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CAPITOLO III.
I canali dello Stretto di Magellano.
Un’ora dopo, la scialuppa lasciava porto Stokes, fra gli auguri e gli addii di tutti i minatori che si erano raccolti sulla spiaggia.
Il vecchio baleniere aveva fatto alzare l’albero e spiegare la randa ed i due fiocchi del bompresso, essendo la scialuppa troppo pesante per quattro remi per quanto robustamente manovrati. Inoltre, il viaggio era troppo lungo, trovandosi Punta Arenas assai lontana dall’isola della Desolazione e molto dentro lo Stretto di Magellano.
Il vento fortunatamente era favorevolissimo, soffiando costantemente dall’ovest, e permetteva quindi ai due sorveglianti di poter giungere facilmente nel canale di Cookburn e di risalire con pari facilità verso il nord-est, costeggiando l’isola Clarence. La scialuppa, appena uscita dal porto e girata la punta meridionale, si mise a seguire la costa tenendosi al riparo dalle numerose isolette che sorgono qua e là intorno alla Terra della Desolazione, formando dei veri canali.
Quelle isole, che sono in parte collegate fra di loro da alte scogliere, provocavano sul davanti delle ondate gigantesche che la scialuppa non avrebbe potuto affrontare impunemente; dietro di quelli invece regnava una certa calma, non potendo i cavalloni entrarvi che già infranti. Nondimeno anche in quei canali il mare era agitatissimo, specialmente là dove le scogliere e le isole lasciavano dei varchi.
Il vecchio baleniere e José manovravano con rara abilità, essendo stato anche quest’ultimo marinaio, prima di diventare sorvegliante delle huaneras. Il primo teneva la barra del timone; il secondo s’occupava della velatura dei flocchi, pronto a ridurla quando dalle gole della Terra della Desolazione minacciavano di irrompere qualcuna di quelle terribili raffiche che tutti i naviganti di quelle regioni temono peggio di un vero uragano.
L’aspetto che offrivano tutte quelle isole, disseminate su quell’oceano sempre furioso, era tale da impressionare anche il vecchio baleniere, quantunque abituato a navigare in quei paraggi. Pareva che una formidabile scossa di terremoto avesse anticamente disgregato qualche immensa isola, disperdendone i frammenti in tutte le direzioni.
Era un attruppamento di rocce aperte e nerastre, tagliate a picco, alcune altissime ed inaccessibili; di scogli e di scoglietti che s’incrociavano in mille modi, che ora apparivano ed ora scomparivano sotto le folate di spuma avventate dai cavalloni, fra un rombo continuo ed assordante.
Nessuna pianta, nemmeno dei licheni, nemmeno dei miseri muschi, crescevano in quelle terre battute eternamente dagli uragani. I naviganti non avevano avuto torto a chiamarle terre desolate, perchè nessun essere umano vi sarebbe potuto vivere.
Era quello invece il regno dei volatili.
Tutte le spiaggie delle isole e le cime delle scogliere ne erano piene.
Torme immense di volatili stavano allineate sulle rupi, guardando stupidamente le onde e gridando a piena gola dietro alla scialuppa.
Si vedevano le urie, schierate su tre ranghi, occupate a dare dei concerti scordati; delle lunghe file di micropterus, grossi come oche, stravaganti volatili che hanno la testa grigia colle sopracciglie bianche così marcate che sembrano occhiali, l’addome giallastro, il becco aranciato, per ali dei moncherini, e che ingrassano talmente da non poter più volare; degli senops aura che quando si vedono inseguiti, vomitano uno sterco così puzzolente da far fuggire qualsiasi cacciatore, anche se privo del naso; dei brutti milvago coi becchi così larghi che sembrano bocche e dei battaglioni di chocphaghe, specie d’oche di forma elegante, col corpo nero macchiato di punti bianchi, e con il becco cortissimo.
Il baccano che facevano quelle migliaia e migliaia di volatili era tale, che, in certi momenti coprivano perfino i muggiti formidabili delle onde.
