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III.
AMBRA1
❦
Letta per la esposizione dei poe- |
- ↑ [p. 247 modifica]Se ne ha una traduzione in versi sciolti, con note (che non mi è stato possibile consultare) del pastor arcade Megete Inopeo (Franc. Battistini), Roma, 1803.
Il Del Lungo, alla cui singolare benevolenza vo debitore ormai di troppe cose, mi avverte che ne esiste un’altra, tenue giovanile lavoro di Francesco del Furia (1777-1856: veggasi di lui Arch. Stor. Ital., Nuova serie, IV, 248 e seg.). L’autografo fu acquistato, poco tempo fa, dall’illustre critico fiorentino, il quale si è compiaciuto comunicarmelo.
* Questa selva omerica prende titolo, come due di Stazio (I, iii,; II, ii), da una villa signorile. Se non che le staziane hanno veramente per soggetto la descrizione delle ville Tiburtina e Surrentina; qui solamente conchiude con le lodi della medicea di Poggio a Caiano, che piú brevemente si diceva e si disse poi il Poggio. Il palazzo fu, sull’antico, edificato da Lorenzo, che celebrò anch’egli quel luogo di delizie sotto il poetico nome di Ambra nelle stanze cosí intitolate. Ambra in sul Poggio a Caiano era il nome antico del luogo; derivatogli da un fossatello lí presso, che insieme con l’Ombrone (il piccolo Ombrone, tributario dell’Arno) formano una piccola isoletta; e il fossatello e l’isoletta si chiamavano Ambra. Degno specchio d’Omero la giudicò il Gravina (Ragion poetica, I, 39). E sola delle quattro piacque allo Scaligero (Poët., VI), che in questa omerica sentí piú ricca la invenzione e piú rotondo lo stile che non nella virgiliana Manto.
Per le altre savie cose dette dal Del Lungo intorno a questa selva, leggasi il seguito della nota che io ho trascritto solo per metà, a pag. 333 e 334 del suo Commento.
Se del cultor dei campi era l’offerta
Un dí l’appeso serto delle spiche
Di Cere al tempio; se in onor di Bromio,
Quando largo profuse egli i suoi doni,
Il vignaiuolo grappoli trascelse;5
Se di tiepido latte il simulacro
Della benigna Pale il guardïano
De’ greggi asperse, poi che fino al sommo
Le turgide mammelle avean ricolmi
Gli olenti secchi; e se del proprio ingegno10
Esibisce ogni autore i frutti primi,
Perché non io questa virtú de’ carmi
O quel tanto che un dí l’alma, per sorte,
D’eletto concepía, ciò che la mente
Di peregrino ad intuir levossi15
E la possente lingua, se può gloria
D’alcun suono menar, tutto ad onore
Perch’io non volgerò del grande Omero;
Alle cui scaturigini perenni
La intera moltitudine de’ vati20
Arcano spirto animatore attinge?
Come alto il ferro eraclia pietra leva1
E d’anelli metallici una lunga
Catena implica di lontano, e in tutti
La virtú sua misterïosa induce;25
Sol ha da Omero il primitivo impulso
De’ poeti cosí l’estro divino.
Alle mense di Giove egli giacendo,
Offre per man di Ganimede a noi
Celeste ambrosia, che l’ingrato arresti30
Declinare degli anni, ed un’eterna
Vita ci assenta. Ai popoli disvela
Degli Dei le sembianze e la sublime
Natura dell’imprese glorïose,
E del pensier con le robuste penne35
Rapidamente sull’informe spazia
Vasta mole del tutto, e via pe’ cieli,
Via su l’acque e la terra; e delle cose
Spiega l’intima essenza; ed il linguaggio
Ripete delle fiere e degli augelli,40
De’ venti, degli eterei splendori,
Del mar, de’ fiumi, degli Dei, degli uomini.
Ch’anzi in suo puro abbracciamento unito
Alla virtú medesima, disdegna
I vani onori, e della plebe schivo,45
I doni abborre di nomèa fallace;
E attinta omai la sommità, ridendo
Guarda la moltitudine anelante
Alla conquista della mèta eccelsa.
Or via, scongiuro, a me che canto svela50
Tu, Clio, dell’immortal Vate la culla
E il divin nascimento: a te ciò spetta,
Ché, da sí lunghi secoli consunta,
Senza voce è la Fama, e angusta l’evo,
Che già volse, alla Dea le cento bocche.55
Erasi Giove a visitar condotto,2
I consueti etiopi banchetti
Ed il padre Oceàn, carico d’anni,
E di Teti prolifica gli spechi;
E, pago dello scettro, disarmata60
La destra dell’etnèa folgore aveva:
Tranquilla maestà la fronte allieta,
E nel divino aspetto aurea la pace
Rifulge; il tuono e le tempeste, lungi.
Splendido in vista e ossequïoso, tutto65
Il concilio de’ Numi al re tien dietro.
Sprona i destrier della sua Tracia Marte;
Tu di Terapne i cigni aggioghi, o Febo;
Folgora Marte con la getic’asta;
Tu, Febo, sulla lira accordi fremi,70
E l’arco allenti; le sue linci Bromio
Guida; la figlia di Saturno vario-
pinti pavoni; i tardi buoi la Luna;
Cerve annose Dïana; gl’iperborei
Grifi Némesi; Venere colombe.75
Ai pièFonte/commento: norm. le penne, sulla testa alato
Il pètaso Mercurio, una falcata
Lira e un brando falcato in mano regge
E il caducèo; Cupído ha la faretra
E le frecce e la fiaccola; la clava80
Alcide e del nemèo mostro la pelle;
Di Pluton l’elmo Pallade, e scolpita3
Nell’egida la testa di Medusa.
Dal gemin astro raggiano concordi
I figliuoli di Leda; ha nella manca485
Le chiavi Giano, e con la destra l’anno
Che a sé torna oramai va noverando.
Ma di lana il calzare, ond’ha ’l pièFonte/commento: norm. stretto,5
Fa che pari a Vulcan Saturno inceda;
Né il tuo polso, che un dí cinsero i ferri,90
La catena ha del Caucaso oblïata,
O Prometeo. S’addice a ciascun Dio
Il proprio emblema. E non de l’acque i Numi
Si raccolgono men pronti fra loro:
Superbamente la persona eretta,95
Affatica egli stesso il re de’ flutti
I biformi cavalli, ed Euro e Borea
Col tridente implacabile minaccia,
Mentre che gli Austri mitiga col guardo;
Solo, a cavallo, sulle tremule onde100
Va Zefiro scorrendo, ed Anfitrite
Compiacente nel sen dolce vezzeggia.
Delle Nereidi il coro ingenuo scherza:
La compagna una invita, e dolcemente
Tenta nel nuoto superarla; un’altra105
L’imbrigliato Delfin regge; un leone
Questa cavalca, quella da selvaggio
Montone è tratta; a un fetido giovenco
Sta in groppa un’altra; premono talune
Marini mostri, che l’oceano in copia110
Sotto agli scogli sterminato lava,
Cetacei spaventevoli, balene,
Pistrici e fisitèri che (se al vero
Fede si deve) al ciel soffiano l’acqua.
Dai Triton semiféri altre Nereidi115
Sul dorso amico traggonsi, e la coda
Bipartita nel suo giro le avvinghia;
Ed or col suono di marine conche
Essi placano i flutti, ora la faccia
Volgendo colgon saporiti baci.120
Va Forco, padre; va Glauco, e su l’onde
Via trascina la sua lunga canizie,
Ed incíta le Ninfe gareggianti.
