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Capitolo II - Un dramma marittimo
Capitolo I Capitolo III

CAPITOLO II.

Un dramma marittimo.

La scialuppa aveva girato il capo meridionale di porto Stokes ed ora s’avanzava verso l’oceano, lottando faticosamente contro le onde che l’assalivano con violenza, non essendo più protetta dalle scogliere che fino allora avevano fatto argine, scemandone la furia.

Il Pacifico offriva uno spettacolo poco rassicurante, quantunque in quel momento nessuna raffica soffiasse dalla Terra del Fuoco. I cavalloni, trovando ostacolo nella barriera d’isole che si stendono lungo tutte le coste della Desolazione, rimbalzavano rabbiosamente, con detonazioni così violente che parevano prodotte da centinaia di pezzi d’artiglieria.

Si spezzavano, tornavano a formarsi risalendo le coste con impeto irrefrenabile, poi ridiscendevano tumultuosamente lasciando scoperti gli scogli e le spiaggie per lunghi tratti. Quindi riprendevano i loro formidabili assalti causando delle contro-ondate estremamente pericolose, anche per una scialuppa così grossa e così robusta come era quella montata dai minatori delle huaneras.

In mezzo a quelle masse liquide giocherellavano, dirigendosi tutti verso la balena, centinaia e centinaia di micropteri, uccellacci strani, grossi come oche, colle ali così brevi da non permettere loro di volare e che pure in acqua nuotano con incredibile rapidità, aiutandosi coi loro moncherini e coi piedi palmati e riuscendo così a percorrere perfino dieci miglia all’ora.

Si lasciavano cadere dalle rocce della costa a battaglioni e, venendo scaraventati dalla violenza delle onde, si spingevano al largo, lasciandosi dietro una vera scìa spumeggiante, come se fossero microscopici piroscafi. Avevano scorto il cetaceo e accorrevano a prendere parte al banchetto, essendo formidabili divoratori.

Anche i guanaes, ossia uccelli del guano, si dirigevano in bande numerose, schiamazzando a piena gola, verso l’enorme massa, gareggiando, con grande velocità, per giungere prima. Erano stormi di patillos, di marangoni, di sarcillos e di piqueros ed erano così numerosi che un colpo di trabuco avrebbe prodotto delle vere stragi.

— Vanno a contendersi il lardo della balena, — disse José. — Ne rimarrà però sempre in abbondanza anche per noi.

— Nondimeno affrettiamoci, — rispose il vecchio Pardoe.

— Ho veduto fra quei volatili anche degli avvoltoi neri e questi si attaccano più ai cadaveri umani che ai cetacei. Potrebbero guastare i visi dei due marinai e renderli irriconoscibili.

— Speri di riconoscere quei due disgraziati?

— Sono ben pochi i balenieri che non conosco, — rispose il vecchio, — avendo navigato su più di venti navi cilene, argentine ed anche inglesi delle Falkland.

Badate, giovanotti! Date dentro ai remi e attenti ai colpi di mare. Ancora dieci minuti e abborderemo la balena.

Tu José prepara l’ancorotto che passeremo ai fanoni onde poterla rimorchiare in porto; penseremo poi agli uomini.

Già non devono, pur troppo, aver più bisogno del nostro aiuto. —

La barca, spinta da quegli otto remi poderosamente manovrati, si accostò all’immenso cetaceo. Esso aveva gran parte della testa fuori dell’acqua e la bocca spalancata, tenuta così dall’incrociarsi accidentale dei fanoni, che sono quelle lunghe lamine d’osso, dentellate ad uno dei margini e variegate, che scendono diritte, formando una specie di siepe e che forniscono i così detti ossi di balena, che si adoperano nella fabbricazione degli ombrelli di lusso.

Quell’apertura entro cui si precipitavano le onde, muggendo fragorosamente, come se entrassero in una caverna marina, era così immensa da contenere senza fatica la barca e tutti gli uomini che la montavano e di più anche un’altra più piccola.

