< La secchia rapita (1930)
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Canto undecimo Dichiarazioni di Gaspare Salviani alla Secchia rapita

CANTO DUODECIMO

ARGOMENTO

               Cessa la tregua, e la vittoria pende.
          Il papa in Lombardia manda un legato.
          Sprangon su ’l ponte a guerreggiar discende,
          onde sospinto poi resta affogato.
          Sono rotti i Petroni entro le tende,
          e ammolliscono il cor duro ostinato.
          S’interpone il legato a tanti mali;
          e si fa pace alfin con patti uguali.


1
     Le cose de la guerra andavan zoppe;
i bolognesi richiedean danari
al papa; ed egli rispondeva coppe,
e mandava indulgenze per gli altari.
Ma Ezzelino i disegni gl’interroppe
col soccorso che diede a gli avversari;
allora egli lasciò di fare il sordo,
e scrisse al Nunzio che trattasse accordo.
2
     Indi spedí legato il cardinale
messer Ottavïan degli Ubaldini,
uomo ch’in zucca avea di molto sale
ed era amico ai guelfi e ai ghibellini;
e gli diede la spada e ’l pastorale,
che potesse co’ fulmini divini
e con l’armi d’Italia opporsi a cui
rifiutasse la pace e i preghi sui.

3
     Fece il legato subito partita
con bella corte e numerosa intorno.
Ma la tregua fra tanto era finita,
e a l’armi si tornò senza soggiorno.
Facevano i guerrier su ’l ponte uscita
per guadagnarlo: e quivi notte e giorno
si combattea con sí ostinato ardire,
che ’l fior de’ cavalier v’ebbe a morire.
4
     Fra gli altri giorni, quel di san Matteo,
de l’uno e l’altro esercito avvocato,
sí fieramente vi si combatteo
che tutto il fiume in sangue era cangiato.
Prove eccelse Perinto e Periteo
feron col brando: ma da l’altro lato
minori non le fe’ Renoppia bella,
d’alto pugnando a colpi di quadrella.
5
     Su la torre vicina armata ascese,
che fu di Sant’Ambrogio il campanile;
e per compagne sue seco si prese
Celinda e Semidea, coppia gentile.
Quivi l’arco fatal l’altera tese;
e sdegnando ferir bersaglio vile,
furon da lei le piú degne alme sciolte,
e votò la farétra cinque volte.
6
     Paride Grassi e ’l cavalier Bianchini
su ’l ponte uccise e Alfeo degli Erculani;
su la riva l’alfier de’ Lambertini,
Pompeo Marsigli e Cosimo Isolani;
Lapo Bianchetti e Romuio Angelini,
Gabrio Caprari e Barnaba Lignani
giú nel fondo trafisse, e due cognati,
Fulgerio Cospi e Lambertuccio Grati.

7
     A Petronio Sampier, ch’innanzi al ponte
facea la strada a quei de la Crocetta,
drizzò l’arco Celinda e ne la fronte
gli adisse la mortal fera saetta.
Nel collo Semidea ferí Bonconte
Beccatelli, ch’uccisi in quella stretta
avea Anton Borghi e Gemignan Colombo;
e lo fece cader nel fiume a piombo.
8
     Fu Girolamo Preti anch’ei ferito,
poeta degno d’immortali onori,
che quindici anni in corte avea servito
nel tempo che puzzar soleano i fiori.
Col collare a lattughe era vestito,
tutto di seta e d’òr di piú colori:
ond’al primo apparir ch’ei fece in campo,
Renoppia di sua man trasse a quel lampo.
9
     Tra ’l collo e le lattughe andò a ferire,
e pelle pelle via passò lo strale.
Ei si senti la guancia impallidire,
che dubitò la piaga esser mortale.
L’accortezza e ’l saver nocque a l’ardire,
che gli affissò la mente al proprio male;
e in cambio di pensare a la vendetta,
correre il fece a medicarsi in fretta.
10
     Ei nondimen scusandosi dicea
che pugnar con le dame era atto vile,
e tanto piú contra colei, ch’avea
la sua franchigia in cima a un campanile.
In tanto da uno strail di Semidea
fu morto a piè del ponte Andrea Caprile,
ch’avea quella mattina un frate ucciso:
la balestra del ciel scocca improviso.