E Melicerte con la glauca madre6
Si sbizzarrisce or sotto gli sconvolti125
Flutti, or fino alla cintola si sporge,
E disumano le conchiglie e i rossi
Coralli scerpa. O Proteo, e alfin tu pure
Oso ti fésti ad uno schietto riso
Spianar l’austera fronte. Una soltanto7130
L’estinto figlio ancor lacrima, Teti;
Ed infelice agli spietati Dei
Ed alle Parche dispietate impreca;
E con arte, le preci alle querele
Miste porgendo, della sua rovina135
Fiera accusa l’autore e ingiurie scaglia.
Poi, come a mensa i primi de’ Celesti
Si furo acconci, innanzi ella si lancia,
Scompigliata le chiome, il seno ignudo
(Questo il gran duol consiglia); e con la manca140
Del venerato Giove ambo afferrati
I ginocchi, la barba con la destra
Carezzandogli, supplice dischiude
A questi detti il labbro:
O tu che squassi
Con un sol cenno i regni delle stelle,145
Non vedi come delle Dive io sola
Nella grande famiglia in duol continuo
(A che celarti la ferita mia?)
Mi strugga, e infesta a profanar mi rechi
Questi vostri conviti? Ottimo padre,150
Quale la causa della pena? Certo
Non io, supremo artefice, e t’è noto,
Ben t’è noto! apprestai lacci a tuo danno;
Non fu Teti colei che nella grotta
Coricia riponeva le giurate155
Tue saette all’anguipede Tifèo.
Né d’un mortale ed umile consorte
Or qui vengo a dolermi: delle Parche
M’abbia il voler convenïenti nozze
Conteso, invidïando; al sommo Giove160
Lecito sia l’aver dischiuso il cuore
Alla paura. Sebben oh!.... Ma taccio....
Perché, però, perché sommo de’ Numi,
Del proprio sangue gli Apollinei strali
Dovea lordare il mio diletto Achille,165
Di te minore? Forseché pur io8
Alla tua prole o alla sembianza tua,
O Titanide, osai di fare oltraggio?
Oh! me, me pure tramutate in selce
Tosto, scongiuro, e in lacrime perenni170
Solo non resti, inconsolabilmente,
Il sasso in che fu Niobe conversa.
Almeno questo alle reliquie ingrate,
E al muto avel la genitrice paghi
D’onor tributo, s’altro di me avvenga;175
Se, o padre, né pur lui degno tu faccia
Del guiderdone d’un’eterna gloria,
E soggiorni sul Lete ombra negletta.
Tal parla; e un rio di lacrime versando,
Sparsa le trecce, alle ginocchia resta180
Attaccata di Giove. I Numi tutti
Con le parole sue, col tristo aspetto,
Già commosso ella aveva. In cor di rabbia
Arse Apollo, ed a Venere lo sguardo
Rivolse. Intanto, dopo breve indugio,185
Risolleva la Dea l’Onnipotente,
E a consolarla con parola amica
Cosí comincia:
Oh, non pensar che svellere
De Celesti si possano i decreti
Sull’adamante imperituro incisi:190
Immobil resta nel tempo infinito
Quello che svolse delle Parche il fuso.
Né Teti, unica, piange il morto figlio:
Lascia di ascrivere a te sola quanto
È comune destino, e tutta questa195
Che ti circonda moltitudin vedi.
In ogni parte rinverrai per fermo
Compagni al duolo, e me tra questi ancora;
Poi che di Licia al re traversò il petto9
La saetta di Pàtroclo, e riverso200
Intra la polve lo lasciò morente.
Né dicevole cosa è tuttavia,
Se non òstino i fati, lo confesso,
Che sí fiera ti dolga, che mortali
Imenei sopportato abbia, o Nereide;205
Non fu soltanto l’apollineo dardo
Che strage seminò ne’ frigi campi
In mezzo ai figli delle Dive; uno anche
V’ha cui l’Aurora di Memnón la morte10
Imputar deve. Ed affinché dal seno210
Tu via discacci ogni affannosa cura
E l’alma sgrevi, credimi, un ingente
Corrisposto sarà premio ad Achille
Per le sue tante glorïose imprese;
Perocché senza ch’egli abbia sofferto215
Il ringhiare di Cerbero, o l’Erinni
Anguicrinite, o il Tartaro inameno,
Nell’Eliso soggiorna: ivi lo spirto
Suo grande e venerabile, i destini
In meglio vòlti, impalmerà d’Eeta11220
La mirabile figlia, e sarà un giorno
Dell’Oceàn bisgenero e del Sole.
E come Rodi al Sol, Pafo e Citera
A Venere, a Giunon Samo, ed a Cerere
L’etnèa Sicania rendono tributi,225
E la mia Creta me di culto onora,
La felice cosí Leuce al tuo nato
Delúbri innalzerà; Leuce, che suoni
Spande lontano ne le Libic’onde:
Ivi egli ai nauti dal segreto bosco230
Dell’avvenire predirà le sorti.
Né ciò fia tutto, ché, leggiadro sposo,
Achille impalmerà la splendid’Elena
Di stelle fulgidissime raggiante,
E mio genero fia: di lieti auspíci235
Imene, starnutando grazïoso,
Il talamo ricinge, ecco, ed ebrezze
Singolari d’amore al giovin porge
La Voluttà sortita al grato ufficio.
E come le tue membra in dolce nodo240
Or avvince una Grazia ed or con rosee
Braccia lega, o Vulcan, la Dea di Pafo,
Lui cosí la formosa Elena, lui
La formosa Medea con vece alterna
Involeran, sí ch’ei nella dolcezza245
D’un piacer senza fine avrà ristoro.
E la Fama dirà con cento voci
(Oh, non temere!) infaticabilmente,
Sublimandole al ciel, le glorie vostre:
E quei l’udran che il fiammeggiante Cancro250
Con suo fervido segno assai lontana
Tra l’arse arene, e quelli cui dal mondo
Lungi d’Ercole tenner le colonne;
E i Blemmi, singolar gente, e coloro
Che sotto agl’iperborei trioni255
L’estremo polo a vivere costringe.
Nessuna stirpe d’uomini, niun giorno,
Nessun tempo avverrà mai che lui scordi,
Nessun giro di secoli vorace
Mai che il suo nome d’una nube offuschi!260
Anzi de’ Numi dal divino sangue
Nascerà vate che d’un immortale
Splendor rivestirà le sovrumane
Sue gesta, che terribili battaglie
Di prenci al mondo tonerà, vincendo265
Con la gran voce sua delle guerresche
Trombe lo squillo; il cui verso inspirato
Delle Muse la prima e le Sirene
Ad ammirar trarranno: egli ai venturi
Secoli, o Teti, affiderà la gloria270
Del tuo Pelíde, e i posteri lontani
Qual di valore unico esempio avranno
L’eroe della Tessaglia. E verrà giorno
In che il magno Alessandro, eccelsa stirpe,
Giovine duce nella guerra invitto,275
Che fia per soggiogare e l’Indo e il Gange
E per franger col suo dardo le ròcche
D’Assiria, Achille appellerà felice,
Poiché sí nobil della fama sua
S’ebbe propagatore. E avrai tu dubbio,280
Tu del tuo fronte corrugato ancora
Le nubi ai venti d’affidare e i lagni
Fastidïosi? PerchéFonte/commento: norm. mai nell’alma
Di richiamare non ardisci il gaudio,
E non riprendi il consüeto aspetto,285
E dell’accolta giovïal non entri
Lieta a far parte?
Avea ciò detto. Presto,
Ella felice si rasciuga il pianto
Dagli occhi rugiadosi, indi sue grazie
A Giove rende: acconciasi i capelli290
E ripiglia dicevole sembiante
E portamento. Allor delle marine12
Ninfe la schiera le si stringe tutta
Dintorno e prende con gran cura a ornarla;
La premura soverchia è a sé d’impaccio:295
Parte ravvia col pettine le chiome,
Parte in rete di fino oro le sparse
Accoglie; parte con lo spillo il crine
Ferma, e di pietre dell’Idaspe l’orna;
Queste le gemme adattano alle orecchie300
E i seni ricompongono; cintura
Aurea le affibbia quella; un monil questa
Splendido porge d’eritree conchiglie.
