< La legge Oppia
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Il prologo


ATTO TERZO


La scena rappresenta un ampio colonnato d'ordine etrusco, sul Campidoglio, colla veduta di Roma nel fondo. Fuori del portico si vedono magistrati, apparitori e cittadini, che vanno e vengono. È giorno comiziale, e molto popolo si accalca lassù. — Di dentro è Erennio littore, che passeggia lentamente col suo fascio sulla spalla. Poco stante entra Catone dall'intercolonnio, colla toga a sghembo, di cui tenta ravviare i lembi sugli òmeri. — Erennio lo saluta, abbassando il fascio infino a terra.

SCENA PRIMA

Catone e Erennio

Catone

Ma si può dar di peggio? Vedete come mi hanno stazzonato quelle Megère. E mancò poco non mi facessero a brandelli la toga!

Erennio

(avvicinandosi)

Che hai, prestantissimo Console? La repubblica avrebbe ricevuto in te alcun detrimento?

Catone

Smetti le frasi e dammi una mano. Così! Queste maledette donne che corrono le vie di Roma a guisa di cavalli sfrenati! Ma che siamo ai baccanali di Grecia? A vederle, come si dànno moto di qua e di là, e questo affrontano, e quell’altro tirano pel lembo della toga, dimandandogli il suo voto contro la legge! Vergogna! Io, io, ho dovuto arrossire per esse. E a mala pena m’hanno veduto a sboccare sul Foro.... È lui; sì, no; ci ha i capei rossi; è lui, sì, è lui, il Console! E in quattro salti mi son capitate ai fianchi, come una muta di cani, sguinzagliati addosso al cignale. Che te ne pare, Erennio? Non arrossisci anche tu?

Erennio

Perchè non hai voluto che ti accompagnassimo? Le verghe dei littori son di betulla; ma....

Catone

Ma tu se’ un bietolone; sia detto con tua buona pace. Che cosa potevano fare le verghe, anco di dodici littori, contro quella turba di furie, scaturite d’inferno?

Erennio

Oh, questo, poi!... Tu non potevi, per la dignità del laticlavio, aprirti la via colle mani.... Ma era dell’ufficio mio il menar legnate da orbi. Se c’ero io, se c’ero, le accomodavo secondo la legge.

Catone

Vedi dunque di far buona guardia costì, mentre io salgo al Tabularlo. Vorrei esser lasciato una mezz’ora tranquillo.

Erennio

Lascia fare; ho la consegna.

(fa il gesto di menare a tondo il suo fascio)

Catone

(avviandosi)

Ah! giornataccia! giornataccia! Se le donne son matte, saranno savi gli uomini?

(esce a sinistra)

SCENA II.

Erennio solo, indi Mirrina, Birria, Materina e uno stuolo di Donne.


Erennio

Ah! per Roma quadrata! Vengono proprio a questa volta. Vigiliamo l’ingresso.

(si pianta dinanzi alla porta per cui è entrato Catone)

Mirrina

(affacciandosi all'intercolonnio, seguita dallo compagne)

È entrato per di qua. Donne, seguiamolo!

Birria

(a Mirrina)

Purchè non sia per fargli il bocchìno!

Mirrina

Tira via, sciocco!

Erennio

Olà! che cos’è questo chiasso? Fatevi indietro!

Mirrina

(avvicinandosi sempre più, insieme colla folla)

Con che diritto? È luogo pubblico. Il Campidoglio appartiene a tutti i romani.

Erennio

Ecco, dirò. Non c’è nessun testo di legge che lo stabilisca. Il Campidoglio è fatto per gli Dei protettori di Roma e pel popolo radunato in giusti comizii, non già per la moltitudine tumultante. Capite? tu....mul....tuan....te! Chi tenta tumulto e sedizione in città, sia punito di morte.

Birria

Va là, burlone! Queste donne hanno a parlare di cose più gravi col Console.

Erennio

(squadrando la sua tunica di schiavo)

E se il tumultuante è di condizione servile, sia battuto con verghe e precipitato dal sasso Tarpeo.

Birria

Alla larga!

Mirrina

Che sasso? Che Tarpeo! Vogliamo andare dal Console.

Erennio

Ah! ricalcitrate? Vi parlerò da pubblico uffiziale. «Se vi pare, allontanatevi, o Quiriti!»

(con gravità)

Mirrina

E se non ci paresse?

Erennio

Ecco; il «se vi pare» è una locuzione, una formola, introdotta pel rispetto dovuto alla maestà del popolo romano. Così fu stabilito ab antiquo. Ma non ve fidate, perchè se non vi allontanaste colle buone....

Mirrina

(andandogli incontro con gesto petulante)

Che cosa faresti?

Erennio

Ehi, dico, giù quelle mani! Farei rispettare la legge. La legge è dura, ma è legge.

Materina

A me! a me!

(facendosi strada in mezzo alla calca)

Che leggi vai tu sfringuellando? Vuoi, o non vuoi tirarti da banda?

Erennio

(con atto di stupore)

Oh!... Materina!...

Materina

Sicuro... sua moglie, o Quiriti, e vedremo se non lascierà passare sua moglie.

