< La capitana del Yucatan
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24. Il colpo di testa di Cordoba 26. La morte del cubano

CAPITOLO XXV.


La fuga.


Un istante dopo la marchesa del Castillo si arrestava sulla soglia della stanzetta, col più vivo stupore dipinto sul viso, guardando con una specie di terrore Cordoba ed i suoi marinai, e soprattutto il signor Del Monte che nello scorgerla era diventato livido.

Un gesto fulmineo del tenente le trattenne probabilmente il grido di sorpresa che stava per sfuggirle dalle labbra e forse anche il nome del suo fedele compagno. Comprese in un baleno che i suoi uomini avevano ordito qualche temerario piano per salvarla e riacquistò prontamente la sua calma abituale, rispondendo, con un grazioso chinar del capo al saluto del capo insorto e dei suoi ospiti.

— Perdonate, signora marchesa, se vi ho importunato, — le disse Guaymo, scoprendosi, — ma vi è qui il signor tenente Mac-Kye della marina americana che desiderava vedervi.

— È vero, signora, — disse Cordoba. — Spero che vorrete scusare la mia curiosità, ma ero desideroso di vedere la famosa Capitana del Yucatan.

— Famosa!... — esclamò donna Dolores, ridendo. — Eh, via!... Cosa dite, tenente?... Possibile che ormai in Cuba tutti mi conoscano di già?...

— Io credo, marchesa, che dal capo Sant’Antonio alla punta di Maisi, tutti conoscano ormai la storia del Yucatan e che tutti sappiano che lo comanda una donna.

— Me ne duole, signore, — disse donna Dolores, sedendosi. — Io mi ero illusa di poter giungere sulle coste di Cuba assolutamente ignorata, mentre ora mi accorgo di essere stata tradita.

— In guerra i tradimenti talvolta sono necessari.

— Lo vedo ora. Senza un tradimento non mi troverei prigioniera.

— Consolatevi, signora marchesa, — disse il capo degli insorti. — La vostra prigionia non è durata che due giorni o tutt’al più tre.

— Oh!... Forse che sto per riacquistare la libertà?...

— Il signor tenente è incaricato di ricondurvi a Cuba.

— Dal capitano Pardo?...

— Sì, signora, — disse Cordoba. — Da Pardo il quale vi restituirà la libertà se vorrete finalmente cedere le armi che l’Yucatan tiene nella sua stiva. O voi accettate od io v’imbarcherò sull’Oyster e vi condurrò a Key-West od a Tampa. Sono stato mandato qui appositamente per trattare con voi, assieme al signor Del Monte, uno dei più fidi amici del capitano Pardo.

La marchesa non rispose. Guardava fissamente l’astuto Cordoba come per leggergli negli occhi la risposta che doveva dare.

— Ebbene, cosa decidete, signora? — chiese il tenente, abbassando lievemente il capo in segno affermativo.

— Penso, signore, che una maggior resistenza da parte mia sarebbe assolutamente inutile, — rispose la marchesa. — Io tutto ho tentato per condurre a buon fine l’impresa; se la fortuna mi è stata contraria, devo rassegnarmi a cedere.

— Cederete il carico!... — esclamarono Cordoba e Guaymo l’uno con gioia dissimulata, l’altro con vero entusiasmo.

— Lo cedo, signori.

— Allora, signora marchesa, domani noi v’imbarcheremo per Cuba e posdomani sarete libera.

— Coi miei compagni?...

— È impossibile: la mia scialuppa non può portare un carico soverchio.

— Posso procurarvene una maggiore, — disse Guaymo.

— Pensate, mio caro, che noi siamo solamente in cinque.

— Si legano i prigionieri, la marchesa esclusa. Contate di partire domani?...

— All’alba.

— Quest’oggi sarete adunque mio ospite.

— Se non vi rincresce.

— Tutt’altro, tenente. Le distrazioni sono così poche a S. Felipe!... Approfitterò per mostrarvi i nostri depositi d’armi e presentarvi le mie truppe.

— Una passeggiata la desidero. —

Il capo degli insorti chiamò il negro, poi volgendosi verso la marchesa che si era alzata:

— Signora, vi prego di ritirarvi nella casetta che vi ho assegnata. Se non vi disturbiamo, questa sera verremo a trovarvi.

— Sarò lieta di ricevervi, signori, — rispose donna Dolores. — La serata sarà meno lunga e meno noiosa. —

Scambiò con Cordoba uno sguardo d’intelligenza, fece un leggero inchino e uscì.

— Bella signora, in fede mia!... — esclamò Cordoba, rivolgendosi a Guaymo. — Deve essere una donna energica e risoluta.

