< La Stella dell'Araucania
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Capitolo XI - Sull’Atlantico
Capitolo X Capitolo XII

CAPITOLO XI.

Sull’Atlantico.


Era una terribile partita quella che stava per impegnare l’audace baleniere, perchè lo stretto di Magellano è uno dei più difficili e anche dei più pericolosi a percorrersi, quando i williwans soffiano dalle gole della Terra del Fuoco e quando la nebbia impedisce di scorgere le innumerevoli scogliere che lo ingombrano e che hanno già fracassate, dal giorno della scoperta di quel passo fino ad oggi, un numero infinito di navi.

Lo stretto di Torres che separa l’Australia dalla Papuasia, che gode una così trista fama fra le genti di mare, nel confronto è meno temibile. Ed infatti, se è disseminato di banchi e di scogli coralliferi che ogni anno aumentano per l’incessante lavorìo delle madrepore, almeno non è spazzato da venti furiosi.

Giacomo Bove, il compianto esploratore e navigatore italiano, che ha visitato e rilevati i passi più difficili dello Stretto magellanico per conto del governo argentino, ha provato l’impeto di quelle raffiche terribili e, non ostante la sua perizia e valentìa marinaresca, ha dovuto lasciare la sua goletta sventrata su quelle rocce formidabili.

La Quiqua nondimeno s’avanzava senza esitare, guidata dal ferreo braccio del baleniere. Dopo d’aver fatta una breve bordata per evitare dei banchi che già Piotre aveva rilevati al mattino, prima che calasse la nebbia, si era diretta lentamente verso il canale dove si udivano le onde rompersi contro le rive con cupi muggiti, che l’oscurità della notte rendeva più paurosi.

Nessuno sapeva se vi erano ancora banchi di ghiaccio che potessero impedire la marcia. Piotre del resto era risoluto a speronarli ed aprirsi il passaggio a viva forza.

Tutti gli uomini s’erano disposti ai bracci delle manovre e alle scotte della randa, pronti ad obbedire al primo comando del baleniere. In alto, sul castello di prora, sondavano l’acqua e ascoltavano attentamente il rompersi delle onde.

Mariquita, avvolta in un pesante mantello di vigogna, col cappuccio calato sulla fronte, si era collocata a poppa a breve distanza da Piotre, assieme a papà Pardoe ed al signor Lopez.

Quantunque in quel momento si decidesse non solo la sorte della Quiqua, bensì anche quella di Alonzo, l’uomo che sempre tanto adorava, si mostrava tranquilla. Forse aveva una fiducia illimitata nella valentìa del baleniere, che suo malgrado era costretta ad ammirare.

In mezzo ai fischi ed ai ruggiti dei williwans si udivano ancora le urla formidabili dei patagoni e qualche bola fiammeggiante solcava il nebbione, con sibili acuti, spegnendosi in mare; nondimeno ormai quei pericolosi e giganteschi avversari, non erano più da temere.

Era bensì vero che potevano radunarsi alle due estremità delle penisolette che formavano la baia e salutare la nave con un secondo bombardamento, tuttavia nessuno più se ne preoccupava.

In quel momento i veri nemici erano i colpi di vento e le scogliere dello stretto.

— Se potremo imboccare il canale, Piotre sarà bravo, — disse il signor Lopez a papà Pardoe. — Nessun capitano avrebbe osato lasciare l’ancoraggio con un tempo simile e sopratutto con questa nebbia che non permette di discernere nemmeno le rive.

Che cosa ne dici, vecchio mio?

— Dico che ho conosciuto tanti marinai nella mia vita; e mai uno più abile e più audace di questo, signor Lopez, — rispose il pescatore.

Il signor Alonzo non potrebbe eguagliarlo, quantunque anche lui sia tenuto in conto come uno dei migliori balenieri.

— Tu dunque credi che noi riusciremo a raggiungere l’oceano Atlantico?

— Non ne dubito, signore, quantunque abbiamo ancora da attraversare la barriera di ghiaccio che abbiamo osservato stamane.

