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CAPITOLO XIII.
La Terra del Fuoco.
La Terra del Fuoco, che la Quiqua si proponeva di costeggiare fino al Capo Horn, quantunque così prossima alle due più giovani, ma anche più prospere Repubbliche rivali dell’America del sud, il Chilì e l’Argentina, quarantanni or sono era appena nota.
Chiamata con tale nome da Magellano, non perchè di natura vulcanica, ma solamente perchè aveva scorto sulle spiaggie numerosi falò accesi dai selvaggi, forse coll’intenzione di attirare le navi del grande navigatore e farle naufragare, per quasi tre secoli fu del tutto trascurata da tutti gli esploratori.
Oggi è un po’ più conosciuta, mercè l’opera assidua di coraggiosi missionari, eppure non è ancora interamente esplorata, specialmente nelle sue parti meridionali.
Essa forma una specie d’immenso triangolo, assai frastagliato verso l’ovest ed il sud-ovest, dove ha vasti golfi e numerose isole e bagna contemporaneamente le sue coste nelle acque dello stretto di Magellano, in quelle dell’oceano Pacifico e dell’Atlantico. Se fosse un po’ più allungata, toccherebbe anche le acque dell’oceano Antartico.
La Terra del Fuoco si potrebbe ben chiamare la terra della desolazione; ed infatti nessuna isola è più orribile di questa nè meglio meriterebbe un tal nome.
La sua formazione non sembra che sia antica. Probabilmente non esisteva prima della creazione degli esseri organici. Doveva essere stata un tempo sommersa, come lo proverebbero le sabbie, le conchiglie e le vertebre di balene che si trovano anche oggidì in gran numero nelle valli dell’interno e anche sulle sue dirupate montagne.
Sia vecchia o no, è sempre una terra orribile, sottoposta ad un cielo quasi eternamente grigio e nebbioso, prodigo di bufere tremende, tutta cosparsa di rupi immense che sfidano da secoli il furore dei flutti, con sterminate lande senza erbe, con abissi spaventosi, con gole profonde, dentro le quali imperversano i venti senza tregua, con torrenti vertiginosi, con montagne coperte per la maggior parte dell’anno di neve, sulle cui cime scrosciano le tempeste.
Nondimeno non è del tutto sterile. La parte orientale è arida, monotona, ondulata, intersecata da lagune salse, con roccie a fior di terra e rari cespugli di betulle e di ravé; l’occidentale invece più montuosa, è per un lungo tratto coperta di foreste vergini impenetrabili, tra le cui piante primeggiano i colossali roveri antartici, i lauri, i faggi, gli olmi e le fucsie che s’intrecciano in tutti i sensi, formando delle vere muraglie di legno.
Tutto quel suolo è falso, a causa degli alberi caduti e putrefatti, coperti da muschi, da piante parassite che fanno credere di trovare un piano resistente, mentre invece si aprono sotto i piedi degli incauti che osano inoltrarsi e li inghiottono.
La parte meridionale è la più montagnosa e la più orribile. È un vero caos di montagne, di lava, di graniti, di basalti in iscompiglio, che ne rendono le coste irte e frastagliate.
Il mare vi penetra dovunque per canali innumerevoli, ma i passaggi sono così angusti, le correnti così violente, i venti così impetuosi, ed i due oceani vi cozzano contro con tanta ira, che nessun navigante oserebbe inoltrarvisi, certo di correre incontro ad una morte sicura. Eppure su quelle montagne brulle, percosse incessantemente dagli uragani, si nascondono ricchezze considerevoli che potrebbero forse rivaleggiare con quelle favolose della gelida Alaska.
L’oro abbonda dovunque in forma di fogliuzze e di pepite, di cui alcune pesanti perfino cinquanta grammi; ed in polvere se ne trova in quantità nelle sabbie dei fiumi e nelle borre arenose dei torrenti, ma chi oserebbe andarlo a raccogliere?