Erennio

Che fai tu qui? Va a casa e medita le Dodici Tavole. Autorità di vita e di morte sulla moglie, è data al marito. Il testo parla chiaro.

Materina

Tirati in là colle tue dodici.... Favole! Io l’ho tutte in un calcetto. Figuratevi, Quiriti! Ei non fa che rompermi il capo colle sue leggi. Ma le faremo e le disfaremo noi, le tue leggi! Si comanda noi, oggi, e, se piace a Dio, si comanderà per un pezzo.

Erennio

Materina, dico! Non mi fate pasticci! Avreste bevuto vino, stamane? Sarà bastone e divorzio.

Materina

Bastone a me? Tu hai già sentito qualche volta di quante foglie sieno i miei garofani.

Birria

(sottovoce a Mirrina)

Com’io i tuoi, Mirrina!

Materina

Ripudiarmi, poi! Ah, lo volesse Giunone liberatrice, ch’io le porterei un voto largo tanto!

Erennio

Oh, insomma! La pazienza è stata già troppa e forza dee rimanere alla legge.

Materina

Sì, eh? Qua una mano, voi altre!

Tutte

(facendo impeto sul littore)

Dal Console! dal Console!

Erennio

Indietro, olà! Ehi, dico, Quiriti, se vi pare!...

(atterrato Erennio, la turba si scaglia verso la porta e sparisce)

Altro che parere! questo è sentire....

(tastandosi le membra indolenzite)

E il Console che dirà? Suvvia, coraggio, inseguiamole!

(raccatta il fascio da terra ed esce per la porta anzidetta)

SCENA III.

Fundanio e Marzia Atinia fuori del colonnato.

(Marzia Atinia sarà sfoggiatameate vestita, ma diligentemente coperta dalla rica, lungo ed ampio velo nero che dal sommo del capo le scende fino ai piedi).

Fundanio

(entrando da sinistra)

Ah bella! gustosa davvero! Il povero littore è andato ruzzoloni, egli e i suoi fasci. Marzia Atinia, tu qui? Sola?

Atinia

(entrando con lui dalla parte opposta)

Non sola; con mia madre, mia sorella Volusia ed Annia Luscina. Ci sono anche le donne di Catone, che siamo andate a prendere, per condurle qua, sotto pretesto di sciogliere un voto all’ara di Giunone. Noi salivamo appunto la gradinata del tempio, quando io t’ho veduto venire a questa volta....

Fundanio

Dolce inseguimento, che piacerebbe anco al Console! Io tenevo dietro ad una baraonda di donnicciuole, che gli han dato la caccia fin qua. Anche la tua liberta Mirrina era del numero.

Atinia

Sollevazione universale! Patrizie e plebee hanno fatto causa comune. Ma veniamo al sodo. Lo stendardo sul Gianicolo?....

Fundanio

Venivo appunto di là. Il terrazzo è pieno di popolane, che vi fanno la guardia. Vedi? stanno inalberando il vessillo comiziale. Anche gli auspicî son tornati favorevoli....

Atinia

Lo credo. Volusia è stata inesorabile con Claudio Pulcro, come Fulvia con Lucio Valerio.

Fundanio

A proposito di Valerio, sai? Egli sta grosso con me, per quelle parole che Fulvia gli avrà riferite. È naturale. Erano la chiave di tutto l’intrigo. Tu m’hai messo in un bell’impiccio, o divina.

Atinia

Te ne duole?

Fundanio

Dei buoni! Si tratta d’un ottimo collega.... d’un amico! A questo mondo si ha così poche persone che ci voglian bene!

Atinia

T’aiuti di tutto, mi sembra!

(ridendo)

Via, non pensarci; a cosa fatta, vi metterò io in pace.

Fundanio

Eccolo! Scende dal Tabulario, con Porcio Catone.

SCENA IV.

Catone, col bastone d'avorio, Valerio, Erennio e Detti.

Catone

Animo, dà il catenaccio anche a questa!

(Erennio chiude la porta a chiave)

Così! Ah, mègere d’inferno! Si sbizzariscano a lor posta, adesso; le mura sono a prova d’unghie e di strida. Ma che! donne ancora?...

(vedendo Atinia nel portico)

Valerio

È la moglie del pretor peregrino, la figlia del Console tuo collega.

Catone

(inoltrandosi, con piglio sarcastico)

Marzia Atinia, in compagnia d’un tribuno!

Atinia

Tu pure ci sei, con un tribuno, mi sembra....

Catone

Ah, ma questi è il mio caro Valerio.

Fundanio

(piano ad Atinia)

Chè non gli rispondi tu pure: il mio caro Fundanio?

Atinia

(a Catone)

Ah sì, il tuo caro Valerio, il nemico delle donne!

Valerio

(confuso e sottovoce)

Io?... Anche tu?

Atinia

Fundanio invece è l’amico nostro, il difensore della nostra causa.

Catone

Benissimo! sentiremo la sua eloquenza!

Fundanio

Mi duole di averti a trarre d’inganno, prestantissimo Console. Non sentirai nulla. Parlerà invece un altro, che in materia d’eloquenza non la cede a chi si sia.

Catone

Ah! Ah!... e sarebbe?...

Fundanio

Non lo sai?

Catone

No, per Apolline.