Anche lì avremo un osso duro da rodere, ve lo dico io, tuttavia il signor Piotre se la caverà con onore e con fortuna.

Canarios! Che buio! Io non vedo più nulla nè a babordo, nè a tribordo. Come fa a dirigersi il signor Piotre? Che abbia gli occhi dei gatti? È un uomo straordinario, davvero!

— Quanto entusiasmo per lui, papà Pardoe, — disse Mariquita, un po’ ironicamente.

— Che cosa volete, lo ammiro da vecchio marinaio, — rispose il pescatore. — Non ve ne avrete a male.

— Oh no, Pardoe. Che sia valente ed audace, lo vedo anch’io.

— Facciamo attenzione! Dobbiamo essere vicini al canale. —

La Quiqua s’avanzava penosamente, sollevata dalle onde e sbattuta da quei soffi formidabili che ululavano e fischiavano fra il sartiame, facendo incurvare non solo i pennoni, ma anche gli alberi. Pareva che in certi momenti dovessero spazzare di un solo colpo la coperta e portarsi via ad un tempo uomini ed alberatura.

La violenza dei cavalloni intanto aumentava. Arrivavano uno dopo l’altro, con muggiti assordanti, salendo fino sul castello di prora della baleniera che inondavano, minacciando di travolgere i due marinai che scandagliavano senza posa la profondità delle acque.

A destra ed a manca si udivano rompersi contro le rive e contro le scogliere, con detonazioni così violenti che talvolta non si potevano udire più i comandi di Piotre.

La nebbia, lacerata dai williwans, turbinava sopra la nave e in qualche momento l’avvolgeva in modo tale, che gli uomini di poppa non riuscivano più a scorgere quelli di prora.

In mezzo a quei vapori venivano pure travolti gran numero di uccelli marini che cercavano di fuggire sulla terra magellanica. Passavano a ondate, mandando grida rauche di terrore e non pochi, urtando contro l’alberatura che non riuscivano ad evitare, cadevano sulla tolda morti o feriti.

Ad un tratto fra quei fragori e quei ruggiti assordanti, la voce di Piotre si fece udire.

— Pronti a virare! Entriamo nello stretto! Attenti alla risacca, gli uomini di prora! Bordate! —

La Quiqua, obbedendo all’azione del timone e delle vele, aveva piegato bruscamente verso tribordo. Aveva lasciata la baia ed entrava nuovamente nello stretto, fuggendo verso l’est.

Le acque, rinchiuse fra le alte sponde della Patagonia e della Terra del Fuoco e sollevate dai williwans, erano agitatissime.

I cavalloni, non trovando sfogo e non riuscendo ad aprirsi un passaggio, si ritorcevano e, cozzando contro quelli che stavano per giungere, alzavano tali ondate che certe volte tutta la coperta della baleniera ne veniva spazzata.

Pezzi di ghiaccio si frantumavano contro i bordi, scagliando i loro frammenti perfino addosso agli uomini, i quali faticavano assai ad evitarli.

— Nella vostra cabina, señorita! — gridò Piotre, che si era accorto del pericolo. — Le onde spazzeranno la coperta.

— No, — rispose Mariquita che si teneva aggrappata alla pompa.

— Volete essere portata via? Questo non è il posto delle donne, — riprese Piotre con stizza.

— Pretendo di valere quanto uno dei vostri marinai.

— Tanto peggio per voi se vi accadrà una disgrazia, — disse il baleniere, con voce quasi brutale.

Tuttavia non gli rincresceva di vederla sfidare le onde. Se ella ammirava Piotre, questi si mostrava fiero della donna che un giorno avrebbe dovuto seguirlo nell’oceano Artico, alla pesca dei giganti del mare.

La guardava spesso, stupito di vederla così tranquilla, fra quell’orribile rimescolìo delle onde ed in fondo al cuore sentiva ridestarsi per quella fanciulla, più forte e più ardente che mai, la passione che aveva distrutto un giorno la sua felicità.

