< La capitana del Yucatan
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2. Per la patria 4. Da vapore a veliero

CAPITOLO III.


Il «Yucatan».


L’yacht col quale la marchesa del Castillo stava per tentare la temeraria impresa di forzare il blocco di Cuba, non ostante le poderose e numerosissime navi della squadra americana, era un vero capolavoro dell’ingegneria navale, il tipo più perfetto delle future navi di battaglia, secondo le idee sviluppate dal contrammiraglio Palhe de la Barriere, uno dei più valenti uomini di mare dell’Europa intera.

Date le sue dimensioni modeste, non poteva considerarsi una vera nave da guerra, anche per la scarsità del suo armamento, ma come un piccolo incrociatore dotato d’una grande velocità e reso assolutamente insommergibile mercè la sua speciale costruzione che, se non lo proteggeva dai proiettili, lo metteva al riparo dal pericolo di affondare con tutti quelli che lo montavano.

Era un piccolo legno da corsa, di quattrocento tonnellate, lungo trentacinque metri, strettissimo, collo sperone solido in acciaio e dotato di macchine a triplice espansione che a tiraggio forzato dovevano imprimergli una velocità tale da gareggiare coi più veloci incrociatori della marina americana, potendo toccare i ventisei nodi all’ora.

Nessun oggetto ingombrante sulla tolda, eccettuati due alberi di ferro coll’attrezzatura a goletta e pochissime corde e le due piccole torri a protezione del pezzo di cannone e della ruota del timone, ma che all’ultimo momento dovevano sparire e la ciminiera della macchina, larga e bassa. Per murate aveva una semplice cancellata di ferro, a fori larghi che non impediva l’accesso ai colpi di mare, sufficiente a riparare l’equipaggio ed impedirgli di venire spazzato via.

La sua potenza consisteva, come si è detto, nella sua impermeabilità che doveva dargli un vantaggio straordinario sulle altre navi.

Il suo scafo, costruito in acciaio, era stato diviso in un grande numero di scompartimenti stagni che erano poi stati riempiti di mattoni composti di una materia conosciuta nella marineria col nome di celluloide; materia leggerissima, pesando solamente dai centoventi ai centocinquanta chilogrammi al metro cubo, formata di fibre di cocco e che ha la proprietà di dilatarsi e di indurirsi al contatto dell’acqua. Quella specie di cintura di protezione, adottata anche dalle navi moderne, in proporzioni però ancora troppo limitate, doveva rendere impossibile la sommersione della piccola nave, anche se attraversata dai più grossi proiettili. Mercé quel celluloide sempre pronto, alla prima invasione delle acque, a gonfiarsi ed a chiudere qualunque foro prodotto dai proiettili, non poteva affondare.

Poteva bensì l’yacht venire sconquassato, massacrato, pure si sarebbe sempre mantenuto a galla e senza spostare, e questo era l’importante, il suo piano normale e continuare la corsa, se le macchine, situate d’altronde in fondo alla stiva e protette del pari da cuscinetti di celluloide e da una fascia corazzata, non venivano guastate. Ma ben altre perfezioni erano state introdotte dal marchese del Castillo in quella piccola nave, facendone un incrociatore capace di far stupire gli americani e di rendere i più preziosi servigi nelle pericolose spedizioni che stava per intraprendere.

Al comando dato di «affondate la nave» lanciato dalla capitana, venti uomini si erano alzati ed erano scomparsi nel boccaporto di prora, il quale era stato lasciato aperto, mentre altrettanti staccavano, con rapidità prodigiosa, le bome ed i picchi del trinchetto e del maestro ed i pochi paterazzi e le sartie di sostegno.

L’operazione era appena terminata, quando si videro i due alberi abbassarsi, rinchiudendosi come i tubi di un cannocchiale e sparire completamente nel ventre della piccola nave, mentre sotto coperta si udivano dei sordi fischi che parevano prodotti dall’irrompere dell’acqua del mare entro qualche grande serbatoio.

Allora si vide una cosa assolutamente inaspettata, che avrebbe spaventato qualsiasi marinaio che non avesse conosciuta la disposizione interna dell’yacht.

L’Yucatan affondava lentamente, con un leggero dondolìo come se avesse dovuto inabissarsi in causa di qualche improvvisa falla.