Fundanio

(a Marzia Atinia)

Infatti!... lo chiama ancora il suo caro Valerio!

(piano a Valerio)

E tu, non gli hai detto?....

Valerio

(con piglio iracondo)

Lasciami stare!

Catone

(dopo essere rimasto alquanto sopra pensieri)

Chiunque egli sia, vedremo il campione; udremo le salde ragioni!

Atinia

E credi tu che non si trovi nella nostra causa niente di buono da dire? Saresti, in fede mia, poco grazioso con noi!

Catone

No, non lo sono. Amo mia moglie e mia sorella, ma tante smancerìe le lascio.... ai tribuni delle donne.

Fundanio

(inchinandosi)

Accetto il titolo, come tutto ciò che mi viene da te.

Catone

(dopo avergli dato un'occhiata, tra burbera e ironica,
si volge ad Erennio)

Dimmi, littore; gli è tempo?

Erennio

(che sarà stato prima fuori del colonnato)

No; ci vorrà un bel pezzo prima che le centurie sian tutte ai posti assegnati. I censiti durano molta fatica a traversare il Foro. Tutte le donne di Roma son fuori....

Catone

Salvo quelle che son dentro.... e ci staranno un bel tratto, a smaltire le bizze!

Atinia

(a Fundanio)

Vedi Valerio, com’è rannuvolato!

Fundanio

Eh, lo vedo pur troppo.

Atinia

Se tentennasse!... Bisognerà provvedere. Accompagnami!

(a Catone)

Saluto il Console, e vo’ nel tempio a pregare gl’Iddii che confondano la sua eloquenza.

Catone

Sèrviti!

(Marzia Atinia e Fundanio si allontanano)

SCENA V.

Catone, Valerio, Erennio in disparte.


Catone

Gli Iddii faranno quel che vorranno, per utile e gloria di Roma. Tu prega a tua posta e va attorno per voti, con quel Fundanio di costa. Buon per te, che tuo padre è fuori, e tuo marito ha dato il cervello a pigione. Ma chi sarà questo oratore? Cornelio Cetego?... Un uomo consolare! Non credo. E poi, me ne avrebbe fatto un cenno ieri, quando ci siamo incontrati. Sempronio Gracco?... È amicissimo mio.... Impossibile!... Sulpizio Gallo? Quel ragazzaccio che sa tanto di greco e comincia a volerla dire co’ vecchi? Lui, forse! Che ne dici, Valerio?

Valerio

Perchè darti pensiero di ciò?

(con aria impacciata)

Chiunque egli sia, la palma dell’eloquenza sarà data a Catone! Ed egli.... il tuo avversario, di un’ora.... sarà ben dolente di aversi a misurare con te.

Catone

Perchè dunque s’è messo alla prova? Ma, gliene dirò io, delle ragioni! E che cosa mi potrà egli argomentare in contrario? Tu se’ buon giudice, Valerio; senti un po’ qua....

Valerio

(perplesso, cercando schermirsi)

Ma.... io....

Catone

Senti, via! Comincierò da noi. La colpa di questa sommossa femminile s’appartiene a noi magistrati; a voi tribuni, che avete condotto anco le donne a muovere le sedizioni tribunizie; a noi consoli, che dovremo ricever leggi da un tumulto di donne. Ed anche alle donne dirò il fatto loro! Che nuova usanza è cotesta di correr fuori e affrontare, come fate, gli altrui mariti per via? Perchè ognuna di voi non s’è volta al proprio? Sapreste per avventura esser più lusinghiere cogli estranei, che co’ mariti vostri, più fuori di casa, che in casa? Senonchè, anco in casa, e coi vostri, sarebbe pessima cosa; avendo le leggi nostre saviamente disposto che le donne fossero in potestà dei padri, fratelli e mariti loro. E noi comporteremo ch’esse scendano in piazza, nei parlamenti e negli squittinii? Ponete freno, vi dico, io, come altre volte v’ho detto, ponete freno, vi ripeto ancora una volta, a questo sesso arrogante, a questi indomiti animali....

Valerio

Ah!

Catone

Che è ciò?

Valerio

Nulla, nulla; notavo l’energia della frase....

(da sè)

Erano le parole sue! E Fundanio l’ha poste a mio carico! Oh, aspetti, aspetti!

Catone

(proseguendo)

Esse, già baldanzose, diventeranno audaci. Darete cinque; vorranno cinquanta. Che chiedono esse, in tanta angoscia, e con veste di supplicanti? Di sfoggiarla in porpora e oro; d’esser portate attorno in cocchio, a guisa di trionfanti; di togliere ogni misura allo spendere, ogni ritegno allo spreco! Oh! tempi mutati! Grecia ed Asia s’impadroniscono di noi, non noi di esse. Non si ha in pregio che l’arte greca e le greche delicature; i nostri Iddii romani di terra cotta fan ridere! ah, io vorrei averli sempre favorevoli a noi, questi umili Iddii, come furono in passato, contro Annibale e Pirro! Costui, per mano di Cinea, suo ambasciatore, fe’ tentar con lauti presenti uomini e donne di Roma. Uomini e donne ributtaron le offerte. Ma adesso? Se Cinea tornasse, troverebbe le matrone romane in volta per le vie, colle palme tese per raccogliere.... che dico, per raccogliere? per fare a ruffa raffa coi doni stranieri. Respingete la proposta di Fundanio, o Quiriti! Troppo è già il lusso tra noi. Non fate che nascano disuguaglianze e invidie perniciose. La povera, sopraffatta dallo sfarzo della ricca matrona, chiederà nuovi ornamenti all’esausto marito. Negherà egli; ma, non dubitate, ella troverà un altro che dica: son qua. E avremo corruzione maggiore. Conservate il freno sapiente della legge Oppia, o Quiriti; che non v’accada come colle fiere selvatiche, istizzite da lunga prigionia, che, appena lasciate, più feroci diventano. E gli Dei faccian prospero ciò che sarà da voi decretato.

