< La vita militare
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L'esercito italiano durante il colèra del 1867 Partenza e ritorno. Ricordi del 1866

UNA MEDAGLIA.


— Sempre quella faccia rannuvolata e quello sguardo torvo! — Così, un giorno, diceva tra sè e sè un capitano, dopo aver passato in rivista la sua compagnia. — Ma perchè, poi? Cosa gli ho fatto io in fin de’ conti?

Pensava a un soldato abruzzese che durante la rivista lo aveva guardato in cagnesco.

V’hanno delle indoli chiuse, altiere, selvatiche, in cui l’amor proprio è siffattamente vivo ed ombroso, che in ogni sorriso sospettano uno scherno, in ogni parola un’insidia, in ogni persona un nemico. Indoli buone, in fondo in fondo, e affettuose; paiono invece e son giudicate superbe e cattive. Sono anime ritrose per naturale diffidenza degli uomini; non hanno affetti spontanei; non aman mai per le prime; ma, appena s’accorgono del tuo affetto, ti corrispondono con quella maggior forza ed effusione di cuore che mostrano di meno, in generale, cogli altri. Quando però s’incaponiscono nell’avversione e nell’astio, sono incredibilmente ostinate e tenaci. Ma non odiano davvero; lo credono. Tu sarai sempre in tempo, con una stretta di mano o un sorriso gentile, a dissipare in loro un’antipatia che credevano invincibile e un rancore che giuravano eterno.

Tal’era il soldato abruzzese che guardava torvo il suo capitano.

Il primo giorno ch’egli era venuto al reggimento insieme a tutti gli altri coscritti vestiti ancora de’ loro panni da contadini e da operai, appena entrato nella compagnia, il capitano lo aveva squadrato con una certa espressione di curiosità e aveva detto nell’orecchio al suo luogotenente: — Guardi che faccia proibita. — E avea sorriso. E il soldato avea notato quel sorriso. Condotto nel magazzino del vestiario, s’era infilato il primo cappotto che gli avean messo tra le mani, e il capitano, vedutolo, passando, così insaccato e infagottato, con certe maniche che gli spenzolavano un palmo oltre le mani, e certi faldoni che gli coprivan le ginocchia, s’era messo a ridere, esclamando: — Tu mi sembri un sacco di cenci. — Ed egli s’era tutto rannuvolato e avea lanciato al capitano un’occhiata di sotto in su che pareva una sassata. Un’altra volta, in piazza d’armi, quando s’insegnava il passo di scuola ai coscritti e si facevano uscir dalle righe uno per uno e camminare soli per un lungo tratto, a suon di tamburo, movendo le gambe lente e stecchite alla guisa delle marionette, egli, venuta la sua volta, s’era vergognato e confuso a tal segno, che non riusciva a mutare due passi senza vacillare o inciampare o far certe movenze stentate e grottesche, che facevan ridere i compagni. Era sopraggiunto il capitano e lo avea sgridato; ed egli peggio di prima. Allora il capitano, visto che gli era fiato sprecato, se n’era ito dicendogli: — Siete il più brutto soldato della compagnia. — Là presso c’eran delle ragazze con dei bimbi che stavano a vedere, e s’eran messe a ridere forte. Egli, diventato rosso fino alla radice dei capelli, era ritornato in riga arrotando i denti come un cane arrabbiato.

Così si andò man mano raffermando nell’animo suo il convincimento che il capitano l’avesse in uggia, e lo rampognasse per malignità, e lo mettesse in ridicolo col malvagio proposito di farlo uscire fuori dei gangheri, e di perderlo. E non era vero. Il capitano era un galantuomo; astio non aveva contro di lui più di quanto ne avesse contro gli altri; amava i suoi soldati; era incapace di un sentimento d’avversione cieca ed ingiusta, e abborriva profondamente dalle prepotenze e dalle persecuzioni meditate. Solamente non aveva ben compresa l’indole di questo suo soldato. A vederlo sempre così fosco e bieco, lo aveva giudicato di natura caparbia, indocile, rivoltosa, cattiva, e lo voleva domare; ed egli era domabile; ma coi mezzi della persuasione e dell’amorevolezza; colle vociaccie e colla prigione, no; era peggio.