Di Nèreo padre e dell’annosa Dori
Brilla sul volto la letizia. A un tratto305
Riede l’antica grazia, e dolce fiamma
Raggia diffusa su le belle gote;
Va lungi ogni mestizia, e gioie nove
L’insüeta a tentare anima vanno.
Non altrimenti quando a primavera,310
Assaliti dal turbine i rosai
Spoglian de’ rami il rutilante onore,
Fluisce via spirando il divin sangue,
E degli olenti fior muore colpita
La leggiadria con le cadute foglie;315
Ma non sí tosto l’aureo sol sprigiona
Puro il suo raggio, da’ novelli tronchi
Crescono i bocci redivivi, e pompa
Fan le gemme natíe di liete rose.
E in Achille, per templi e maritaggi320
E onor’ famoso, ad avverar di Giove
S’era omai la promessa cominciata.
Quando Lucina, un pargolo sovrano,
Memore trasse allo splendor del giorno.
Inclita, nell’Ermèo seno adagiata,325
Fuvvi un tempo città, d’Asia la prima;
Volle Tesèo che monumento insigne
Smirne all’estinta sua consorte fosse,13
Ed una ròcca il mar prospicïente
E insiem tutela alle dimore sue,330
Levò sul monte, ove, dolente selce,
Sciogliesi in pianto Niobe, sepolcro
A se medesma. Ivi con placid’onda
Il Melète fluisce, e tacit’entro
Le profonde caverne ascolta i cigni335
Modular carmi. Questa terra in pria
(Tal de’ padri onorandi la credenza)
Diede spirar le prime aure del giorno
Al vate insigne. Nume abitatore
De’ boschi aònî il padre, a guidar danze340
Bacchiche avvezzo, e co’ divini cori
A contrastare delle Muse, e insieme
Con Febo a gareggiar pari nel canto,
La splendida Criteide ascosamente
Resa avea madre. Onde una vasta mente14345
Al fanciul procedette, e dalle sacre
Scaturigini un largo attingimento.
Col suo primo vagir, vuolsi che il fremito
Del risonante mare egli vincesse,
Placasse i venti, delle fiere i cuori350
Intenerisse e che perfino il pianto
La sipileia rupe trattenesse.
Carponi lungo i margini del fiume
Si trascinava il bimbo prodigioso;
E spesso lui di tra le molli braccia355
La genitrice Naiade rapía
Sotto le vagabonde intra le arene
Acque del fiume per mostrarlo al padre,
E sovra l’erbe, novamente poscia
Rïadagiaval, cinto il breve crine360
Di fiori o di stillante petrosillo.
E, se la fama non mentisce, voi,
Voi pur dell’Ore còlti alle sorgenti
Serti inviaste, eteoclèe sorelle;
E vuolsi che al fanciul Pallade bionda365
Da la mammella sua vergine, quale
Un giorno ad Erettèo, spremesse il latte.
E poi che al suol con sicurezza ei l’orme
Imprimere poté, poi che le voci
Articolar con la spedita lingua,370
Si compiacea d’unire insiem le canne
Dilette a Bromio con la cera iblèa.
Ed ancora con pio labro godea
Dar fiato alla ritorta cornamusa
Con le dita scorrendovi. Rintrona375
Pur nullamen potente la sampogna,
La curva tibia gravi note echeggia:
Spesso, ammirando lui da vicin’ombra,
Cheto tendea le argute orecchie Fauno,
E di Satiri un coro in un baleno380
L’adolescente cinsero ascoltando;
Ed insieme co’ Satiri le fiere,
Senz’ombra alcuna di ferocia, e insieme
Con le fiere le selve, che le cime
Muovon eccelse ed alle sacre leggi385
Assentono de’ suoni. E l’Ermo stesso
Ed il Pattolo a gara oro fluiro,
Ed il Meandro a’ cigni suoi dal canto
Impose di cessar dal doppio margo;
Il Meandro che ha spessi avvolgimenti,390
Il Meandro che via con vergognosa
Onda scorre sotterra; da che inconscio
Avea sommerso Carpo adolescente15
Del figliuol suo delizia, allor che in grembo
Ei dell’onde scherzava, e il figlio stesso395
Di lí a non molto, sventurato padre;
Pur del vento amator quella fu colpa.
Ma come il fior di giovinezza primo
Gli arrise in volto, e nel vigor degli anni
Crebbe piú forte, sete ebbe di canto,400
Del canto, che (oh, virtú somma de’ vati!)
Unico al suon dell’apollinea lira
Si disposa; del canto, che potere
D’attrarre avrà del Caucaso le rupi
E le sicane rocce; che i decreti405
Infrangerà dell’implacato Averno;
Che spoglierà delle saette sue
La destra minaccevole di Giove.
E già la forza indomita d’Achille
E la fiera natura han gli estri accesi410
Del poeta divino; la sua mente
Già concepisce la grand’opra, e a sommi
Ardimenti apparecchiasi animosa.
Ei del suo Achille tuttavia qual fosse
La parola, il sembiante, la pupilla,415
Quanto nelle materne armi fulgesse,
Desía sapere (ahi, brama immoderata!);
E scongiuri dal sen fieri traendo,
Ardito evòca la terribil ombra
Dal suo sepolcro. Immantinente, scosso,420
Il sigèo promontorio in mar precipita,
E il flutto spinto in su gli opposti lidi
Roco si duol; le sacre onde disperse,
Trema l’Ida superbo, e nella cava
Roccia asconde la chioma arsa lo Xanto.425
Ecco l’eroe di Ftia, torvo nel guardo,
Che impune il Vate non vedrà, nell’armi
Sue glorïose comparisce; quale16
Allor che i Teucri sbaragliati avea
Col fulminar della peliaca lancia,430
Mentre co’ Greci ritornato amico
Corre vendicator d’Ettore in traccia,
Ed i miseri ahimé! nell’onda affoga
Del fiume, o via per le campagne sperde.
Sfavilla la corazza fiammeggiante,435
Il dorato cimier terribilmente
Sprigiona lampi, al ciel l’asta s’aderge,
E con l’ombra sua lunga anche una volta
Ettore impiaga: nel raggiante scudo
E la terra ed il mar scolpiti ostenta440
E il sole infaticabile e la colma
Luna e le stelle che vïaggian sopra
L’addormentato mondo. Or dunque il Vate,
Mentre cotali cose ammalïato
Partitamente con incauto sguardo,445
Misero, va considerando; mentre
Le luci affisa, una profonda notte
Sue luci avvolge. Esterrefatto allora
E immobile ristette; da spavento
Rattenuta è la voce, e per le membra450
Un gelido tremor gli si propaga.
Ma del giovine aonio a pietà mosso
Il divo Achille (perocché non lice
A nessuno d’infrangere, o Saturno,
I tuoi decreti) con lo scudo il regge,455
E con un bacio la virtú gl’inspira
Divinatrice. La possente verga
Indi concede a lui del gran Tiresia,
Il quale un dí mirò Pallade ignuda,
E con tal dono alla rapita luce460
Supplí degli occhi, l’inoffese piante
A muover uso dal baston guidato.
Né vien meno a sé il Vate, ché la bocca
Schiude agitata da furor divino,
E a sí gran danno refrigerio trova.465
E Achille, senza indugio, Achille al cielo
E alle stelle sublima; Achille sovra
L’alato cocchio della Fama innalza,
Eccelso; Achille solamente degno
Ai Dardani e agli Achei di stare a fronte,470
Innanzi a tutti ammira, unico, ed ama.
