andiamo.

Blunt e Harris salirono a fianco di Koltar e la corriera lasciò il bosco, fiancheggiata dai cow-boys e da Buffalo Bill, il quale cavalcava presso io sportello di destra, scambiando qualche parola con Annie.

Appena giunti nella prateria, Blunt e Harris videro subito una quarantina di cavalli, che galoppavano a circa cinquecento passi, in gruppo serrato e privi di cavalieri.

— Che siano mustani selvaggi? — chiese lo scrivano perchè la distanza non gli permetteva di scorgere se avessero le briglie.

— Che manovrano ammirabilmente per tagliarci il passo, — rispose l’ingegnere. — Hanno molta intelligenza quegli animali, è vero, amico?

— Che cosa dite, signore? Mi canzonate?

— Un po’, Blunt.

— Allora quei cavalli...

— Portano ognuno un cavaliere e bene armato.

— Io non li vedo.

— Perchè le erbe sono troppo alte. Ogni mustano ha appiccicato al fianco un indiano, il quale si sostiene con una gamba sola. Sanno che i cow-boys sono tiratori meravigliosi e non si esporranno che nel momento della carica.

— Signor Harris, che finiscano per aver ragione di noi?

— Vi è Buffalo Bill con noi, e non dubito che riesca a condurci al Gran Cañon.

— S’avicinano.

— Lasciateli pure avvicinare.

— Se si mostrassero?

— Non tarderanno a salire in arcione.

I cavalli, vivamente eccitati, guadagnavano infatti via, accostandosi alla corriera.

I quattro soldati della scorta, che trovandosi più in alto potevano scorgere di quando in quando i furbi guerrieri, avevano aperto il fuoco con poco successo, a causa delle scosse disordinate che subiva l’enorme veicolo.

La prateria non era più liscia come prima. Di tratto in tratto i cavalli erano costretti a saltare delle spaccature e la diligenza minacciava di ribaltare.

— Bill, — disse ad un certo momento Koltar. — Cercate di trattenere quei vermi. Sono costretto a rallentare o andremo a gambe all’aria.

Il colonnello stava per dare ordine ai suoi uomini di cominciare anch’essi il fuoco, quando i due mustani di testa s’imperniarono violentemente, nitrendo, poi caddero entro una spaccatura del suolo che non avevano potuto evitare.

Gli altri quattro, trascinati dallo slancio, stramazzarono a loro volta l’uno sull’altro, spezzando le corregge ed il veicolo ribaltò con fracasso, scaraventando fra le alte orbe la scorta, Harris, Blunt ed il corriere.

Senza trattenere il proprio cavallo. Buffalo Bill balzò a terra con un’agilità da clown e si slanciò in soccorso dei caduti, mentre gridava ai suoi uomini:

— Trattenete gl’indiani voi!... A terra, dietro i cavalli e non rallentate il fuoco!...

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