Erennio

(da sè in disparte)

Che oratore! Se avessi potuto parlar io così a mia moglie, come l’avrei fulminata, annichilita! In quella vece!...

Catone

Questo è il concetto; che te ne pare, Valerio?

Valerio

Robusto.... incalzante....

Catone

E che cosa si potrebbe rispondere? dico io; che cosa? Parole, sì, ed ornate; ma ragioni, no certo.

Valerio

Eh.... potrei dirtelo io, che cosa si risponderà.... debolmente...

Catone

Di’ pure, alla libera. E’ sarà un esercizio per me.

Valerio

Si comincierà da un elogio alla gravità dell’uomo ed alla sua grande autorità, che mette in pensiero chiunque abbia a trovarseli contro. E ciò sarà giusto.

Catone

(con impazienza)

Concedo; va innanzi!

Valerio

Poi, si potrà continuare a un dipresso così:... «Ma egli, il Console, ha consumato molto più parole nel biasimar le matrone, che nello sconfortar la proposta. Ha chiamato questo fatto una sedizione di donne; una sedizione, perchè elleno han chiesto di rivocare, or che la Repubblica è prospera e forte, una legge fatta per tempi infelici e difficili? Sedizione! La parola è grave; ma io non vedo il fatto che la richieda. Son venute fuori, a impacciarsi della cosa pubblica, tu dici. Orbene, quante volte non hanno esse adoperato del pari? Volgerò contro te le storie mirabili che tu hai scritto, o Catone. Impara da esse quante volte siano le donne uscite fuori, e sempre per benefizio pubblico». E qui ti si citano le spose sabine, che fecero posare la guerra tra padri e mariti; le matrone, condotte da Veturia al campo di Coriolano; le donne d’ogni condizione, che diedero tutti i loro ornamenti per riscattar la città dal furore dei Galli; le vedove che sovvennero del loro danaro l’erario, nella guerra coi Cartaginesi; la processione femminile, da Roma al mare, per ricevere il simulacro di Cibele, venuto di Frigia in aiuto e difesa di Roma. «E se non ti maravigliasti tu ch’elle uscissero tante volte per benefizio pubblico, perchè troverai a ridire se una volta escono per utile proprio. Che fanno di così reo? Vengono e pregano. Ah, in fede mia, orecchie superbe ci abbiamo, che, mentre i padroni ascoltano i lagni de’ lor schiavi, noi sdegniamo esser pregati da libere e nobili donne».

(segni di stupore in Catone. Nel fondo, dietro il colonnato,
saranno apparse Fulvia ed Annia Luscina, e Plauto, che
stanno intenti ad udire)

«Vana è la difesa del Console, quando egli tocca del merito della legge. Son forse le leggi così provvidamente ordinate, che più non s’abbia a mutarle? E non ve n’ha di tali, che il tempo ha reso inutili, o contrarie allo scopo? Questa legge non è delle prime e sacrosante di Romolo; nemmanco delle Dodici Tavole. È nuova, e fu fatta quando Roma, per la rotta di Canne, era minacciata dell’ultimo eccidio. I socii ribellati; non uomini per l’esercito; non ciurme alle navi; non denaro all’erario. La repubblica, per far soldati e marinai, comperava gli schiavi dai loro padroni, con promessa di pagarli a guerra finita. Tutti davano il proprio, dall’opulento senatore alla vedovella meschina. E già allora questa tua legge Oppia si mostrò vana cosa; imperocchè, dov’erano più le donne ornate d’oro e di porpora, quando tutti, uomini e donne senza eccezione, e per spontaneo moto e per legge, s’erano d’ogni cosa spogliati? E più vana apparisce ora; nè solamente vana, ma iniqua; imperocchè la repubblica è forte e noi non le diamo già più straordinario tributo di danaro, o di schiavi. E se tu, fiorendo la repubblica, custodisci gelosamente il tuo, perchè solo le donne vorresti tu escluse dal benefizio dei tempi?»

Catone

(con stupore sempre crescente)

Valerio!