— Lo credo, — rispose l’insorto. — È appunto per ciò che tengo sempre due sentinelle dinanzi alla sua porta. Signor tenente, andiamo a cercare una scialuppa che sia più ampia della vostra. —

Accesero i sigari e uscirono a braccio come due vecchi amici, seguiti dai due marinai che non si staccavano dai fianchi del cubano e dallo spagnuolo.

Il capo insorto di S. Felipe che non aveva il menomo dubbio su Cordoba, si fece in quattro per fargli passare alla meno peggio la giornata. Lo condusse innanzi a tutto al porto dove fu fatta la scelta della scialuppa che doveva servire al trasporto dei suoi prigionieri, una bella e solida barca di dieci tonnellate attrezzata a cutter e che poteva resistere anche a mare grosso; poi gli fece vedere i magazzini delle armi, i pezzi di cannone che dovevano venire trasportati a Cuba appena si fosse rallentata la vigilanza delle cannoniere spagnuole, quindi lo condusse da alcuni piantatori dell’isoletta a bere qualche bottiglia o qualche tazza di eccellente cioccolato.

Durante quelle passeggiate, Cordoba aveva però avuto il tempo di accostarsi parecchie volte allo spagnuolo e di scambiare con lui delle rapide parole. Erano delle istruzioni di molta importanza, concernenti un audace progetto e che egli doveva trasmettere anche ai due marinai onde tutti fossero pronti al momento opportuno.

Calata la sera, dopo cena, il capo degl’insorti, Cordoba ed i suoi compagni, si recarono a trovare la marchesa, considerandola ormai non più prigioniera.

La casetta destinata ai prigionieri si trovava all’estremità del campo trincerato, dietro alle tettoie che servivano di magazzini d’armi. Era una piccola costruzione a due piani parte in legno e parte in muratura, con una veranda all’intorno, riparata da stuoie di cocco. Non vi erano che quattro stanze: due per la marchesa e le altre due pel capitano Carrill e pei quattro marinai del Yucatan. Due sentinelle vegliavano di giorno e di notte innanzi all’unica uscita, precauzione indispensabile, quantunque gli uomini fossero tenuti sotto chiave e le loro finestre fossero state riparate da robuste traverse di legno.

Donna Dolores ricevette il capo degl’insorti ed i suoi amici con cortese premura, fingendo di mostrarsi lietissima di quella visita. Da una ragazzetta mulatta, messa a sua disposizione da Guaymo anche per sorvegliarla, fece portare del caffè e lo offrì ai suoi visitatori, dicendo con amabile gaiezza:

— L’ho preparato io; spero che voi farete onore a ciò che può offrire una povera prigioniera.

— Non lo siete mai stata di fatto, marchesa, — rispose il capo degl’insorti di S. Felipe. — Voi non potreste lamentarvi di eccessivi rigori da parte mia.

— È vero signore e vi sono riconoscente.

— Non ringraziate me; io non ho fatto altro che obbedire agli ordini ricevuti dal capitano Pardo.

— Un capitano assai cortese difatti, — disse Cordoba. — Non ho mai trovato un gentiluomo così perfetto quantunque a prima vista non lo sembri. Signora marchesa, eccellente questo caffè, in fede mia. Spero di berne un’altra tazza domani mattina prima della partenza.

— Partiamo adunque, signore? — chiese donna Dolores.

— All’alba.

— Col capitano Carrill?...

— Ed i quattro marinai del vostro Yucatan. Abbiamo già trovata una comoda scialuppa.

— E andremo dal capitano Pardo?...

— Sì, marchesa e... Toh!...

— Cosa avete? — chiese Guaymo, vedendo il tenente ad alzarsi bruscamente e dirigersi verso la finestra.

— Mi è sembrato di veder balenare un lampo sul mare.

— Un razzo forse? —

Il capo degl’insorti si era alzato per accostarsi alla finestra, ma contemporaneamente si erano pure alzati i due marinai. Questi si scambiarono uno sguardo, poi tutto d’un tratto, mentre Cordoba chiudeva rapidamente le imposte, piombarono su Guaymo atterrandolo con due pugni tremendi.

Il povero uomo, stordito e forse mezzo accoppato, era caduto fra le loro braccia.

— Ecco fatto, tenente, — dissero i due robusti garzoni.

La marchesa era balzata in piedi, esclamando:

— Non uccidetelo!

— Non è necessario, donna Dolores, — rispose Cordoba. — Noi lo imbavaglieremo e lo legheremo per bene. A me basta che fino a domani all’alba non ci dia delle noie.