E da principio la cagion dell’ira17
E dell’ansio tumulto ei fa palese;
Narra sí come irreverente oltraggio
Abbia tra l’egre genti il morbo addotto;475
Come dell’amator prence nell’alma
L’ira Calcante susciti; sí come
Di Tetide il figliuolo, acerbe cose
Fremendo, alle parole ammonitrici
Di Minerva astenersi a gran fatica480
Dal por mano all’acciar possa, ed il sangue
Del grande Atride dal versare; quali
Per contro il duce, di furore acceso
Da gli aspri detti, susciti corrucci;
Di che balsamo Nestore le piaghe485
Vada spargendo, come Achille s’agiti
Pel tesoro involato; quale premio
Interceda al figliuol la genitrice;
Qual dispetto Giunon n’abbia; che cosa
Rechi del cielo l’ingannevol sogno;490
Quai tentativi d’ozïosa fuga
Simuli Agamennón; qual giovamento
L’eroico nato di Laerte adduca,
Allor che ai preghi le minacce unisce,
Allor che il vano strepitar reprime495
Della linguaccia di Tersite, allora
Che a durar nell’assedio persüade,
E i vaticinî de’ celesti spiega,
E alla memoria il platano riduce
E gli augelletti con la madre insieme500
Divorati dal drago, e il drago in sasso
Indi converso; in quali accenti rompa
Il vegliardo di Pilo, le alleanze
In deplorare, e la concessa fede,
Ed i patti in narrar, le sprigionate505
Saette giú dal ciel, nell’ostentare
La città, degno al vincitor compenso;
Quale de’ Greci sia l’aspetto, allora
Che s’apparecchian alla pugna, e quanto
E per sembiante, per valor, per armi510
Il duce lor primeggi. Le Pierie,
Suoi numi, invoca allor di nuovo il Vate,
E le schiere d’Ettòr, d’Agamennóne
Annoverando, gli amatori affida
Tosto alla prova del duello; e il vinto515
In una densa nuvola rapisce
Venere seco, e d’un inopinato
Dardo percuote il vincitore Atride.
E la guerra cosí rinfocolando,
Per tutto il campo semina la morte,520
Non dubitando repentinamente
Ad Ettore di opporre e a Sarpedonte
E ad altrettanti Numi Dïomede,
D’orrida strage autore, affinché grande
Nelle sue lampeggianti armi risplenda,525
Che fúr di Glauco grazïoso dono.
Or che dirò di Pallade, a clemenza
Sollecitata col sidonio peplo;
Che del pianto d’Andròmaca e di te,
O fanciullin, tremante di paura530
Al folgorare del cimier paterno?
Che di te, eroico Aiace, che, nel guardo
Tremendo, avanzi a grandi passi, e scuoti
La formidabil asta, una lung’ombra
Gittante al suolo, e ch’unico fosti oso535
Con impavido cor, per lungo tempo,
Di tener fronte ad Ettore nell’armi?
Che di te, sommo reggitor de’ Numi,
Di te che libri sulle tue bilance
L’inegual fato di due genti, e in core540
Lo spavento agli Achei miseri induci,
Con la tremenda folgore ed il tuono?
E che di te, figliuolo armipossente
Di Priamo, che i valli e le trincee
Minacci? Ed ecco novamente Achille545
Acceso d’ira, da preghiere e offerte
Ahimè! non mosso; e Dolon còlto18
D’agguato; e il prode Reso, che nel sonno
Giace tradito, e, nella cheta notte,
Gl’involati cavalli, che la neve550
In candore vincevano e nel corso
Eguagliavano i venti; i condottieri
Degli Achivi medesimi d’un subito
Con lance e giavellotti ributtati;
E Aiace forte nel suo scudo e pronto555
La greca a tutelar flotta alleata,
E a sostenere de’ Troiani il duce,
Il ferro, il fuoco e lo sdegnato Giove,
Cui nell’idalio cinto la consorte
E germana, dal Sonno favorita,560
Che la parvenza d’un augello assume,
Implica tuttavia, mentre Nettuno
Negli affraliti Achei spiriti infonde.
E nell’armi peliache, d’un tratto,
Ecco, tremendo nell’aspetto, lungi565
Pàtroclo splende, e il turbine di guerra
Allontana da’ Greci, e Sarpedonte,
Del sommo Giove ahi! Sarpedonte figlio,
Nella cruenta polvere travolge.
Inorgoglito indi pe’ lieti eventi,570
Gli aggiogati corsieri, e Balio e Xanto,
Che partoriva a Zefiro Podarge,
E te del cocchio da una banda avvinto
Sprona bollente, o Pédaso; e alla soglia
Della Scea porta senza vita cade,575
Del grande amico non curante ahi! troppo.
Ora a che pianger il figliuol di Panto,
Che, ahimé! lordo ha di polvere e di sangue
Il crin d’oro e d’argento folgorante;
A che spargere lacrime sui primi580
Eroi con fede combattenti a gara
Di Pàtroclo a difendere la salma,
Ed esalanti sul caduto l’anima?
Ecco di Smirne il vate che alla fine
Il suo Achille raccende; nello scudo585
Ei folgoreggia; con lo scudo adorno
E con l’armi superne il sol disfida;
Di saette centauriche la mano
Terribil arma, e, in mezzo ai combattenti,
La sua biga immortal caccia. Ripiega590
Il remeggio dell’ali indietro allora
La Vittoria, mentr’ei sparge la morte,
E di carri e d’eroi, d’armi e cavalli,
Colma implacato il minaccioso Xanto,
E l’onde che tra poco avvamperanno595
Tra’ cadaveri stringe. Appena or io,
Se dovizia d’eloquio entro il mio petto
Sonasse immensa, e piú che l’adamante
Inflessibile fosse la mia voce,
E l’estro infaticabile per ogni600
Fibra esalasse l’inspirato verso,
Potrei de’ Numi celebrar la pugna,
E ridire del suol stesso che freme
Cupamente e del ciel ch’alto rimbomba,
E di Marte che, a terra rovesciato,605
Ingombra sette iugeri, le chiome
Nell’abbondante polvere sommerse:
E di Palla, nel suo sguardo tremenda,
Dallo scudo protetta e non curante
Affatto dello strai del suo gran padre;610
E di Venere imbelle infra gli Dei,
E di te, Febo, che al tridente l’arco
Sommetti, e di te, vergine Dïana,
Che, vuota la faretra e timorosa,
Abbandoni oramai gli accampamenti.615
Né se l’avido mio labbro attingesse
Ai fonti stessi de’ castalî fiumi,
Ovver bevesse di Pirene l’onda,
O le pimplèe correnti, osar potrebbe
Cantando pareggiar l’insazïato620
Ettòr di sangue e il furibondo Achille;
Ettore per la patria e i dolci lari
Ardito all’oste contrastante, solo:
Quale colúbro, che, pasciuto d’erbe
Funeste, con malvagio animo attende625
Il mandrïan che tra le brume giunge,
E di fiel gonfio ed infiammato guarda
Vago di stragi intorno, orribilmente
Le fauci aprendo e nelle sue latèbre
Immane si convolve; Achille poi,630
Che terribile arreca in ogni parte
La strage e lo sterminio, a quella guisa
Che i raggi suoi disfrena per la notte
D’Orïone il gran cane e fier minaccia.
E già d’Ettorre, trascinato avvinto635
Alla biga d’Achille, ed al cospetto
De’ genitori, alla città d’intorno;
Già dell’esequie tue, Pàtroclo, il Vate
Avea detto; e di Priamo disteso
Innanzi ai piedi del superbo duce,640
E dell’invitto giovane, dall’oro
E dalle preci vinto; e dei lamenti
Acerbi delle femmine troiane,
E degli estremi onor dati all’eroe;
Allor che, a un tratto, al glorïoso in sogno645
L’imago apparve dell’errante Ulisse,
Larghe le spalle, come un giorno, il petto,
Come un giorno, sporgente, ma piagato
Di ferita letal; poiché l’avea19
La destra inconsapevole del figlio650
Con la punta venefica percosso
D’una marina tartaruga, quando
Lui per l’equoree immensità cercava,
Sia ch’ira degli Dei questo imponesse
O de’ fati volere. E disse:655
O grande,
Che tributi al valor premio condegno,
Che de’ secoli scuoti il lento oblío,
E il nome affidi agli anni piú lontani,
Forse in terra ed in mar travagli tanti
Io non sostenni ch’or la notte avvolge?660
Degna mercede tributata dunque
Non fia di gloria alle laudabil opre?