Valerio

«Finisco. Noi uomini useremo porpora e toga intessuta a colori; toghe ricamate porteranno i nostri figliuoli; porpora ed oro i magistrati delle colonie e dei municipii; nella porpora si concederà alle famiglie di bruciare i lor morti; solo alle donne romane niente sarà consentito? Vedranno coperte d’oro e di porpora, trascorrere in cocchio, le mogli dei sudditi ed alleati latini; noi stessi risplendere di mille ornamenti nelle magistrature, nei trionfi, ne’ sacerdozii; e con ciò, pensi tu, non vi sarà emulazione, nè invidia? No, tu non stabilisci che una nuova classe di schiavi; laddove noi vogliamo che la donna rifulga liberamente di tutte quelle grazie, che la fanno per noi il più caro dono de’ cieli. E se tu nieghi loro gli attributi del loro sesso; che non concedi loro per contro gli uffici del nostro? che non le armi, non le spartisci in legioni e non le conduci in Ispagna con te?...»

Catone

(fuori di sè per lo stupore e lo sdegno)

Valerio! Pensi tu quel che dici?

Erennio

(da sè)

Bene! Ora il console me lo fulmina, me lo annichilisce!

Valerio

(perplesso)

Io?... Penso che in tal guisa ti si potrebbe rispondere. Ah!

(vedendo Fulvia che gli accenna di farsi animo)

Infine, sì; penso tutto quello che ho detto.

Erennio

(vedendo anch'egli le donne)

Ahi! Non son tutte chiuse nel Tabulario, le streghe!

Valerio

Sì, sappilo; io t’amo, ti venero, o Marco; nè tu potresti avere fratello minore, o figliuolo, che ti rispettasse di più. Ma io, vedi, non son più padrone di me.

Catone

(con accento d'ira profonda)

Anche te hanno ammaliato le donne?

Valerio

Ah no; di’ piuttosto che una di esse m’ha richiamato al mio debito di giustizia, una sola che adoro.... e adorando lei, non vengo meno alla mia divozione per te.

Catone

Mia sorella!

Valerio

Lo sapevi?

Catone

Sì, e godevo dell’amor tuo; ma ora....

Valerio

Ora?

Erennio

(da sè)

Non è più come allora.

Catone

(con piglio risoluto)

Dimmi su; parlerai contro la legge?

Valerio

Tu metti a prezzo....

Catone

Rispondi! parlerai?

Valerio

Ah, la è dura!... Io....

(attignendo coraggio dalle mute eccitazioni di Fulvia)

Or bene, sì, parlerò, dovesse costarmi la vita!

Catone

Ah, per gli Dei infernali, non riconosco più Roma. Littore, precedimi.

(le donne, al muoversi di Catone, si appiattano dietro il colonnato)

Erennio

(precedendo il Console)

Sconfitto anche il Console! In fondo, ci ho gusto. Non sarò il solo.

(ad alta voce, sulla gradinata)

Quiriti, il Console!

(si odono squilli di tromba da varii punti del Foro)

Catone

(tornando indietro)

E bada, che non t’uscisse di mente! Mia sorella non sarà tua, fino a tanto la tua eloquenza, insieme colla legge Oppia, non avrà anche distrutta l’autorità del capo di casa.

(parte furibondo)

SCENA VI.

Fulvia, Annia Luscina, Plauto e Valerio indi Claudia, Licinia, Marzia Atinia e Volusia.

(Le donne tutte appariranno chiuse dal capo alle piante nella rica, come Marzia Atinia, essendo di sotto sfarzosamente vestite. Fulvia sola conserva la sua veste degli Atti antecedenti, e porta in capo il ricinio.

Del rimanente, le vesti, gli ornamenti e le acconciature delle donne saranno, salvo la varietà dei colori, e di qualche accessorio, simiglianti al vestiario indossato da Mirrina nell’ultima scena dell’Atto primo).

Fulvia

(inoltrandosi amorosa verso Valerio)

Valerio!

Valerio

(mestamente)

Hai udito?

Fulvia

Ah! io non sarò che tua, sempre tua!

Annia

(facendosi incontro a Valerio)

Che eloquenza, tribuno! Consenti che io ti rapisca agli occhi innamorati di Fulvia, per congratularmi con te. Il nostro sesso non ha mai avuto un più valente campione.

Plauto

(intromettendosi)

Sì, ma ci ha troppo fuoco. Tempera, amico mio! tempera! Il Console parlerà fieramente; metterà fiamme dal labbro. Tu, sii grave e pacato; riposerai l’uditorio, entrerai nelle grazie dei vecchi, che amano d’esser trattati con ossequio, e ti sarà più agevole il vincere.

(da sè)

Se l’amico mi sentisse a dar consigli di questa fatta contro di lui, sarei bell’e spacciato.

Annia

(affacciandosi all'intercolonnio)

Ah, ecco, parla il Console!

(Valerio e Fulvia la seguono, per star ad udir l'oratore, ma
spesso guardandosi e sempre tenendosi stretti per mano)

Bolle, come un mare in tempesta! Dei buoni, che furia di sarcasmi!... E’ vuol fare di nostra carne rocchi.

Plauto

Credo che sarebbe eccellente.

Annia

Antropofago!

Plauto

Eh, soltanto per metà! mangiatore di donne.

Annia

Ah, ecco Claudia coll’altre. Vedi? Ci avresti da farne una indigestione.

(andando incontro a Claudia, a Licinia, Marzia Atinia e Volusia)

Ecco dunque il gran giorno! Ecco l’ora che deciderà della nostra sorte. Il Console ha cominciato la sua invettiva.

Claudia

Licinia non ardiva accostarsi, fino a tanto fosse qui suo marito.