Donna Dolores, curva sul coronamento di poppa, guardava freddamente l’acqua che saliva gorgogliando. Quando la vide entrare dagli ombrinali e distendersi per la tolda, comandò:

— Chiudete le paratìe!

L’immersione tosto cessò.

L’Yucatan, spoglio di attrezzi come era e così affondato, sembrava un pontone o meglio un rottame qualunque abbandonato alle acque, quasi impossibile a distinguersi ad una certa distanza anche se avesse marciato a tutto vapore, poichè alle tante perfezioni introdotte dal signor del Castillo e dalla marchesa nella costruzione di quel meraviglioso yacht, ne avevano aggiunta un’altra ancor più sorprendente, quella cioè di aver soppresso completamente il fumo, adottando il sistema scoperto recentemente dall’ingegnere austriaco Fritz Mauer.

Quest’invenzione, già provata con splendido successo dal governo austro-ungarico e che ora si sta esperimentando anche in Inghilterra, è basata sul principio che un fuoco senza fumo può prodursi quando la porta del forno resta chiusa, quando il combustibile viene aggiunto in piccole quantità e quando si attizza il fuoco senza lasciar penetrare l’aria.

L’ingegnere Mauer ha potuto quindi ottenere tuttociò mediante un ingegnoso forno automatico, che alimenta il fuoco regolarmente, a poco a poco, lasciando entrare solamente l’aria bastante alla combustione del carbone.

La marchesa del Castillo, adottando quel nuovo forno aveva quindi tolto anche il pericolo di poter far scoprire il suo yacht a qualunque distanza, specialmente affondando in quel modo e soprattutto di notte.

— Credi che ci possano scorgere, Cordoba? — chiese donna Dolores al lupo di mare che l’aveva raggiunta.

— Siamo tanto bassi che saranno ben bravi se ci scopriranno. Bella invenzione quella dei serbatoi, che permettono di rendere una nave quasi invisibile e di corbellare il nemico. Il marchese del Castillo era un brav’uomo di mare che la sapeva assai lunga!...

— Purchè i proiettili non ci guastino le pompe, impedendoci di vuotare il serbatoio!...

— Speriamo che non succeda questo, donna Dolores.

— Vedi nulla al largo?...

— Nulla finora.

— Dove sarà andato a cacciarsi il Terror?...

— E l’altra nave colla quale corrispondeva?...

— Mi consigli di tenermi sotto la costa?...

— Io tenterei un colpo di testa.

— Parla, Cordoba: io ho piena fiducia in te e tu sai quanto apprezzo i tuoi consigli.

— Invece di continuare la nostra rotta verso Puerto Lagartos, spingiamoci arditamente in alto mare. Se il console americano ha avvertito il Terror del nostro progetto, sarà verso il capo Catoche che ci si attenderà per darci addosso.

— Lo credi?...

— Sì, donna Dolores. Mettiamo la prora al nord, poi più tardi piegheremo verso l’est e passeremo il capo a tutto vapore.

— Proviamo a fare falsa rotta adunque — disse la marchesa. — Che gli uomini non lascino il cannone e gli hotchkiss e che gli altri si corichino sulla tolda.

— Macchinista!... A dodici nodi! —

L’yacht, che aveva rallentata la marcia durante quelle diverse operazioni, virò sul tribordo mettendo la prora verso il nord-nord-est, poi si rimise in marcia colla velocità chiesta, quasi tutto tuffato nelle nere acque del mare.

La capitana aveva spenta la lanterna della torretta e teneva gli sguardi sull’ago della bussola perfettamente visibile, essendo il quadrante illuminato per di sotto.

I centosei uomini che formavano l’equipaggio avevano ripreso il loro posto: gli artiglieri dietro al pezzo di prora e accanto ai due cannoni-revolvers e gli altri si erano stesi sulla tolda, lasciandosi inondare dall’acqua, che irrompendo dalle cubìe delle catene, scorreva verso poppa, e si frangeva con sordi gorgoglî contro le due torrette e la ciminiera.

