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CAPITOLO XV.
Il tradimento.
La scialuppa, sempre preceduta dal piccolo canotto dei fuegini, in meno di venti minuti raggiunse l’estremità della baia di S. Sebastiano, fermandosi dinnanzi ad una costa che in quel luogo scendeva dolcemente verso il mare, permettendo lo sbarco.
Era tutta sparsa di muschi impregnati d’acqua, di cozze e di ammassi di conchiglie, disposte con un certo ordine, avendo quegli isolani l’abitudine di non rigettarle mai in mare dopo di averle vuotate, per timore che i bivalvi viventi ancora nell’acqua, possano accorgersi della sorte che loro spetterebbe se venissero presi, e fuggano lontani dalle coste.
Più sopra, sul pendio, vi erano abbondanti cespugli di berberis, gruppi di felci dal tronco piuttosto grosso e macchioni di faggi e di drimys, in mezzo ai quali si vedevano volteggiare, gridando a piena gola, dei pappagalli fuegini e dei troglo-dytos che hanno un gorgheggio curiosissimo e assai gradevole.
Non si scorgeva invece nessuna capanna, nè alcuna colonna di fumo che indicasse la vicinanza di qualche accampamento.
— E dov’è la tua tribù? — chiese Piotre, sbarcando.
— È accampata nei boschi, — rispose lo stregone. — Ha veduto il tuo grosso canotto entrare nella baia e si è allontanata dalla costa.
— Che cosa temeva?
— Non lo so, — rispose il selvaggio, alzando le spalle.
— E perchè tu, invece di fuggire come gli altri, ci sei venuto incontro?
— Io sono un jacmusa e non devo temer nulla, possedendo dei malefizii anche contro gli uomini bianchi e potendo scatenare a mio piacimento gli uragani come Yacu-ena.
— E dov’è questo cacciatore?
— Lo troveremo subito; pescava dietro quegli scogli. —
Lo stregone si diresse verso un promontorio di alte rocce, il quale pareva che formasse un piccolo seno, difeso da un numero considerevole di scoglietti disseminati dinanzi alla spiaggia. Vi dovevano essere degli uomini occupati a pescare udendosi di quando in quando delle grida umane e dei latrati.
Piotre, dopo d’aver lasciato due uomini a guardia della scialuppa, aveva seguito l’jacmusa con Mariquita e gli altri.
Superate le rocce, videro infatti sette od otto selvaggi immersi nell’acqua fino alle anche e armati di bastoni coi quali frugavano il fondo del piccolo seno.
Erano accompagnati da una dozzina di cani somiglianti alle volpi, di statura piccola, col muso assai appuntito, le orecchie aguzze e diritte, il pelame assai folto di color rossobruno e di una magrezza spaventosa.
Quei cani sono certamente i più disgraziati della razza, sempre affamati, sempre maltrattati e destinati a finire, presto o tardi, nel ventre dei loro padroni, i quali non sanno ricompensare altrimenti i servizi che essi rendono a loro. Dotati d’un meraviglioso istinto, aiutano i selvaggi, non solo alla caccia, ma soprattutto alla pesca, essendo il pesce abbondantissimo in tutte le baie e nei seni della Terra del Fuoco. I cani si gettano in acqua e, con una serie di manovre abilissime, spingono i pesci verso la spiaggia, dove i loro padroni, che non conoscono l’uso delle reti, li uccidono a colpi di bastone o di freccie o di giavellotti.
Non occorre dire che in quelle pesche i cani non hanno molto da guadagnare; i loro padroni non pensano a lasciare a quei poveri animali nemmeno le pinne e neanche le interiora. Per buona sorte sanno pescare anche per loro conto, senza l’aiuto dell’uomo, avendo l’intuito delle lontre e delle foche e si vedono errare sempre sulle spiaggie, divorando le stelle di mare, che le onde respingono, od i ricci che in quelle regioni sono d’una grossezza mostruosa, due e anche tre volte più degli aranci e pieni come meloni, ed in mancanza d’altro, si pascono d’una erba amara che cresce in abbondanza sugli scogli.