Il paese è sterile, freddo, abitato da tribù bellicose, dedite, fino a pochi anni sono, all’antropofagia e quasi privo di selvaggina. Non vi sono che uccelli, rari guanachi e poche foche, ormai quasi interamente distrutte dagli abitanti che sono sempre alle prese colla fame.
Tre razze abitano quella terra, assai simili fra di loro: l’indio Honas, l’indio Grande e l’indio del Canale. Razze miserabili che conducono una esistenza quanto mai difficile, che vivono al pari delle belve dentro misere capanne composte di poche frasche, sicchè non servono di riparo, che tremano di freddo essendo seminudi e che si odiano cordialmente e sono sempre in guerra fra di loro.
Sono i più poveri, i più disgraziati, i più brutti ed i più luridi esseri della famiglia umana, più bestie che uomini, che reggono appena nel confronto coi selvaggi dell’Australia, i quali pur vengono considerati come gli ultimi cretini della razza che popola il mondo.
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La Quiqua, superato il capo dell’Espirito Santo, aveva messo la prora al sud-est tenendosi abbastanza lontana dalle .....e, spinti i cavalli in acqua per abbreviare la distanza, cominciarono a tempestare la nave, tentando d’incendiarla. (Cap. X.). coste per non venire travolta dalle correnti che sono impetuose in quelle regioni, ma non tanto da non poterla scorgere anche senza bisogno dei cannocchiali.
L’oceano era assai mosso intorno alle spiaggie.
Essendo quelle coste assai frastagliate e cadenti a picco, provocano delle formidabili ondate di fondo, le quali si fanno sentire a distanze considerevoli, mettendo a dura prova gli stomachi dei naviganti costretti a subire un incessante rullìo.
L’isola appariva montuosa, terminando da quella parte l’alta catena dei monti Orange.
Vette nevose, che nascondevano le loro cime fra le nubi gravide di pioggia, s’alzavano in tutte le direzioni, mostrando sui loro fianchi cupe foreste di faggi antartici e di conifere rosse. I contrafforti di quelle montagne si spingevano fino al mare, dove strapiombavano bruscamente, rendendo, almeno da quella parte, impossibile ogni approdo.
Di quando in quando qualche enorme spaccatura appariva, una specie di fiord simile a quelli della Norvegia; e sopratutto là dentro il mare infuriava con tanta rabbia che si udivano i muggiti e gli scrosci fino sul ponte della baleniera.
Sulle rupi non si scorgevano che uccelli, gli eterni uccelli marini che sono disseminati in quantità tale su quelle spiaggie da non potersene fare un’idea. Se abbondano nello stretto di Magellano, sono ancora più numerosi, così sulla Terra del Fuoco come sulle isolette che la circondano.
Qualche banda, scorgendo la nave, attratta dalla curiosità o spinta da chissà quale capriccio, s’alzava e veniva a volteggiare attorno alla baleniera, salutandola con un gridìo assordante e prolungato.
Quei volatili erano per lo più prion-tantur, graziosi uccelli marini, non più grossi di una tortorella comune, colle penne grigio turchine sul dorso e biancastre sotto, e phaebetria fuliginose, le più piccole delle diomedee, molto snelle, colle penne nere, che hanno un volo rapidissimo e leggiero e tengono costantemente le ali aperte senza muoverle.
Di tratto in tratto qualche stormo di quebranthuesos, meglio conosciuti dai marinai col nome di rompitori d’ossa, calava pure attorno alla nave, volteggiando specialmente sopra la scìa per dare addosso ai pesci che erano portati a galla dal ribollimento dell’acqua.
Era uno spettacolo divertente il vedere quei grossi volatili tutti neri, che sono i più formidabili pescatori dei mari del Sud, precipitarsi con rapidità fulminea fra le onde, tuffare il becco robusto e acutissimo ed innalzarsi portando con sè dei grossi pesci che poi, con un brusco movimento, inghiottivano d’un colpo solo, senza aver bisogno di appoggiarsi in alcun luogo.