Annia

Bah! adesso siam tutte in ballo. O si vince, o si muore, ma tutte insieme.

Licinia

(a Plauto)

Tito Maccio, che te ne pare? Siam pazze?

Plauto

Eh, non dico che siate savissime. Ma alle donne va bene un granellin di follia, un pizzico di capricci. A proposito di capricci, eccone uno. Siete brune come tante larve.

Atinia

Siamo in gramaglia. Se la legge non casca, ci buttiamo tutte quante in vedovanza.

Annia

Anzi meglio; ci si ritira sul monte Sacro.

Plauto

Come la plebe, per farla in barba ai patrizi.

Volusia

No, come i patrizi offesi dalla plebe, nella persona di Coriolano.

Plauto

E di lassù ci piglierete colla carestia; ci affamerete....

Annia

Peggio ancora. Troveremo dei Volsci, che ci aiuteranno.

Plauto

Oh, se li troverete! io lo giuro.

Annia

E coi romani, non più pace, nè tregua.

Plauto

Ma noi, Veturie a rovescio, verremo in lunga fila di supplicanti ad implorare la mercè dei nuovi Coriolani; ci butteremo ai loro piedi, abbracceremo le loro ginocchia....

Atinia

Non vi concederemo tanta libertà!

Plauto

Via, via!.. Per fortuna avremo amici nel campo. Eccone uno laggiù,

(additando Valerio, in contemplazione di Fulvia)

che sarà sul monte Sacro.... che c’è anzi fin d’ora. La sua felicità è senza confini. Poveretto! E Marco avrà cuore di dividere quelle due creature, che s’amano tanto?

Fulvia

(additando verso il Foro)

Ah, vedi? Il Console scende dai rostri!

Atinia

Che è? Ha finito? Infatti egli è sceso.

Volusia

E come lo applaudono! Oh brutti!

Valerio

(traendo Fulvia in mezzo alla scena)

Mia sempre?

Fulvia

Fino alla morte. Va! sii uomo; egli finirà col rispettarti. Ma sii cortese, ossequioso con lui; è mio fratello! Va, va!

Voci

(di dentro)

Viva il Console! Viva!

Fundanio

(di dentro)

Il Console ha finito. Chi gli risponde?

Valerio

(slanciandosi alla gradinata)

A me, Quiriti! Rispondo io!

(esce)

Voci

(di dentro)

Sì, Valerio, tribuno! Ai rostri Valerio!

SCENA VII.

I precedenti, tranne Valerio.

Plauto

Bel fuoco giovanile! Tienlo caro, o Fulvia; è desso il fuoco sacro, ch’egli ha attinto da’ tuoi occhi.

Fulvia

(intenta ad ogni moto di Valerio)

Ecco, ascende il suggesto, s’affaccia a rostri. Stende la mano in atto di voler parlare. Che silenzio tutto intorno! Vedi come sono intenti, come pendono tutti dalle sue labbra! Incomincia.... loda il Console.... il popolo approva.

Plauto

Vedi tuo fratello, che gronde sugli occhi! Pare il monte Algido, quando mette il suo cappello di nuvole. Lo guarda a squarciasacco, come se volesse sbranarlo. Ah, bene, Valerio! Cortesie su cortesie! Le centurie applaudono! Avanti, avanti così! Ah, Dei immortali! prodigio, portento!... Catone spiana le rughe.... sorride.... Bene, calma, Valerio, calma sempre! La causa è vinta!

Annia

(accorrendo)

È vinta? Così presto? Allora butto via questo velo.

Plauto

Non ancora; volevo dire che la è come vinta. Sentite, eh, come parla dei fatti vostri, al tempo di Romolo... di Coriolano.... Vedi, Annia Luscina? anche di Coriolano! E come vi loda! come vi esalta!

Volusia

Fa bene.

Plauto

E giù applausi! Applaudono tutti e tutto, queste care centurie! Già, i fatti generosi della storia han sempre questo potere su noi; commovono, inteneriscono, comandano anche alla fredda ragione....

Annia

Che dici? La ragione è dalla parte nostra.

Plauto

Chetati, Annia Luscina! Parlavo della fredda ragione. Tu lo sai pure; ragioni ce n’ha di calde e di fredde. Voi avete le calde....

Annia

Io credo che tu ti prenda spasso di noi, poeta comico! Non c’è caldo, nè freddò che tenga, quando siamo nel nostro diritto.

Volusia

E il torto lo avete tutto voi altri.

Atinia

Uominacci!

Annia

Scellerati! Prepotenti!

Plauto

Ih, che vespaio! Avete ragione; la calda e la fredda; va bene così? Ma bada, Annia Luscina; nella foga del dire, t’è sfuggito un lembo della rica, e mostri un polso, che non è da gramaglia.

(accennando uno splendido braccialetto
d'oro che porta Annia Luscina)

Ma che vedo?

(scoprendo una stola intessuta di porpora, e man mano
tutti i capi d'un vestimento sfoggiato)

Che splendidezza? Tu sei più in fronzoli che non fosse Giunone, quando scese sul monte Ida a far perdere la tramontana al marito. Ah, erano queste le vostre gramaglie? Queste le vesti da supplicanti? E poichè tutte siete imbacuccate ad un modo, io mi penso che tutte, levata la prima scorza....