I pescatori avevano già fatto delle buone pesche. Ricci, dorate, merluzzi australi e delle fistrolarie dalla pelle rosso bruna e delle alciop dagli occhi enormi, giacevano sulla spiaggia, trafitti da freccie o da colpi di lancia. Vedendo comparire quel drappello d’uomini bianchi, i selvaggi avevano subito raggiunta la riva, afferrando le loro lancie dalla punta d’osso e mettendosi sulla difensiva. Ad un segno dello stregone avevano abbassate le armi, senza abbandonarle. Erano tutti di statura alta, completamente nudi, non ostante il vento freddissimo che soffiava ed avevano il volto e parte del petto dipinto in bianco ed in nero a righe ed a macchie, ed i capelli tinti di rosso e raccolti intorno ad una mandibola di delfino che serviva loro anche per pettinarsi.
— Vi è il cacciatore di guanachi fra di loro? — chiese Piotre allo stregone.
— No, — rispose questi, — sarà tornato alla sua capanna.
— Eppure tu mi avevi detto che poco fa era qui, — disse Piotre, assai contrariato.
Lo stregone raggiunse i pescatori e scambiò con loro alcune parole che nè il baleniere nè papà Pardoe poterono comprendere.
I selvaggi raccolsero i loro pesci ponendoli dentro una pelle di guanaco, chiamarono i cani, quindi s’allontanarono con una certa velocità, dirigendosi verso i boschi.
— Perchè se ne vanno? — chiese Piotre allo stregone, il quale era tornato.
— Ho detto loro di avvertire Takà del vostro arrivo e di aspettarvi.
— Andremo a trovarlo?
— Sì.
— Dove si trova la sua capanna?
— In mezzo al bosco. —
Piotre guardò papà Pardoe.
— Potremo fidarci di quest’uomo? — gli chiese.
— Lo terremo in ostaggio fino a cosa finita, — rispose il vecchio. — È bensì vero che questi stregoni non godono molta considerazione fra i loro compatriotti, tuttavia sono temuti e non ce lo lasceranno in mano.
Al primo indizio d’un tradimento, lo manderemo a trovare Yam-ena.
— Che non ci tendano un agguato in mezzo ai boschi? C’è poco da fidarsi di questi isolani.
— Siamo armati, capitano, e sapremo difenderci. E poi, pensate che forse quel cacciatore può darci notizie importanti sul naufragio della Rosita e risparmiarci delle lunghe ricerche.
— Andiamo, — disse Piotre allo stregone, il quale aspettava i suoi ordini. — Ti avverto intanto che noi non ti ....gli scaricò in mezzo al petto le due pistole. (Cap. XVI.) lasceremo libero finchè non avremo fatto ritorno alla spiaggia e che la tua vita risponderà della lealtà dei tuoi compatriotti.
— Io sono amico degli uomini bianchi, — si limitò a dire il selvaggio.
Il drappello si mise a salire la spiaggia, la quale montava dolcemente fino alle basi d’una catena di montagne nevose e orribilmente dirupate e divise da precipizi profondissimi.
Piotre camminava a fianco dello stregone, poi seguivano Mariquita e papà Pardoe, quindi i tre marinai, essendo rimasti gli altri a guardia della scialuppa. Ai piccoli e contorti alberi chiamati corteccia di vinter e alle felci, cominciavano a succedere i grossi faggi antartici, i quali tendevano a diventare sempre più numerosi e più folti, mescolandosi a lauri ed a fucsie ed avvolti fra una vera rete di piante parassite. I vimini formavano qua e là dei boschetti impenetrabili.
Tutte quelle piante erano cariche di barbagianni che non si prendevano la briga di fuggire all’avvicinarsi degli uomini, contentandosi di fissarli insistentemente coi loro occhiacci gialli. Ve ne sono tanti sulla Terra del Fuoco e sulle isole che la circondano, da contarne delle migliaia e migliaia su poche centinaia di metri quadrati di terra.
Cosa davvero strana, quella terra così fredda, e così orrida, sembra il paradiso degli uccelli, perchè ve ne sono di tutte le specie ed in quantità prodigiose.
Il selvaggio non pareva facesse attenzione a quei volatili. Raccoglieva invece premurosamente, quando ne trovava, certe specie di funghi che crescevano sul tronco dei faggi, di forma rotonda, come una palla, di colore giallastro, tutti traforati come un alveare e spugnosi, crittogama assai ricercata da quegli abitanti e che preferiscono anche all’olio rancido delle foche o al grasso nauseante delle balene, di cui sono ghiottissimi. Piotre non lo perdeva di vista un solo momento e lo sorvegliava sospettosamente, quantunque quella boscaglia sembrasse deserta. Anche papà Pardoe apriva bene gli occhi e si teneva accanto Mariquita, perchè non si discostasse. Nè l’uno nè l’altro, conoscendo con quali bricconi avevano da fare, ladri, traditori e antropofaghi, non erano del tutto tranquilli e pensavano insistentemente alla partenza precipitosa dei pescatori.