— Quale audacia la tua, mio bravo Cordoba! — esclamò la marchesa. — Ed il mio Yucatan?

— È quì.

— Quì!... Il mio Yucatan quì!...

— Fra due ore voi sarete a bordo, donna Dolores. —

Poi vedendo che la marchesa apriva le labbra per tempestarlo forse di domande, le disse:

— A più tardi maggiori spiegazioni; ora si tratta di agire se vogliamo prendere il largo.

— Fuggiremo, Cordoba?...

— Subito, donna Dolores. Se gl’insorti se ne accorgono, siamo tutti perduti. Ohe, giovanotti, incaricatevi delle sentinelle.

— Siamo pronti, tenente, — risposero i due marinai, che avevano imbavagliato e legato strettamente il capo degli insorti.

— Portate quest’uomo nella stanza attigua, sul mio letto, — disse la marchesa.

I due marinai si affrettarono ad obbedire.

— Dove sono i prigionieri? — chiese Cordoba alla marchesa.

— Al pianterreno.

— Voi rimanete qui con Quiroga e sorvegliate attentamente questo caro signor Del Monte. Il povero uomo mi pare abbia bisogno di essere incoraggiato. Ohe, amico, avete un viso da funerale! —

Il cubano pareva che fosse veramente terrorizzato, temendo forse per la propria pelle. Egli guardava ora la marchesa con due occhi ripieni di spavento ed ora i due marinai che avevano ridotto a così malpartito, con due soli pugni, il capo degl’insorti di S. Felipe.

La marchesa indovinò forse ciò che passava pel capo del traditore, poichè gli disse:

— Rassicuratevi: nulla avete da temere... per ora.

— Donna Dolores, — chiese Cordoba. — È robusta la porta dei prigionieri?

— Bah! — rispose ella. — Basterà un colpo di spalla dei nostri uomini.

— Quiroga, vi raccomando Del Monte. —

Lo spagnolo trasse di tasca una rivoltella e si sedette dinanzi al traditore, il quale non pareva che si fosse ancora tranquillizzato.

— Andiamo miei bravi, — disse Cordoba. — Due pugni gagliardi alle sentinelle.

— Non temete, — risposero i marinai.

Scesero tutti tre le scale e giunti al pianterreno che non era illuminato, si arrestarono guardando attraverso la porta.

Le due sentinelle, due meticci, si erano sedute su di una panca e discorrevano tranquillamente fra di loro, fumando dei sigaretti. Di nulla dovevano essersi accorte, poichè i loro fucili si trovavano ancora appoggiati al tronco d’un albero.

— Lesti, — mormorò Cordoba.

I due marinai si affacciarono alla porta, senza che i due meticci li avessero uditi ad avvicinarsi.

— Sei pronto, Miguel? — chiese uno dei due con un filo di voce.

— Pronto, — rispose il compagno.

— A me quello di destra; a te quello di sinistra. —

Con un salto furono alle spalle dei due meticci; due pugni formidabili piombarono, con sordo rumore, sulle teste dei due poveri diavoli, i quali stramazzarono l’un sull’altro senza mandare un solo sospiro.

I due marinai li afferrarono lestamente, s’impadronirono dei due fucili e rientrarono nel corridoio, mentre Cordoba si affrettava a chiudere ed a sprangare la porta.

— Spero che non li avrete accoppati, — disse.

— Non credo, — rispose Miguel.

— Imbavagliateli. —

Strapparono una tenda che pendeva da una finestra, che illuminava la scala, la fecero a pezzi, imbavagliarono e legarono per bene i due disgraziati, quindi li portarono nella stanza della marchesa a tenere compagnia al signor Guaymo.

— Ai prigionieri, ora, — disse Cordoba, quando furono di ritorno. — Bisogna atterrare questa porta.

— Lasciate fare a me, — rispose Miguel.

Appoggiò una spalla contro la porta, inarcò la poderosa schiena e puntando un piede sul muro che gli stava dietro, diede uno scrollo irresistibile.

Le tavole, sotto quello sforzo scricchiolarono, poi i cardini già vecchi, si curvarono, quindi si spezzarono di colpo assieme al chiavistello.

Udendo quel rumore e quello schianto, il capitano Carrill ed i quattro marinai del Yucatan che erano stati fatti prigionieri colla marchesa, accorsero portando una lanterna. Un grido di stupore uscì dalle labbra dei marinai:

— Il signor Cordoba!...

Carrai!...

— I camerati!...

— Mille lupi marini!...

— Silenzio, — disse Cordoba. — Se vi preme la libertà seguiteci senza ritardi.