Poi che sebbene la virtú sia premio
A se medesma, nondimen soltanto
Debito onore alla virtú si spetta,665
Solo a lei giustamente si conviene
Del fulgor della lode andar ricinta;
Brama anzi, prima, essa la luce addurre
Ai futuri che ignorano, e la via
Schiarir che guida alle superbe cime,670
E dall’alto a chi sal porger la destra.
Colui che né dei posteri si cura,
Né della fama, dissennato in odio
Abbia le gesta altrui, la propria vita.
Onde la greca gente a me che sotto675
Le iliache mura combattevo, l’armi
D’Achille offerse in dono; e tu, poeta,
Le molte imprese, che, varcato il mare,
Condussi a fine, quello che soffersi
Di carme alcuno tu non degnerai,680
Tu, cui solo codesta opra richiede?
Tu, cui dal seno esuberante sgorga
Del mio dir la mirabile opulenza?
All’opra, ch’io t’assisterò; l’impresa
Conforterò della presenza mia.685
Disse: e sparvero insiem la visïone20
E l’Itacense. Novamente il Vate,
Dal divino agitato estro de’ carmi,
Cantò i Greci nascosi entro le navi,
E del ligneo cavallo la gran mole,690
E di Sinone il tradimento; e Antíclo
D’Ortigia, a cui fu nella man serrata
La strozza per timor d’esser scoperti;
E Pergamo distrutta dalle fiamme,
E il naufragio dell’argiva flotta,695
E di Minerva il fulmine paterno,
E la solfurea vampa sprigionata
Dal seno fuori del trafitto Aiace;
E te, di Cafarèo capo funesto,
E gli ostili Ciconi, e i mangiatori700
Del dolce loto, e nell’orribil antro
Grave di vino Polifemo steso,
Vomitante col vino umani frusti,
E i venti imprigionati in grembo a un otre,
E il re di Lama Antífate; ed i filtri705
E la bacchetta magica di Circe,
E de’ Cimmèrî le dimore, e il vecchio
Figlio d’Everro del futuro edotto,
Ed a placare i mani il sangue effuso,
E del mar le lusinghe, e il dolce canto710
Delle Sirene impunemente udito,
E Scilla e l’insaziabile Cariddi,
E Lampezie che al padre si querela
Degl’involati armenti, ed i compagni
Naufraghi e lui medesimo, che al lido715
D’Ogigia a nuoto s’indirizza e tende
Agli antri dell’atlantide Calipso,
E Nettuno che i venti agita e l’onde
Novellamente, e Leucotèa pietosa,
E di Corcira gli ospitali seni,720
E l’improvviso tramutarsi in rupe
Della nave sul mare, e l’affrancata
Sua casa alfine e le saette ultrici.
Bene a ragion, pertanto, un doppio lauro
Dell’apollineo glorïoso Vate725
Ricinge il crin; bene a ragion, da terra
Sovra la gemin’ala egli s’invola,
Ed il capo sublima ai firmamenti,
Ai Numi uguale e a Giove stesso, dove
Il livor riottoso alcuna freccia730
Non fia che avventi, ove di lercia invidia
Il reo turbo non spira: illeso e libero
S’aderge egli cosí lungi dal mondo;
Cosí felice ei pienamente gode
Dell’immenso seren, non altrimenti735
Che sovra i nembi e il rauco tuon s’innalza
La cima intatta dell’eccelso Olimpo,21
E i venti in guerra di lontan securo
Guarda. Or com’io rivelerò col verso22
Dell’animoso carme le dovizie?740
Non l’Ermo a lui dall’urna riboccante
Si paragoni, e per le aurate arene
Il Pattòlo fulgente, e il Tago e il Durio,
E il tesoro che il Dàlmata fuor trae
Audace dalle viscere del suolo;745
E ciò che i Bessi e i popoli d’Asturia
Ricercan lungi con assidue cure,
E ciò che di fusibile si stempra
Nelle fornaci di Gallizia, e quello
Che il foscheggiante abitator dell’India750
Nell’Idaspe rinviene, e l’aurea pioggia
Che Rodi dalle nuvole si bevve;23
E ciò che porta in man la cieca Iddia
Nel prezïoso corno. E come il padre
Oceàno alla terra ampia dispensa755
E fonti e fiumi, da codeste carte
Tutta la leggiadría non altrimenti
Alle dotte dell’uom labbra deriva;
D’onde una salutifera ricchezza
Per gl’innumeri secoli diffusa760
Che dié alle menti pascolo, e del tempo
Nel tacito cammin crebbe fiorente;
Ogni cosa è da loro, in loro è tutto,
Sia che splendor d’eloquio ti lusinghi,
O d’argomento gravità t’invogli.765
Poi che di Menfi un cosí vario ordito
Qual potría segregar pettine; o quali
Drappi son dall’industre Babilonia
Con sí volubil ago ricamati;
Qual maggior gloria di colori, quando770
Vagan sull’ali rugiadose i zefiri?
Quanta ricchezza d’armonia, di quanti
Fiori l’eloquio lussureggia, come
Di luminose immagini risplende?
O che si piaccia da leggera trama775
Il canto derivare, o che si tenga
Entro giusti confini, o piú gagliardo
Con tutto quanto il suo vigore assurga;
Sia che vada lambendo umile i sassi,
Con pover’onda, o che per breve istante780
Precipitoso irrompa, o che piú ricco
D’acque dilaghi vorticoso in piena,
O che gli umidi margini, con dolce
Umor, d’erbette industremente adorni.
Né v’ha lingua possente che rimembri785
Piú maestoso suon. Clie se tu a carte
Immortali affidar brami d’eroi
Le glorïose imprese, ovver, dettando
Norme, piegare ed educar le menti,
Imita Omero. Saggio piú di lui790
Non è chi la ragion de’ fatti indaghi,
Luoghi e persone, ed usi e congiunture,
L’arte del guerreggiar, gli stessi eventi,
Mentre talvolta agitato prorompe
Il suo dire, or precipita contorto,795
Senza artifizio alcuno ora si svolge,
Ora di varie immagini fiorisce.
Niun ebbe piú soavità d’eloquio,
Niuno piú schietta vigoria di stile,
Od acutezza in penetrar le menti;800
L’indole, a ciaschedun propria, ritrae,
E acconciamente quel parlar, quel fare
Che ad ognun si conviene attribuisce;
Sempre a se stesso ugual, sé non smentisce
Mai; da qual punto muover si convenga,805
Ed a quale arrivare ei non ignora;
E la ricca materia al fren dell’arte
Assoggetta, ed insiem stringe in accordo
Principio, mezzo e fine; ora t’invita
Teneramente al pianto, ora infiammato810
T’eccita all’ira: alcune volte infrena,
Loda, redarguisce, urge; tal altra
Sospese tien le menti desïose
Dinanzi a nuove, arcane maraviglie,
Di ben feconde e di nascosi veri.815
Tutto che la vetusta sapïenza
Disse con labbro venerato, e quanto
Filosofàr dopo di lui le scuole
Delle varie molteplici dottrine,
Alle sorgenti omeriche fu attinto:820
Sia che l’alba de’ secoli novelli
A specular sorgessero, o de’ cosmici
Elementi i conflitti e le alleanze,
O delle cose i genitali semi,
O il mondo minante, o i cieli in giro825
Vòlti, o le Stelle negli spazi in lotta.