La scialuppa, che aveva raggiunta una velocità di sei o sette miglia all’ora, tenendosi sempre dentro quella specie di canale, verso le quattro pomeridiane raggiungeva felicemente l’imboccatura dello Stretto di Cookburn, il quale è formato dalle coste meridionali dell’isola della Desolazione e da quelle occidentali di Clarence; passo assai largo e non molto facile a percorrersi, essendo ingombro di banchi e di scoglietti e sempre battuto dalle onde del Pacifico che vi entrano liberamente.
Il vecchio baleniere e José, manovrando con prudenza, vi si cacciarono dentro poggiando subito verso le spiaggie di Desolazione, per mettersi al riparo dei cavalloni che percorrevano lo stretto con velocità straordinaria, irrompendo dentro quel vasto bacino formato dalle isole sopraccennate, dalla costa Patagone, dall’isola Dawsore e dalle alte e orribili sponde della Terra del Fuoco.
— Avremo da sudare, — disse José al baleniere, guardando attentamente le alte e brulle montagne delle isole e le profonde vallate. — Qui i williwans si devono far sentire assai violenti.
— Ne riceveremo più di uno di quei tremendi soffi di vento, — rispose il baleniere. — Per nostra fortuna siamo assai bassi e con un colpo solo possiamo calare la randa.
Probabilmente ci investiranno stasera, poichè il vento accenna a girare al sud-ovest.
Non aver paura, José, io rispondo della mia scialuppa e domani, all’alba, noi saremo a Punta Arenas, a casa di don Lopez.
— Non andremo da lui, Pardoe. Lo manderemo a cercare, affinchè Mariquita apprenda la triste notizia da lui.
— Hai ragione, amico, — rispose il baleniere, sospirando. — Io non avrei il coraggio di raccontare ogni cosa a quella fanciulla. Oh! che colpo! che colpo per quella poveretta!...
— Glielo ritroveremo il suo Alonzo, amico Pardoe. Don Lopez lo ama troppo quel bravo marinaio per abbandonarlo e poi è ricco e quando si posseggono molti quattrini tutte le imprese riescono facili.
— Non sarà facile questa, te lo dico io, José, — disse il vecchio. — È sempre la questione della cattiva stagione e della mancanza d’una solida nave capace di resistere alle bufere che imperversano nei paraggi dell’Horn.
— Eppure ve ne sarebbe una... Ed anche un uomo audace, intrepido, valente marinaio, forse il solo capace di condurre a buon termine una simile impresa.
— La Quiqua e Piotre?
— Sì, José, ma pur troppo non dobbiamo fare assegnamento nè sull’una nè sull’altro.
— Chissà!
— Che cosa speri?
— Se Mariquita lo pregasse?
— Hum! rivolgersi all’uomo che ha respinto! Eppoi lui non acconsentirebbe mai, — disse il baleniere. — Lo conosco troppo bene quell’uomo.
— Potrebbe arrendersi alle lagrime della fanciulla che ha tanto amata.
— E che probabilmente ora odia con tutte le sue forze. Bada alla scotta, José. Entriamo in un canale pericoloso che le williwans spazzano di frequente. —
La scialuppa cominciava a faticare assai, essendo le acque dello Stretto di Cookburn assai agitate, in causa dei precedenti colpi di vento.
L’isola di Clarence era stata superata ed il canale s’allargava considerevolmente, formando un immenso estuario chiuso da ogni parte da aspre ed altissime spiaggie rocciose, per lo più tagliate a picco, e da montagne d’aspetto orribile e selvaggio, le cui cime erano coperte di neve.
Al nord giganteggiava il Qurney, un picco enorme che sorge isolato all’estremità di King-William, sulla costa patagone e che spinge la sua cima a mille e novecento metri; verso l’est invece spiccava il capo Tamar, roccia imponente, che cade a piombo sul mare; all’ovest le orride montagne della Terra di Desolazione.
Alla base di quei giganti si scorgevano cupe foreste di faggi, di mirti e di felci le quali salivano gradatamente verso gli altipiani superiori, ed immensi strati di licheni e di muschi che parevano grondanti d’acqua.