11
     E se non che la notte intorno ascose
l’aurea luce del sol col nero manto,
imprese vi seguian maravigliose
ch’avrebbon desti i primi cigni al canto.
Taciute avria quell’armi sue pietose
il Tasso e ’l Bracciolino il legno santo,
il Marino il suo Adon lasciava in bando,
e l’Ariosto di cantar d’Orlando.
12
     Giunto a Genova in tanto era il legato;
e ’l nunzio da Bologna gli avea scritto
ch’egli sarebbe ad incontrarlo andato
prima ch’ei fésse a Modana tragitto.
Ma egli, ch’a lo studio avea imparato
che fa la maestá poco profitto
se le manca il poter, senza intervallo
assoldando venia gente a cavallo.
13
     E’l papa giá co’genovesi avea
d’un mezzo million fatto partito,
talché sicuramente egli potea
ragunar soldatesca a suo appetito.
Ma il trascorrer qua e lá ch’egli facea
il trasse fuor del cammin dritto e trito,
fin che con lunga ed onorata schiera
egli arrivò ne’ prati di Solera.
14
     Quivi stanco dal caldo e fastidito
fermossi a l’ombra, e d’aspettar dispose
il nunzio, a cui giá un messo avea spedito
per intender da lui diverse cose.
In tanto i servi suoi su ’l verde lito
vivande apparecchiar laute e gustose:
ed egli in fretta, trattisi gli sproni,
mangiò per compagnia cento bocconi.

15
     Mangiato ch’ebbe, stè sovra pensiero
rompendo certi stecchi di finocchi;
indi venner le carte e ’l tavoliero,
e trasse una manciata di baiocchi,
e Pietro Bardi e monsignor del Nero
si misero a giucar seco a tarrocchi:
e ’l conte d’Elci e monsignor Bandino
giucarono in disparte a sbarraglino.
16
     Poi ch’ebbero giucato un’ora e mezzo,
levossi, e que’ prelati a sé chiamando,
con gusto andò con lor cacciando un pezzo
i grilli che per l’erba ivan saltando.
Cosí l’ore ingannava, e al fresco orezzo
la venuta del nunzio attendea; quando
di persone e di bestie ecco un drappello
guastò la caccia ch’era in su ’l piú bello.
17
     Eran questi una man d’ambasciatori
di Modana mandati ad invitarlo,
con muli e carri e cocchi e servidori
e molta nobiltá per onorarlo;
ben ch’avesse Innocenzio e i decessori
data lor poca occasion di farlo,
essendo i modanesi a quella corte
esclusi da ogni onor d’infima sorte;
18
     non perché avesse alcun mai tradimento
usato nel servir la Santa Sede,
ma perché avean con lungo esperimento
a Cesare serbata ottima fede.
Quel che dovea servir d’incitamento
per onorar di nobile mercede
la costanza e ’l valor, servia d’ordigno
per accendere i cor d’odio maligno.

19
     Or al legato que’ signor portaro
rinfresca menti di diverse sorte;
di trebbian perfettissimo un quartaro,
e in sei canestre ventiquattro torte,
e una misura, che tenea un caldaro,
di sughi d’uva non piú visti in corte;
e per cosa curiosa e primaticcia
quarantacinque libre di salciccia.
20
     Ringraziolli il legato; e que’ regali
dividendo fra’ suoi l’invito tenne.
E fra tanto col feltro e gli stivali
il nunzio per la posta sopravenne;
e informandol di tutti i principali
motivi, seco a la cittá se ’n venne:
la qual s’affaticò con ogni onore
di trarre il papa del passato errore.
21
     Si rinovò la tregua: e ad incontrarlo
uscí de la cittá tutto il consiglio;
e fin le dame uscîr per onorarlo
fuor de la porta inverso il fiume un miglio.
Preparossi il castel per alloggiarlo
con paramenti di tabbi vermiglio;
corsesi un palio, e féssi una barriera,
e in maschera s’andò mattina e sera.
22
     Il nunzio ragunar fece il senato
ne la sala maggiore il dí seguente,
dove con pompa grande entrò il legato,
benedicendo nel passar la gente.
Sotto un gran baldacchino di broccato
stava la sedia sua molto eminente;
e quindi ei cominciò, grave e severo,
a parlare a quei vecchi dal braghiero:

23
     — Il papa, ch’è signor de l’universo
e del gregge di Dio padre e pastore,
veduto fra le cure ov’egli è immerso
d’una favilla uscir cotanto ardore,
al ben comun da quel desio converso
che spira e muove in lui l’eterno Amore,
pace vi manda; o vi dinunzia guerra,
se voi la ricusate, in cielo e in terra.
24
     Quello, che io dico a voi, dico al nemico
vostro, ché ’l papa a tutti è giusto padre:
e se ben voi per retto e per oblico
foste sempre ribelli a la gran Madre,
e novamente a l’empio Federico
congiunti avete e gli animi e le squadre;
non vuol però che d’alcun vostro gesto
s’abbia memoria o sentimento in questo.
25
     E mi manda a trattar pace fra voi
con patti uguali; e mi comanda ch’io
in armi debba aver fra un mese o doi
dieci mila cavalli al voler mio,
per rintuzzar chi sia ritroso ai suoi
santi disegni, al suo voler restio;
e a Genova i contanti hammi rimesso,
e trenta compagnie giá son qui appresso:
26
     e promette di darmi il re di Francia
dodicimila fanti in fra due mesi,
sí che ’l fondarsi in altro aiuto è ciancia.
Né piú sia detto a voi che ai bolognesi.
Il papa sa che a correr questa lancia
i danari di Dio fien meglio spesi,
ch’in erger torri e marmi in sua memoria
d’armi e nomi scolpir, fumi di gloria. —

27
     Era capo di banca allor per sorte
un Giacopo Mirandola, uom feroce,
nemico aperto a la romana corte,
turbulento di cor, pronto di voce.
Questi volgendo a le ragioni accorte
del romano legato il dir veloce,
con quella autoritá ch’avuta avea,
cosí parlò dal luogo ove sedea:
28
     — Il papa è papa, e noi siamin poveretti,
nati, cred’io, per non aver che mali;
e però siam da lui cosí negletti
e al popol fariseo tenuti eguali.
Se per tiepiditá noi siam sospetti,
per diffidenza voi ci fate tali;
ma se per troppo ardor, che possiam dire
se non che ’l vostro giel nol può soffrire?
29
     Fra i divoti di Dio noi siamo soli
che non godiam di quel ch’a gli altri avanza,
né possiamo ottener come figlioli
nel paterno retaggio almen speranza.
Vengono genti da gli estremi poli
e trovano appo voi felice stanza:
noi soli siam da gli avversari nostri
per esempio di scherno a dito mostri.
30
     Se in lupi si trasformano i pastori,
gli agnelli diverran cani arrabbiati:
che fra gli oltraggi quei sono i peggiori,
che ci fanno color ch’abbiamo amati.
Ha da noi Federico armi ed onori,
però ch’in libertá ci ha conservati:
egli tratta con noi con cor sincero,
e noi serbiamo fede al sacro Impero.

31
     Né deve minor lode esser a nui
il conservar la libertade antica,
ch’a gli altri l’occupar gli stati altrui
e la fede ingannar di gente amica.
Questo dico a chi tocca e non a vui:
che se ’l papa si studia e s’affatica
di porne in pace con paterno zelo,
ne debbiamo levar le mani al cielo;
32
     quantunque non rispondano a le prove
quel terzo ch’ei mandò di perugini,
e questo monsignor che fa da Giove
coi fulmini ch’avventa ai ghibellini.
Però s’amor, se caritá lo muove,
se lo spirto di Dio spira i suoi fini,
deh cessi il mal influsso a questa terra,
e faccia il papa a gl’infideli guerra:
33
     ché noi siam pronti a riverire i suoi
santi pensieri e far ciò ch’egli impone,
e a por liberamente in mano a voi
ogn’arbitrio di pace, ogni ragione.
L’onore intatto resti, e sia di noi
quel che v’aggrada; acciò ch’al paragone
piú non abbiamo a rassembrar bastardi
tra i vostri figli a gli altrui biechi sguardi.
34
     Ché quell’armi ch’or voi depor ci fate,
se verrá tempo mai ch’uopo ne sia,
se verrá tempo mai che le chiamiate
o in Mauritania o ai regni di Soria,
vi seguiran nel mar fra l’onde irate,
vi seguiran per solitaria via;
saran le prime a disgombrarvi i passi,
onde a la gloria e a la salute vassi. —