(Volusia gli si scopre, elegantemente vestita)

Anche tu fanciulla?

(Marzia Atinia fa lo stesso)

Anche tu! Ma gli è proprio un trionfo di donne! E m’immagino che tu pure, o nobile Claudia....

Claudia

(scoprendosi a mezzo)

Un po’ meno, un po’ meno, come s’addice ad una vecchia matrona.

Plauto

Di bene in meglio! E Licinia del pari?

(Licinia si schermisce, stringendosi nella rica; ma Plauto
la scopre tanto da vedere il vestimento elegante di lei)

In verità, la bellezza ci guadagna, e Catone sarà ben duro di petto, se resisterà a questi colpi. Ma, ora che ci penso.... E se la legge non è abrogata?

Annia

Te l’ho detto; di questo passo ci si ritira sul monte Sacro.

Plauto

Con que’ socchi leggiadri? Eh via!

(accennando la calzatura di Annia Luscina)

Fulvia

(che non si sarà mossa dal suo posto)

Ecco, ha finito! Vittoria! Scende dal suggesto tra gli applausi universali.

Fundanio

(di dentro)

Or dunque, ai voti!

Banditore

(di dentro)

Quiriti, al ponte dei suffragii. Venga innanzi la prima centuriaFonte/commento: Pagina:Barrili - La legge Oppia, Genova, Andrea Moretti, 1873.djvu/124!

Plauto

(affacciandosi dall’intercolonnio)

Ah, ah! come si vota quest’oggi! ridendo. Il ponte dei suffragi è pigliato d’assalto. Qua la tavoletta, distributore, e via! Eccola già nella cesta. Si finirà presto, così! E qui sotto, vedete i personaggi più gravi, che parevano i più caldi partigiani della legge, come circondano Valerio! Vedi, eh, Fulvia, come gli stringono la mano, congratulandosi con lui! Perfino Cornelio Cetego! E Sempronio Gracco! Gli è tutto dire! Povera legge Oppia, ti vedo brutta!

Annia

Nacque, visse, morì.

Plauto

Breve compendio di più lunga vita. Ma zitto! la prima centuria ha votato. Aspettate; contano. Ah, non c’è nemmanco da farne due mucchi!

Volusia

Vanno tutti da una banda, i voti!

Plauto

Segno che son tutti contrari.

Marzia

Che gli Dei sperdano l’augurio.

Il Banditore

(di dentro)

I voti della prima centuria, son tutti per la cassagion della legge.

(applausi)

Plauto

Ah, non c’è’ più timore. Ciò che la prima fa, le altre fanno. Ecco, infatti; Catone si ravvolge nella toga e s’alza dalla sedia curule.... Viene a questa volta. Guai, a voi, troppo ornate matrone!

Annia

Sì, venga; lo accoglieremo come va.

Licinia

(a Claudia)

Io mi tiro in disparte.

SCENA VIII.

Catone, seguìto da Erennio, con altri Littori e Detti.

Catone

(Rientra in scena, colla toga stretta ai fianchi, con piglio iracondo, borbottando alcune frasi sconnesse fra i denti. Vede le donne in vesti sfoggiate e rimane stupefatto a guardarle. Claudia Valeria sostiene con dignità il suo sguardo; Annia Luscina, più vivace, gli fa una mezza riverenza, a cui egli risponde con un ghigno ironico e quindi fa l’atto di tornarsene indietro seccato. Ma in quel mentre gli vien veduta Licinia, che vorrebbe starsi nascosta. S’avanza a lei, la trae fuori del crocchio, e meravigliato di vederla tutta ravvolta nella rica, le scioglie i lembi del velo. Licinia appare come le altre, nobilmente vestita, sebbene non così sfarzosamente. Egli dà un balzo indietro, tra per stupore e per rabbia).

Ma la è una ribellione universale! La follia s’è impadronita dunque di Roma? Sta bene! Due donne consolari!

(volgendosi poscia a Marzia Atinia ed Annia Luscina)

E due mogli di pretori.... dei primi magistrati della città, dopo i consoli!... La sedizione, il disprezzo delle leggi, il mal esempio, hanno tolto le nostre case a baluardo, donde potessero più sicuramente rovesciarsi sul popolo!

(Claudia gli risponde con un gesto severo)

A te, nobile Claudia, non dirò altro.... sebbene, come Console rimasto in città e depositario del comando supremo, potrei....

Il Banditore

(di dentro)

Le centurie hanno votato. Marco Fundanio e Lucio Valerio tribuni, la vostra dimanda ha il consenso del popolo.

Fundanio

(di dentro)

Ciò che il popolo ha statuito, abbia forza di legge. Quiriti, la legge Oppia è cassata.

Voci

(di dentro)

Viva Marco Fundanio! Viva Lucio Valerio! Viva!

Claudia

Vedi? non potresti più nulla. La legge Oppia è sepolta.

Catone

E sia, col piacer degli Dei! Ma son marito.... e questa donna.... oh, avremo a dircela insieme. In casa mia non è abrogata la legge.

Erennio

Undicesima Tavola; i suffragi del popolo decidono; ciò che il popolo ha statuito....