Non dimenticava però la sua nave e la guidava sempre con impareggiabile abilità, cercando di tenerla nel mezzo del canale, temendo sempre di sentirsela sfasciare sotto i piedi. Le sue braccia poderose non cedevano ai sussulti ed alle scosse della barra ed aveva gli occhi dappertutto, ai suoi uomini, alle vele, alle due rive. Sapeva di giuocare una carta pericolosissima e la giuocava con calma, con sangue freddo, risoluto e anche fidente di guadagnare la partita.

La rotta era terribile, perchè le raffiche tendevano sempre a sospingere la baleniera contro la costa patagone e le onde la scuotevano disordinatamente, assalendola da tutte le parti con furia incredibile.

Pareva che ad ogni istante la chiglia dovesse toccare su qualche fondo o sventrarsi su qualche scogliera. Tutti erano diventati pallidissimi, perfino il vecchio Pardoe, e una profonda angoscia stringeva tutti i cuori. Tutti, no, quello di Piotre era sempre tranquillo e non tremava ancora.

Per tre ore la Quiqua continuò la sua corsa, lottando gagliardamente e anche vittoriosamente contro i venti e le onde, poi una calma improvvisa successe. I cavalloni erano diventati più larghi e meno impetuosi e le raffiche erano bruscamente cessate. Anche i muggiti e gli scrosci non si udivano quasi più, come se non esistessero più sponde nè scogliere.

— Dove siamo noi? — chiese il signor Lopez. — Che cosa è avvenuto?

— Giù le àncore! — gridò in quel momento Piotre. — Aspetteremo qui l’alba. —

Quindi, ceduta la barra ad un timoniere, s’avvicinò al signor Lopez e a Mariquita.

— Potete ritirarvi nelle vostre cabine; ormai non corriamo, almeno per questa notte, più alcun pericolo. La terribile prova è finita.

— Siamo già usciti dallo stretto?

— Siamo nel golfo di Possession, signore, e qui i williwans non sono più da temersi e nemmeno i Patagoni.

— Ci fermeremo qui fino a domani?

— Vi devono essere dei ghiacci all’uscita del golfo, — rispose Piotre, — e non oso affrontarli con questa oscurità. A mezzodì, se tutto andrà bene, noi navigheremo nell’Atlantico. Buona notte. —

E se ne andò, senza nemmeno aver guardato Mariquita, la quale durante quelle poche parole aveva voltato il capo verso prora, fingendo di seguire le manovre dei marinai.

Durante la notte una certa calma regnò a bordo della Quiqua, permettendo a tutti di prendere un po’ di riposo.

Essendo il golfo di Possession, al pari di quello vicino di Lama, assai ampio, le onde avevano maggiore sfogo, quindi non scrollavano più furiosamente la baleniera, che si era solidamente ancorata su un buon fondo. All’alba, anche la nebbia si era in parte dissipata, sotto i vigorosi soffi dei williwans, permettendo di abbracciare un bel tratto d’orizzonte.

Come già Piotre aveva previsto, l’ultimo tratto dello Stretto di Magellano era ingombro di ghiacci, spinti dentro i due golfi dai venti dell’est che dovevano avere soffiato insistentemente nei giorni precedenti. Ed era un caso veramente eccezionale, perchè di rado gli ice-bergs s’inoltrano al di là del Capo delle Undicimila Vergini, quantunque le correnti del sud li spingano talvolta fino oltre il 55° parallelo, mentre nell’Oceano Artico si fermano ordinariamente al 50°.

Il signor Lopez, che era salito in coperta prima ancorachè il sole sorgesse, come era sua abitudine, si era accostato al baleniere, il quale dal castello di prora osservava attentamente i ghiacci, cercando un passaggio per la sua nave.

— Un inverno rigidissimo, è vero, Piotre? — gli chiese.

— Sì, signor Lopez, — rispose il baleniere, — un inverno pessimo, che impedirà alle navi di servirsi dello stretto.

— Potremo noi uscire?