35
     Qui il Mirandola tacque, e ’l concistoro
tutto levossi a gridar: — Pace, pace. —
— E pace sia, rispose a un tempo loro
il discreto pastor, s’ella vi piace.
Per me non fia che di sí bel tesoro
questa vostra cittá resti incapace:
né i tedeschi, cred’io, l’impediranno,
ch’omai confusi e mal condotti stanno.
36
     E ’l papa contra lor mosse in battaglia,
non contra voi, la gente perugina:
se non era con voi questa canaglia,
egli impedita avria tanta ruina.
Or ha segnata Dio giusta la taglia
e versata ha su ’l mal la medicina.
Siate voi piú devoti e men bizzarri,
e camminate per la via de’ carri. —
37
     Col fin de le parole in piè levato
uscí dov’eran dame e cavalieri:
poi fe’ chiamare i primi del senato,
e consultò con loro i suoi pensieri.
In Modana due díi stette il legato
fra giostre e feste e musiche e piaceri:
il terzo se n’andò verso Bologna
per dar l’ultimo unguento a tanta rogna.
38
     Gli donò la cittá trenta rotelle,
e una cassa di maschere bellissime,
e due some di pere garavelle,
e cinquanta spongate perfettissime,
e cento salcicciotti e due cupelle
di mostarda di Carpi isquisitissime,
e due ciarabottane d’arcipresso,
e trenta libre di tartufi appresso.

39
     Fu da mille cavalli accompagnato
da la cittá fino ai vicini lidi,
dove trovò l’esercito schierato
che ’l ricevè a suon di trombe e gridi.
Il ponte e la riviera indi passato,
dai bolognesi e loro amici fidi
fu ricevuto; e circa le vent’ore
giunse a la lor cittá con grande onore.
40
     Il dí che venne, per trattenimento
le spoglie gli mostrâr del campo rotto,
prigioni, armi, bandiere e ogni stormento;
e fu in trionfo anch’egli il re condotto.
Indi per allegrezza il Reggimento
gittò da le finestre un porco cotto,
ordinando che ’l dí de la vittoria
cosí si fésse ogn’anno in sua memoria.
41
     Fece il legato poi la sua ambasciata
nel publico consiglio; e non fu intesa
con quell’attenzion ch’imaginata
s’era nel cominciar di quella impresa.
Parea strano a ciascun che terminata
fosse con pari onor quella contesa;
e rivolean la secchia ad ogni patto,
e non volean che ’l re fésse riscatto.
42
     Proponeva il legato un mezzo onesto,
che ritenendo il re ch’avean prigione,
rimettessero poscia in quanto al resto
ne l’arbitrio del papa ogni ragione.
E quando ancor gli trovò sordi in questo,
né gli potè mutar d’opinione;
— Dunque, disse sdegnato, i nostri amici
han minor fede in noi che gli nemici?

43
     Or vi farò veder quello ch’importe
il disprezzar l’autoritá papale. —
Cosí disse; e non pur fuor de le porte
che chiudean le superbe e ricche sale,
ma di Bologna uscí con la sua corte;
e volgendo il cammin verso il Finale,
il Paulucci avisò ch’immantenente
il seguisse al Bonden con la sua gente;
44
     dove dovea trovarsi il giorno appresso
Azio d’Este figliol d’Aldobrandino,
e quivi esser da lui poscia rimesso
nel ferrarese antico suo domino;
come gli avea ordinato il papa stesso
con un breve, da poi ch’ei fu in cammino:
e a un tempo fûr da lui tutti chiamati
i cavalli ch’a dietro avea lasciati.
45
     Salinguerra, ch’intese il suo periglio,
tosto del ponte abbandonò l’impresa;
e tornando a Ferrara, in iscompiglio
ritrovò la cittá giá mezza presa.
Ma risoluti a non mutar consiglio
s’ostinaron via piú ne la contesa
i Petroni; e stimâr cosa leggiera
l’aver perduta e l’una e l’altra schiera.
46
     Da l’altra parte i Gemignani vòlti
al lor vantaggio, avean con segretezza
danari a cambio dai lucchesi tolti
e assoldata milizia a l’armi avezza;
e avendo i padovani in campo accolti
senza segno di tromba e d’allegrezza,
si mostravan d’ardir, di forze impari
per crescer confidenza ai temerari.