Un giorno il nostro soldato stava parlando con una ragazza sull’angolo d’una via; passò il capitano; egli non lo vide. Quegli credette che avesse finto di non vederlo per non salutarlo, e gli fece una lavata di capo in presenza della ragazza e di molt’altra gente che era là attorno. Il poveretto n’ebbe tanta vergogna che, appena andato via il capitano, disparve anch’esso di là e non vi si fece vedere mai più. Ma il rancore contro il capitano gli s’accrebbe a cento doppi; divenne odio, quasi; lo rodeva di continuo; non gli lasciava un istante di pace; gli avvelenava la vita. Nè per quanto ei si sforzasse, poteva riuscir mai a dissimularlo. Il capitano rimbrottava un soldato, ed egli tossiva e stropicciava i piedi sul terreno; il capitano si volgeva sdegnoso, ed egli, pronto, alzava la faccia in su a guardare le nuvole. In marcia, se un soldato stava attento quando il capitano cercasse da bere e gli porgeva la borraccia, egli sogghignava e, tratto in disparte quel soldato, gli mormorava nell’orecchio: Imbecille! Quando il capitano lo rimproverava, egli faceva mostra di non intendere, stralunando gli occhi come un insensato e tentennando la testa, o mandava dagli occhi socchiusi un lampo di riso maligno, torcendo la bocca e sporgendo il labbro di sotto. E poi sempre lo sguardo torvo e la faccia scura.

Una sera, in piazza d’armi, mentre si facevano gli esercizi, un maggiore rimproverò ad alta voce il capitano; questi girò un rapido sguardo sulle faccie dei suoi soldati; quella tal faccia rideva. — Canaglia! urlò egli allora, cieco di rabbia, e fattosi dinanzi al soldato, gli pose i pugni sul viso: il soldato impallidì. Pochi minuti dopo si volse freddamente al suo vicino e gli disse: — Un giorno o l’altro (e aggiunse qualche parola sotto voce).... o io non sono abbruzzese. — Appena rientrato in quartiere e giunto al suo letto, sbattè il gamellino e lo zaino contro il muro. Il capitano sopraggiunse inaspettato e vide. — Sergente, me lo cacci in prigione! — gridò, e disparve. Il soldato addentò, ruggendo, le lenzuola e si percosse la testa coi pugni. Tre o quattro compagni gli si slanciarono addosso, l’afferrarono, lo trattennero: — Che hai? Che fai? Diventi matto?


V’è un tratto della valle del Tronto, il tratto più angusto, in cui le giogaie s’elevano dalle due parti ad una grande altezza e dirompendosi in valloncelli, in dirupi e in burroni scuri e profondi, protendono le falde sassose fin quasi sulla sponda del fiume. La valle, in quel tratto, offre un aspetto cupo e malinconico. Tra l’acque e le falde estreme, il terreno è tutto ghiaia e ciottoloni e macigni enormi, precipitati giù dalle sommità de’ gioghi; e dalle falde in su è un laberinto di tane e di precipizi e di boschi folti e di greppi senza sentiero. Qualche viottolo s’inerpica su per l’erta a gomiti e a giravolte, e si perde in mezzo ai massi e alle macchie; qualche abituro appare qua e là mezzo nascosto fra le sporgenze dei balzi; qualche tratto di terra è piano e verdeggiante; in ogni altra parte è verginità di natura aspra e selvaggia.

Era una sera d’autunno e piovigginava. Una pattuglia di pochi soldati, l’un dietro l’altro, passava per cotesto tratto della valle, salendo, scendendo, serpeggiando, a seconda dei rialzi del suolo e dei macigni ond’era ingombro quel po’ di sentiero che il piè dei viandanti, in un lungo volgere d’anni, vi aveva segnato.

Un soldato precedeva la pattuglia d’una quarantina di passi; un altro, alla stessa distanza, la seguitava. Camminavano a capo basso, col fucile stretto sotto le ascelle, lenti e silenziosi.