— Non sono uomo da ritornare sui miei passi.

— Salperemo?

— Subito.

— E se quegli ice-bergs si saldano?

— Troveremo da qualche parte un canale, — rispose Piotre. — Laggiù scorgo un passo.

— E nell’Atlantico troveremo ancora ostacoli?

— Vi è del largo nell’oceano, signor Lopez, e manovreremo liberamente.

— Sperate di giungere presto sulle coste meridionali della Terra del Fuoco?

— Sì, se gli uragani non ci piombano addosso, — rispose Piotre, mentre la sua fronte si rannuvolava.

— Che cosa ne pensate di vostro cugino? Che si sia arenato o che sia naufragato?

— Io non ero con lui, — rispose seccamente il baleniere.

— E dove supponete che sia andato a finire?

— In qualche luogo di certo.

— Voi che conoscete le correnti dei mari del sud, potreste dire qualche cosa.

— Portano al nord, ecco tutto.

— Più verso la terra degli Stati o verso la Terra del Fuoco? — insistette il signor Lopez.

— Ciò dipende dai venti.

— Ad ogni modo, noi lo troveremo, è vero?

— Sì, se Dio ci aiuta. Salpate le àncore e spiegate le vele! —

I suoi uomini, che aspettavano gli ordini, si erano precipitati all’argano, spingendo vigorosamente le aspe.

Piotre, lasciato il signor Lopez, era salito lentamente sulla botte dell’albero maestro, portando con sè un cannocchiale ed aveva scrutato attentamente l’orizzonte per parecchi minuti.

Quando discese pareva tranquillo e sicuro del fatto suo.

— Alla larga! — aveva comandato, dirigendosi verso poppa.

La Quiqua si era rimessa alla vela, navigando lentamente attraverso la vasta baia racchiusa da un lato alle basse terre della Patagonia e dall’altro dalle aspre e selvaggie montagne della Terra del Fuoco, le cui vette pareva che dovessero toccare il cielo.

Le onde trastullavano un numero infinito di frammenti di ghiaccio staccatisi dai colossi antartici; ma non erano tali da arrestare la marcia alla baleniera.

Però di miglio in miglio che la nave guadagnava, aumentavano di numero e anche di spessore. All’uscita del golfo si vedevano delle vere montagne notanti, capricciosamente frastagliate, che le onde spingevano a poco a poco verso lo stretto e che si spostavano incessantemente, urtandosi con tale violenza da produrre delle detonazioni paragonabili allo scoppio simultaneo di una mezza dozzina di grossi pezzi d’artiglieria.

— Che lo sbocco dello stretto sia ormai ostruito? — disse papà Pardoe al signor Lopez. — In questa stagione io non ho mai veduto una così enorme massa di ghiacci radunarsi in questo golfo.

I pericoli cominciano troppo presto per noi.

— Saremo costretti a far ritorno a Punta Arenas? — chiese il vecchio esploratore con inquietudine. — In tal caso per Alonzo la sarebbe finita.

— No, signore, — disse una voce dietro di lui. — Io non ho l’abitudine di tornare indietro. —

Era Piotre, il quale aveva abbandonato il suo posto, accostandosi lentamente a Mariquita che era salita in quel momento in coperta, accompagnata da José.

— Sperate sempre di uscire nell’oceano, signor Piotre? — chiese il vecchio.

— Noi lasceremo lo stretto, siatene certo.

— Eppure tutto l’orizzonte è ingombro di ice-bergs.

— Vi dico che la mia Quiqua passerà, — rispose Piotre, con voce tranquilla.

— Non si fracasserà? — chiese la giovane araucana.

— La mia non è quella di Alonzo, — rispose il baleniere, con accento un po’ beffardo e senza guardarla.

— Non fate troppo a fidanza colla robustezza del vostro legno, signor Piotre, — disse papà Pardoe. — Ho veduto delle navi quattro volte più grosse della vostra venire schiacciate come fossero delle nocciole.