Avevano percorso quasi un miglio, inoltrandosi nella foresta che diventava sempre più fitta, quando lo stregone si fermò, dicendo a Piotre:
— Il cacciatore di guanachi è vicino.
— L’hai veduto? — chiese il baleniere.
— La sua casa si trova qui.
— Sarà stato avvertito del nostro arrivo?
— Ci aspetta, ne sono certo. —
In mezzo ad un folto gruppo di piante grondanti di umidità, si vedeva alzarsi lentamente del fumo, e ciò indicava la vicinanza di qualche capanna, se non di un accampamento. Lo stregone, servendosi di una scure di pietra, si aprì il passo fra quei vegetali e giunse in mezzo ad una piccola aia su cui s’alzava una meschina abitazione.
Gl’isolani della Terra del Fuoco, a qualunque tribù appartengano, non si sono mai curati di costruirsi delle vere capanne che li riparino dalle nevi e dai venti freddissimi che soffiano senza tregua sulla loro isola, e tanto meno dalle pioggie.
Le loro abitazioni si compongono di schegge di legno e di rami ammassati alla buona, in modo da formare una specie di pan di zucchero, per lo più con una vasta apertura da una parte che ha press’a poco un ottavo della circonferenza dell’intero abituro e che serve di porta e di sfogo al fumo, non conoscendosi là i camini.
L’aria vi circola così liberamente, ed il vento e il freddo vi entrano con tutto il loro comodo. Il tetto poi è tanto male costruito che la pioggia filtra da tutte le parti nell’interno dell’abitazione.
I mobili sono affatto ignoti. Tutto l’arredo si riduce ad un po’ di graminacee che servono da letto, e qualche canestro per conservare delle bacche somiglianti al corbezzolo che si raccolgono sui terreni torbosi, ed a qualche sacco di pelle di foca contenente il pesce secco.
In alto una vescica piena d’acqua che serve da otre e che ha un buco che permette a ogni membro della famiglia di accostarvi le labbra per dissetarsi.
La capanna del cacciatore di guanachi conteneva anche delle pelli d’animali, tese a seccare e delle armi consistenti in archi, in frecce, lancie dalla punta d’osso e coltelli fatti con conchiglie taglienti.
Il proprietario, forse già avvertito dai pescatori, vi era già e si scaldava attorno ad alcuni rami di berberis, rosicchiando un pezzo di pesce secco che non si era preso la briga di cucinare.
Pareva che appartenesse ad un’altra razza, non avendo la statura nè i lineamenti degli Ona, che sono considerati come i più belli abitanti della Terra del Fuoco.
Era alto appena cinque piedi ed aveva le membra magrissime, intisichite, la fronte bassissima ad angolo ottuso, coi capelli grossi, ruvidi e neri, quasi uniti alle sopracciglia, gli occhi piccini e vivacissimi, animati da un lampo sinistro, il naso camuso e la faccia larga con varii peli irsuti e grossi come setole, il collo corto, le spalle incurvate e le membra sproporzionate. Il suo aspetto, oltre ad essere ributtante, aveva un’espressione tale di ferocia, da incutere paura, espressione che si è già osservata in quasi tutti i selvaggi delle coste meridionali e occidentali della Terra del Fuoco.
Vedendo entrare il drappello, i suoi sguardi si erano subito fissati su Mariquita, guardandola con particolare attenzione. Ammirava i bellissimi lineamenti della giovane araucana o pensava forse alla delicatezza di quelle carni, da antropofago ghiottone e raffinato?....
Lo stregone fece sedere i balenieri attorno al fuoco, poi disse al cacciatore alcune parole in una lingua sconosciuta a Piotre e anche a papà Pardoe.
Il selvaggio lo aveva ascoltato in silenzio, limitandosi a crollare la testa; papà Pardoe che lo osservava, aveva notato, non senza inquietudine, l’espressione bestiale e feroce che aveva assunto la sua faccia.