Tutt’ad un tratto, il soldato che stava innanzi udì un rumore concitato di passi, vide spuntare al di sopra d’un masso tre teste e luccicare tre canne e tre lampi, e si senti staccar dalla fronte il cheppì e sibilare due palle a destra e a sinistra del capo. Subito dopo si slanciarono verso di lui tre briganti. Egli sparò il fucile, e l’un d’essi die’ un grido e stramazzò. S’avventò sull’altro, e con un colpo poderoso del fucile gli respinse la carabina da un lato, e gli cacciò nel ventre e ne estrasse in un sol punto la baionetta. Ma il terzo, ch’era addietro, gli è sopra prima ch’egli possa rivolgersi contro di lui; gli afferra colla manca il fucile, leva in alto coll’altra un pugnale; il soldato abbandona l’arma, abbranca colla sinistra la mano armata del brigante, gli ricinge il collo col braccio destro, gli si stringe addosso come una serpe e gli addenta rabbiosamente e gli dilania l’orecchio. Un urlo orrendo di spasimo erompe dal petto dell’assassino, e qui s’impegna una lotta che fa spavento. Fanno a rovesciarsi per terra; un piede in fallo è la morte; in men d’un istante un largo tratto di terreno è impresso qua e là di orme profonde; le pietre percosse dalle violenti pedate sbalzano all’infuori dell’orribile arena; i due nemici si abbracciano e si svincolano e si ricongiungono con una rapidità a cui vien meno lo sguardo; si pestano coi pugni, si lacerano coi morsi, si dan dei gomiti e delle ginocchia nel petto e nel ventre; — sbuffi — aneliti — grida di rabbia strozzate; gli occhi orribilmente dilatati ed accesi; le bocche schiumose e sanguigne discoprono, contraendosi convulsamente, i denti digrignanti; oramai quei due visi non han più umana sembianza. Ma il soldato tien tuttavia stretto nella ferrea mano il pugno nemico armato di coltello.... Ad un tratto il brigante stramazza, percuotendo aspramente il terreno; il soldato gli è sopra, lo stringe con ambe le mani alla strozza, si fa schermo a mancina col ginocchio piegato, e mentre il prostrato gli incide il braccio sinistro d’una profonda ferita, ei gli solleva da terra, con supremo sforzo, la testa, e acconsentendo con tutta la persona alla spinta, gliela fa battere violentemente contro un sasso; profitta dello stordimento prodotto dal colpo, stringe con tutte e due le mani e con tutta la lena che gli resta il polso del braccio armato; la mano indolenzita s’allarga, e non sì tosto il coltello dell’assassino è passato nel suo pugno che già ei glie l’ha cacciato nella gola. Il ferro tagliente, ghiacciato, gli penetra nell’ugola e gli rompe l’ossa del palato; un’onda di sangue gli prorompe gorgogliando dalle fauci aperte, mista a un rantolo confuso, che fu l’ultima sua voce.

Bravo! bravo! — urlarono, sopraggiungendo affannosi, gli altri soldati della pattuglia; e gli si fecero attorno e l’affollarono di domande, mentre egli immobile, ansante, col viso bianco e l’occhio stupido e stralunato, stava guardando ora il brigante prostrato, ora il coltello sanguinoso che teneva tuttavia stretto nel pugno.

La pattuglia era stata assalita nello stesso tempo da un branco di briganti i quali, appena sparate le carabine, s’eran dati alla fuga. I soldati li avevano inseguiti per un buon tratto di via.

Il soldato ferito in capo a pochi giorni guarì. La prima volta che il capitano lo vide, passandogli dinanzi alla rivista, lo guardò fissamente negli occhi e gli disse: — Bravo! — Subito dopo un suo vicino gli susurrò nell’orecchio: — E tu dici che ti ha in tasca? T’ha detto bravo! — Per forza! — egli rispose scrollando la testa, e sogghignò.