Miravano sopratutto ai pesci volanti che di quando in quando balzavano fuori dall’acqua per sfuggire probabilmente gli attacchi delle dorate, loro nemiche accanite. Infatti se ne vedevano non poche avvoltolarsi nella scìa, mostrando quelle loro splendide tinte azzurre o gialle con gradazioni delicatissime che, per uno strano caso, perdono quando sono moribonde, diventando invece grigio scuri.
— Che brutta costa! — disse il signor Lopez, che guardava con un cannocchiale i frastagli della Terra del Fuoco, come se avesse sperato di trovare là dentro il carcame della Rosita. — Non ne ho mai veduta una eguale in tutta l’America del Sud. Se la nave di Alonzo è stata spinta fin qui, non troveremo nemmeno un pezzo di rottame. Sarà tutta così?
— Press’a poco, signor Lopez, — disse Piotre che si era fermato dietro di lui e dietro Mariquita, la quale pure stava guardando verso la Terra del Fuoco.
— Ed è sempre così furioso il mare intorno a quell’isola sfortunata?
— Non l’ho mai veduto tranquillo, eppure ho compiuto ormai più di venti viaggi in questi paraggi. Ma quando saremo scesi più al Sud, lo vedrete anche più tempestoso e la nostra nave correrà allora i maggiori pericoli.
I due oceani, l’Atlantico ed il Pacifico, si cozzano laggiù in eterna guerra, quasi disputandosi il primato dell’onda, mentre il capo Horn, come irritato della superbia del mare che lo flagella, scatena le sue procelle.
— Povera Rosita, se i venti l’hanno sbattuta su quelle coste! Riusciremo noi a trovarne i rottami? —
Piotre crollò il capo.
— Ne dubito, — disse poi — Una nave gettata sulla costa non può resistere a lungo all’assalto di quelle formidabili ondate.
— Come faremo allora a sapere dove avrà naufragato?
— Interrogando i selvaggi, rispose Piotre.
— Se si lasceranno accostare!
— Sì, se non avranno nulla da rimproverarsi, ossia se non avranno uccisi e divorati i naufraghi.
— Divorati! — esclamò Mariquita, diventando pallidissima. — È dunque vero che gli abitanti di quest’isola sono antropofaghi? Rispondete, Piotre, voi che li conoscete.
— Almeno quelli che abitano le coste meridionali, — rispose il baleniere. — Quando uccidono i nemici li mangiano e quando la fame piomba su una tribù, non esitano a scannare tutte le vecchie per pascersi delle loro carni; e la carestia si fa sentire spesso su quelle coste.
— Eppure io so che dei naufraghi sono stati, non solo risparmiati, ma anche ricevuti cordialmente, — disse il signor Lopez.
— Quando Giacomo Bove, quel distinto ufficiale della marina italiana che esplorava questa terra per incarico del governo argentino, naufragò all’uscita del canale di Biagle colla sua vecchia goletta, il Cabo de Hornas, fu bene accolto dagli indigeni della baia di Sloggit, anzi gli regalarono anche molte armi e indumenti.
— Ma quelli erano Honas e non già Fikeenico o Yacanokung, — rispose Piotre. — Gli Honas non sono cattivi; gli altri invece, non vorrei provarli. Sono i più brutti, i più luridi e anche i più bestiali esseri della creazione umana.
— Avete mai udito raccontare che abbiano massacrati dei naufraghi di razza bianca?
— Io so che sulle coste meridionali della Terra del Fuoco si sono trovati più volte degli avanzi di navi fracassate e mai un marinaio vivo. Può darsi che tutti quegli equipaggi siano stati inghiottiti dalle onde, ma può anche darsi..... che siano finiti sotto i denti degl’indigeni.
— Oh! mio Dio! — mormorò Mariquita, che pareva fosse lì lì per cadere svenuta.
— Che cosa avete, señorita? — chiese Piotre con voce dura.