— Ma non vi ero io a bordo, — rispose Piotre, con orgoglio.

— L’uomo, per quanto audace ed esperto, si trova talora impotente contro quei colossi. —

Il baleniere alzò le spalle senza rispondere.

Levò da una tasca un cannocchiale, lo puntò verso l’uscita del golfo e osservò a lungo, senza che un muscolo del suo volto tradisse la menoma apprensione.

— Sì, — disse poi, abbassando l’istrumento. — Hanno chiuso lo sbocco di Possession, ma ho veduto un canale e noi ci cacceremo dentro quello.

— E se si chiudesse? — chiese il signor Lopez. — Pensateci, signor Piotre, perchè quei ghiacci si spostano continuamente e qualcuno è anche caduto.

— E siete responsabile della vita di noi tutti, — disse Mariquita, con una certa ironia. Piotre impallidì leggermente.

— Non avreste fiducia in me? — chiese.

— Anzi ne ho molta, Piotre, — rispose Mariquita, un po’ pentita d’aver ferito l’orgoglio del marinaio. — Volevo dirvi di non commettere imprudenze e di non compromettere per noi la vostra nave.

— Sì, perchè io sarei capace di lasciarla fracassare per non condurvi al capo Horn. È questo il vostro pensiero, è vero signora?

— No Piotre, un simile sospetto non mi è mai venuto in mente. Sarebbe troppo offensivo per un antico ufficiale della flotta argentina, — rispose la giovane con voce più raddolcita. — Vi ho sempre creduto leale e vi credo ancora tale. —

Piotre respirò a lungo e la sua fronte, che si era abbuiata, si rasserenò.

— Vi credo, — disse. — Perdonatemi, Mariquita, ma che cosa volete? Talvolta divento ingiusto e fors’anche cattivo e senza volerlo.

Non temete, noi passeremo attraverso i ghiacci anche per provarvi che io non ho che un solo desiderio; quello di compiere, per quanto lo consentano le mie forze, la missione che ho assunta e salvare Alonzo.

— Siate prudente.

— Lo sarò, Mariquita, e non giuocherò la partita se non quando avrò la certezza di vincerla.

Il canale che ho scorto mi è sembrato abbastanza largo per farvi passare la mia nave, e se dovesse rinchiudersi, sapremo tornare indietro a tempo.

D’altra parte quelle montagne non si sono ancora saldate e possono, coi loro movimenti, aprire altri canali.

A posto di manovra i miei uomini e si preparino i buttafuori! —

Guardò ancora una volta i ghiacci, tracciando già col pensiero la rotta che doveva tenere, poi andò a collocarsi alla barra del timone, volendo guidare di suo proprio pugno la Quiqua.

I primi ghiacci cominciavano già ad irrompere nel golfo, minacciando di urtare la baleniera di Piotre. Erano grossi banchi, non troppo solidi avendo dovuto subire le strette delle gigantesche montagne natanti, le quali avevano prodotto delle larghe fenditure; pure potevano causare qualche malanno al veliero.

Qualche foca se ne stava tranquillamente sdraiata sull’orlo dei crepacci, pronta a scomparire al menomo indizio di pericolo.

La Quiqua, guidata da Piotre, manovrava con un’abilità che faceva stupire il vecchio Lopez e anche papà Pardoe.

Scivolava fra ghiaccione e ghiaccione senza mai lasciarsi accostare nè prendere in mezzo; guizzava fra i canali e canaletti, cambiando ad ogni istante rotta e talvolta, quando la via sembrava chiudersi, s’avventava contro quegli ostacoli sfondandoli colla larga e solida prora e schiacciandoli sotto la carena.

Piotre, sempre calmo, impassibile, come un uomo sicuro di sè, non staccava mai lo sguardo dalla massa degli ice-bergs che si spostavano sempre, urtandosi rumorosamente e frantumandosi i fianchi con urti poderosi. Solamente di quando in quando si voltava per dare una rapida occhiata a Mariquita che, senza volerlo, ammirava l’audacia e la calma straordinaria di quell’uomo.