Tre mesi dopo quel giorno il reggimento fu trasferito in Ascoli. Era trascorsa una settimana dall’arrivo alla nuova stanza, quando il colonnello ordinò che l’indomani tutto il reggimento vestisse l’uniforme di parata per assistere a una solennità militare sulla piazza principale della città. Si doveva decorare un soldato della medaglia al valor militare.

— Così presto? pensò il nostro capitano, quando gli fu detto l’ordine del colonnello. E corse subito alla camera del furiere e gli domandò ansiosamente: — Ha sentito l’ordine? Ha fatto tutto? — Tutto, fin da tre giorni. — Oh respiro! Vediamo dunque; carta, penna e calamaio; voglio esser sicuro del fatto mio.

Sedettero a tavolino e il furiere prese a tracciare sopra un brano di carta certe strade e certe case, parlando a bassa voce, e ripigliando di tratto in tratto il discorso.

Dopo un po’ di tempo s’alzarono tutt’e due, e il capitano, accomiatandosi, soggiunse: — Terza casa a destra, seconda porta? — Terza casa, seconda porta. — Di sicuro? — Il furiere fece un atto come per dire: — Diavolo, ne può dubitare?

Un’ora dopo il capitano era a cavallo sulla via che da Ascoli corre ad Acquasanta, piccolo paese posto sulla riva del Tronto, a mezza distanza, credo, o presso a poco, fra Ascoli e Arquata.

Giunse ad Acquasanta sul cadere del sole. Prima di entrare si sbottonò la tunica per nascondere il numero dei bottoni e ripiegò all’insù la tesa del berretto. Entrò. All’udire lo scalpitìo del cavallo qualcuno delle prime case si fece sull’uscio; altri s’affacciarono alle finestre; i ragazzi accorsero nella via. Il capitano guardò incerto a destra e a sinistra, e poi si diresse verso una porta dov’era un crocchietto di donne, le quali, al suo apparire, si schierarono timidamente contro il muro e lo guardarono attonite.

— Chi mi dà un bicchier d’acqua, buone donne? — disse il capitano fermando il cavallo e affettando un’aria sbadata.

— Io — rispose vivamente una delle donne, e disparve. — È lei! pensò il capitano, non può esser altra che lei. —

La donna tornò di lì a un minuto con un bicchier d’acqua, e lo porse al capitano. Questi la guardò attentamente e si pose a bere a lenti sorsi; quella, intanto, lo squadrava da capo a piedi, piegava la testa a destra e a sinistra e si alzava sulla punta dei piedi per vedere di scoprire il numero del reggimento, e si stropicciava le mani, e dondolava la persona, e non istava ferma un momento, e dallo sguardo intento e vivo e dai rapidi moti della bocca lasciava trasparire una contentezza timida e ansiosa, un desiderio intenso e irrequieto, che non sapeva risolversi a palesare. Il capitano la osservava.

— C’è nessuna di queste donne che abbia dei figliuoli soldati? — domandò poi restituendo il bicchiere e simulando, come prima, una indifferenza distratta.

— Io! — rispose risoluta la donna che gli aveva porto il bicchiere. — Ne ho uno! — e fece cenno col pollice e restò in atto d’aspettare, immobile come una statua.

— In che reggimento?

La donna disse il reggimento e soggiunse in fretta: — Dov’è, signor colonnello? Lo conosce? L’ha veduto?

— Io no.... Ma come mai non sapete dove sia?