Qual sia la forza ingenita che regge
Il sole nelle immense orbite ei mostra,
Onde lo splendor suo tragga la luna,
Che d’interporsi a’ rai fraterni ardisce,830
E l’alma luce vïolar del giorno
Con subit’ombre; come agli astri influssi
Abbia l’umana mente attribuito;
Per qual ragione mai vacilli il suolo,
Se perchéFonte/commento: norm. scosso angoscïosamente835
Dal nettunio tridente, o perché volga
L’atroce Borea ne’ ciechi antri il fianco,
Borea che poscia correrà la terra.
Ora de’ venti le vicende, ed ora
Del fulmine l’origine e del tuono,840
Ch’alto rimbomba tra le nubi, dice;
Svela perché giú cadano le piogge,
Perché subito lampo le pupille
Abbacini, cosí che il ciel ti paia
Squarciarsi in mezzo; e mostra che v’ha un Dio,845
Mente immensa, ragione delle cose,
Che tutto abbraccia, che con leggi immote
La natura governa e del creato
L’alterne sorti, che i destini umani
A un libero voler tien sottoposti,850
E da sé solo l’universo regge;
Mostra ch’esiste un’anima, alla morte
Non soggetta, ma come entro una tomba
Nel corpo chiusa; un’anima che, l’orme
Di lui calcando, trasmigrar Pitagora855
Insegna d’uno in altro corpo, e memore
D’una esistenza anterïor s’afferma,
E fa sé a sé superstite; che loca
Nel capo la ragion come signora,
E la biec’ira suscita nel petto,860
E condannata vuol sotto i precordî
La cupidigia: né il dolore ond’abbia
Origin tace; come in vïolenza
L’indomito furor si cangi, spiega;
E perché mai de’ paurosi il volto865
Sia di pallor soffuso, le ginocchia
Vacillino, da gel stretto sia il core,
E le chiome si rizzino; qual abbia
La virtú mèta, o qual orbita segni
Il cammino del giusto; a quali assurdi870
Lo straniarsi dal ver meni; per quanti
Rivi dell’alma l’eccellenza sgorghi;
Su qual cardine aggirisi l’onesto;
Sí come ogni mortal cosa la sorte
Governi, e, cruda, le tempeste umane875
L’alma fomenti; quale i cittadini
Norma raffreni; da che forza tragga
Vigor saldo la legge; se al governo
Piú giovi il braccio od il consiglio; quali
Arti l’astuto duce sperimenti880
Nelle battaglie; come torni accetta
La fusïone armonica de’ suoni;
Quanto il calcolo sia mirabil cosa;
Da quali segni dovran trarsi auspíci;
E quale grande giovamento arrechi885
Di Peon l’arte nel trasceglier erbe
Salutifere. Quindi maggior nerbo
La tragedia magniloqua dedusse,
Quindi pe’ trivî, imbizzarrendo, trasse
La commedia la sua piacevolezza;890
E la Musa che amor teneri canta,
E quella che in angusto ambito stringe
L’arguto motto attinsero a que’ fonti.
E insegna ancor l’eccelso Vate, come
Ai colori la man possa dar vita;895
All’olimpico Giove egli anzi (e Fidia24
L’artefice medesimo nol nega)
Forní l’aspetto del momento, in cui,
Mosse dal nero sopracciglio, tutte
S’affatican le cose, ed i pianeti900
Del suo capo immortal seguono il cenno,
E, nella sacra maestà tremendo,
Lui ricevono i Numi, ed al Supremo
Padre d’ossequio rendono tributo;
E le sembianze degli eroi, l’eccelsa905
Immagin degli onnipossenti Dei,
E gli animali di tremendo aspetto
E di varia figura, e le diverse
Città, i luoghi e i molteplici costumi,
E i sentimenti e la natura tutta,910
La qual di se medesma ha maraviglia,
Nel suo fulgido carme egli ritrae.
Innalzarono a lui le antiche genti
Ed are e templi: in bronzo, in marmo, in oro
Effigïato l’adoraro, e solo915
Modello avevan lui posto dinanzi
All’età giovanil, dell’età prima
Instabile, rettor, moderatore:
E le leggi non men di cosí grande
Maestro della vita ebber contezza;920
A questo fonte ogni scïenza attinge
Per avvivar le dotte carte: l’Indo
Tant’opra già nella sua lingua volse,
Sette città con bellicosa industria
Del natal suo contendonsi la gloria:925
Lui, che di Zoilo critico la sferza25
Vïolenta subía, dal patrio fiume
Affrancò Tolomeo vindice; ed anche
Di Macedonia il re l’opre del Sommo
In prezïosi cofani racchiuse,930
E, tra mezzo al fragor delle battaglie,
Lui chiamava a consulta, e al sonno invito
Facea con lui; da lui traea la rapida
Concezïone delle pugne, e a lui
Del conseguito allòr solea dar merto.935
Ed a lui con divota alma pertanto26
Questa intessuta di pïerî fiori,
Lunghesso i patrî margini trascelti,
Corona offriam, che a me la piú leggiadra
Tra le caiane Ninfe Ambra concesse:940
Del mio caro Lorenzo Ambra delizia,
Cui l’Ombrone cornigero fu padre,
L’antico Ombrone sí diletto all’Arno
Signor, l’Ombrone, che dal letto suo
Alfin piú mai non uscirà. Sovr’esso945
E tu la mole dell’imperitura
Villa, che alle ciclopiche muraglie
Non fia che ceda in alcun modo, innalzi,
(Per ricchezze magnifico ed ingegno)
O mio vanto Lorenzo, o delle Muse950
Lorenzo vanto; ed i propinqui gioghi
Trafori e reggi con lung’ordin d’archi,
Gelid’acque a condurre, onde il sorgente
Poggio felici praterie contempla
Per acque irrigatrici ubertosissime,955
Da nov’argin protette e chiuse intorno
Da rivoli pescosi; in mezzo ad esse
Sotto l’occhio de’ vigili molossi
Le tarantine vacche empion le mamme,
E di vario colore un altro armento960
Che (incredibile a dirsi) inviò l’India,
Va l’erbe sconosciute ruminando.
Ma, chiusi dentro i tepidi fenili,
I vitellini attendono le madri,
Cui tutta notte suggeranno; denso965
Frattanto il latte ne’ paioli enormi
Ferve, e, ignude le braccia, il cascinaio
E tunicati giovani in formaggio
Lo van coagulando, e lentamente
A indurire lo tengono nell’ombra.970
Come le pecorelle umili e buone
Ai pascoli s’avviano a branco a branco,
Cosí nel suo porcil fetido chiuso
Giacesi il pingue calabro maiale,
Dal corpo obeso, e con grugniti affretta975
L’un dopo l’altro i pasti: ecco si scava
Cupe tane il celtíbero coniglio;
Bachi in gran copia filano le sete;
E via sciaman pe’ floridi giardini
L’api vaganti, e, nel lavoro assidue,980
I cilindrici sugheri fan colmi:
E degli augei le varie specie, tutte
Strepitan quivi entro i serragli; e, mentre
Le padovane sgravansi dell’ova,
E strappan l’erbe l’oche, negli stagni985
La gran turba dell’anitre si tuffa,
E, d’improvviso, un volo di colombe,
Care a Venere, il dí cela qual nube.
- ↑ [p. 247 modifica]Paragona la virtú della poesia sugli animi dei lettori alla potenza della calamita sul ferro (pietra eraclia o [p. 248 modifica]magnete da Eraclea e Magnesia, città della Lidia, dove fu trovata). A questa induzione magnetica, com’oggi si chiama, accenna il Poliziano anche nella selva Nutricia (vv. 307-311).
