< Le Baccanti
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Euripide - Le Baccanti (406 a.C./405 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Parodo
Prologo Primo episodio


PARODOS

i semicoro
Strofe
L’asïatico suolo
e le balze abbandonai del sacro Tmòlo:
ché per Bromio m’è soave la fatica, m’è dolcezza
la stanchezza, mentre intono l’evoè!
tutti
Evoè!
ii semicoro
Antistrofe
Chi sbarra, chi sbarra la via?
Si ritiri ogni profano, lunge stia
nella casa, in pio silenzio si raccolga: ché levare
la canzone sacra a Bacco spetta a me!
tutti
Evoè!

i semicoro
Strofe
Oh felice, chi, ai Superi
diletto, assiste ai lor sacri misterii,
e il suo viver santifica
inebrïando l’anima nel tíaso,
pei monti, in estro bacchico,
rendendo puro sé nei riti mistici,
e della Madre Rea celebra l’orgie
solenni, ed alto in aria
il tirso squassa, e servo di Dïòniso
si fa, cinto il crin d’ellera!
Mènadi via, su via, correte. Mènadi,
riconducete voi Bromio Dïòniso,
Nume, e figlio di Nume, il Nume Bromio,
dai monti frigi all’ampie vie de l’Ellade.
ii semicoro
Antistrofe
Bromio, cui fra l’angoscia
fatal del parto, al guizzo della folgore,
anche immaturo, Sèmele
die’ a luce; e lei strusse la fiamma in cenere,
ed esalò lo spirito.
Ed in novello genitale talamo
Giove l’accolse, e nella propria scàpola
lo chiuse, ove con fibule
d’oro lo assicurava, per nasconderlo
ad Era; e il dí che vollero
le Parche, un Nume nacque, che di tauro
aveva corna; e si recinse d’aspidi

un serto; onde ora avvolgono le Mènadi
docile al crine la progenie rettile.
i semicoro
Strofe
O Tebe, o tu che Sèmele
desti alla luce, t’incorona d’ellera.
Le frondi e le purpuree
bacche dello smilace il crin ti velino;
con vermene di quercia
e d’abete ti cuopri, e all’orgia sfrénati;
le screzïate nebridi
spargi di bianchi riccioluti biòccoli,
e, a farti santa, la guerresca ferula
stringi. Ogni terra lanciasi
a danza, allor che Bromio guida i tíasi
al monte, al monte, dove la femminea
turba lo aspetta, che i telai, che i pettini
lasciò, punta dall’estro di Dïòniso.
ii semicoro
Antistrofe
O dei Curèti talamo,
O cretese di Giove asil santissimo!
Nei tuoi spechi trovarono
i Coribanti, a cui cimiero triplice
ombra la fronte, il cerchio
di tese pelli risonante; e fusero
il frastuono dei timpani
al dolce sospirar dei frigi flauti,
ed alla madre Rea dono ne fecero,

ché ai canti delle Mènadi
fosse compagno; e dalla Diva i Satiri
folleggianti l’ottennero, ed il numero
segnâr con esso ai balli de le ferie
triennali, onde va lieto Dïòniso!
i corifea
Epodo
Dolce tra i monti correr nel tíaso,
cinte del sacro vello di dàino,
e al suol cadere, correndo in traccia
del capro, e ucciderlo, fumante beverne
il sangue, ai monti lidî lanciandosi,
ai frigi; e Bromio
ci guida, e primo grida: Evoè!
Di latte il suolo scorre, di vino scorre, del nettare
dell’api scorre: si leva fumo di sirio olibano.
Alta squassando Bacco la rutila
vampa che sprizza dalla sua ferula,
si avventa in corsa, con la danza eccita,
con le grida eccita gli erranti, e all’ètere
scaglia i suoi riccioli
molli; ed insieme coi lieti cantici
grida cosí:
Correte, o Mènadi, correte, o Mènadi,
belle dell’oro cui reca il Tmolo,
cantate al muglio grave dei timpani
il dio Dïòniso,
dell’evio Nume dite la gloria,
tra gli evoè,
tra frigi canti, tra grida, mentre dal sacro flauto
armonïoso vibran melodi sacre che guidano

chi al monte al monte si lancia. Ed agile
come puledra pei campi libera, segue la Mènade,
e a danza spinge l’agile pie’.
Evoè!
Tutte le Mènadi sono oramai schierate intorno all’altare di Dïòniso e rivolte verso la scena.


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