— Nulla, pensavo a quei disgraziati e alle orribili angoscie che avranno provato prima di venire divorati da quei miserabili, — rispose la giovane, con uno sforzo supremo.
— E ad Alonzo a cui potrebbe essere toccata una sì atroce sorte, è vero, figlia mia? — disse il signor Lopez, profondamente commosso. — No, non è possibile che possa aver fatto una tal fine. Era un uomo energico, valoroso e non si sarà lasciato sopraffare, nè prendere da quelle canaglie, e poi, come tutti i balenieri, avrà avuto delle armi a bordo. Che cosa ne dite, Piotre?
— Speriamolo, — rispose l’ex ufficiale seccamente.
Poi, come fosse assai ansioso di por fine a quel discorso, si diresse verso il cassero, gridando al timoniere:
— Al largo, Pepito. La corrente è forte qui e l’onda porta alle coste. —
Mariquita l’aveva seguito, fermandolo prima che salisse sul cassero.
— Piotre, — gli disse, — avete voluto solamente spaventarmi? Ve ne prego, siate buono e franco.
— Perchè avrei dovuto mentire? — riprese il baleniere, guardandola fissa, e con tono quasi offeso.
— Per togliermi ogni speranza di poter rivedere Alonzo vivo.
— Che importa a me di lui, ora che voi avete giurato di diventare mia moglie, Mariquita?.. Se lo ritroveremo vivo, meglio per lui, se no sarà peggio per lui. Di più, noi non abbiamo ancora alcuna prova che sia annegato o sia stato catturato dagl’indigeni, anzi non sappiamo ancora dove la sua nave sia andata a finire.
Chi può dirci che non sia arenata sull’isola degli Stati? E là selvaggi non ve ne sono.
— Avrebbe potuto trovare egualmente la morte su quella terra desolata e gelida.
— Bernard, che non aveva un’isola così vasta, potè resistere per degli anni vivendo di caccia. Al signor Gutierres può essere toccata un’egual fortuna. —
E risalito sul cassero, facendo come un gesto d’impazienza, sedè accanto al timoniere.
— Bernard, — mormorò Mariquita. — Chi era costui? Papà Pardoe me lo dirà! —
Attraversò la tolda e si accostò al vecchio baleniere che era occupato a dare la caccia ad una banda di sule che erano calate sulla nave, uccelli stupidissimi che si lasciano prendere colle mani, senza nemmeno tentare di fuggire e che perciò furono chiamati anche booby, ossia stupidi.
Ne aveva già presi quattro o cinque e contava di farli servire per la cena, quantunque la loro carne sia mediocre e puzzi di pesce rancido, sapore sgradevolissimo, ma che si può in parte togliere privando quei volatili del loro grasso.
Vedendo Mariquita accostarsi, il vecchio lupo di mare, che già l’aveva osservata a parlare con Piotre, indovinò subito che doveva fargli qualche seria comunicazione.
— Burrasca, signora Mariquita? — chiese. — Ho veduto il capitano andarsene un po’ stizzito e di cattivo umore.
— Hai udito mai parlare d’un capitano Bernard? — domandò la giovane.
— Bernard! — esclamò papà Pardoe, terminando di torcere il collo al quinto booby e pensando un momento su quel nome. — Che cosa può interessarvi la storia del suo naufragio, che è avvenuto trentaquattro o trentacinque anni or sono?
— Chi era?
— Un capitano della marina americana a cui gl’inglesi giuocarono un pessimo tiro, abbandonandolo su di un’isola deserta che si trova in questi paraggi.
— Morto di fame e di freddo su quell’isola?
— No, signora Mariquita, anzi scommetterei che vive ancora in qualche angolo dell’America del nord. Ah! È una gran bella storia, comica e dolorosa ad un tempo.
Ma perchè mi parlate di quel povero Bernard?
— Perchè Piotre mi ha detto che anche sulle isole deserte di queste regioni, i naufraghi vi possono vivere senza correre il pericolo di morire di fame e di freddo.
