< Le Allegre Femmine di Windsor
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Atto quinto

NOTA

«Parecchi caratteri comici dell’Enrico IV. Sono continuati nelle Allegre Femmine di Windsor. Pare che Shakspeare componesse quest’ultimo dramma per comandamento d’Elisabetta1, la quale ammirava molto Falstaff, e desiderava che il poeta glielo mostrasse innamorato. Certamente Falstaff non poterà essere innamorato di buona fede, ma poteva fingere una passione per qualche interesse particolare, e soprafatto confidare d’essere riamato. Egli la fa da zerbino, e si volge a due donne a un tratto, le quali convengono di fargli un’innocente beffa, simulando di prestargli orecchio propenso. Il disegno di questa composizione entra nel circolo ordinario della commedia, ma Shakspeare v’intrecciò con grande artifizio e con molta vaghezza un altro intrigo amoroso. Trovasi qui la medesima situazione che si è tanto ammirata nell’Ecole des Femmes di Molière, quella cioè d’un geloso che diviene il confidente de’ progressi del suo rivale, ed anzi l’aneddoto è qui condotto in modo assai più verisimile. Non vorrei però affermare che Shakspeare ne sia stato l’inventore; checchè ne sia, le idee di tal genere appartengono al patrimonio comune della commedia, tutto dipende dallo spirito dell’esecuzione; Falstaff lasciandosi cogliere così spesso ai lacci che gli vengono tesi, non mantiene forse la riputazione di sagacità che aveva ne’ drammi precedenti, ma da che si è concesso quel primo delirio in cui si fonda tutto l’intreccio, voglio dire l’idea d’avere ispirato amore, tutto il resto non è inverìsimile. Siffatta illusione è quella che lo conduce, all’età sua, e non ostante la sua eccessiva obesità, e l’avversione per ogni specie di pericolo, a mettersi in un’impresa che richiederebbe il coraggio e l’agilità della giovinezza; e da ciò derivano scene piacevolissime.

«Fra tutte le opere di Shakspeare, Le Allegre Femmine di Windsor è quella che più s’accosta al genere della pura commedia. Questo dramma si fonda interamente sulla dipintura degli antichi costumi inglesi, e sulle attinenze domestiche. Quasi tutti i caratteri sono comici; e il dialogo, tranne due scene d’amore brevissime, è sempre in prosa. Nondimeno si può vedere anche da questo esempio che Shakspeare avea per massima di non mai limitarsi all’imitazione d’un mondo prosaico, e che con qualche ornamento più rilevato egli fece in tutte le sue opere brillar pure la fantasia. L’autore ravviva la fine di questa commedia con una mescolanza di meraviglioso, ch’era particolarmente ben usato nel luogo ov’essa fu rappresentata. Una superstizione popolare porge agio ad una balzana burla, di cui Falstaff è l’oggetto. Questi viene indotto ad aspettar la sua bella, travestito in guisa da esser tolto per l’ombra d’un cacciatore errante nella foresta di Windsor, e armato il capo d’un paio di corna da cervo. Così trasfigurato è sorpreso da un coro di donzelle e di garzoni in forma di silfi, che ìntessono, giusta la tradizione corrente, le loro danze notturne, e cruciano l’infelice con leggiadrissime ballate. È questo l’ultimo colpo che gli vìen diretto e lo scioglimento del secondo intrigo d’amore si mescola a ciò in modo ingegnosissimo».

(Schlegel, Cors. di Lett. Dram.)




  1. È fuor di dubbio che questa commedia fu rappresentata alla presenza della Regina; parecchie descrizioni che si riferiscono a Windsor, ed un’allusione con cui Shakspeare celebra poeticamente l’ordine della Giarrettiera, rendono probabile che fosse recitata in occasione di una festa del detto ordine, nel palagio di Windsor ov’era la sala d’adunanza dei cavalieri.

Note

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