— Badate! Stiamo in guardia, — sussurrò ai tre marinai. — Qualcuno si ponga fuori della capanna e sorvegli i dintorni. Non ci vedo chiaro in questo affare. —
Piotre aveva subito rivolto la parola al cacciatore, il quale pareva che aspettasse di venire interrogato.
— Sei tu che hai assistito al naufragio d’una nave? — aveva chiesto.
— Sì, — aveva risposto il cacciatore, nella lingua degli Ona.
— Sapresti descrivermi quel gran canotto?
— Aveva due alberi ed era pitturato di nero con due larghe striscie bianche.
— Sei certo di non ingannarti?
— L’ho veduto come ora vedo te.
— È la Rosita! — esclamò Piotre, volgendosi verso Mariquita con vivacità. — L’jacmusa non ci aveva ingannati.
— La Rosita! — gridò la giovane, comprimendosi con le mani il petto, come se avesse voluto frenare i battiti impetuosi del suo cuore. — La Rosita! —
Vedendola impallidire, come se fosse lì lì per svenire, Piotre aggrottò la fronte.
— Che cosa avete, ora? — chiese, quasi brutalmente.
— Perdonatemi, Piotre, — balbettò la povera araucana.
— Non date alcun segno di debolezza dinanzi a questi selvaggi: ne va di mezzo la vita di tutti.....
— Continuate, Piotre..... interrogatelo..... purchè non c’inganni.
— Non conosco che la Rosita che avesse due righe bianche, — disse il baleniere. — Ma avremo subito la certezza se si tratta veramente di quella, o di qualche baleniera delle Falkland. —
Si rivolse al cacciatore, che continuava a fissare Mariquita con una strana espressione, ma questi lo prevenne dicendogli in un cattivo spagnuolo.
— È la tua donna quella? —
Piotre lo guardò con stupore.
— Chi ti ha insegnato la nostra lingua? — chiese.
— Un uomo che apparteneva a quella nave, — rispose il selvaggio. — Il solo che sia stato risparmiato.
— Come era quell’uomo?
— Più piccolo di te, più magro, colla pelle assai bruna, la barba e gli occhi neri ed una cicatrice sulla fronte. —
Due grida erano sfuggite a papà Pardoe ed al baleniere:
— Alonzo!....
— Vive ancora! — gridò Mariquita.
— Zitta! — disse Piotre. — Lasciate che lo interroghi. Quando si è perduta quella nave?
— Cominciavano allora a cadere le prime nevi, — rispose il selvaggio.
— Dove si è spezzata?
— Su una scogliera, dopo un violentissimo uragano durato tre giorni. Pareva che quel grosso canotto non governasse più.
— Quanti uomini la montavano?
— Non lo so.
— Si sono salvati tutti?
— No, uno solo, l’uomo dalla barba nera che è stato adottato dalla tribù.
— E gli altri? —
Il selvaggio guardò Piotre con aria imbarazzata, senza rispondere.
— Sono stati uccisi? — chiese il baleniere, con tono di minaccia.
— Non so nulla, perchè il giorno dopo partii per la caccia dei guanachi.
— Non li hai più veduti?
— Soltanto l’uomo dalla barba.
— Quelle canaglie li hanno divorati, ne sono certo, — disse papà Pardoe. — Razza di furfanti! Noi li vendicheremo a tempo opportuno.
— Dimmi, — proseguì Piotre, — puoi tu assicurarmi che quell’uomo sia ancora vivo?
— Quando le nostre tribù adottano un naufrago, lo rispettano. Se lo uccidessero, Yaco-ena si vendicherebbe crudelmente. Quell’uomo deve essere ancora vivo e lo ritroverai, — rispose il selvaggio.
— E se questo cacciatore mentisse? — chiese Mariquita, che frenava a stento le lagrime. — Se c’ingannasse?
— Verresti con noi? — chiese Piotre, volgendosi al selvaggio. — Se tu ci conduci là dove si è spezzata la nave, io ti darò dei regali finchè vorrai.
— Anche delle armi che tuonano? — chiese il cacciatore.
— Sì, anche delle armi.
— Non mi mangerai dopo?
— Gli uomini bianchi non divorano le persone.
— Oh! sì, è vero.