Vedendola, si sarebbe potuto credere che quella gola fosse stata unicamente creata per inghiottire tuttociò che si presentava; invece no, perchè le balene sono tutt’altro che delle formidabili mangiatrici. Si possono anzi chiamare povere pescatrici che si guadagnano faticosamente il vitto coi loro fanoni e colla loro lingua, contentandosi di una minuscola frittura, che i pesci cani ed i delfini sdegnerebbero.

Il vecchio baleniere assicurò nella mascella inferiore del cetaceo un grosso arpione, munito d’una solida catena, poi allontanò con una spinta la scialuppa per raggiungere il fianco destro della gigantesca massa e tentarne la scalata.

Da una fiocina pendeva una corda, una funicella abbastanza grossa per sorreggere il peso d’un uomo. Il baleniere ritirò dall’acqua la parte sommersa, sperando di trovarvi la tavoletta portante le iniziali del capitano ed il nome della nave.

— Si vede? — chiese José, che si era alzato.

— Non c’è più, — rispose il vecchio. — La corda è stata spezzata.

— Puoi salire sul dorso della balena?

— Spero di sì.

— Lascia a me questo onore, — disse José, scavalcando rapidamente i banchi. — Sono più giovane e anche più svelto. —

S’aggrappò alla funicella e, puntando i piedi sul fianco della balena che era irto di protuberanze, cominciò a salire senza scosse, perchè il rampone non si staccasse o il manico che è di legno, non si spezzasse.

I suoi compagni tenevano la barca accostata per essere più pronti a raccoglierlo, nel caso che cadesse.

Il giovane, forte e destro come era, in pochi momenti raggiunse l’asta e s’inerpicò sul dorso del cetaceo, avanzandosi verso i due cadaveri, che, come abbiamo detto, stavano coricati l’uno presso l’altro.

Erano due uomini sulla trentina, di forme erculee, che indossavano lunghi gabbani di tela cerata, calzoni di grosso panno azzurro e pesanti stivali di mare.

Ambedue avevano lunghe barbe rossiccie ed i lineamenti spaventosamente alterati da una lunga e probabilmente straziante agonia. Le loro gote erano incavate, i loro nasi già incancreniti, la fronte priva della pelle strappata dagli uccelli marini e le orbite vuote.

José era rimasto atterrito, vedendoli in quello stato miserando e si era fermato a qualche distanza osservandoli attentamente per cercare di riconoscerli. Quantunque fossero così malconci, gli pareva che quei volti non gli fossero del tutto ignoti.

— Sono morti? — chiese una voce dietro lui.

Era il vecchio baleniere il quale era riuscito, dopo non lieve fatica, a raggiungerlo.

— Sì, — rispose José, con voce tremante. — Devono essere morti di freddo e fors’anche di sete.

— Non li hai mai veduti?

— Guardali anche tu, Pardoe. —

Il pescatore fece alcuni passi innanzi, poi un grido gli sfuggì dalle labbra.

— Ah! Poveretti!... Povera Mariquita! Che disgrazia! Che disgrazia!...

— Cos’hai, Pardoe? — chiese José, spaventato.

— Non li hai riconosciuti?

— No.... eppure.... quello lì dalla barba rossa ed arruffata ha un viso che non mi pare nuovo.

— Sono i fratelli Doranovo.

— Ne sei sicuro? — chiese José, con voce soffocata, strozzata.

— Hanno pescato tre anni di seguito con me.

— Allora la Rosita si è perduta!...

— Stritolata dalla balena.... inghiottita.... non so.... Povero Alonzo!,... Io sospettavo che una disgrazia fosse piombata sulla sua barca da pesca!...

— Si erano imbarcati con lui questi disgraziati?

— Li avevo arruolati io.

— E come si trovano qui soli? E gli altri? E Alonzo? Che sieno tutti morti?

— Penserà il direttore delle huaneras a fare un po’ di luce su questo naufragio. Lui sa leggere e noi no. —

Il baleniere così dicendo si era curvato sul cadavere più vicino e gli aveva strappato dalla destra un fascio di carte, che teneva fra le dita raggrinzate.