I boccaporti, quantunque avessero il coronamento alto per preservarli da una irruzione delle acque, erano stati ermeticamente chiusi; solamente quello della camera delle macchine, che aveva il coronamento più elevato, era stato lasciato aperto per non soffocare i fuochisti che arrostivano dinanzi alle caldaie.

Già la costa del Yucatan era lontana sei o sette miglia e l’yacht cominciava ad aumentare la velocità, quando Cordoba, che si trovava accanto alla capitana, scrutando attentamente le tenebre e porgendo ascolto ai sordi brontolii del mare, scorse alcune scintille alzarsi a meno di quattrocento metri dalla prora della nave, per poi subito spegnersi.

Carramba! — esclamò. — Chi ci passa dinanzi?... —

In quell’istante si udì la voce di mastro Colon a gridare:

— Bada a prua!...

— Mille demoni!... — brontolò Cordoba. — Che vi sia qualche torpediniera?... Donna Dolores, in guardia!...

— Hai veduto, Cordoba?...

— Delle scintille che dovevano uscire da qualche ciminiera.

— Il Terror?...

— È impossibile!... Quelle scorie volteggiavano a fior d’acqua!...

— Una scialuppa a vapore adunque?...

— Che può portare una torpedine.

— La scorgi?...

— Sì, guardate!... Cerca tagliarci la via.

— No, ci passa da prora.

— Sì, donna Dolores.

— Mastro Colon, punta il pezzo!...

— No, mille demoni!... — gridò Cordoba. — Volete segnalare al Terror la nostra rotta?...

— È vero Cordoba, ma tanto peggio per loro — disse la marchesa, mentre un cupo lampo le balenava negli sguardi. — Se non fossero americani non avrebbero i fanali spenti.

— Cosa volete fare?...

— Lo vedrai, mio lupo. Macchinista, a tutto vapore!... Fermi in gambe!...

L’yacht, spinto innanzi dalle sue poderose eliche che turbinavano furiosamente, s’avanzava colla rapidità d’una freccia, sollevando a prora delle ondate le quali si rovesciavano impetuosamente sulla tolda, muggendo attorno alle gambe dell’equipaggio.

Tutti si erano aggrappati al coronamento per poter resistere a quella fiumana che acquistava, di minuto in minuto, una foga irresistibile.

Le scintille che sfuggivano dal misterioso battello avevano cambiato direzione. Forse gli uomini che lo montavano, udendo quel fragore prodotto dall’avanzarsi del legno, fragore per loro inesplicabile poiché era molto difficile che avessero potuto discernere qualche cosa con quell’oscurità e per l’immersione dell’yacht, avevano virato di bordo, cercando di prendere il largo.

L’Yucatan però era tale corridore da non lasciarsi sfuggire la preda. In pochi minuti la distanza fu superata, poi lo scafo emerse un istante sotto un ultimo slancio.

Fra il gorgoglio delle onde si udì a echeggiare un rombo metallico seguìto da un cupo stridìo come se delle lamine di ferro venissero bruscamente lacerate, poi a babordo ed a tribordo del rapido legno si videro a sfuggire due masse scure, mentre fra le tenebre si udivano alzarsi urla e comandi precipitati.

L’yacht aveva proseguita la sua corsa senza arrestarsi.

Erasi già allontanato di duecento metri, quando verso poppa si vide balenare un lampo livido, poi una detonazione spaventevole si disperse pel mare, perdendosi lontana lontana nel nebbioso orizzonte, con un cupo rimbombo.

Una gigantesca colonna d’acqua fu veduta alzarsi con impeto irresistibile, quindi strapiombare con uno scroscio assordante e sollevare un’onda spumeggiante, una vera montagna d’acqua, la quale si rovesciò addosso all’yacht scuotendolo orribilmente e subissandolo.

— Tenetevi fermi!... — urlò Cordoba.

L’onda, preso di traverso l’yacht, lo rovesciò bruscamente sul tribordo, poi lo sollevò a prodigiosa altezza, quindi lo precipitò in un immenso baratro spumeggiante che si rinchiuse su di lui.

Un urlo di terrore s’alzò fra l’equipaggio, credendo che tutto ormai fosse finito; l’Yucatan quantunque fosse stato reso così pesante dai serbatoi ripieni d’acqua, sorse ancora vittoriosamente sopra l’onda, speronando i marosi a tutto vapore.

