< La regola di san Benedetto
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Quale debba essere l’Abbate. CAP. 2.°
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Quale debba essere l’Abbate.

CAP. 2.°

L’Abbate che è degno di presiedere al Monastero, sempre si ha da ricordare del nome che porta, e al nome di superiore corrispondere coi fatti. Devesi però credere ch’egli faccia nel Monastero le veci di Cristo, dapoichè chiamasi con lo stesso appellativo di Lui, dicendo l’Apostolo: Voi riceveste lo spirito di figli adottivi, pel quale esclamiamo Abba, Padre. — Pertanto l’Abbate nulla, che Dio guardi, deve o insegnare o stabilire o comandare, fuor del precetto del Signore. Anzi il comando o l’insegnamento di lui sia sparso nelle menti dei discepoli, come lievito della divina giustizia.

Si rammenti sempre l’Abbate, che nel tremendo giudizio di Dio saranno messi a disamina così il suo insegnamento, come l’obbedienza dei discepoli. E sappia l’Abbate, che sarà ascritto a colpa del pastore, tutto quel meno di utile che il padrefamiglia troverà nelle pecorelle. E allora, per contrario, sarà libero, se da buon pastore avrà adoperato ogni diligenza verso l’inquieto e disobbediente gregge, e prestato ogni cura alle debolezze di esso. Onde per uscire assoluto dal giudizio del Signore, dica a lui col profeta: Io non ho celato nel mio cuore la tua giustizia, ed ho annunziato la tua verità e la tua salute: ma essi non curanti mi disprezzarono. — Ed allora ultimamente alle disobbedienti sue pecorelle sia pena condegna la stessa morte. Quando dunque alcuno prende il nome di Abbate, deve soprastare ai suoi discepoli con doppio insegnamento; cioè tutte le cose buone e sante mostrare più con i fatti che con le parole; sicché ai discepoli sagaci proponga i comandamenti del Signore con le parole, e ai duri di cuore e più semplici, dimostri i divini precetti con i suoi fatti. Tutto quello poi che avrà insegnato ai discepoli da fuggirsi, indichi col suo esempio non doversi fare: affinchè predicando agli altri, non si trovi lui reprobo, e il Signore non abbia un giorno a dire a lui peccatore: Come tu esponi le mie giustizie, e ti metti in bocca il mio insegnamento? Tu intanto odiasti la disciplina, e ti gettasti dietro le mie parole! Or tu che vedevi la festuca nell’occhio del tuo fratello, come non vedesti la trave nel tuo? —

Non si riguardi da lui a persona nel monastero. Non ami uno più che un altro, se non colui che avrà trovato migliore nelle opere buone o nell’obbedienza. Non si anteponga il libero allo schiavo convertito, se forse altrimenti non consigliasse grave ragione. Che se, per dettame di giustizia, così sembrasse bene all’Abbate, rispetto a qualsiasi ordine, ed ei lo faccia: altrimenti, tenga ciascuno il proprio luogo. Perciocchè o schiavo o libero, tutti siamo eguali in Cristo Gesù, e sotto uno stesso Signore, siccome servi, portiamo il medesimo cingolo militare; giacchè non vi è riguardo di persone davanti a Dio. Solo in questo noi ci distinguiamo davanti a Lui, se cioè più buoni degli altri nella nostra vita e più umili saremo trovati. Adunque usi l’Abbate eguale carità con tutti, e offra a tutti la stessa disciplina, secondo che conviene.

Imperocchè l’Abbate deve nella sua dottrina conservare sempre quella forma apostolica, come sta scritto: Riprendi, sgrida, supplica; cioè, a seconda delle circostanze, accoppiando al terrore l’allettamento, dia a divedere il rigido affetto del maestro, e il pietoso cuore del padre; vale a dire, ch’ei deve più duramente riprendere gl’inquieti e gl’indisciplinati, supplicare poi gli obbedienti, i mansueti e i pazienti, affinchè progrediscano in meglio. Lo ammoniamo infine a sgridare e riprendere i negligenti e non curanti. Né dissimuli i difetti di coloro che falliscono, ma subito come si vedono incominciare a nascere, nella radice, com’é necessario, li tronchi; memore del caso di Eli, Sacerdote di Silo. Le menti più composte e ragionevoli le riprenda con le parole nella prima o seconda ammonizione; ma i malvagi e duri di cuore e superbi e disobbedienti anche sul primo incominciare del peccato li raffreni con battiture e castighi corporali, sapendo che sta scritto: Lo stolto non si corregge per le parole. — E altrove: Batti il tuo figlio con la verga, e libererai dalla morte l’anima di lui. —

L’abate deve ognora ricordarsi di ciò ch’egli è, ricordarsi del nome che porta, e sapere, che a cui più si commette, più si richiede. Conosca quanto difficile ed ardua impresa ha indossato col reggere le anime, e acconciarsi al costume di molti. Ed uno trattando colle lusinghe, un altro con le persuasioni, secondo la qualità e intelligenza di ciascuno, così a tutti si conformi e si adatti, che non solo non permetta il danno dei gregge a lui commesso, ma anzi si rallegri nell’incremento delle buone pecorelle.

Innanzi a tutto si guardi, dissimulando o tenendo da poco la salute delle anime a lui affidate, dal prendere troppa cura delle cose transitorie, terrene e caduche; ma sempre pensi, ch’egli ha preso a reggere anime, delle quali dovrà rendere conto. E perchè non si affligga per avventura della pochezza dell’entrate, abbia a mente che è scritto: Prima cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose vi saranno date di sopravvanzo. — Ed anche: Nulla manca a coloro che temono Dio. — E sappia, che chi ha preso a reggere anime, deve prepararsi a renderne ragione. E quanto sarà il numero de’ fratelli che avrà sotto la sua cura, si accerti che di altrettante anime dovrà rendere conto al Signore nel giorno del giudizio; aggiuntavi senza dubbio anche l’anima sua. E così ognora temendo la futura disamina del Pastore circa le pecorelle affidate, se ha giusta tema del giudizio che si farà di esse, sia sollecito del giudizio che si farà di sè. E nel porgere altrui la correzione co’ suoi avvertimenti, egli stesso si fa mondo dai vizii.

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