— Suppone che la Rosita, invece di essere stata spinta verso la terra del Fuoco, si sia spezzata od arenata su qualche isola? — chiese papà Pardoe. — Eh, se così fosse avvenuto sarebbe meglio pei naufraghi.
— E non correrebbero il pericolo di morire di fame?
— No, signora, no; gli uccelli marini abbondano su quelle isole e anche le foche non sono rare, ed il capitano Bernard ha provato col fatto che si può vivere anche degli anni su quei deserti di neve e di rupi.
— Mi racconterai almeno l’avventura toccata a quel capitano, — disse una voce dietro di lui. — Io ho udito parlare qualche volta di quell'americano.
— Ah! siete voi, signor Lopez! — esclamò papà Pardoe.
— Ti ascoltavo da cinque minuti, in compagnia di José.
— È una storia che rimonta al 1815, signor Lopez, conosciuta da tutti i marinai dei mari del sud ed è avvenuta a New-Island, un’isola che si trova al Sud delle Falkland, a due o trecento miglia da noi; una piccola terra che io ho già visitata e che vedendola di primo colpo si direbbe incapace di offrire un asilo qualsiasi a dei poveri naufraghi.
In quel tempo una nave inglese, spinta dalle tempeste, era andata a fracassarsi sulle scogliere dell’isola e trenta uomini erano riusciti a salvarsi, portando con loro poche provviste.
L’isola allora, come oggidì, abbondava d’uccelli marini; ma essendo gl’inglesi sprovvisti d’armi, non riuscivano a catturarne che in così piccola quantità, da non bastare a nutrirli tutti.
Già si trovavano alle prese colla fame, quand’ecco che una nave approda sulle coste dell’isola. Era americana, comandata da un certo Bernard, un brav’uomo, perfino troppo buono.
Quantunque l’Inghilterra e gli Stati Uniti fossero allora in guerra, il capitano Bernard si offre d’imbarcare i trenta naufraghi, ma fatto l’inventario dei viveri s’accorge di averne così pochi da non poter nutrire tanta gente e di correre il pericolo di vederli esauriti prima di giungere al porto più vicino.
Un altro, al suo posto, avrebbe abbandonati gl’inglesi alla loro sorte, tanto più che erano nemici. Bernard invece, avendo osservato che l’isola abbondava di selvaggina, s’imbarca su una scialuppa con quattro de’ suoi marinai, portando fucili ed abbondanti munizioni, per aumentare le scarse provviste della sua nave.
I naufraghi mille volte più vili dei più feroci pirati e veri mostri d’ingratitudine, approfittano dell’assenza dell’onesto capitano per far prigionieri i pochi marinai americani, impadronirsi della nave e mettersi alla vela verso l’Europa.
— Abbandonando il capitano? — chiese il signor Lopez.
— Ed i suoi quattro marinai.
— I miserabili! — esclamò José.
— E che cosa è accaduto poi di quei disgraziati così vilmente traditi? — chiese Mariquita.
— Quando il povero Bernard, di ritorno dalla caccia, non vide più la sua nave, fu preso da tale disperazione che si sdraiò sulla sabbia puntandosi il fucile alla gola per farsi saltare la testa.
Aveva già fissata una cordicella al grilletto e stava per far partire il colpo, quando fu sorpreso dai marinai, furibondi di essere stati così stupidamente ingannati.
Lo cercavano per sfogare sul disgraziato capitano la loro rabbia, e l’avrebbero forse accoppato a pugni e a calci, se questi non si fosse alzato prontamente promettendo loro che li avrebbe aiutati a trarsi da quella difficile situazione.
Non ebbe in risposta che grossolane ingiurie e risa beffarde; pure a poco a poco finirono per calmarsi, dichiarandosi pronti a obbedirlo.
Avendo trovata una caverna abbastanza riparata, vi si stabilirono, poi intrapresero delle lunghe battute contro la selvaggina che non era scarsa. Vi erano porci selvatici, foche, capre, abbandonate certo da qualche baleniere e molti uccelli. Fortunatamente avevano abbondanti munizioni.