— Per la morte di tutti gli yankee!... — esclamò Cordoba che si era aggrappato al coronamento di poppa con suprema energia, onde non venire trascinato fuori del bordo. — O la benedizione del frate ci ha protetti o ciò si chiama aver fortuna!

Guardò la torretta di poppa e vide l’intrepida capitana, inzuppata d’acqua dalla testa ai piedi, ma ferma dietro la ruota del timone e così tranquilla che il lupo di mare ne fu stupito.

— Ecco una donna che ha dei muscoli di ferro ed un cuore da leonessa — mormorò. — Il marchese del Castillo non avrebbe fatto di più!...

— Cordoba!... — gridò la marchesa, scuotendosi di dosso l’acqua. — È scoppiata una torpedine, è vero?...

— Una vera torpedine e di grande potenza, donna Dolores. Se scoppiava un istante prima sventrava di colpo l’Yucatan e non so se noi saremmo ancora vivi con tutte le munizioni che abbiamo nella stiva.

— Che abbiamo tagliata una torpediniera?...

— Mi parve una scialuppa a vapore.

— Doveva avere a bordo qualche torpedine...

— Chissà che non si cercasse di usarla contro di noi.

— Credi che siano periti gli uomini che montavano la scialuppa?... — chiese la marchesa, con un leggero tremito.

— Devono essere stati scaraventati in aria.

— Se tornassimo?... Qualcuno può essere sfuggito alla esplosione.

— Tempo perduto inutilmente, donna Dolores. D’altronde erano yankee; ho udito le loro grida.

— Sono uomini, Cordoba.

— Lasciate che affoghino... d’altronde è troppo tardi!... Guardate quel dannato curioso che esplora ancora il mare, per cercare di scoprirci.

Il fascio di luce, proiettato da una potente lampada elettrica, era sorto sulla cupa linea dell’orizzonte che l’alba, quantunque dovesse essere prossima, non rischiarava ancora e scorreva sul mare facendo scintillare la spuma delle onde.

Certo la nave americana aveva udito lo scoppio e forse aveva anche veduto il lampo prodotto dalla torpedine e illuminava il mare in quella direzione.

— Donna Dolores!... — esclamò Cordoba. — Il Terror ci corre addosso!...

— Lo vedo — rispose la marchesa, con voce tranquilla.

— Gettiamoci fuori della luce o ci manderanno qualche grosso proiettile nella carena. —

La Capitana diede mezzo giro di ruota mettendo la prora verso l’ovest, mentre gridava al capo macchinista:

— Aumentate i fuochi!...

L’yacht fuggiva a precipizio attraverso il grande banco di Campeche, tendendo a portarsi verso la costa messicana, non già coll’idea di cercare un rifugio in qualche parte del golfo, bensì collo scopo di sfuggire l’onda di luce che stava per tradirlo, e d’ingannare nuovamente la nave nemica che con tanta ostinazione gli dava la caccia.

Mastro Colon si era curvato sul grosso pezzo di prora, puntandolo verso il vascello il quale si avanzava a tutto vapore, continuando a proiettare sul mare quello sprazzo gigantesco di pallida luce. Aveva già preso in mano il cordone tirafuoco, pronto a scagliare nel ventre del colossale nemico il grosso proiettile, mentre i due più vecchi artiglieri avevano fatti girare i due cannoni-revolvers per spazzare il mare con un nembo di palle.

Donna Dolores e Cordoba, l’uno vicino all’altro, non perdevano di vista il vascello.

Quantunque fosse ancora lontano, distinguevano nettamente i fasci di scintille che sfuggivano dai camini eruttanti nuvoloni di fumo che volta a volta si illuminavano.

— Ah!... — disse la marchesa, con un freddo sorriso. — Vogliono chiudere assolutamente la via dell’est?... La vedremo, signori yankee, se potrete gareggiare colla mia nave!...

— Pure mi sembra che finora quella dannata nave non perda troppo — rispose Cordoba, la cui fronte si era annuvolata. — È impossibile che abbiamo da fare col Terror.

— Che il console spagnolo si sia ingannato?...

— Un monitor come è il Terror non può filare tanto, donna Dolores. Quei vascelli corazzati sono troppo pesanti per possedere tanta velocità.