- ↑ [p. 248 modifica]In Omero: Iliade, lib. I, vv. 423-25:
Perocché ieri in grembo all’Océano
Fra gl’innocenti Etïopi discese
Giove a convito, e il seguîr tutti i Numi.
(Vers. del Monti).* Gli Etiopi erano ai Greci tipo di popolo giusto e perfetto. L’Oceano e Teti, generatori de’ fiumi e delle Ninfe, figli del Cielo e della Terra. Da Teti, nacque Dori; da Dori, Tetide, madre d’Achille.
- ↑ [p. 248 modifica]Vogliono alcuni che Plutone non avesse l’elmo; il nostro ebbe per fermo qui in mente il verso 845 del V dell’Iliade:
. . . . . In arrivar, si pose
Minerva di Pluton l’elmo alla fronte,
Onde celarsi di quel fero al guardo.
((Vers. del Monti). - ↑ [p. 248 modifica]Giano si raffigurava con una chiave nella sinistra come custode dell’universo: con la destra faceva il computo degli anni trascorsi.
- ↑ [p. 248 modifica]Vulcano, com’è noto, in odio al padre Giove perché sí mal composto, fu da lui con un calcio gettato dal cielo sulla terra, onde rimase zoppo. Di Saturno si sa che era rappresentato con i piedi costretti in strisce di lana, le quali gli erano tolte soltanto nelle sue feste (Saturnalia), che si celebravano per varî giorni nel dicembre, dopo aver [p. 249 modifica]consegnato alla terra la sementa del grano. Tutti attendevano a darsi bel tempo, a far conviti, a giocare, a regalarsi a vicenda: le scuole, i tribunali, le botteghe erano chiuse. Può essere che si trovi a ridire sul compes, reso con la parola calzare. Se cosí fosse, non rimane che sostituire, a quello ora esistente, il verso che segue: Ma di lana la fascia ond’ha il pie’ stretto, ecc.
- ↑ [p. 249 modifica]Ecco la favola: Ino, figlia di Cadmo, tebano, era moglie di Atamante re d’Orcomeno, a cui ella aveva partoriti Learco e Melicerte. Essa prese a educar Dionisio figlio di Semele sua sorella, della qual cosa adiratasi Era fece andare in frenesia Atamante. Questi, negli eccessi di furore, uccise Learco, e perseguitò Ino e Melicerte, ond’ella insieme col figlio si gettò in mare, e ambedue, per mercé di aver allevato Dionisio, furon elevati al grado di Dei marini. (V. Manuale della religione e mitologia dei Greci e dei Romani di E. G. Stoll; Firenze, Paggi, 1866, pag. 116, 7.)
- ↑ [p. 249 modifica]Non ci è quasi poeta antico, annota il Del Lungo, cominciando da Omero, che non abbia fatto pianger Tetide pel suo Achille, ucciso da Paride coll’aiuto di Apollo. Tetide è una delle Nereidi piú ragguardevoli: fu allevata da Era, e, contro sua voglia, data in moglie a Peleo, mortale. Ambivano la sua mano Zeus (Giove) e Posidone; ma, avendo presagito Temi che il figlio di lei sarebbe divenuto piú grande del padre, ne deposero il pensiero. Allorché Zeus corse pericolo d’essere legato dalla moglie Era e dal fratello Posidone, Tetide fece venir su dal mare Briareo, dalle cento braccia, il quale spaventò i congiurati. Questi brevi accenni servano in qualche modo a chiarire le allusioni mitologiche del Poliziano.
- ↑ [p. 249 modifica]È qui rammentata la strage dei Niobidi. Niobe, moglie di Anfione re di Tebe, altiera per la sua numerosa prole ardí paragonarsi con Latona che aveva due soli figli. Per [p. 250 modifica]questo furono i suoi figlioli uccisi da Apollo e da Latona o Artemide. Presa la sventurata madre da acerbissimo dolore, indurí e divenne un masso delle rupi solitarie di Sipilo. Il famoso gruppo di Niobe, in marmo, attribuito a Prassitele ed appartenente al tempio di Apollo, fu trovato a Roma nel 1583: è ora nel museo di Firenze.
- ↑ [p. 250 modifica]Sarpedonte, figliolo di Giove e di Laodamia, re di Licia, ucciso da Pàtroclo (Iliade, XVI):
Ned occhio il piú scernente affigurato
Avría l’illustre Sarpedon: tant’era
Negli strali, nel sangue e nella polve
Sepolto tutto dalla fronte al piede.
(Vers. del Monti). - ↑ [p. 250 modifica]Memnone fu ucciso da Achille.
- ↑ [p. 250 modifica]Per la migliore intelligenza del passo, tolgo dal Commento del Del Lungo, poiché a me, come già dissi, non fu possibile rinvenire il libro, le seguenti note apposte all’Ambra dal pastor Arcade Megete Inopeo: “Si dice che Achille presso l’Inferno, nelle isole de’ beati, prese per moglie Medea, figlia d’Eta, re di Colco e d’Idia. Eta era figlio del Sole; Idia poi è un’isola dell’Oceano nel Porto Eusino. Nell’isola di Leuce si dava ad Achille per seconda moglie Elena, con la quale credevasi che si facesse vedere nel bosco a lui consacrato.
- ↑ [p. 250 modifica]Cfr. La Giostra, lib. I, st. II.
Questa con ambe man le tien sospesa
Sopra l’umide trecce una ghirlanda
D’oro e di gemme orïentali accesa:
Questa una perla agli orecchi accomanda:
L’altra al bel petto e ai bianchi omeri intesa
Par che ricchi monili intorno spanda, ecc. - ↑ [p. 251 modifica]Smirna era una delle Amazoni, moglie a Tereo. La città, che sorgeva da prima sotto il monte Sipilo, accolse Criteide incinta di Omero per opera del Dio fluviale Melete, e ivi diede in luce il divino poeta. Ma ben undici città dell’Asia si contesero la gloria di avergli dato i natali, tra le quali: Chio, Colofone, Itaca, Pilo, Argo e Atene.
- ↑ [p. 275 modifica]
. . . . Onde al fanciullo un vasto
Ingegno procedette, ecc. - ↑ [p. 251 modifica]Calamo, figlio del fiume Meandro, amò Carpo, vaghissimo giovane. Mentre Carpo si trastullava in quelle acque, sorpreso da un’improvvisa tempesta, vi restò annegato. Calamo, addoloratissimo di ciò, non volendo sopravvivere all’amico, si precipitò nel fiume paterno, e vi si sommerse. Calamo fu cangiato in canna e Carpo in frutto. (Meg. Inop.).
- ↑ [p. 251 modifica]* Prende Achille nel momento piú sublime della sua ira; quando rappacificato con Agamennone rientra in battaglia, cercando Ettore a vendetta dell’amico diletto; e quello sottrattogli da Apollo, si rovescia contro gli altri Troiani, “d’ogni parte furibondo trascorrendo con l’asta pari a un Dio„.