— Che vi sia qualche cosa scritto lì sopra? — domandò José.

— Vedo delle parole.

— Scendiamo subito, amico Pardoe.

— Adagio, prima caliamo questi disgraziati nella scialuppa. Daremo loro onorata sepoltura, invece di lasciarli in pasto alle procellarie e ai gabbiani.

— È inutile, se noi dobbiamo rimorchiare la balena alla spiaggia. Li leveremo più tardi.

— Vediamo prima se hanno altre carte. —

Il pescatore, quantunque provasse un profondo senso d’orrore a toccare quei cadaveri, frugò le loro tasche, assai ampie, che si aprivano dietro il dorso; ma non trovò che un coltello, una pipa, due borse da tabacco vuote, ed un pezzo di matita che pareva fosse stata rosicchiata.

Si mise tutto nella larga cintura di lana che gli stringeva la casacca, poi s’aggrappò alla fune, facendo segno a José di seguirlo.

I minatori, che erano rimasti nella scialuppa, li attendevano con impazienza ed anche con angoscia.

— Sono morti? — chiesero tutti, quando il vecchio e José furono nella scialuppa.

— E da parecchie settimane, — rispose il baleniere, il quale pareva che frenasse a stento le lagrime.

— Chi sono?

— Miei amici.

— Ma chi....? —

Il pescatore, invece di rispondere, fece cenno di riprendere i remi, indicando Porto Stokes.

I minatori, aiutati da José, allontanarono la scialuppa che le onde minacciavano di travolgere, scagliandola contro il capo della balena, assicurarono la catena all’anello di ferro della poppa e si misero ad arrancare poderosamente, rimorchiando l’enorme massa.

Il vecchio Pardoe, seduto a poppa, cupo e triste, non aveva più pronunciato una parola. Solo, di quando in quando, si passava furtivamente la callosa sinistra sul volto rugoso, per asciugare probabilmente qualche lagrima.

— Povero vecchio, tu pensi a Mariquita, — gli disse José, dolcemente. — Forse la disgrazia non è avvenuta; noi non abbiamo ancora conosciuto il contenuto di quelle carte.

Può darsi che quella balena sia stata uccisa da Alonzo e poi perduta, ma che la sua barca da pesca abbia raggiunto egualmente Punta Arenas.

In tal caso la disgrazia non sarebbe così grave come tu immagini.

— Non sono che speranze, — rispose il baleniere, con un sospiro. — Nessuno mi ha detto che la Rosita sia tornata dalla sua campagna di pesca.

— Dove era andata?

— Al Sud del Capo Horn, nell’Antartico.

— Può essere risalita lungo le coste orientali della Terra del Fuoco e rientrata nello stretto dal Capo dello Spirito Santo. Dimmi, vi è una corrente che dal Capo Horn sale verso il Chili?

— Sì, — rispose il baleniere.

— Dunque può darsi che quel cetaceo sia stato ucciso presso una delle numerose isole della costa meridionale della Terra del Fuoco e che poi sia fuggito al nord, venendo a morire in questi paraggi.

— E tu ammetteresti che la Rosita l’avrebbe abbandonata, José? Oh no! Un baleniere non lascia la preda e la cerca fino a che non l’ha trovata.

— Una burrasca può aver costretto Alonzo a doppiare il Capo Horn e tu sai che laggiù scoppiano di frequente e con una violenza terribile.

Suvvia, Pardoe, non ti disperare ancora. —

Il vecchio scrollò tristamente il capo, poi disse con voce sorda:

— Il mio cuore mi dice che una disgrazia è toccata alla baleniera di Alonzo Gutierres, e che Mariquita non rivedrà mai più il suo fidanzato.

Che schianto per quella povera fanciulla e anche pel signor Lopez!

— Dimmi, Pardoe, a quest’ora tutte le baleniere dovrebbero essere tornate ai loro posti, è vero?