47
     E ’n tanto preparar feano in disparte
ordigni da trattar notturno assalto,
ponti da tragittar da l’altra parte,
saette ardenti da lanciar in alto,
fuochi composti in varie guise ad arte,
ch’ardean ne l’acqua e su ’l terreno smalto,
falci dentate e machine diaboliche
che non trovaron mai le genti argoliche.
48
     Tre giorni senza uscir de la trinciera
stettero i padovani e i modanesi.
Ed ecco il quarto con sembianza altiera
fuor de’ ripari uscir de’ bolognesi,
e su ’l ponte calar da la riviera,
tutto coperto di ferrati arnesi,
un fanton di statura esterminata
nominato Sprangon da la Palata.
49
     Un celaton di legno in testa avea
graticciato di ferro, e al fianco appesa
una spada tedesca, e in man tenea
imbrandita una ronca bolognesa.
Quindi vòlto ai nemici, egli dicea:
— O Pavanazzi da la panza tesa,
quando volidi uscir di quelle tane,
valisoni da trippe trevisane?
50
     Fra tanti poltronzon i n’è neguno
ch’apa ardimento de vegnir qua fora
a far custion con mi, fina che l’uno
sipa vittorios e l’altro mora? —
Cosí dicea; né rispondeva alcuno
a la superba sua disfida allora;
ma non tardò ch’a rintuzzar quel fiero
da l’antenoree tende uscí un guerriero.

51
     Lemizio fu nomato o Lemizzone,
piccolo e grosso e di costumi antico;
avea ne la man destra un rampicone,
e sopra la celata un pappafico,
ne la manca una targa di cartone
foderata di scotole di fico:
del resto, in giubberel con le gambiere,
parea un saltamartin proprio a vedere.
52
     Rise Sprangon vedendolo su ’l ponte,
e motteggiollo e dileggiollo assai;
chiamandolo aguzzin di Rodomonte,
stronzo d’Orlando, ambasciator de’ guai.
Volgendo Lemizzon l’ardita fronte,
rispose: — Al cospettazzo, e che dirai,
bruto porco arlevò col pan de sorgo,
se te fazzo sbalzar zoso in quel gorgo? —
53
     Alza la ronca a quel parlar Sprangone,
e mena per dividergli le ciglia.
Lemizzone la targa al colpo oppone,
v’entra un palmo la punta e vi s’impiglia:
ei la targa abbandona, e ’l rampicone
gli avventa a l’elmo, e ne’ graticci il piglia;
e tira con tant’impeto a traverso,
che ’n riva al ponte il fa cader riverso.
54
     Sprangon tocca del cul su ’l ponte a pena,
che balza in piedi, e la sua ronca gira
con quella targa infitta; e su la schiena
ferisce Lemizzon che si ritira.
Lemizzon de l’uncin a un tempo mena,
ma non va il colpo ove drizzò la mira;
segnava a la visiera, e giú discese,
e ne la stringa de’ calzoni il prese.