Poi i suoi occhi acuti tornavano a fissarsi sui ghiacci e precisamente là dove si delineava vagamente un canale.

La flottiglia mostruosa s’avvicinava sempre, spinta dalle onde e da qualche corrente che veniva dal largo. Pareva che fosse ansiosa di misurarsi con quella povera baleniera che faceva una così misera figura di fronte alle loro masse gigantesche.

Faceva paura a tutti, fuorchè a Piotre, il quale la guardava con disprezzo e col sorriso sulle labbra. Erano vere montagne, le cui altezze variavano dai due ai trecento metri, con tre volte tanto al disotto, con speroni e bastioni massicci, con torri e cupole e obelischi che di quando in quando, sotto gl’incessanti urti, diroccavano con fracasso. Avendo il sole dietro di loro, il quale lanciava i suoi ultimi raggi orizzontalmente, fiammeggiavano meravigliosamente assumendo le tinte più svariate a seconda della loro posizione e del loro spessore.

Ve n’erano taluni che parevano ripieni di lava ardente; altri che avevano degli splendori azzurri o verdi come zaffiri o come smeraldi, ed altri ancora che avevano strane tinte violette del più bell’effetto.

Se erano ammirabili, sotto quelle luci, erano però anche paurosi per le loro masse enormi e per le loro punte che s’avanzavano in tutte le direzioni, e solide quanto scogliere.

— Che spettacolo! — esclamò il signor Lopez. — Non credevo che i ghiacci potessero prendere tinte così splendide.

— Uno spettacolo che fa rabbrividire, signore, — disse papà Pardoe. — E questo non è ancora niente. Vedrete più tardi, quando incontreremo i vecchi ice-bergs polari, se saremo costretti a scendere molto al sud.

— Mi domando infatti, come noi oseremo sfidarli? Guarda come ondeggiano e come di quando in quando si rovesciano.

Se uno si capovolgesse quando noi ci cacceremo nel canale, ci schiaccerebbe di colpo.

— E perchè perdono l’equilibrio? — chiese Mariquita, che guardava quei colossi più con curiosità che con terrore.

— In causa della diversa temperatura dell’acqua, — rispose il vecchio esploratore. — Quella dello stretto è meno fredda di quella dell’Atlantico, sicchè rode le basi delle montagne natanti, compromettendo così il loro equilibrio.

Guarda quel colosso che sta per rovinare! L’onda giungerà fino a noi. —

Una gigantesca montagna che si trovava all’avanguardia di quella formidabile flottiglia, alta per lo meno trecento metri e che sorreggeva sui suoi fianchi dei massicci obelischi che sembravano le torri d’un vecchio castello, aveva cominciato a oscillare scricchiolando e tuonando, come se non potesse più reggere l’enorme peso che la squilibrava.

Di quando in quando una delle sue torri o dei suoi bastioni diroccava improvvisamente, con immenso fracasso e dalle sue cime precipitavano enormi massi causando nuovi guasti e nuove fenditure.

Si sarebbe detto che da un momento all’altro dovesse sfasciarsi tutta e sommergersi.

Piotre l’aveva già notata. Con un comando incisivo fece cambiare la velatura, in modo da presentare la prora al colosso che si trovava a soli cinquecento metri, poi gridò:

— Tenetevi fermi per l’onda! Rispondo di tutto! —

Il colosso polare continuava ad oscillare ed a tuonare come se nel suo corpo scoppiassero di tratto in tratto delle mine. Le sue cime descrivevano degli archi che sempre più si accentuavano.

Piotre, sempre fermo al timone, lo guardava attentamente, cercando di dirigere la Quiqua al largo per evitare la gigantesca ondata che doveva produrre nella sua caduta. Per sua mala fortuna il vento non si prestava troppo per quella manovra, soffiando dal sud-sud-est.

