< La Sovrana del Campo d'Oro
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XVIII - In mezzo all'«occhio»
XVII XIX

CAPITOLO XVIII


In mezzo all’«occhio»


Gli stagni nascosti sotto le praterie, coperti, da canneti che si confondono facilmente con alte graminacee, costituiscono un pericolo gravissimo, specialmente per le corriere.

I cavalieri riescono ad evitarli, specialmente se hanno una conoscenza profonda di quelle immense pianure, come i cow-boys, i vaqueros e gl’indiani; i corrieri, che hanno dinanzi a loro sei e talvolta otto mustani, che impediscono di esaminare il terreno, sovente vi cadono dentro, con conseguenze disastrose.

Non tutti gli occhi — così gli americani chiamano quei pericolosi stagni — hanno il fondo formato da sabbie tenaci che inghiottono e non rendono più le prede, quindi i cavalli possono ancora uscirne, cavandosela con un semplice bagno. Quando però s’incontrano le sabbie mobili, allora il pericolo diventa gravissimo, e non è raro che uomini ed animali vi trovino la morte.

Le pesanti vetture sprofondano a poco a poco e scendono, col loro carico vivente, nel fango, che non tarda a ricoprire tutti.

Si comprenderà quindi facilmente il terrore che aveva invaso Harris, al pensiero che Annie, trovandosi più in basso di tutti e rinchiusa nella corriera, potesse essere la prima vittima.

Con un salto solo si era slanciato sull’imperiale, dove i soldati gridavano come cornacchie, cercando invano un mezzo qualsiasi per raggiungere la riva.

— Sfondate, — disse. — La fanciulla corre più pericolo di noi.

— Lasciate fare a me, signore, — disse Koltar, aprendo rapidamente un cassetto ed estraendo una piccozza. — Basterà un colpo solo.

— Miss, tiratevi in disparte.

Alzò l’arma e con una botta formidabile fracassò un lato della corriera, fra la piattaforma e un angolo.

Con le sue mani poderose strappò due o tre tavole, allargando il foro, poi allungò le braccia verso Annie, dicendole:

— Aggrappatevi, miss.

Sollevarla, senza il menomo sforzo, e deporla sull’imperiale, fu l’affare di un momento.

La giovane, quantunque avesse ormai compreso quale grave pericolo correva la diligenza, non era nemmeno pallida.

— Mi si sono bagnate le scarpe e le calze, — disse sorridendo. — Il sole è abbastanza caldo e mi asciugherà presto.

— Ho tremato per voi, Annie, — disse Harris.

— C’è Buffalo Bill sulla riva e ci trarrà di qui.

I cow-boys si erano, schierati di fronte alla corriera, tenendo in mano i lazos, corregge solidissime, lunghe dodici o quindici metri e terminanti in un anello di ferro, che vengono adoperati per la caccia ai cavalli selvaggi e ai bisonti.

— A te, Buck, — disse il colonnello.

— Attento, corriere!... — gridò il cow-boy, facendo girare il lazo attorno alla testa in modo che la correggia rimanesse allargata.

— Pronto, — rispose il colosso.

Il lazo, lanciato da una mano ormai lungamente abituata, fischiò in aria e cadde addosso al corriere scendendogli fino a mezzo corpo.

— A noialtri ora, — gridarono i compagni di Buck.

Altri otto lazos furono lanciati e vennero presi dai soldati della scorta, da Harris e da Blunt.

— Koltar, — disse allora il colonnello. — Hai paura d’un bagno tu?

— Nemmeno se invece d’acqua vi fosse petrolio, in questo maledetto occhio.

— Allora sarai l’ultimo. Affrettiamo il salvataggio: vedo che la diligenza affonda più rapidamente di prima.

— Formate il ponte per miss Annie, innanzi tutto.

Koltar, che era il più alto di tutti, unì quattro lazos tenendoli ben tesi, mentre i soldati della scorta ne tendevano altrettanti sotto, a fior dell’imperiale.