— Mah! — esclamò la donna facendo un viso serio serio e incrocicchiando e lasciando cadere abbandonatamente le mani; — sono due anni che non lo vedo; un mese fa non era mica molto lontano di qui; era a far la guerra ai briganti, povero figliuolo, e mi ha scritto; ma d’allora in poi non ne ho più saputo nulla, non m’ha più mandato nessuna lettera. O me n’avrà fors’anco mandata qualcuna, e non mi sarà arrivata. Quei signori che devono spedire le lettere chi sa cosa n’avranno fatto! (E andava man mano infervorandosi e imprimendo alle parole una crescente espressione di dolore e di dispetto). Le lettere della povera gente quei signori le conoscono dalla soprascritta e le buttano in un canto. Lo so, io, come vanno le cose. Quei poveri figliuoli scrivono, e le famiglie non ricevono niente. Ma gli uffiziali che comandano dovrebbero badarci a queste cose; mi perdoni, sa, signor colonnello, io non dico mica di lei; ma è una cosa che non mi par giusta, perchè noialtre, povere donne, passano dei mesi senza che si sappia niente dei nostri figliuoli, e si sta sempre in pensiero, e qui le mie amiche lo possono dire, che mi vedono tutto il giorno e sanno che vita io faccio da un tempo a questa parte, i batticuori, le paure, le pene che soffro per quel povero ragazzo; e ci son dei momenti che proprio.... non posso più reggere. Oh no! no! me lo lasci dire, signor colonnello, non è una cosa giusta! — E si coperse la faccia col grembiale e si mise a piangere.

Tutte l’altre donne acconsentirono collo sguardo e coi cenni; il capitano taceva.

— Guardate, buona donna! — disse poi improvvisamente. — La donna scoprì il volto lagrimoso e lo guardò.

Guardate! — ripetè il capitano e si levò il berretto e glielo porse. Essa lo prese facendo un viso di sorpresa e di stupore, lo guardò di sotto e di sopra, girò gli occhi sulle amiche in atto d’interrogare, poi li fissò in volto al capitano....

Il capitano rideva.

— Non c’è nulla che vi riguardi in codesto berretto?

La donna tornò a guardare e mise un grido: — Ah! il suo reggimento! e afferrò con ambe le mani il berretto e lo baciò e lo ribaciò con trasporto, e in un istante affollò il capitano di tante domande, di tante preghiere, di tante dimostrazioni di gratitudine, di gioia, d’affetto, ch’egli ne fu sopraffatto e non potè prima risponderle una parola che la foga della dolcezza non le avesse spossate le forze e interrotta la voce.

— Domani vedrete vostro figlio, — le disse poi. — Egli è in Ascoli, e vi aspetta. —

La buona madre si slanciò per baciargli la mano; ei la ritrasse.... Mezz’ora dopo si rimise in cammino alla volta della città. Aveva lungamente parlato con quella povera donna; ma della medaglia al valor militare non le aveva detto parola.

Appena arrivato in Ascoli, appena entrato in casa, chiamò l’ordinanza. — Eccomi. — Senti bene. — E spiccando le sillabe con gran significazione e segnando gli accenti colla mano, filò un lungo discorso, che l’ordinanza ascoltò cogli occhi spalancati e la bocca aperta. — Hai capito? — Sì signore. — Farai tutto appuntino? — Non dubiti. — Mi fido. — Ed uscì. L’ordinanza lo segui coll’occhio sin sul limitare della porta, stette un minuto sopra pensiero e poi, infilato con una mano uno stivale e afferrata coll’altra una spazzola, si mise a lustrare di tutta forza mormorando: — Sei un vero galantuomo; meriti un premio; domattina i tuoi stivali saranno i più lucidi stivali del reggimento.

L’indomani mattina, intorno alle otto, l’ordinanza, appostata all’angolo di una via che sbocca nella piazza principale della città, vide venire innanzi lentamente una vecchia contadina, vestita in gala, con due grandi buccole alle orecchie, un bel vezzo di corallo intorno al collo e la gonnella screziata di tutti i colori dell’iride; veniva innanzi guardando intorno con una cera tra l’allegro, l’attonito e il curioso. La osservò attentamente e le si avvicinò.

— Buona donna!

— Oh! siete voi quel soldato?

— Io.

— Oh grazie, grazie di cuore. E il mio figliuolo? Non è qui? Dov’è? Perchè non è venuto ad aspettarmi? Non glie l’hanno detto che venivo? Ditemi subito dov’è, mio buon giovane; conducetemi subito da lui.