Non vi erano alberi nell’isola, nondimeno riuscirono a scoprire della torba e anche a procurarsi del fuoco mettendo sulla canna di un fucile della corda sfilacciata.
Al sopraggiungere dell’inverno avevano viveri in abbondanza, coperte e vestiti di pelle di capra e di foca e anche una considerevole provvista di patate, avendo seminato quelle che per un caso provvidenziale avevano trovate fra le loro scarse provvigioni poste nella scialuppa prima di lasciare la nave.
La loro esistenza trascorreva così, se non troppo piacevole, almeno sopportabile, ma veniva turbata dalle frequenti liti che scoppiavano da parte dei marinai, i quali non avevano ancora perdonato al povero capitano di essersi lasciato ingannare così ingenuamente dagl’ingrati naufraghi.
Lo minacciavano spesso, si rifiutavano di obbedirlo, lo insultavano per un nonnulla e un giorno lo abbandonarono imbarcandosi nella scialuppa.
— Povero Bernard! — disse il signor Lopez, che s’interessava assai di quel racconto. — E rimase solo?
— Per cinque mesi solamente, — riprese papà Pardoe, — perchè una mattina, con sua grande sorpresa, rivide giungere la scialuppa coi quattro marinai.
Per un momento ebbe il timore che fossero tornati per ucciderlo, invece riapprodavano pentiti e vergognosi. Si gettarono ai suoi piedi chiedendogli perdono dei cattivi trattamenti che gli avevano fatto soffrire e dell’abbandono, dichiarandosi risoluti a non lasciarlo mai più.
— E dov’erano stati in tutto quel tempo? — chiese José.
— Su alcuni isolotti incontrati sulla loro rotta, vivendo miseramente con uova d’uccelli marini e granchi di mare.
Il pentimento di quei ruvidi marinai fu di breve durata. Divorati da un astio profondo, giunsero al punto di formare un complotto per assassinare il disgraziato capitano, se non che, al momento di trucidarlo, tre si rifiutarono e inorriditi di quanto avevano tramato, denunciarono il quarto, che era il più violento ed il più aggressivo.
— Dovevano appiccarlo, — disse José.
— No, — disse papà Pardoe. — Invece gli fecero la grazia e lo relegarono in un isolotto vicino.
Non so precisamente, quanto rimanessero su quell’isola, ma molti anni di certo. So che stavano per morire di nostalgia e di disperazione quando finalmente vennero salvati da una baleniera inglese, che i venti contrari e le bufere avevano spinto verso quelle spiaggie e che li rimpatriò.
— Se fosse toccata una sorte eguale anche ad Alonzo! — esclamò Mariquita con angoscia.
— Il signor Gutierres ha con sè dei marinai fedeli, che lo amano come un fratello, — disse papà Pardoe. — Io li conosco tutti e so quanto sono bravi ed obbedienti.
— Se avesse naufragato sull’isola degli Stati, non si troverebbe in mezzo all’abbondanza, — disse il signor Lopez. — In quella terra freddissima non vi sono nè capre, nè porci selvatici, come ne ha trovati il capitano Bernard a New Island.
— Le foche abbondano in quei paraggi, signore, — rispose Pardoe, — ed i pinguini vi sono a milioni. È vero che la carne nera ed oleosa delle foche e quella rancida dei pinguini, non è molto appetitosa, pure basta per non morire di fame. Io sarei più contento se la Rosita avesse fatto naufragio sull’isola degli Stati, piuttosto che sulle coste della Terra del Fuoco. Almeno là non vi sono selvaggi e non si corre il pericolo di venire divorati.
Orsù; non vi disperate, signora Mariquita. O sull’una o sull’altra terra, noi troveremo certamente il vostro fidanzato. —
La giovane rispose con un lungo sospiro. Il suo fidanzato!.. Essi non sapevano che ormai, anche ritrovandolo, per lei era egualmente perduto.