— Sì, — rispose il vecchio, — e da qualche mese. In Giugno la pesca finisce e anche prima, per non esporre le navi al pericolo di venire bloccate dai ghiacci che in questa stagione scendono molto verso il nord.

— Quando partiremo per Punta Arenas?

— Il più presto possibile: questa sera stessa e anche prima, se otterremo il permesso dal signor Dalmanda.

— Non ce lo rifiuterà, trattandosi di una cosa così grave.

Ecco le scialuppe della Pillan che ci vengono in aiuto per rimorchiare la balena. Fra un quarto d’ora saremo a terra e sapremo che cosa contengono questi foglietti.

— Nulla di buono, purtroppo, José, — rispose il baleniere, con un sospiro. — Facciamo presto. —

Due scialuppe, montate da una dozzina d’uomini appartenenti alla nave che stava completando il suo carico di guano, erano uscite dal porto per prestare aiuto ai minatori, i quali faticavano immensamente a trascinare il cetaceo che le onde trastullavano, minacciando di spezzare la catena.

Con quel rinforzo l’entrata nel porto non fu così difficile come i minatori avevano dapprima temuto. Le tre scialuppe, manovrando abilmente, si misero al coperto dietro la barriera degli scoglietti i quali facevano argine all’irrompere dei cavalloni. Così, passando dietro la Pillan, la quale aveva abbassata la bandiera a mezz’asta in segno di lutto, si fermarono dinanzi al gruppo di capanne provvisorie erette dai minatori.

Tutti gli abitanti del porto si erano raccolti sulla spiaggia per ammirare il mostro marino, curiosi di sapere chi fossero i due disgraziati che si trovavano rannicchiati sul dorso gigantesco.

Mille domande s’incrociavano.

— Sono morti?

— Sono stati riconosciuti?

— Cileni o argentini?

— Avete trovato la tavoletta di sughero? —

Il vecchio Pardoe aveva risposto queste sole parole:

— Avvertite il signor Dalmanda. —

Poi era balzato a terra, seguito da José, mentre i marinai della Pillan ed i minatori della scialuppa assicuravano con gomene e catene l’enorme balena, per impedire ai marosi di spingerla verso il fondo della baia o di ricondurla al largo.

— Che cosa dobbiamo fare di quei due cadaveri? — chiese un minatore, fermando il baleniere.

— Che nessuno per ora li tocchi, — rispose il vecchio.

— E della balena?

— Tornate alle huaneras e completate il carico della Pillan. Domani vi occuperete di questo mostro.

Vi sono uomini pratici fra voi?

— Sì, Pardoe. Una ventina sono stati balenieri come voi.

— A domani. —

Il vecchio e José si diressero verso una casettina costruita in pietra, ad un solo piano, abitata dal direttore delle huaneras e, senza farsi annunciare, entrarono in una stanzetta, l’unica che serviva ad un tempo da ufficio, da stanza da pranzo e da camera da letto.

Il signor Dalmanda, che pareva non si fosse ancora accorto di nulla, s’alzò dietro il suo scrittoio ingombro di carte coperte di cifre, salutando con un gesto della mano i due sorveglianti.

Il direttore della miniera era un bell’uomo, sulla quarantina, alto, ben quadrato, col colorito assai bruno e gli occhi nerissimi ed intelligenti.

— Già tornato, Pardoe? — chiese.

— Voi sapete, signor Dalmanda....

— Sono stato avvertito della vostra spedizione e quantunque mi prema assai terminare per questa sera il carico, l’ho approvata pienamente. Una balena vale molte migliaia di scudi e sarebbe stata una sciocchezza a perderla.

— È vero, signor Dalmanda, ma voi non sapete che cosa abbiamo trovato sul dorso del cetaceo, — disse Pardoe.

— Due cadaveri, mi hanno detto.

— Che io ho riconosciuti, signore.

— Voi?...

— Facevano parte dell’equipaggio della Rosita.

— Di Alonzo Gutierres?.... Di quel bravo e disgraziato ufficiale della marina argentina?