I cow-boys disposti sulla riva, avevano imitata la manovra: alcuni si tennero in piedi e gli altri si coricarono.

— A voi miss, — disse Buffalo Bill, — e badate di non cadere. Vi sono le sabbie mobili sotto. Se soffrite le vertigini, chiudete gli occhi.

— Non è necessario, colonnello, — rispose la giovane.

Si aggrappò ai lazos superiori, posò i piedi su quelli inferiori e senza neppur pensare che, se uno di essi si rompeva, correva il pericolo di venire inghiottita dal fango, si avanzò audacemente su quello strano ponte oscillante. Harris e Blunt la seguivano ansiosamente con gli sguardi, mentre Buffalo Bill teneva pronto il suo lazo per lanciarlo, nel caso che gli altri cedessero.

La traversata, brevissima d’altronde, poichè non si trattava che di varcare sette od otto metri, fu compiuti felicemente.

Harris, poi Blunt, passarono nello stesso modo; poi Koltar riunì tutti i lazos, ed i soldati, aggrappandovi uno ad uno, raggiunsero pure la riva, portando le armi ed i bagagli.

In quel medesimo istante i quattro poveri mustani scomparivano sotto le acque melmose, dopo aver mandato un ultimo e disperato nitrito.

La corriera era intanto affondata d’un paio di metri e i due sportelli erano interamente sommersi.

Koltar si strinse attorno al corpo i lazos, quindi balzò risolutamente in acqua. I cow-boys furono pronti a trarlo in salvo, prima che le sabbie si aprissero sotto di lui.

— Colonnello, vi dobbiamo la vita, — disse Harris. — Senza di voi, non so come saremmo riusciti a trarci da questa grave situazione.

— Altri avrebbero fatto come me, — si limitò a rispondere Buffalo Bill. — Mi rincresce solo una cosa.

— Quale, colonnello?

— Che non giungeremo questa sera al Gran Cañon.

— Non abbiamo fretta.

— Sono gl’indiani che dànno dei fastidi, signore. Conosco però una boscaglia dove forse potremo passare la notte senza venire disturbati. Miss Annie, vi offro il mio cavallo.

— E voi, colonnello? — chiese la giovane.

— Salirò dietro a quello di Buck, che è robustissimo. Gli altri mi imiteranno. In sella, signori. Non fermiamoci troppo qui. Quantunque non si scorga nessun indiano, non sarei stupito se invece ci inseguissero ad una certa distanza.

Koltar, che gocciolava da tutte le parti, Harris, Blunt ed i soldati, salirono dietro i cow-boys, ed i mustani, quantunque soverchiamente carichi, partirono a piccolo trotto.

Non potevano andare molto lontano, ed infatti, dopo un paio d’ore, Buffalo Bill comandava la fermata, perchè gli premeva di conservare i cavalli in forze, e di non averli completamente esausti nel caso che gl’indiani comparissero improvvisamente.

Soltanto verso le quattro, dopo una succulenta colazione, fatte a spese d’un grosso tacchino selvatico, che uno dei cow-boys aveva sorpreso in mezzo ad una macchia di sommacchi, il drappello riprese le mosse. La prateria cominciava a diventare arida. Larghe zone di terriccio rossastro, sulle quali i mustani faticavano assai, perchè erano frammiste a sabbie ed a pezzi di sale, si succedevano ai tratti coperti di girasoli, di jucche e di alte graminacee.

— Terreni pessimi pei cavalli e ricchi di metalli, — disse Buffalo Bill, che cavalcava presso l’ingegnere, il quale stava dietro ad un cow-boy.

— Somigliano a quelli del Colorado. Scommetto che qui sotto si trovano dei buoni filoni auriferi. Non mi stupirei che un giorno venissero qui i minatori e sorgessero come per incanto delle città.

— Siete stato nel Colorado, colonnello? — chiese Blunt, che si trovava dall’altra parte.

— Ho lasciata quella regione da soli quattro mesi.