Nessun canotto, nessuna scialuppa solcava le acque tormentate di quella profonda baia. Dovunque uccelli invece, che svolazzavano in bande sempre più numerose e che gremivano gl’isolotti, le scogliere e le spiaggie e non mostravano di preoccuparsi affatto della presenza dei due naviganti.
Alle otto di sera la scialuppa passava dinanzi all’ancoraggio di Plaza Parda e s’inoltrava nello stretto di Magellano il quale si prolunga per sette miglia e in certi punti è largo solamente tre, per internarsi un’ora dopo nel Long-Reak, altra porzione di canale che ha una lunghezza di trenta miglia.
La notte era diventata oscurissima, essendo il cielo ancora coperto di nuvoloni; pure la scialuppa continuava impavida la sua corsa, lottando sempre con le onde che si frangevano con furore contro le rupi della costa patagone da un lato e contro quelle della Terra del Fuoco dall’altro.
Il vento aveva raddoppiato di violenza, costringendo José a prendere terzaruoli sulla randa e ad una continua vigilanza per non lasciarsi sorprendere dalle raffiche che talvolta piombavano all’improvviso dalle vallate della Terra del Fuoco.
Il vecchio baleniere faticava assai a mantenere la scialuppa sulla buona direzione ed a evitare i numerosi scoglietti che sono disseminati nello stretto.
I colpi di mare si succedevano con frequenza inquietante e qualcuno più violento sbalzava la scialuppa ora verso l’una ed ora verso l’altra costa, minacciando di fracassarla.
Tuttavia verso le undici navigavano nell’Ersoked Reak, così chiamato per la sua forma storta, un canale assai difficile anche questo.
Sulla loro destra distinguevano confusamente El Morion, enorme scoglio che si scorge a grande distanza e, sulla sinistra il Quod, altro scoglio che rassomiglia ad un castello feudale diroccato da qualche tremenda esplosione.
Il mare anche in quel luogo era pessimo e metteva a dura prova l’abilità del vecchio baleniere e la pazienza di José, il quale non poteva riposarsi un solo momento, essendo costretto ad allentare od a stringere continuamente le scotte della randa e quelle dei due piccoli fiocchi.
Le onde, non trovando sufficiente sfogo, si scagliavano con inaudita violenza contro le due coste, rimbalzando a prodigiosa altezza. Era un vero miracolo se la scialuppa non veniva rovesciata o frantumata.
— Ehi, Pardoe, — disse José, il quale cominciava ad inquietarsi. — Che ci sia pericolo che il nostro viaggio finisca qui? Mi pare che il mare, invece di calmarsi, diventi sempre più irato e che la nostra scialuppa non sia più capace di tener testa a questi dannati colpi.
— Non ti dico che la nostra situazione sia molto allegra, tuttavia se possiamo imboccare l’English Reak ed evitare l’isola Carlo e quella dei Mammouth, potremo giungere a destinazione. Se poi non potremo più resistere, cercheremo intanto un rifugio nella baia di Fortiscue, la quale non è molto lontana.
— Preferirei quella della Fame.
— Vedremo, José. Io spero di tirare innanzi senza fermarmi in nessun luogo. Vedi l’isola Carlo III?
— La sento.
— Come sarebbe a dire?
— Non odi questi rombi sulla nostra destra?
— Sì, sono le onde che vi si frangono contro, — rispose Pardoe, dando un colpo al timone.
— Il peggio sarà quando noi avremo passato il capo Forward. Specialmente là, fra i canali delle isole della Terra del Fuoco che i williwans si fanno sentire. Bada che il fanale non si spenga o che non venga portato via dalle onde.
— L’ho legato con un doppio gherlino, — disse José.
— E sii pronto a lasciar cadere la vela.
— Non dubitare, amico. —
La scialuppa, sempre vivamente sballonzolata da quelle onde che irrompevano con furia attraverso al canale, passò a babordo dell’isola Carlo III, fuggendo lungo la penisola di Brunswick, superò facilmente anche l’isola dei Mammouth, rifugio preferito d’una moltitudine di gabbiani i quali coprono alla lettera le sue rupi e alle due del mattino girava il capo Forward, che forma l’estremità più avanzata del continente americano e che ha un’altezza di ben ottocento metri.