Catone

(stizzito)

Eh, va in tua malora, tu e tutte le dodici....

Erennio

(scandolezzato)

Oh!

Catone

Me la facevi dir grossa! Usciere di tribunale! Repertorio ambulante di leggi!... Una dovevi trovarmene, una sola, da metter fine a questo sconcio baccanale.

(le donne offese si ritraggono in disparte)

Plauto

(mettendosi in mezzo)

Càlmati, via! È dinanzi a te il fiore delle matrone romane.

Catone

Ah, sì, gli è vero! Fiore velenoso, ma fiore! Ma già ve lo annunzio, o nobili matrone, che ridete della sconfitta del Console; uscito appena di magistrato, domanderò la censura. Ho fede di ottenerla, perchè dirò ai miei concittadini: «la repubblica è inferma; volete voi un medico che la risani, curando le sue membra col ferro e col fuoco? Eleggetemi censore». E mi vedrete all’opera. Vi prometto una legge, più rigida della legge Oppia a gran pezza.

Fulvia

(avvicinandosi)

Che durerà ancor meno di questa.

Catone

Ah, sei tu? sei tu, che hai stregato Valerio? Quel Valerio! Una perla!

(Valerio apparisce dal fondo)

Ma almeno tu non hai profittato della abrogazione; sei vestita come prima.

Fulvia

(guardando Valerio che si avvicina)

Mi ha trovato bella così; rimarrò dunque così.

SCENA IX.

Valerio, indi Fundanio e Detti.

Valerio

(S’accosta timidamente. Annia Luscina, Marzia Atinia, Volusia, Claudia Valeria, vorrebbero farglisi incontro festose; ma egli le prega col gesto di rimanersi, e va a mettersi dall’altro lato di Catone)

Catone

Ah, ti trova bella? Ma io gliene caverò il ruzzo, a quel....

Valerio

Taci, te ne prego, padre mio; imperocchè io come padre t’amo e ti venero. Fui contro te; ma potevo io resistere? Tu stesso, qualche anno addietro, messo al punto di guadagnarti l’affetto di Licinia, che avresti tu fatto?... Non dirmi il contrario. Licinia non lo crederebbe. Ho vinto, insieme con Marco Fundanio, al quale io non perdonerò già certe sue invenzioni....

Fundanio

Non mie.

Atinia

(intromettendosi)

Mie; perdonale a me.

(Valerio s'inchina e stringe la mano a Fundanio)

Catone

Ah, qui si perdona.... si....

Valerio

Cose da nulla, che non meritano l’attenzione del Console.

Atinia

(piano a Fundanio)

Sebbene da piccole cause....

Fundanio

Derivano i grandi effetti! Io lo desidero vero.... per me.

Valerio

Abbiam vinto, ripeto; ma la vittoria non è dovuta alle mie parole, tanto meno eloquenti delle tue: bensì è dovuta all’ardore, con cui tutta Roma sposò la causa di queste leggiadre matrone. Non ci ho avuto merito; non ci ho dunque colpa; e perchè vorresti farmi patire una pena? Io, per me, porto opinione che questa vittoria non insuperbirà le donne gentili, ed esse ne useranno con temperanza, bene intendendo che tu difendevi la legge, non per avversione ad una onesta larghezza nello spendere, ma per timore di esorbitanze possibili. Che se queste avvenissero, se così fosse adulterato il nostro concetto, tu allora mi avresti, e ardentissimo, dalla parte tua....

Catone

(tra burbero e rabbonito)

Avresti fatti meglio a non discostartene mai. Basta; cosa fatta capo ha; dimentichiamo questa pazza giornata.

Licinia

Perdoni?

Catone

Bella forza! Come fare altrimenti? Dopo aver soggiogato il popolo, questo bel cianciatore soggioga anche me. Mi chiedevi Fulvia? Le darai l’anello!

Valerio

Eccolo!

(mettendo l'anello in dito a Fulvia)

Catone

Ah! non si perde tempo?

Valerio

Non già per timore che tu abbia a cambiar di parere, ma perchè....

Catone

Sì, ho capito; son vecchi come la stirpe umana, questi perchè....

Erennio

(facendosi innanzi)

Console, poichè si perdona a tutti, apre le porte del Tabulario?

Catone

E per che fare?

Erennio

Non sai? C’è una turba di donne sotto chiave, e tra esse quella sciagurata di mia moglie. Anch’io le perdono. Tavola nona: non si hanno a far leggi per casi particolari.

Catone

(ridendo)

E tu apri, e tirati il malanno e l’uscio addosso!

(Erennio va al Tabulario)

Plauto

Ah bene! un matrimonio? In fede mia, qui c’è da farne una commedia, ed io ho una voglia matta di scriverla.

Catone

Bravo! per mettere alla gogna un amico!...

Plauto

Hai ragione; lasciamola scrivere da un altro, nei tempi venturi.

Catone

Se la scrive, io fo voto che me lo fischino.

Plauto

Poverino! perchè? Io ho una paura maledetta dei fischi, e tremo sempre a verghe, quando ci ho qualcosa di nuovo da mettere in scena. Posteri uditori, fatelo per amor mio; applaudite!

(Cala il Sipario)


FINE DELLA COMMEDIA


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