— È vero che si sono scoperti ricchi placers?

— Le sabbie del Cherry Creek che sono mescolate a pagliuzze d’oro, rendono assai, — rispose Buffalo Bill. — Anzi io facevo parte, della prima spedizione d’emigranti e constatai l’esistenza di quella ricchezza, e anche di filoni nascosti alla base delle Montagne Rocciose. Sono appena trascorsi nove anni. Guidavo, o meglio scortavo, una colonna di lavoratori, che volevano esplorare le rive del Kansas 1 dove supponevano si trovassero dei placers auriferi.

Un giorno accampammo sulle rive del Cherry Creek (Ruscello della Ciliegia). Uno di quegli uomini, che era stato cercatore d’oro nella Georgia, ebbe l’idea di lavare quelle sabbie e, con sua grande gioia, scoprì numerose pagliuzze d’oro.

Quando la notizia si diffuse, nessuno voleva prestarvi fede, perchè sembrava impossibile che potesse esistere un’altra California; le pepite presentate furono ritenute provenienti dai placers della Nevada e del Rio Sacramento.

— Pure furono ben presto convinti, quegl’increduli, — disse Harris.

— Sì, signore, e cominciò un gran movimento di minatori dal Mississipì e dal Missouri verso le Montagne Rocciose.

— Che rese quella regione, prima deserta, una delle più popolose degli Stati del Centro, è vero, colonnello?

— Lo sviluppo del Colorado fu ancora più rapido di quello della California, signore. Nel 1858 non vi era che una misera borgata formata da capanne e da lug-houses (casupole di terra e di tronchi d’albero), chiamata Auraria. Un anno dopo, Denver sorgeva come per incanto, quella Denver che è oggi una delle più importanti città degli Stati del Centro. Allora non aveva che un albergo, una vera bettola, una chiesa e l’indispensabile giornale, le tre cose che noi americani desideriamo innanzi tutto. Subito dopo, ecco sorgere Golden City quasi ai piedi delle Montagne Rocciose.

— Che oggi, dopo appena sei anni, ha palazzi, banche, teatri e tranvie, — aggiunse Harris.

— Si va a vapore da noi, — disse Blunt. — Tre città in soli nove anni!...

— E tre altre ancora, — disse Buffalo Bill, — sorte grazie all’oro scoperto nelle viscere della terra, che devono la loro fortuna ad un povero minatore, a Gregory.

Quell’uomo aveva sospettato, che, se vi era oro nei ruscelli e alla base delle montagne, non ne dovesse mancare anche più in alto.

Solo, con una zappa, una pala, ed una piccola provvista di viveri, quel coraggioso s’addentrò fra le montagne Rocciose, risalendo un torrente chiamato Clear-Creek, ossia ruscello limpido, che era allora quasi ignorato da tutti. Con fatiche incredibili salì quelle enormi rupi e nel luogo stesso dove sorge Central City, scoprì una vena cosa ricca di pepite, da far di lui un vero signore in sole dodici ore.

Consumati i viveri, sorpreso dalle nevi, fu costretto a tornarsene più che in fretta ad Auraria, dove giunse morente di fame, ma ricco come un Creso.

Confidato il segreto ad un amico, quel diavolo d’uomo ripartiva l’anno seguente in sua compagnia, e dopo tre mesi i due minatori ridiscendevano le montagne, carichi d’oro. La scoperta non rimase lungamente nascosta ed una massa di minatori si rovesciò allora fra le gole delle Montagne Rocciose, fondando in pochi mesi tre nuove città, oggi ormai popolarissime: Blanck-Hawk, City e Nevada.

— Ciò dimostra chiaramente come l’oro trovato nel sottosuolo abbia servito meravigliosamente alla prosperità dei nostri Stati, — disse Blunt.

— Senza i suoi placers, probabilmente la California sarebbe una regione semi-deserta come ce la cedette il Messico, — rispose Buffalo Bill.