— Sì, signore.

— Una disgrazia a lui! — esclamò il direttore con voce commossa. — Me ne rincrescerebbe assai per lui e per don Lopez d’Orellana.

— Tutto lo fa supporre, ma voi diluciderete meglio la cosa, perchè abbiamo trovato nella tasca di uno di quei due marinai dei documenti che vi sarà facile decifrare.

— Dei documenti! — esclamò il signor Dalmanda. — Date; date qua subito, Pardoe.

Forse potremo sapere qualche cosa della sorte toccata alla Rosita. Oh! lo sospettavo! Questo ritardo mi inquietava.

— Voi dunque sapevate che non era tornato a Punta Arenas? — chiese il baleniere, stupito.

— Gutierres mi aveva promesso che, appena terminata la pesca, sarebbe venuto a caricare guano per alcuni piantatori dell’isola di Chiloe e, come avete veduto, non si è fatto più vivo.

— Ah! mio Dio! — esclamò Pardoe, impallidendo.

Si slacciò rapidamente la fascia di lana rossa e levò il foglio che era ancora piegato in quattro.

Il signor Dalmanda lo spiegò, con una certa agitazione che gli faceva tremare le mani e vi gettò sopra uno sguardo.

— Questo è un passaporto intestato a Solano Pananos, rilasciato dalle autorità di Valdivia.

— Aspettate, signore, — disse José. — Vi sono delle parole scritte a matita e molte. —

Il direttore obbedì. La parte opposta del passaporto era coperta di parole scritte con una matita, assai irregolari, come se la mano che le aveva vergate fosse stata assai malferma, ma però abbastanza intelligibili. Le lettere erano grandi e rotonde, per lo più staccate l’una dall’altra, una vera calligrafia da marinaio le cui mani, abituate a tirare le grosse gomene, male si adattano a stringere una sottile asticciuola.

— Leggete, signore, leggete, — disse Pardoe, con voce alterata.

Il signor Dalmanda indugiò alcuni momenti, non riuscendo sulle prime a ben comprendere quella calligrafia, poi lesse lentamente:

« 19 Giugno 1859.

« Nel momento di comparire dinanzi a Dio, giacchè ho perduta ogni speranza di venire salvato, faccio la seguente dichiarazione perchè non s’incolpi nessuno della mia morte, nè di quella di mio fratello Alfonso.

« Ci siamo salvati su questa balena aggrappandoci alle lenze, nel momento in cui la nostra scialuppa veniva sfondata da un colpo di coda che deve aver ucciso tutti i nostri compagni.

« Non sappiamo che cosa sia accaduto della Rosita, comandata dal capitano Alonzo Gutierres, che avevamo lasciata disalberata presso la punta orientale dell’isola degli Stati, a quindici miglia dal Capo John.

« Per ventiquattro ore abbiamo potuto scorgerla che andava alla deriva verso le coste della Terra del Fuoco, contro le quali sarà probabilmente naufragata.

« Vi erano ancora a bordo il capitano e cinque uomini.

« La balena, ferita, ci ha spinti all’ovest del Capo Horn, ed è morta in vista dell’isoletta di Hope.

« Le nostre sofferenze sono state atroci. Il grasso della balena ci ha prodotto continuamente vomiti ed il freddo, e soprattutto la sete ci hanno ridotti in uno stato miserando.

« Mio fratello è morto il 30 Giugno ed io sto per seguirlo. Che Dio abbia misericordia di noi.

« Solano Darranos ».

Il signor Dalmanda, Pardoe e José, dopo quella lettura, erano rimasti per alcuni momenti silenziosi, guardandosi l’un l’altro con angoscia. La dichiarazione del povero pescatore, scritta probabilmente poche ore prima di morire, non lasciava più alcun dubbio sulla sorte toccata alla Rosita ed al fidanzato di Mariquita.

Tutti tre erano pallidissimi e gli occhi del vecchio pescatore di balene erano umidi.

