< La testa della vipera
Questo testo è completo.
I III

II.

Quando Marianna era rientrata, il medico le aveva detto che, se il marito della moribonda tardava una mezz’ora, non l’avrebbe più trovata in vita; poi, non essendo più possibile alcun soccorso per quella infelice, erasene partito.

La morente pareva assopita: un respiro lieve, ma affrettato, le usciva dalle labbra assottigliate, aride, livide, semiaperte; le mani brancicavano con moto macchinale il lenzuolo; le palpebre richiuse apparivano così affondate nelle occhiaje che avreste detto non esservi più di sotto il bulbo; la fronte libera, dai capelli tirati indietro, pareva enorme, il viso invece stremenzito non maggiore di quello d’una bambina. La suora di carità, curva sull’agonizzante, ne bagnava le tempie e le labbra con un pannolino e recitava le preghiere dei moribondi.

— Sempre lo stesso? domandò Marianna tanto per dire qualche cosa.

— Peggio, rispose la monaca. E il marito verrà?

— Sì.

In quel punto la giacente aprì gli occhî. Quelle pupille, già velate dall’ombra della morte, guardarono vagamente qua e là senza segno di coscienza, ma incontrando la facciona rossa della Marianna, si animarono e presero un’espressione di ripugnanza, di rancore insieme e di paura.

— Via!... via colei! balbettò la misera. Non mi ha ancora fatto male abbastanza?

Marianna si ritrasse vivamente indietro, facendosi nascondere dalle cortine alla vista della giacente, e intanto susurrò alla monaca:

— Il solito delirio... Non riconosce più le persone a cui essa era affezionata.

La monaca non disse nulla.

Lo sguardo della moribonda andò a porsi sopra una culla che stava presso la finestra. La coscienza e l’intelligenza tornarono del tutto in quell’essere vicino ad estinguersi.

— Mio figlio! diss’ella con voce alquanto più forte. Voglio vederlo.

— Il bambino non è qui, disse la monaca.

— Dov’è? dov’è? Me l’hanno rapito?

E il capo le si agitò sul guanciale, e le mani brancicarono più irrequiete sulle coltri.

— Si calmi, cara Luisa, soggiunse la suora; il bambino è di là che dorme colla nutrice.

— Ah! la balia! susurrò la moribonda; so che l’hanno dato alla balia... Me l’ha portato via la balia.

— No, no, stia tranquilla, è di là; creda alla mia parola.

— Voglio vederlo... voglio vederlo.

S’agitò maggiormente; la voce le si era fatta più forte, un lieve rossore le salì alle guancie e faceva uno strano contrasto col giallognolo della fronte.

— Abbia pazienza, disse la monaca, mettendole una pezzuola ghiacciata sulla fronte; il piccino dorme.

Ma la moribonda s’agitava viepiù.

La monaca fu commossa dall’accento di supplicazione disperata con cui quella poveretta pronunciò tali parole; si voltò indietro e susurrò alla Marianna nell’ombra:

— Contentiamola, pover’anima!... Faccia portar qui il bambino.

Marianna stette un attimo quasi esitante, poi crollò lievemente le spalle e se ne andò senza dir motto.

— Mio figlio!... mio figlio.... continuò ad esclamare con voce gemicolante la morente.

— Verrà, verrà, le disse la monaca. Sono andati a prenderlo... Si quieti, a momenti sarà qui anche suo marito.

Finalmente l’uscio s’aprì, ed entrò una balia assonnata, con aria di cattivo umore, e fra le braccia, serrato nel portabimbi, un fantolino di pochi giorni che gemicolava ancor esso, quasi alla pari di sua madre nell’agonìa.

Gli occhî di quest’ultima s’illuminarono d’un lampo di vita. La misera fece uno sforzo per tirarsi su della persona, per sollevare le braccia e tenderle al bambino; ma non potè nè l’una cosa, nè l’altra; il capo le ripiombò sul cuscino, le braccia sulle coltri.

La monaca prese il bambino dalla nutrice, e venne a porlo sotto gli occhî della madre. Era un bimbo miseruzzo, piccino, piccino, cogli occhî rinchiusi, la pelle tutta grinze, la carnagione gialliccia; e non cessava quel gemicolìo, che rivelava un continuo malessere.

La moribonda balbettò con accento d’immenso desiderio:

— Baciarlo!

La suora di carità pose presso le labbra della morente il visino patito del bimbo.

— Oh, figlio mio! susurrò la madre infelice. Lasciarti... in mano di... O Dio pietoso!... Lo raccomando... Preghi...

Un ultimo sguardo supplicante rivolse alla monaca; le labbra cessarono di baciare e di parlare; una lieve contrazione corse per tutto il corpo della poveretta e con un sospiro il capo si reclinò sulla spalla.

La monaca porse il bambino alla balia.

— Prendete, portatelo di là... Questo innocente non ha più madre!

Marianna fece vedere fra i battenti dell’uscio la sua faccia rubiconda.

— Finito? domandò.

— Sì! rispose la monaca, la quale con mano pietosa subito richiuse alla morta gli occhî e le labbra, ne adagiò il capo sui guanciali, congiunse le mani sopra le coltri e pose fra esse un crocifisso mormorando preghiere.

Marianna s’avanzò lentamente, quasi riguardosa verso la morta; la contemplò un istante con uno sguardo di espressione difficile a definirsi, ma non certo di dolore; e poi disse freddamente:

— Ha terminato di patire... Già, non ha mai goduto di florida salute... Non avrebbero dovuto maritarla... E neppure suo figlio non credo che possa vivere...

— Sarà quel che Dio vorrà, interruppe asciuttamente la monaca.

— Oh! ella ha ragione, cara suora! esclamò con accento di untuosa devozione Marianna. Dio sa meglio di noi quel che ha da fare. Dà e toglie la vita, e bisogna rassegnarsi a’ suoi santi voleri.

Cambiò tono ad un tratto per dire con ostentata indignazione:

— Ma quel sor Lorenzo è proprio imperdonabile... Non essere neppur venuto a darle un ultimo addio.

La monaca non disse nulla: dispose appiè del letto il tavolino col crocifisso e le candele, accostò l’inginocchiatojo e si mise a pregare.

— Cara suora, ha ella bisogno di qualche cosa? domandò Marianna facendo meglio che poteva la voce dolce e insinuante.

— No, grazie, rispose la monaca senza pure voltare il capo. Starò qui a pregare finchè venga la mia compagna a surrogarmi.

— Benissimo... Le sue preghiere sono una carità fiorita per questa povera anima... Pregherei anch’io molto volentieri qui con lei... ma sono stanca... Ho vegliato parecchie notti... e per me le emozioni mi accasciano. Vado a gettarmi sul letto... Oh, non dormirò... pregherò anch’io... ma proprio non posso più star su.

La monaca, colla fronte serrata fra le mani, seguitava a pregare senza dar retta alle parole di Marianna.

Questa non aggiunse altro e scivolò fuori della camera senza rumore; dieci minuti dopo, essa dormiva sodo, come chi ha l’anima soddisfatta e tranquilla.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.