Ad un tratto trattenne bruscamente il cavallo, strappando le briglie al cow-boy che aveva dinanzi, e fiutò a parecchie riprese l’aria. Gli altri, vedendo il capo arrestarsi, si erano affrettati ad imitarlo:

— Colonnello, — disse Annie. — Perchè ci fermiamo qui, dove non c’è nemmeno un filo d’ombra?

— Aspettate un momento, miss, — rispose Buffalo Bill, la cui fronte si era corrugata.

Poi volgendosi verso Buck Taylor, gli disse:

— Fiuta l’aria, camerata.

Il cow-boy si alzò sulle larghe staffe messicane, aspirò fortemente due o tre volte, poi interrogò ansiosamente l’orizzonte coi suoi grandi occhi neri.

— Che io m’inganni? — disse poi.

— No, — rispose Buffalo Bill.

— È odor di fumo, colonnello, — aggiunse poi.

— Gl’indiani ci giuocano.

— O meglio cercano di arrostirci vivi, colonnello.

— Il vento soffia dall’est, dunque è in quella direzione che hanno dato fuoco alle erbe. Desidererei sapere se è la prateria che brucia od una foresta.

— Colonnello, — disse Harris, — che quei birbanti ci abbiano seguiti?

— Vi ho già detto che non sarei sorpreso se li vedessi comparire. Al nord c’è il fiume, è vero, Buck?

— Passa dietro la foresta.

— Dirigiamoci verso quello, senza indugio.

— Signor Bill, — disse lo scrivano, — io non sento nulla e non vedo nessuna traccia di fumo all’orizzonte.

— Perchè non siete pratico della prateria. Anch’io non scorgo ancora il fumo, ma lo sento.

— Sì, brucia qualche cosa, — dissero i cow-boys.

— Ed è legna che arde, — aggiunse il corriere. — Me ne intendo io.

— Signori, spronate, — comandò Buffalo Bill. — 11 fuoco non si combatte nè a colpi di fucile, nè a colpi di coltello.

I mustani, quantunque, come abbiamo detto, avessero tutti doppio carico, si erano lanciati al galoppo. Quegli intelligenti animali, al pari degli scorridori delle praterie, dovevano aver fiutato il pericolo che li minacciava.

Eppure sul limpidissimo orizzonte non si scorgeva alcuna colonna di fumo, nè in mezzo alle erbe ed alle zone aride si scorgeva alcun indiano trottare. Se l’incendio era stato comunicato ad un bosco od alla prateria, doveva però trovarsi ancora lontano. Tuttavia Buffalo Bill che sapeva come quegl’incendi si propaghino con rapidità vertiginosa, non era affatto tranquillo.

Si appoggiava frequentemente alle poderose spalle di Buck e guardava insistentemente verso l’est, borbottando a mezza voce.

— Io credo che il colonnello s’inganni, — diceva da parte sua lo scrivano, che non sentiva nulla, e non vedeva nulla. — Un buon naso e due buoni occhi li ho anch’io, diavolo!...

Harris invece, che conosceva le astuzie delle Pelli Rosse, non era del medesimo parere di Blunt, e guardava con angoscia il viso di Buffalo Bill che andava oscurandosi.

— Se il colonnello è inquieto ed ha perduta la sua gaiezza, vuol dire che le cose non vanno bene e che gli affari minacciano di guastarsi. Quell’uomo lì non è tipo da impressionarsi per un nonnulla.

I mustani, vigorosamente spronati ed eccitati anche con briglie e con la voce dai cavalieri, facevano intanto sforzi prodigiosi per mantenere un trotto abbastanza rapido.

Già mezz’ora era trascorsa senza che nulla di straordinario fosse avvenuto, quando Buffalo Bill additò l’orizzonte verso oriente, dicendo:

— Lo scorgete ora il fumo?

Tutti si erano voltati in quella direzione. Una specie di nebbia grigiastra si alzava sulla prateria, e si scorgevano numerosi punti nerastri avanzarsi con straordinaria velocità.