— Ma chi siete voi, signore, che venite a salvarci? — chiese il capitano Carrill.

— Il comandante in seconda del Yucatan, — rispose Cordoba. — Presto, venite capitano!

— E la marchesa?

— Ci aspetta. —

Salirono rapidamente al piano superiore. Cordoba senza perdere tempo a dare spiegazioni aprì una finestra e misurò l’altezza.

— Quattro metri, — disse. — La discesa non sarà difficile.

— Fuggiamo per la finestra? — chiese la marchesa.

— Sì, poichè scenderemo al di là della cinta.

— Ma qui non vi sono funi, Cordoba.

— Le abbiamo, donna Dolores. —

Poi volgendosi verso i marinai:

— Strappate le tende e attortigliatele strettamente; ci serviranno per discendere. —

In un baleno le quattro tende delle due finestre, fatte di ottima tela azzurra a ricami bianchi, furono levate, legate due a due e bene ritorte.

— A te, Miguel, che possiedi un fucile, — disse Cordoba. — Guarda se vi sono sentinelle. —

Il marinaio scavalcò il davanzale, si aggrappò a quella specie di gomena e si lasciò scivolare fino a terra.

Giunto abbasso armò il fucile preso ad uno dei due meticci e si allontanò di alcuni passi seguendo la cinta esterna del piccolo campo trincerato. Non scorgendo alcuna sentinella si affrettò a tornare sotto la finestra.

— Nessuno? — chiese Cordoba.

— No, tenente; potete scendere.

— Avanti i marinai. —

I cinque camerati di Miguel scesero uno dopo l’altro, poi scese donna Dolores, quindi il cubano, lo spagnuolo e ultimi Cordoba ed il capitano Carrill.

— Tre marinai dinanzi; gli altri alla retroguardia, — comandò Cordoba.

Il drappello si mise subito in marcia, allontanandosi rapidamente dal piccolo campo trincerato per tema d’incontrare qualche sentinella.

L’oscurità favoriva la fuga. Essendovi dei vapori in alto, le stelle non proiettavano la loro luce che quantunque debole, permette sempre di distinguere qualche cosa anche ad una distanza non piccola. La luna poi non doveva alzarsi che molto tardi quella sera, quindi pel momento non vi era molto pericolo di poter venire scoperti.

Cordoba si orizzontò col villaggio che si trovava sulla sua sinistra e guidò il drappello verso il margine d’una piantagione di cacao che si estendeva verso le regioni centrali dell’isola.

Protetti dalla cupa ombra delle piante, i fuggiaschi potevano allontanarsi tranquillamente ed in caso d’un allarme nascondersi o porsi in salvo in mezzo ai boschi.

Erano però più che certi di poter giungere là ove doveva trovarsi la piccola baleniera senza venire disturbati, almeno per qualche ora. Il villaggio di S. Felipe era oscuro e silenzioso e anche sotto le grandi tettoie del piccolo campo trincerato non si vedeva brillare alcun lume, segno evidente che abitanti ed insorti dormivano profondamente.

Percorso il margine della piantagione, Cordoba condusse il drappello verso il mare. Egli affrettava sempre più il passo, esortando la marchesa a fare degli sforzi, temendo che le sentinelle incaricate di surrogare quelle che vegliavano sui prigionieri, si accorgessero della scomparsa di tutti.

— Prima di un’ora bisogna giungere alla baleniera o noi correremo il pericolo di venire scoperti — diceva. — Presto, donna Dolores; affrettatevi.

— Siamo ancora lontani? — chiese la marchesa che si trovava imbarazzata a seguire i suoi compagni.

— No, fra poco giungeremo sulla spiaggia opposta.

— E l’Yucatan dove lo troveremo?

— In un nascondiglio sicuro, in una magnifica caverna marina che forse tutti ignorano. Odo il mare che brontola anche laggiù; presto vi giungeremo. —

Ormai non dovevano essere lontani dalla piantagione di canne da zucchero ove avevano fatto l’incontro col mulatto. Cordoba, temendo che qualche negro si trovasse colà imboscato, volle evitarla dirigendosi verso la costa.

La sponda era però assai alta, tagliata a picco sul mare ed assai malagevole in causa di certe frane e di certe fenditure che causavano sovente degli improvvisi capitomboli. Già più d’un marinaio dell’avanguardia aveva corso il pericolo di precipitare in mare.

— Adagio, — disse Cordoba. — Badate ove ponete i piedi. —

Aveva appena dato quell’avvertimento, quando udì dietro di sè un grido acutissimo, poi un tonfo sordo.

— Fulmini! — gridò, impallidendo. — Chi è caduto?