— Eh, un momento; ci vuole un po’ di pazienza, subito subito non lo potrete vedere. Bisogna aspettare una mezz’oretta. Bisogna star qui a vedere una certa parata che deve fare il reggimento. Si tratta di dare la medaglia del valor militare a un mio compagno; è un affare di pochi minuti; ci vuole un po’ di pazienza.

— Ancora mezz’ora! Oh Dio mio! E come faccio io ad aspettare una mezz’ora?

— Lo capisco, buona donna, lo capisco; per voi una mezz’ora è un mezzo secolo; ma non si può fare altrimenti; bisogna aspettare. Faremo due chiacchiere; il tempo passerà presto.

— O Dio buono! mezz’ora! Ma.... ditemi, ditemi; devono venir qui, qui in questa piazza, i soldati?

— Sicuro.

— Ma dunque lo vedrò subito, gli potrò subito parlare....

— Ma non si può, cara mia.

— Ma sono due anni che non lo vedo....

— Lo capisco; ma al soldato, quando è in riga, nessuno gli può parlare, lo dovete sapere anche voi; il regolamento parla chiaro; qui comanda il colonnello, mia buona donna; la mamma non c’entra; e s’anco venisse la mamma del colonnello, anch’essa dovrebbe aver pazienza e tirarsi in disparte e aspettare. Capite bene che il regolamento non l’han mica fatto le donne.

— Capisco; ma....

In quel punto, s’intese un lontano rullo di tamburi e tutta la gente ch’era nella piazza si rivolse da quella parte. — Ecco il reggimento — disse il soldato. — La vecchia si sentì un forte tremito al cuore, stette un istante perplessa, e poi improvvisamente fece atto di slanciarsi verso il reggimento. — Aspettate! — le gridò il soldato trattenendola pel braccio, e facendo cenno colla mano che stesse quieta, — aspettate; fatemi questo piacere; s’egli vi vede, siamo a guai. Volete farlo mettere in prigione? Basta poco, veh! Basta voltar la testa a sinistra quando si deve tenerla voltata a destra.

— È vero!

E si contenne.

— Non si tratta che d’aspettare un quarto d’ora; è ben poca cosa; avete aspettato due anni! —

La donna alzò gli occhi al cielo, sospirò e poi fissò lo sguardo immobile allo sbocco della via per cui doveva comparire il reggimento.

Il rullo dei tamburi s’avvicina; la folla si apre in due ali; ecco gli zappatori; ecco i tamburini, ecco la musica, ecco il colonnello a cavallo....

— E i soldati? — domandò ansiosamente la vecchia.

— Un momento. Tra il colonnello e i soldati c’è sempre una diecina di passi. Eccoli. —

La donna si slanciò un’altra volta, e un’altra volta il soldato la trattenne. — Oh Dio benedetto! abbiate un po’ di giudizio. Volete che ve lo caccino in prigione a tutti i costi? —

Il reggimento è schierato.

— L’ho veduto! L’ho veduto! — grida la buona vecchia battendo palma a palma. — Guardatelo là. —

— Dove? — La donna gli indica dove.

— Non è quello là; v’ingannate; ve lo assicuro io; di qui non lo potete conoscere; siamo troppo lontani.

— Allora è quell’altro là.

— Quale? — La donna gli indica quale.

— Ma no, vi dico, non è neppur quello là; è impossibile che lo possiate vedere; è in seconda riga.

— In seconda riga?

— Già.

— Che cosa vuol dire in seconda riga?

— Vuoi dir dietro gli altri.

— Oh santa pazienza! — esclamò la donna e si passò la mano sulla fronte e sospirò. — E adesso cosa fanno?

— Non vedete? Il colonnello è venuto a mettersi di fronte al reggimento per fare un discorso. Prima di dare la medaglia a un soldato si usa di fare un discorso, in cui si racconta il fatto com’è accaduto, e si dice agli altri soldati che seguano l’esempio del loro compagno, che è un bravo soldato, che ha fatto il suo dovere, che ha onorato il suo reggimento e via discorrendo. Ecco; sentite. —

Il colonnello ha cominciato a parlare.

— Non sento niente. Cosa dice?