Lo stretto cominciava a diventare tortuoso e quindi anche più pericoloso.
A destra ed a sinistra si scorgevano confusamente numerosi isolotti, i quali formavano una serie di canaletti, entro cui i cavalloni si dibattevano con furore spaventoso.
Era quello il passaggio più difficile, temuto da tutti i naviganti, perchè appunto lì si scatenano improvvisamente quelle raffiche formidabili che schiantano d’un colpo solo le più robuste alberature delle navi, se gli equipaggi non fanno cadere a tempo le vele.
Quei soffi poderosi sollevano le acque dello stretto ad altezze straordinarie e le scagliano verso la costa con tale violenza, da farle risalire sulle spiaggie per varie centinaia di metri. Guai alle navi che si trovano ancorate dentro quei seni! Vengono trascinate contro le rupi e sfracellate.
Fortunatamente pei due sorveglianti, in quel momento uno strappo si era manifestato fra le nubi e la luna aveva cominciato a far capolino, illuminando le isolette, le scogliere ed il Sarmiento, imponente montagna, sempre coperta di neve, che spinge la sua cima a 2128 metri.
Le raffiche si facevano sentire ad intervalli di pochi minuti l’una dall’altra, sollevando delle vere cortine d’acqua che subito si polverizzavano. Si annunciavano con mille sibili, che si cangiavano ben presto in ruggiti formidabili e irrompevano tutte dalle selvagge vallate della Terra del Fuoco.
La scialuppa non riusciva a mantenere la sua rotta che con grandi fatiche. Balzava sulle creste, come se fosse un semplice turacciolo, si precipitava violentemente negli abissi dai quali pareva che non dovesse più uscire, poi presa dai venti che avevano talvolta un moto circolare, girava su sè stessa come se si trovasse nel mezzo d’un vortice.
Anche il baleniere era diventato pallidissimo, temendo di non poter più resistere alla furia dei venti e delle onde: pure non aveva ancora alcuna intenzione di cercare un rifugio. Sapeva di non essere ormai molto lontano da Punta Arenas e voleva raggiungerla prima che l’alba spuntasse.
D’altra parte, non aveva perduta la sua fiducia sulla robustezza della sua scialuppa, che passava per una delle migliori di tutto il litorale.
Fatta ridurre ancora la vela di poppa a minime proporzioni e fatto abbattere un fiocco, si diresse verso il Capo S. Isidoro, tenendo la prua verso il monte Fava, e procurando di mantenersi in mezzo al canale per non urtare contro quella moltitudine d’isolotti che si staccavano dalla Terra del Fuoco.
Fu una lotta però lunga e faticosissima, durante la quale più volte la scialuppa corse il pericolo di perdere l’alberello e anche di venire scaraventata sull’una o sull’altra delle due coste.
Soltanto verso le cinque del mattino potè raggiungere il Porto della Fame, insenatura abbastanza larga per accogliere delle navi anche di grossa portata e abitata a quel tempo da pochi pescatori.
— Laggiù vi è Piotre, — disse il baleniere a José. — Mi parve d’aver veduto la sua barca da pesca dietro quell’isolotto. Quello è tornato e forse con un buon carico, ma l’altro no. —
Mandò un sospiro, e drizzò la scialuppa verso oriente. I colpi di vento erano cessati, ma le onde erano sempre pericolose.
Punta Arenas era ormai vicinissima ed ai primi albori si distinguevano le rupi che circondano quella colonia cilena perduta all’estremità del continente americano.
Pardoe fece sciogliere le legature della vela di poppa, per prendere maggior vento ed aumentare la velocità e alle sette del mattino, nel momento in cui gli abitanti cominciavano a uscire dalle case, giungeva dinanzi alla piccola gettata, presso il fortino di legno su cui ondeggiava maestosamente la bandiera cilena.