— Il signor Del Monte!... — disse un marinaio.

— Il diavolo se lo porti!... Non aveva occhi quello stupido.

— Cordoba, non possiamo abbandonarlo, — disse la marchesa. — Forse quel povero diavolo si è spezzato le gambe.

— Io vorrei che si annegasse, — brontolò il lupo di mare. — Mi risparmierebbe la fatica di appiccarlo più tardi. Qualcuno scenda per vedere se si può ripescare quello squalo d’acqua dolce. —

Quiroga e due marinai, un po’ a malincuore, si misero in cerca d’una discesa che permettesse loro di giungere sulla spiaggia sottostante, e dopo d’aver corso venti volte il pericolo di capitombolare nei flutti, riuscirono a giungere al mare.

Non scorgendo nulla, si misero a chiamare il cubano a bassa voce, senza però ottenere risposta alcuna.

Certamente il povero diavolo si era fracassato contro qualche roccia e poi era stato ingoiato dalle acque.

— Noi perdiamo del tempo prezioso, — disse lo spagnuolo. — D’altronde quel furfante ha avuto ciò che si meritava.

Perlustrarono la spiaggia per un tratto di cento metri e nulla trovando, presero il partito di risalire la sponda, convinti ormai che il traditore si fosse ammazzato.

— Niente? — chiese la marchesa.

— Non abbiamo udito più nulla, signora, — disse lo spagnuolo. — Deve essersi sfracellato.

— Buon pasto pei pesci-cani!... — esclamò Cordoba.

Questa fu l’orazione funebre del traditore.

Il drappello si era rimesso in marcia, seguendo la costa che limitava la piantagione di canne da zucchero del mulatto. Cordoba era diventato prudente e non si avanzava che con lentezza, arrestandosi di quando in quando per ascoltare.

Egli temeva sempre la comparsa del proprietario o della sua banda. Già verso il centro della piantagione aveva udito i latrati di alcuni cani messi probabilmente a guardia della fattoria, e quel primo allarme lo aveva reso inquieto.

— Terrete pronte le armi, — disse, volgendosi verso i compagni. — Per istinto temo una qualche sorpresa.

— Combatteremo, — rispose il capitano. — Datemi una rivoltella od un semplice coltello, essendo io inerme.

— Eccovi la mia, capitano. A me basterà la mia spada di tenente della marina americana.

— Dov’è la baleniera? — chiese la marchesa.

— Non siamo lontani più di trecento passi.

— Affrettiamoci, Cordoba. Sono ansiosa di rivedere il mio Yucatan.

— Un po’ di pazienza ancora e giungeremo nella caverna. Ehi, Quiroga, vedete nulla?

— No, signor Cordoba. I negri del mulatto devono dormire come polli. —

In quel momento in mezzo alla piantagione si udirono i cani della fattoria a latrare con furore, poi delle voci umane.

— Altro che polli!... — esclamò Cordoba. — Erano svegli come coccodrilli, quei bricconi!... Di corsa, amici o li avremo alle spalle. Donna Dolores, volete che vi faccia portare? Miguel è forte come un toro.

— Non ne ho bisogno!... Avanti, amici!... — rispose la marchesa.

Il drappello ripartì rapidamente, seguendo l’alta spiaggia. In mezzo alla piantagione si udivano i latrati sempre più furiosi dei cani e le vociferazioni dei negri. Pareva che gli uomini del mulatto si preparassero a sparpagliarsi per la campagna, temendo qualche sbarco di spagnuoli.

Fortunatamente la distanza che separava i fuggiaschi dalla scialuppa era ormai brevissima. Cordoba, che aveva riconosciuta la costa, attraversò di corsa l’ultimo lembo della piantagione che formava un angolo acuto e scese il versante opposto.

Subito, sull’arena quasi bianca della spiaggia, scorse la piccola baleniera che la bassa marea aveva lasciata a secco.

— Ci siamo, — disse. — Un ultimo sforzo, donna Dolores. —

In quell’istante verso la piantagione si udirono rimbombare degli spari formidabili. I negri, credendo di spaventare i nemici immaginari, scaricavano in aria i loro tromboni.

Il drappello era già giunto sulla spiaggia. In un baleno la scialuppa fu messa in acqua, poi tutti s’imbarcarono, accomodandosi meglio che potevano, essendo lo spazio troppo limitato.

Quattro marinai afferrarono i remi e si misero ad arrancare a tutta lena, mentre in mezzo alla piantagione gli spari rimbombavano con crescente fracasso come se i negri combattessero una vera battaglia contro... le canne da zucchero!


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