— Ecco, il fatto è questo. Il soldato che deve aver la medaglia, un giorno è stato assalito da tre briganti, che gli tirarono nello stesso punto tre fucilate. Non fu colpito, non si spaventò; scaricò subito il fucile contro uno di quegli assassini, e lo stese morto; all’altro piantò la baionetta nella pancia; al terzo tolse il coltello di mano e glielo piantò nella gola.

— Oh Dio mio!

— È o non è un bel fatto?

— E gli hanno dato la medaglia?

— Gliela danno adesso.

— Sarà contento, povero giovane?

— Figuratevi; i suoi compagni gli vogliono un bene dell’anima; i suoi superiori lo trattano come un figliuolo; tutti lo rispettano, tutti lo stimano; e se lo merita, sapete? se lo merita davvero; è uno dei più bravi soldati del reggimento; ce n’è pochi, sapete, come lui; ve lo assicuro io.

— Ma dov’è questo soldato?

— A momenti il colonnello lo chiamerà fuori delle file. —

Il colonnello tacque.

— Guardate! guardate! esclamò improvvisamente l’ordinanza facendo voltar la donna dalla parte opposta al reggimento e accennandole le finestre della casa di fronte. — Guardate quanta gente s’è affacciata alla finestra! A momenti batteranno tutti le mani; vedrete; le altre volte mi fu detto che hanno sempre fatto così, e faranno così anche adesso. —

Intanto il soldato era uscito dalle file, era venuto accanto al colonnello, e s’era volto di fronte al reggimento, per cui la donna, rivolgendo la faccia verso i soldati, non lo potè vedere nel viso.

— È quello là il soldato?

— Già.

— E cosa fa adesso?

— Non vedete? Il colonnello gli mette la medaglia sul petto.

— Oh santa Vergine, mi batte il cuore per lui. Come dev’essere contento, povero giovane! E adesso cosa fanno?

— Adesso tutto il reggimento gli presenta le armi.

— Davvero? domandò la donna con gran meraviglia.

— Sicuro.

— Oh che onore! — esclamò la buona vecchia giungendo le mani e rimanendo immobile in quell’atto, cogli occhi sfavillanti d’un bellissimo sorriso, misto di contentezza, di meraviglia e di affetto.

Il colonnello si volse verso il reggimento e con voce alta, sonora, vibrata, così che ne echeggiò tutta la piazza, gridò:

— Presentate le armi!

La donna si senti correre un fremito per tutta la persona, e si accostò al soldato e gli si strinse ai panni come se avesse paura.

Al grido del colonnello i quattro maggiori del reggimento si volsero ciascuno al suo battaglione e ripeterono, con un grido poderoso, il comando.

Quasi in un sol punto, come se fossero stati mossi da un unico braccio, mille duecento fucili si sollevarono, lampeggiando, da terra, e risonarono simultaneamente percossi da mille duecento mani, e tutti i volti restarono immobili e tutti gli sguardi si fissarono in faccia al soldato. Gli uffiziali salutarono colla sciabola. La folla spettatrice die’ in uno scoppio d’applausi. La banda suonò.

— Ma chi è questo soldato? — proruppe la povera madre meravigliata, intenerita, affascinata da quello spettacolo stupendo.

L’ordinanza si voltò, la guardò, aprì la bocca, mandò fuori una voce articolata, girò gli occhi sul soldato, li rivolse di nuovo alla donna....

La musica continuava a sonare; il reggimento era sempre immobile.

— È vostro figlio! — gridò l’ordinanza.

La vecchia diè un grido, stette un istante immobile cogli occhi spalancati e la bocca aperta, si cacciò le mani nei capelli bianchi, sorrise, gemette, singhiozzò; quegli applausi, quella musica le risonarono in fondo all’anima come un’armonia di paradiso; quei mille fucili scintillanti le si confusero allo sguardo in un torrente di luce; la mente le si intorbidò tutto ad un tratto, le si velarono gli occhi, vacillò.... Fu sorretta.