— Che sia qualche incrociatore?...

— Lo temo.

— Forse il New-York?

— No, donna Dolores. Ho saputo ieri sera che quell’incrociatore è stato scelto come nave di bandiera dell’ammiraglio Sampson, dunque non può trovarsi in queste acque.

— O qualche caccia-torpediniera?... La Cushing o la Erricson?

— No di certo, poiché ieri il console mi ha detto che quelle due caccia-torpediniere, verso il tramonto dell’altra sera si trovavano sulle coste di Cuba, presso Maranao, dove avevano sostenuto un combattimento colla cannoniera spagnola Ligera, ricevendo dei buoni colpi di cannone che le avevano costrette a tornarsene al largo.

— Macchinista!... — gridò donna Dolores. — Noi marciamo colla velocità?...

— Di ventidue nodi e sette decimi, signora — rispose il capo macchinista.

— Bisogna aumentare.

— Chiedo cinque minuti ancora e toccheremo i venticinque. La nostra immersione fa ostacolo.

— A venticinque lasceremo indietro quell’ostinato curioso — disse Cordoba. — L’alba non è lontana e mi spiacerebbe ci vedesse.

— Ciò rovinerebbe i miei piani — disse la marchesa.

— Colon è un artigliere di prima forza.

— Vuoi tentare?...

— Di fracassare quel dannato fanale elettrico. In mezz’ora noi saremo fuori di vista.

— Sì — mormorò la marchesa, come parlando fra sé.

— Ah!... Donna Dolores!... —

Il grido gli era stato strappato da un lampo che era balenato in direzione del vascello da guerra. Successe un istante di silenzio, poi una forte detonazione echeggiò sul mare.

— È un pezzo da dieci centimetri — disse Cordoba. — Me ne intendo di quei mostri d’acciaio.

— Ha fatto fuoco a polvere?...

— Sì, donna Dolores. Ci invita ad arrestarci.

— Macchinista, a tiraggio forzato!... — gridò invece la marchesa.

L’yacht era allora uscito dallo sprazzo di luce del fanale elettrico e balzava sulle acque come se volesse sollevarsi. La macchina funzionava rabbiosamente, precipitosamente e gli alberi motori imprimevano tali scosse, da far tremare lo scafo da poppa a prora, mentre il vapore, imprigionato fra le pareti di ferro, muggiva sordamente.

Un fremito sonoro scuoteva il ponte, mentre le acque, tagliate impetuosamente, correvano per la tolda balzando sul coronamento di prora.

L’yacht fuggiva con una velocità di ventiquattro nodi e otto decimi, rituffandosi nel nebbione che gravitava sul mare.

Ad un tratto un secondo lampo fu veduto balenare sulla nave americana ed un istante dopo un sibilo acuto attraversava gli strati d’aria, passando sopra la testa dell’equipaggio e perdendosi in lontananza.

Al largo si udì una detonazione più formidabile della prima, che si prolungò verso il nord con un cupo rimbombo.

— Obice da venti centimetri — disse Cordoba.

— Colon!... — gridò la marchesa, che aveva ascoltato quel sibilo, annunciante un proiettile di grosse dimensioni, senza che un muscolo del suo volto avesse trasalito.

— Signora! — rispose il mastro.

— Cento piastre se spezzi il fanale!

— Un momento solo, mia Capitana. —

Il mastro si curvò sul cannone, corresse di qualche po’ la sua elevazione, osservò attentamente la posizione della nave, poi strappò violentemente il cordone tira fuoco.

Il grosso pezzo da quindici centimetri, posto sulla torretta di prora, s’infiammò con un fracasso assordante, facendo tremare tutto lo scafo.

Alcuni istanti dopo il fanale elettrico, fracassato dall’obice, a cui mastro Colon aveva dato una direzione di una esattezza matematica, si spegneva bruscamente, troncando forse, col medesimo colpo, l’albero della nave nemica.

— Avanti a tutto vapore!... — gridò la marchesa.

L’yacht, che si era arrestato per lasciare al valente artigliere il tempo di prendere la mira, si slanciò innanzi, mentre l’equipaggio urlava ad una voce:

— Viva la Capitana!... Viva Colon!... —


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