55
     Con le ginocchia e con le mani in terra
Lemizzon cade, e fa cader con esso
le brache di Sprangon, ch’a sorte afferra
col raffio ch’abbassò nel tempo stesso.
Ma da la ronca a quel colpir si sferra
lo scudo del carton, spezzato e fesso;
onde l’ardito Lemizzon che vede
il rischio, salta in un momento in piede;
56
     e Sprangon, ch’a sbrigar le gambe attende,
urta per fianco, e giú da l’orlo il getta.
Sprangon cadendo in una mano il prende,
e ’l rapisce con lui per sua vendetta.
Ravviluppato l’un con l’altro scende;
ma nel cader si distaccaro in fretta:
batton su l’onda e vanno al fondo insieme,
l’acqua rimbalza, e ’l lido intorno freme.
57
     Lemizzon, ch’è piú sciolto e piú spedito,
soffia le spume e ’l volto alza da l’onda;
e, poi c’ha scorto ov’è sicuro il lito,
passa notando in su l’amica sponda.
Ma da le brache sue l’altro impedito
e da l’armi, restò ne la profonda
voragine affogato e quivi giacque,
cibo de’ pesci e impedimento a l’acque.
58
     Ramiro Zabarella, un cavaliero
il piú gentil che fosse a’ giorni sui,
ma disdegnoso e furibondo e fiero
con chi volea pigliar gara con lui,
comparve armato sopra un gran destriero,
dopo che Lemizzon chiarí colui;
e disse: — O bolognesi, oggi la vostra
disfida fèste; e noi farem la nostra.

<poem>

59

    Però doman su questo ponte stesso

tutti vi sfido a singolar battaglia con lancia e spada, acciò che meglio espresso si vegga chi di noi piú in armi vaglia. — Qui tacque il Zabarella, e seguí appresso il grido universal de la canaglia: e fu accettata la disfida altiera dai cavalier de la contraria schiera. 60

    Era ne la stagion ch’i sensi invita

a ristorarsi omai la notte bruna, e con luce scemata e scolorita s’era congiunta al sol l’umida luna: la gente di Bologna, insuperbita dal passato favor de la fortuna, dormía secura in aspettando l’ora ch’esca Ramiro a la battaglia fuora. 61

    Quand’ecco «a l’arma a l’arma», e d’oriente

volando il grido a mezzogiorno arriva; «a l’arma a l’arma», s’ode a l’occidente, rimbomba l’aria e fa tremar la riva. La sonnacchiosa e spaventata gente sorgea confusa; e quinci e quindi giva ravvolgendo e intricando ordini e schiere, e cercando a lo scuro armi e bandiere. 62

    Avean taciuto i modanesi un pezzo

per cogliere il nemico a l’improviso, e da piú parti riserrarlo in mezzo per farlo rimaner vie piú conquiso; parendo lor che la vittoria avezzo l’avesse a trascurar quasi ogn’aviso. Presero il tempo e ’l ritrovâr distratto

e da simil pensier lontano affatto.


63
     Correano a gara i capitani al ponte,
dove maggior periglio esser parea:
e quivi il furibondo Eurimedonte
col destriero ingombrato il varco avea;
e in minacciosa e formidabil fronte,
con la spada a due man ferendo, fea
smembrati e morti giú da l’alta sponda
cavalli e cavalier cader ne l’onda.

64
     A Petronio Casal divise il volto
fra l’uno e l’altro ciglio in fino al petto;
a Gian Pietro Magnan, ch’a lui rivolto
giá tenea per ferirlo il brando eretto,
troncò la mano e aperse il fianco, e sciolto
trasse lo spirto fuor del suo ricetto;
e partito dal collo a una mammella
Ridolfo Paleotti uscí di sella.

65
     Ma di gente plebea n’uccide un monte,
che s’erge sovra l’onda e innanzi passa;
seguono i padovani: e giá del ponte
le steccate e le sbarre addietro lassa.
Quindi ne le trinciere urta per fronte,
e le rompe, le sparge e le fracassa;
si rinforza il nemico, e fa ogni prova
contra tanto furor, ma nulla giova;

66
     ché da levante vien per fianco il forte
Gherardo a un tempo, e da ponente viene
Manfredi; e l’uno e l’altro ha in man la morte,
e fa di sangue rosseggiar l’arene.
Trasser le genti lor con pari sorte
di lá da l’onda; e per le rive amene
taciti costeggiando a un punto fûro
sopra i nemici incauti al cielo oscuro.