Quando rinvenne, il reggimento era sparito; suo figlio le s’era già avviticchiato al collo, e i due cuori eran così stretti l’un contro l’altro che la medaglia d’argento ci stava compressa in mezzo a gran pena. E stettero lungamente in quell’atto.

— Ma come mai? — furon le prime parole del figliuolo, appena sciolto da quell’abbraccio divino. — Come sapevi ch’io era qui? Chi te l’ha detto? E come sei capitata qui in questo giorno e a quest’ora? —

La donna narrò concitata e affannosa che il giorno innanzi un uffiziale a cavallo era venuto nel suo paesello, che s’era fermato dinanzi alla sua porta, che le avea detto dove fosse il figliuolo, e le s’era offerto di darle del danaro perchè ella potesse venir subito alla città in carrozza, e questo denaro glie l’avea dato, ed ella era venuta, e avea trovato subito un soldato che d’incarico dell’uffiziale stava nella piazza ad aspettarla....

— Dov’è questo soldato? —

Guardarono tutti e due intorno; l’ordinanza era scomparsa.

— Ma adesso capisco, vedi, ripigliò la donna, capisco perchè quell’uffiziale volle ch’io venissi qui stamattina; voleva che io vedessi....

Guardò il figliuolo, sorrise e l’abbracciò.

— Voleva ch’io vedessi tutto, e non mi disse nulla per farmi una sorpresa, e il soldato era d’accordo con lui. Oh che sant’uomo! Ma come ha fatto a saper dove sto? E che interesse aveva di procurarmi questa felicità, se non mi conosceva neppure? Dimmelo tu, figliuolo!

Il figlio pensava.

— Ma dov’è quest’uffiziale! quest’uomo! Io lo voglio vedere; voglio baciargli il vestito, io; io gli debbo la vita. Voglio andar da lui, sai, figliuolo? Conducimi subito da lui.

— Subito! — esclamò il soldato, riavendosi dai pensieri che lo tenevano assorto.

E prese per mano sua madre; attraversarono a passi frettolosi la piazza, imboccarono la via della caserma, vi giunsero, si fermarono a una trentina di passi dalla porta, davanti a cui erano affollati quasi tutti gli uffiziali aspettando il gran rapporto, e la vecchia cominciò a cercare avidamente cogli occhi, e il soldato a sollecitarla cogli atti e colle parole, cercando, per moto istintivo, anche lui, senza sapere chi volesse trovare.

— Chi è? L’hai veduto? Accennalo.

— Non l’ho ancora trovato.

— Cerca, cerca.

— Quello là, guarda, quello che si appoggia al muro.... no, no, sbaglio, non è quello, non è quello. Quell’altro, piuttosto; quello che accende il sigaro.... aspetta che si volti, aspetta.... aspetta.... no, non è lui....

— Ma chi è dunque!

— Ah! eccolo là! Questa volta ne son sicura. È quello che ha messo la mano sulla spalla al suo compagno che gli è accanto.

— Chè!

— È proprio lui.

— Mamma!

— Ne sono sicura, ti dico.

— Davvero? non t’inganni? ne sei proprio sicura? — gridò il soldato afferrando per le mani sua madre.

— Sicura come della luce del giorno. —

Il soldato fissò gli occhi sul capitano e stette immobile a contemplarlo.

Intanto la madre, che più che al capitano aveva il cuore e la testa a suo figlio, gli si strinse ai panni, e pigliandogli la medaglia fra l’indice e il pollice della destra, vi avvicinò il viso, la guardò attentamente di sotto e di sopra, e disse sorridendo al soldato, che stava tuttavia immobile a guardare il capitano.

— Scommetto che, a questo mondo, dopo tua madre.... la cosa che hai più cara.... è questa. — E sollevò la medaglia per tutta la lunghezza del nastro.

— No, — rispose il figliuolo senza voltarsi.

— No! E qual’è dunque la cosa che hai più cara al mondo dopo tua madre? — domandò la donna con un sorriso affettuoso.

Il soldato levò il braccio e stese l’indice verso il capitano e rispose:

— Quell’uomo là. —

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