— Vuoi venire? —
Il selvaggio ebbe un’ultima esitazione, poi disse bruscamente, come se avesse preso una improvvisa risoluzione:
— Sì, ti condurrò là dove si è sfasciata la nave e ti mostrerò anche i rottami. —
Ad un tratto s’alzò e parve che tendesse gli orecchi. In quell’istante un grido era sfuggito a papà Pardoe;
— L’jacmusa è sparito!.... —
Era proprio vero. Lo stregone, avendo notato che nessuno più faceva attenzione a lui, pian piano era scivolato attraverso uno squarcio della capanna, che prima non era stato osservato.
Piotre si era gettato dinanzi a Mariquita, armando precipitosamente le pistole, intuendo un tradimento.
— Se volete salvarvi, fuggite subito, — disse Pardoe. — Gli Ona devono essersi accordati per trarci in un agguato.
— Come lo sapete voi? — chiese Piotre.
— Me n’ero accorto. —
Il cacciatore di guanachi intanto aveva staccato dal tetto della capanna una scure di pietra ed una lancia. Uscì rapidamente, seguito da Piotre, da Mariquita e dagli altri.
Tutti avevano armate le pistole e passati i coltelli nelle fascie, per essere più pronti a servirsene.
— Non temete, Mariquita, — disse Piotre. — Prima che arrivino a voi, bisognerà che passino sul mio corpo. Miserabili! Dovevo aspettarmi questo tradimento!
— Non ho paura, Piotre, — rispose la giovane, stringendo con mano sicura il calcio delle pistole.
— Sì, lo so, siete figlia d’una razza che non ha mai tremato. Stringetevi a noi altri e non sparate che a colpo sicuro.
Fortunatamente i fuegini hanno paura delle armi da fuoco. —
Al di fuori non si vedeva nessun indigeno, nè si udiva alcun rumore. Una folta nebbia, spinta dai venti che soffiavano sulle montagne, era improvvisamente calata, avvolgendo la foresta, fenomeno comunissimo, che si verifica parecchie volte anche nello stesso giorno, in quelle terre umidissime.
Avevano percorso appena una cinquantina di passi preceduti dal selvaggio, il quale si era avanzato con molta precauzione, guardando attentamente sotto le piante, quando in lontananza si udirono rimbombare quattro detonazioni, sparate una dietro l’altra e che si ripercossero nettamente sotto le folte vôlte dei faggi antartici.
— Signor Piotre! — esclamò papà Pardoe, impallidendo. — Assalgono i marinai della scialuppa!
— Ah! canaglie! — gridò il baleniere. — Assassinano la mia gente! Accorriamo! —
Stavano per prendere la corsa, quando videro parecchi gruppi d’uomini irrompere fra i tronchi d’albero ed i cespugli, agitando furiosamente mazze di pietra e giavellotti.
Clamori assordanti e feroci, che parevano ululati di fiere in furore, ruppero bruscamente il profondo silenzio che regnava nella foresta.
Quanti erano gli assalitori? Molti senza dubbio, perchè ne sbucavano da tutte le parti, lanciando dardi e freccie. Piotre sparò contro i primi le sue pistole, facendone cadere al suolo due, poi afferrò fra le robuste braccia Mariquita, se la strinse al petto e si slanciò attraverso alla foresta a corsa sfrenata, urlando:
— Fuggite alla costa! —
In quel momento una nuova banda di selvaggi si era gettata fra lui ed i suoi uomini, dividendoli.
Per un momento ebbe l’idea di tornare indietro e di correre in aiuto dei suoi marinai, poi, udendo i colpi di pistola rintronare dall’altra parte della discesa, non si fermò, tanto più che udiva dietro di sè le urla dei selvaggi slanciatisi sulle sue traccie.
— Tenetevi stretta al mio collo, Mariquita! — gridò. — Li faremo correre!
— E papà Pardoe? — chiese le giovane.
— Odo le grida dei nostri allontanarsi ed i loro spari diventare più fiochi. Scendono verso la spiaggia dal versante opposto. Li ritroveremo alla scialuppa.
— C’inseguono?
— Sì, vedo delle ombre agitarsi fra la nebbia. Sono ancora cariche le vostre pistole?
— Non le ho ancora sparate.
— Se guadagnano su di noi, fate fuoco. Io penso a correre. Tenetevi stretta e non temete! Ho le gambe solide. —
Il baleniere diceva il vero. Abituato alle lunghe corse attraverso la pampa per sfuggire agl’inseguimenti dei Tuel-Ke, correva colla rapidità d’un guanaco, procurando di non cadere, cosa facilissima a succedere su quel terreno accidentato, ingombro di sterpi e formato da alberi caduti e putrefatti e da muschi in dissoluzione.