67
     A prima giunta in cento parti e cento
acceso fu ne’ palancati il foco:
crebbe la fiamma e la diffuse il vento,
e l’inimico a quel terror diè loco.
Urtano i Gemignani, e al violento
impeto loro ogni riparo è poco.
Da l’altra parte i padovani anch’essi
hanno giá i primi in su l’entrata oppressi.
68
     Varisone, fratel di Nantichiero,
che Barisone poi fu nominato,
uccise Urban Guidotti e Berlinghiero
dal Gesso e ’l Manganon da Galerato.
Seco avea Franco e ’l valoroso Alviero
e don Stefano Rossi, a cui fu dato
il cognome a l’uscir di quel periglio,
perché tutto di sangue era vermiglio.
69
     Al pretor di Bologna intorno stanno
tutti i primi guerrier del campo armati.
Egli che vede la ruina e ’l danno
e non può riparar da tanti lati,
esce da tramontana; e se ne vanno
di Castelfranco ai muri abbandonati,
e si riparan quivi: e quivi accolte
sono le genti rotte in fuga volte.
70
     Il popolo di Fano e di Cesena
restò col fior de’ milanesi estinto;
de’ ravennati e forlivesi a pena
fu ricondotto a Castelfranco il quinto:
preso il carroccio, ogni campagna piena
di morti, ogni sentier di sangue tinto;
gli alloggiamenti e la nemica preda
restaro al fuoco e a le rapine in preda.

71
     Piú non tornaro al ponte i modanesi,
ma a Castelfranco fêr passar la gente:
e quivi fûro i padiglioni tesi
poco distanti, al lato di ponente;
dove ancor sono i margini difesi
da una trinciera quadra ed eminente,
che può veder passando in su la strada
qualunque dal castello al fiume vada.
72
     Tiraro il dí seguente una trinciera
i bolognesi fuor de la muraglia;
e quivi usciro armati a la frontiera
contra i nemici in atto di battaglia:
ma stetter poi cosí fino a la sera
per mostrar di non ceder la puntaglia.
E in tanto il Reggimento avea mandato
un messo in fretta al Cardinal legato;
73
     cui chiedendo perdon del folle eccesso,
d’aiuto il supplicava e di consiglio,
con libero e assoluto compromesso,
pur che levasse i suoi fuor di periglio.
Egli, dissimulando il gusto espresso
di vedergli abbassato il superciglio,
mostrò dolersi de l’avuta rotta;
e fe’ ritorno a la cittá del Potta.
74
     Quivi accolto in senato, ei disse: — Amici,
io torno a voi con quell’istessa fede
ch’io ritrassi l’altrier, che i benefici
non mi faceano ancor sperar mercede.
féste donna di voi la Santa Sede;
e i nostri amici vecchi insuperbiti
mutaron fede e ne lasciâr scherniti.

75
     Or ha l’orgoglio lor Dio rintuzzato:
io, che ’l sentiero a la vittoria ho fatto,
che ’l terzo di Perugia ho lor levato,
che Salinguerra fuor del campo ho tratto,
l’arbitrio che da voi pria mi fu dato
vi ridomando, ma però con patto
che debba l’onor vostro esser securo;
e cosí vi prometto e cosí giuro. —
76
     Il Mirandola allora alzato in piede,
gli rispose: — Signor, la patria mia
né per incontro a la fortuna cede,
né per felicitá sé stessa oblia.
L’arbitrio che da prima ella vi diede,
l’istesso or vi conferma; e sol desia
che siate voi magnanimo in usarlo,
com’ella è pronta e generosa in darlo. —
77
     Ringraziò que’ signori e fe’ partita
da Modana il legato il giorno stesso:
e conchiusa la pace e stabilita
fra le parti in virtú del compromesso,
con gaudio universal, con infinita
sua lode publicolla il giorno appresso;
riserbando ne’ patti ai modanesi
la secchia e ’l re de’ sardi ai bolognesi.
78
     Nel resto, si dovean tutti i prigioni
quinci e quindi lasciar liberamente,
e le terre e i confini e lor regioni
ritornar come fûr primieramente.
Cosí finîr le guerre e le tenzoni:
e ’l giorno d’Ogni Santi al dí nascente
ognun partí da la campagna rasa,
e tornò lieto a mangiar l’oca a casa.

79
     Voi buona gente, che con lieta ciera
mi siete stati intenti ad ascoltare,
crediate che l’istoria è bella e vera:
ma io non l’ho saputa raccontare.
Paruta vi saria d’altra maniera
vaga e leggiadra, s’io sapea cantare;
ma vaglia il buon voler, s’altro non lice,
e chi la leggerá viva felice.

FINE.

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