— Cade, — disse ad un tratto papà Pardoe. — Attenti! Tenetevi stretti al bordo o verrete sbalzati sul ponte. —

Il colosso s’inchinò dapprima lentamente, poi rapidamente. Le sue tre vette parve per un istante che dovessero unirsi o precipitare addosso alle torri od ai bastioni, invece rimasero salde.

Furono vedute piombare, poi immergersi bruscamente. L’enorme massa si rovesciò su un fianco, fracassando, con un rombo spaventevole, i ghiacci minori che furono per così dire polverizzati, poi scomparve tutta sollevando un’onda così mostruosa da far impallidire perfino Piotre.

Quella montagna d’acqua che s’avanzava colla velocità d’un cavallo lanciato al galoppo, muggendo cupamente e colle creste irte di spuma candidissima, si rovesciò con impetofurioso sulla Quiqua sollevandola bruscamente a prodigiosa altezza, poi la precipitò in un abisso che pareva non dovesse avere più fondo.

La scossa subita dalla baleniera era stata tale, che se papà Pardoe e José non si fossero trovati dietro Mariquita, la giovane sarebbe stata indubbiamente sbalzata sopra il bordo o rovesciata sulla tolda. Anche il signor Lopez era stato sorretto a tempo da un marinaio, che fortunatamente in quel momento si trovava al suo fianco.

La Quiqua, dopo essere stata brutalmente scrollata in tutti i sensi, aveva rimontata l’onda non senza imbarcare una grande quantità d’acqua ed aveva ripresa la sua marcia, urtando poderosamente i marosi coi suoi robusti fianchi.

La montagna natante, dopo essersi sprofondata, era risalita presentando un’unica cresta invece di tre ed altri bastioni ed altre torri. Era la parte immersa che ora mostrava, mentre quella che prima il sole illuminava si trovava sott’acqua ad una profondità di otto o novecento metri.

— Che capitombolo! — disse il signor Lopez.

— Lo squilibrio di queste montagne, che non si può prevedere, è quello che costituisce il maggior pericolo pei naviganti polari, — disse Pardoe. — Supponete che la caduta fosse avvenuta quando la nostra baleniera passava accanto a quell’ice-bergs!

— Fremo solamente a pensarci.

— Vi credo, signore; a quest’ora nessuno di noi sarebbe vivo, ve l’assicuro io che ho provato una simile emozione quando andavo a pescare le balene, presso le coste della Terra di Palmer.

— E sei sfuggito alla morte?

— Non sarei qui a parlarvi, signor Lopez, — disse il pescatore ridendo.

— E la nave che montavi?

— Sfacellata di colpo come se fosse stata fabbricata di carta pesta. Eppure era solida e tre volte più grande della Quiqua.

— Ed i tuoi compagni?

— Quasi tutti annegati o schiacciati, signore.

— E come ti sei salvato?

— Per puro caso. Era una montagna due volte più grossa di quella che si è rovesciata ora ed aveva perduto l’equilibrio nel momento in cui noi avevamo ramponata la balena. Nessuno aveva pensato al pericolo, tanto eravamo entusiasmati pel buon esito della pesca.

Tutto ad un tratto, vediamo la montagna natante inchinarsi dalla nostra parte, con una rapidità tale da rendere impossibile qualsiasi manovra.

Che cosa sia successo, veramente non lo so nemmeno io. Mi ricordo d’aver udito un fracasso spaventevole e d’aver veduto dei massi enormi piombare sulla nostra nave e sfondarle la tolda, e d’essermi trovato in acqua. Ero caduto o mi ero gettato io in mare nel momento in cui la nave veniva sfracellata? Non ve lo saprei dire.

Quando tornai a galla e potei aggrapparmi ad un pezzo d’albero, il veliero era scomparso e di quattordici compagni eravamo rimasti solamente in cinque fra cui uno gravemente ferito che morì tre ore dopo.

— E come avete fatto a resistere, immersi in quell’acqua fredda, e poi raggiungere la costa?

— Fummo raccolti da un baleniere il cui equipaggio aveva assistito al nostro disastro, — disse il pescatore.