— Signor Bill, — disse Blunt, — che sia proprio fumo quello? Io prenderei quel velo per nebbia.

— Se volete assicurarvene, galoppate in quella direzione, — rispose lo scorridore. — Non vorrei, ve lo dico prima, trovarmi nei vostri panni, tanto più che dietro quel fumo trovereste dei Navajoes pronti a scotennarvi.

— Non ne ho alcun desiderio, colonnello, e preferisco credervi senza provare. E quei punti neri che cosa sono?

Coyote che fuggono. Fra poco saranno qui.

— Lupi, insomma.

— Sì.

— Che mangino le gambe ai nostri cavalli?

Tutti i cow-boys erano scoppiati in una risata clamorosa.

— Hanno altro da fare in questo momento, — rispose Bill, pure ridendo. — E poi, non sono coraggiose quelle bestie, e potete lasciare la vostra carabina appesa alla sella. Ragazzi, filiamo, e raggiungiamo il fiume prima che il fuoco ci sia addosso. Il Gran Cañon è al nord e non dispero di arrivarvi prima della mezzanotte, purchè i mustani resistano ancora.

I primi lupi di prateria, cacciati dall’incendio, giungevano già, correndo vertiginosamente.

Quegli animali costituiscono una famiglia intermedia fra le volpi ed i lupi, e non hanno l’aspetto feroce dei lupi siberiani. Hanno la corporatura dei secondi, quantunque assai meno sviluppata, ed il muso e la coda delle prime.

Sono tuttavia robusti, hanno un pelame foltissimo, per lo più giallognolo, con macchie rossastre o brune, e d’inverno cambiano pelliccia e tinta, diventando grigiastri.

Ordinariamente vivono in grossi branchi e non è raro trovare fra di loro qualche grosso lupo grigio, che li aiuta efficacemente nelle cacce contro i daini e anche contro i colossali bisonti, quando questi sono feriti o troppo vecchi per opporre una valida resistenza.

Che manchino veramente d’audacia non si può dire, perchè osano perfino introdursi sotto le tende dei minatori e degli scorridori della prateria. Si guardano invece dall’assalire gli uomini, anche se li trovano isolati. Ed infatti passavano dinanzi e dietro i cavalli, senza nulla tentare contro di loro, solo preoccupati di mettere il maggior spazio possibile fra le loro code e l’incendio che si avanzava minaccioso.

Verso le sette di sera, nel momento in cui il sole precipitava all’orizzonte e le colonne di fuoco cominciavano a distinguersi più nettamente, Buffalo Bill, che faceva sforzi prodigiosi perchè i mustani non rallentassero, mostrò una linea oscura che si stendeva verso il nord.

— È là dietro, il fiume! — gridò con voce giuliva. — Nemmeno questa volta i Navajoes ci tengono fra le mani! Hipp! Hopp! Un’ultima trottata, ragazzi, e lavorate di speroni!

Venti minuti più tardi, il drappello si cacciava in mezzo ad una zona ubertosa, che contrastava vivamente coi terreni aridi dei dintorni, formata da querce nere, da negondos aceroidi dal tronco altissimo, da carrubi, pioppi e da folti cespugli di amelanci.

I nove cavalli, con un ultimo sforzo, l’attraversarono e si slanciarono, senza arrestarsi, in un fiume dalle acque basse e limpidissime, la cui corrente era molto rapida.

Risalita faticosamente la riva opposta, che era pure coperta d’alberi, soprattutto di ciliegi selvatici della Virginia, gli animali, non appena gli uomini furono a terra, si lasciarono cadere pesantemente gli uni accanto agli altri.

— Signori, — disse Buffalo Bill, che aveva ritrovato il suo solito buon umore. — Qui non abbiamo più nulla da temere dall’incendio, perchè siamo protetti dal fiume. Accampiamoci, ma non accendiamo nessun fuoco per allestirci la cena! I Navajoes sono là, e non desidero che ci scorgano.

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