Aveva ben da fare a mantenersi ritto su quel suolo falso e ad evitare i molteplici ostacoli che gli si paravano dinanzi, e spesso vacillava e sprofondava bruscamente in vecchi tronchi, caduti per vecchiaia e che quantunque già passati allo stato di terriccio conservavano le loro forme sotto un falso involucro di muschi e di licheni.
Però, se era forte come un toro, il baleniere possedeva anche un’agilità straordinaria che gli permetteva di balzare sopra quei tronchi che il suo occhio scopriva subito e di varcare i cespugli che crescevano rigogliosi, succhiando un sovrabbondante alimento.
Le urla dei selvaggi si udivano sempre e qualche freccia fischiava ai suoi orecchi, facendogli accelerare sempre più la corsa. Gl’inseguitori, malgrado la nebbia, non lo avevano perduto ancora di vista e lo perseguitavano con accanimento senza pari, bramosi forse di assaggiare la tenera carne della bella giovane che egli teneva fra le braccia, più che la sua.
Piotre non li lasciava accostare troppo. Con slanci furiosi riusciva a tenerli sempre a distanza.
Il suo vigore, che doveva essere prodigioso, non si affievoliva; pareva che Mariquita non gli pesasse più d’un fanciullo e che anzi il contatto della giovane gli mettesse il fuoco nelle vene e gl’infondesse una forza da gigante.
— Sì.... correte pure.... raggiungetemi se potete. — diceva. — Non me la strapperete.... canaglie.... —
E si stringeva sempre più al petto Mariquita, con una specie di frenesia, correndo alla disperata e aspirando rumorosamente l’aria gelida. Quando i capelli della giovane araucana, che si erano sciolti in quella pazza corsa, lo sferzavano in viso, o gli si attortigliavano attorno al collo, alzava gli occhi e la guardava sorridendo, felice di poter stringere al petto quella donna che tanto aveva amata e per un momento dimenticava i selvaggi che lo inseguivano per pascersi, belve feroci, delle carni di ambedue.
Dove fuggiva? Non lo sapeva, nè pareva che se ne preoccupasse. Non pensava nemmeno più alla scialuppa, anzi non avrebbe voluto ritrovarla per non troncare quella corsa che gli faceva battere forte il cuore e che lo faceva vibrare fino nel profondo dell’anima.
Mariquita, appoggiata sul largo petto del baleniere, colle sue mani strette al poderoso collo di lui, lo guardava con ammirazione, e si domandava fino a quando quell’uomo avrebbe potuto resistere e dove la portava.
Il bosco era stato attraversato e Piotre scendeva all’impazzata una costa cosparsa di muschi carichi d’umidità e che si sfaldavano sotto i suoi piedi. La nebbia era così fitta in quel luogo che non si poteva distinguere la spiaggia, quantunque in lontananza si udissero le onde scrosciare fra le scogliere.
Le urla dei selvaggi erano cessate. Si erano stancati o disperando di poter raggiungere quell’uomo inafferrabile, che pareva possedesse i garretti dei guanachi, si erano slanciati dietro ai marinai? Oppure si erano smarriti fra le nebbie della foresta?
— Piotre, — disse Mariquita, allentando le mani. — Non odo più nulla. Riposatevi un momento, non corriamo più alcun pericolo.
— Non li vedete più? — chiese egli.
— No, Piotre. —
Si fermò e la depose, tergendosi il sudore che gli bagnava il viso e aspirando liberamente il vento marino, saturo di salsedine.
— Hanno smarrito le nostre traccie, — disse. — E dove siamo noi? Dobbiamo aver percorso parecchi chilometri e chissà dove si troverà la scialuppa.
— Odo il mare a rompersi dinanzi a noi, — disse Mariquita.
— Sì, la spiaggia è là.
— Volete riposarvi, Piotre?
— Non ne ho bisogno: raggiungiamo la spiaggia.
— Piotre.... grazie.... m’avete salvata, — mormorò Mariquita. — Senza di voi forse a quest’ora mi avrebbero uccisa.
— Ho difeso colei che sarà un giorno la mia donna, — rispose semplicemente il baleniere.
Mariquita chinò il capo senza rispondere e provò un lungo brivido.