— Povero Pardoe, — disse Mariquita. — E chissà che una sorte eguale non sia toccata anche ad Alonzo, — aggiungeva poi con un sospiro.

— Speriamo di no, signora; auguriamoci ritrovarlo ancora sano e salvo sulle spiaggie della Terra del Fuoco. Chissà come penserà a voi e come sospirerà il momento di ritornare per farvi sua.

— Sì, — rispose Mariquita con profonda tristezza, — eppure non vorrei mai che giungesse il momento di rivederlo.

— E perchè, Mariquita? — chiese il pescatore, stupito per quella parola.

— Non lo so....

— Temete l’incontro dei due cugini?

— Può essere.

— Eh! Non ci saremo anche noi?

— Sì, lo so, sono amici devoti quelli che abbiamo imbarcati, ma gli altri, quelli di Piotre?

— Non sono che sei, più il comandante.

— E devoti tutti a lui.

— E noi siamo in egual numero e non da meno da loro, — disse il pescatore, abbassando la voce.

— Sii prudente, papà Pardoe.

— Non dubitate di me, e nemmeno degli altri. Sono orsi i marinai di Piotre, taciturni come il loro padrone, ma non credo che siano cattivi camerati, e poi quando saremo arrivati laggiù li sorveglieremo.

Ecco il momento terribile: Piotre lancia la sua baleniera nel canale. Ha dell’audacia e del fegato quell’uomo! Parola da marinaio, non ho mai veduto un comandante più valente di lui! —

La Quiqua stava per cacciarsi fra le montagne natanti. Dinanzi ad essa si delineava un canale non più largo di quindici o venti metri, che serpeggiava fra banchi ed ice-bergs di moli enormi i quali spinti dal vento e risospinti dalle onde, ora si stringevano minacciando da un momento all’altro di chiudere il canale ed ora si allargavano.

Non ci voleva che un uomo audace come Piotre per cacciarsi là dentro; un altro avrebbe esitato a lungo e forse non vi si sarebbe arrischiato. Ma il baleniere non aveva paura e non esitava mai dinanzi al pericolo, anzi pareva che provasse un piacere strano nell’affrontarlo e che si divertisse a scherzare colla morte. Guardava con quel suo sguardo freddo e tranquillo i giganti che si cozzavano, con un sorriso quasi sdegnoso sulle labbra sottili, colla fronte serena. Nessuna ruga del suo volto, nessun trasalimento nelle sue membra, nessuna apprensione nel suo cuore che doveva essere corazzato.

Nel momento in cui la piccola nave, un guscio di noce, meno ancora, in paragone ai vecchi giganti polari, si spingeva nel canale con una temerità da far rabbrividire i più vecchi lupi di mare dell’equipaggio, i suoi occhi cercarono Mariquita. La giovane, come se già avesse sentito quello sguardo, s’era voltata verso poppa.

— Il pericolo è là, — diss’egli, indicandole un enorme ammasso di ice-bergs, che s’urtavano per aprirsi il passo fra i banchi di ghiaccio. — Ma non abbiate paura: sono io al timone. —

Nel pronunciare quelle parole, il suo volto si era rapidamente colorito, mentre un lampo d’orgoglio gli animava gli occhi. Era fiero di mostrare alla sua futura moglie che era il più ardito marinaio dell’Oceano Antartico, ben più audace e più risoluto di suo cugino.

Mariquita aveva risposto con un cenno del capo e con un sorriso. Quantunque pensasse costantemente al povero Alonzo, pure non poteva fare a meno d’ammirare sempre più quell’uomo che sfidava così intrepidamente la morte.

La Quiqua, dopo un’ultima bordata si era cacciata nel canale, filando fra una doppia fila di ice-bergs che rollavano pesantemente, stritolando i piccoli ghiacci.

Un profondo silenzio regnava sulla tolda della piccola nave. L’ansietà aveva resi muti i marinai. Tutti i cuori trepidavano; due soli non tremavano ancora: quello di Piotre e quello di Mariquita.


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