— Che cosa ne dite, signore? — chiese finalmente José, rompendo quel triste silenzio. — Che sia perduto il signor Gutierres?

— Questo documento lo conferma, — rispose il direttore. — Se era disalberata la Rosita ed andava alla deriva verso le coste della Terra del Fuoco, vuol dire che quella nave non si governava più e che non aveva alcuna possibilità di evitare le orribili scogliere di quella inospitale regione.

— Che cosa mi consigliereste di fare, signore? — chiese Pardoe, con un singhiozzo.

— Di armare subito la vostra scialuppa e di recarvi senza indugio a Punta Arenas ad avvertire il padrino di Mariquita.

— E cercare di organizzare una spedizione di soccorso, — soggiunse José.

— E come? — chiese Pardoe. — Non vi sono barche da pesca a Punta Arenas, capaci di spingersi fino al di là del Capo Horn, specialmente in questa stagione.

— Sì, ve n’è una, — rispose José.

— Quale?

— Quella di Piotre.

— La Quiqua? E tu credi che Piotre, che odia tanto Alonzo, si metta in mare per andare a salvare il suo rivale! Oh, non ci pensare nemmeno, José.

Quell’uomo sarà ben felice di apprendere la notizia del naufragio e non si moverà per tutto l’oro del mondo, perchè vedrà rinascere la speranza di far sua un giorno Mariquita.

— È vero, — disse il signor Dalmanda. — Si odiano troppo quei due cugini.

— Allora tutto è perduto, — disse José, con scoraggiamento. — I selvaggi della Terra del Fuoco sono cattivi, anzi si dice che siano perfino cannibali e non risparmieranno i naufraghi.

— Si potrebbe andare a Valdivia e là noleggiare una nave, — disse Pardoe.

— E perdereste un tempo troppo prezioso, — rispose il signor Dalmanda. — Vecchio mio, partite e fate il possibile per indurre il padre di Mariquita a ottenere appoggi dal governatore.

So bene che la stagione è assai inoltrata, che le burrasche fra poco renderanno la navigazione del Capo Horn pessima e anche pericolosissima per le navi di piccola portata, e tuttavia non dovete lasciare quel bravo Alonzo nelle mani dei selvaggi o su qualche isola deserta, e mancante di tutto. Siete capaci di tornare soli a Punta Arenas, o volete alcuni uomini?

— La mia scialuppa è maneggiabile e porta velatura, — rispose il baleniere. — Fra me e José sapremo giungere, e presto, a Punta Arenas, tanto più che il vento è in questo momento favorevole.

— Sì, basteremo noi due, — disse il giovane sorvegliante.

— Io vi farò mettere da parte ciò che vi spetterà dalla vendita degli spermaceti e dei fanoni della balena.

— Grazie, signor Dalmanda, — disse Pardoe.

— Prendete liberamente le provviste che vi possono essere necessarie, nel magazzino delle miniere. Io rispondo di tutto. —

Riconsegnò al vecchio baleniere il documento e li accompagnò fino alla porta, stringendo loro la mano ed augurando buon viaggio.

— Brav’uomo e di cuore, quel signor Dalmanda, — disse José.

— Sì, — rispose Pardoe. — Andiamo a fare subito i nostri preparativi ed a liquidare i nostri conti, perchè noi non torneremo più qui. Il signor Lopez non lascerà Alonzo in una situazione così critica.

— E la nave dove trovarla?

— Non so, però ti dico che noi non ci fermeremo a Punta Arenas. Non voglio veder piangere Mariquita, dovessi girare la Terra del Fuoco colla mia scialuppa.

— Sarebbe tentare la morte. Intraprendere un simile viaggio in questa stagione e con una barca senza ponte e priva di comodità. Quale pazzia, Pardoe.

— Sarà una pazzia, ma, se non troveremo alcun ordine, io partirò, José, te lo giuro. — ... non si allontanarono dalle loro tende, nè accennarono a far uso delle armi, limitandosi a seguire con lo sguardo i due cavalli. (Cap. V)

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