- ↑ [p. 251 modifica]* Dà principio alla compilazione dell’Iliade. Ire tra Achille e Agamennone, nel campo greco desolato dalla pestilenza per avere Agamennone ritenuta la figlia di Crise sacerdote di Apollo. Calcante augure (figlio di Testore) rivela, a istigazione di Achille, la cagione della pestilenza: Agamennone si rovescia contro ambedue, chiedendo in cambio di Criseide la Briseide d’Achille, cosí che questi già pon mano alla spada se Minerva noi trattenesse. Nestore procura invano pace fra’ due capitani. Achille si ritira dal consiglio e dalla guerra, fremendo della donzella perduta; ed è consolato da Tetide, che gli promette e gli ottiene da Giove, a dispetto di Giunone, di ridurre [p. 252 modifica]l’esercito greco a mal partito co’ Troiani assediati; lib. I. Eccitato a battaglia da un falso sogno, mandatogli da Giove, Agamennone, radunati i Greci, finge, per tentarli, di voler levar l’assedio e rimpatriare. Il campo, da quest’annuncio commosso, già si dispone a partire; e a stento lo trattengono Ulisse e Nestore; quegli con preghiere e minacce, e busse alla linguaccia di Tersite, e con la memoria del prodigio d’Aulide, de’ nove uccelli divorati da un dragone poi pietrificato, dimostrazione dei dieci anni fatali dell’assedio troiano; questi, rammentando i voti fatti ed i segni avuti di favore celeste e mostrando vicina la caduta della città, si preparano al combattimento i Greci, primeggiando fra essi, per singolar dono di Giove, Agamennone. Catalogo delle navi greche, poi delle milizie troiane: premessa la invocazione delle Muse; II. Essendo i due eserciti a fronte, Paride, prima fuggente dinanzi a Menelao, rampognato da Ettore, si offre di venire con l’Atride al paragone delle armi, e da quello decidere qual de’ due s’abbia Elena, cagion della guerra. Se ne fanno patti solenni: ma, cominciato il duello, e, avendone Paride la peggio, Venere avvoltolo in una nube lo trasporta tra le braccia di Elena: III. Quando già, richiedendo Agamennone Elena, sarebbe finita la guerra, il Troiano Pandaro, per consiglio de’ Numi che vogliono la rovina di Troia, ferisce di saetta Menelao vincitore: e se ne attacca improvvisa, sanguinosa battaglia. IV. Si combatte con varia fortuna, mescolandosi di qua e di là gli Dei: mirabile prova di Diomede, il quale, mentre dall’altra parte combattono Ettore e Sarpedonte, mena strage de’ Troiani e osa ferire Venere e Marte stesso; V. Glauco e Diomede, incontratisi per combattere, si riconoscono ospiti e si cambian l’armi. Intanto in Troia, per consiglio d’Ettore e degli altri principali, le matrone recano il peplo votivo all’altare della nemica Minerva. Ettore, rientrando in battaglia incontra Andromaca, sua donna, e il fanciullo Astianatte e dice loro addio; VI. Ettore, rientrato in battaglia, sfida i piú valorosi dei Greci; di questi la sorte elegge Aiace Telamonio, che gli sta a fronte lungamente con pari valore. La notte pone fine alle armi; ne’ due campi si fa adunanza, e i Greci cingono il loro di [p. 253 modifica]una trincea; VII. Giove, vietato agli Dei d’intervenire nella guerra, pesa le sorti de’ Troiani e de’ Greci; e annunzia a questi con la folgore sciagure: i quali, riprese le armi, dopo vicende diverse, sono respinti nella trincea: accanto a quella i Troiani, guidati da Ettore, si accampano e accendono fuochi; VIII. Atterrito Agamennone del pericolo imminente, parla di fuga. Gli altri capitani gli fan cuore, e propongono un’ambasciata ad Achille perché torni alle armi: la quale riuscendo a vuoto, Diomede li conforta che faranno da sé; IX. Vegliando in gran sospetto Agamennone co’ suoi, spediscono esploratori nel campo troiano Ulisse e Diomede: i quali, incontrato Dolone, spia de’ Troiani, dopo presane notizia del campo nemico, lo uccidono; poi vanno alla tenda di Reso, re di Tracia, al quale, uccidendo pure lui e dodici de’ suoi, rapiscono (com’era voluto dai fati per la rovina di Troia) i cavalli. E salvi se ne tornano; X. Il giorno dipoi, attaccata la pugna, sconfitti in principio i Troiani, poi rincorati da Ettore, cacciano i Greci dentro il campo; e, incalzandoli, già sono per superare il muro fieramente difeso dai piú valenti de’ Greci. Ettore, lanciando un gran sasso, apre finalmente la via alle navi. Strage dei Greci, che pur seguitano entro il campo la difesa, e tengon fermo validamente; aiutati di nascosto da Nettuno, come i Troiani da Giove. Giunone, per dar agio maggiore a Nettuno, vestito il cinto di Venere e con l’aiuto del Sonno, addormenta Giove nelle sue braccia. I Troiani vengono con strage ributtati; finché Giove svegliatosi, sdegnato rinnova la loro fortuna: e già Ettore e i suoi sono col fuoco alle navi greche, alla cui difesa combatte eroicamente Aiace maggiore; XI, XII, XIII, XIV, XV. Intanto, dopo lunghe preghiere, Patroclo (nipote d’Attore), ottenute da Achille le sue armi e i cavalli, spaventa i Troiani; i quali, credendolo l’eroe, fuggono innanzi a lui dalle navi pericolanti. Patroclo, contro la raccomandazione d’Achille, li insegue in campo aperto, uccide Sarpedonte e mena strage fino alle porte di Troia: dove, conquiso da Apollo, ferito da Euforbo, Ettore lo uccide; XVI. Sul cadavere, disarmato, di Patroclo è da Menelao ucciso Euforbo (figlio di Pantoo) e si combatte accanitamente perché i Troiani nol [p. 254 modifica]rapiscano a’ Greci; ai quali rimane. E seguita la battaglia; XVII. All’annunzio della morte di Patroclo, Achille si scuote. Il solo suo affacciarsi dal muro, caccia via spaventati i Troiani, che rimangono accampati fuori della città. Tetide consola il figlio nel dolore immenso per la morte dell’amico, e gli procura da Vulcano nuove splendidissime armi. Egli si riconcilia con Agamennone; ed entra in battaglia; XVIII, XIX. Giove, perché Achille non affretti l’eccidio di Troia, dà licenza agli Dei di combattere, ciascuno per la parte che piú gli piace; gli Dei scendono alla battaglia, e Achille combatte con Enea e con Ettore; ambedue sottrattigli dagli Dei. Furibondo si rivolta sugli altri Troiani, e ne fa orribile scempio. Il fiume Xanto, pieno di cadaveri, avvolge nelle sue onde Achille; il quale è salvato da Giunone, che manda Vulcano a bruciare il campo e il fiume. Battaglia di Numi: Minerva contro Marte e Venere; Apollo contro Nettuno; Giunone contro Diana. Infuriando tuttavia Achille, Apollo lo svia per inganno, acciò i Troiani possano salvarsi in città. Solo rimane fuori (tale è il fato) Ettore; XX, XXI. Fugge al venire d’Achille. Giove libra le sorti, e pronuncia la morte di Ettore. Consigliato da Minerva, questi si rivolta al nemico; e combattono. Ettore è ucciso e trascinato da Achille intorno alle mura, presenti i genitori; XXII. Funerali solenni a Patroclo; XXIII. Il corpo d’Ettore, tuttavia straziato dall’implacabile Achille, è poi reso da lui a Priamo, che viene nella sua tenda a supplicarlo e recargli il prezzo del riscatto. Ne’ funerali solenni di Troia ad Ettore si chiude il poema; XXIV.
- ↑ [p. 275 modifica]
Ahimè! per nulla mosso; e Dolon còlto - ↑ [p. 254 modifica]Telegono, figlio di Ulisse, uccise in conflitto, senza saperlo, il padre, di cui andava in traccia, con un’asta, la quale aveva la punta di tartaruga marina detta pastinaca.
- ↑ [p. 254 modifica]* L’Odissea: Ricongiunge alla guerra iliaca le gesta d’Ulisse, innanzi d’enumerar quelle che sono soggetto del [p. 255 modifica]poema; giovandosi del ricordo che ne fa Menelao a Telemaco andato da lui in cerca del padre: la sua presenza nel cavallo di legno introdotto da Sinone; l’aver egli preso per la gola Anticlo d’Ortigia, che non rispondesse di là dentro alle voci d’Elena, presenti i Troiani; dopo l’eccidio di Troia, il naufragio sofferto dall’armata greca al promontorio di Cafareo, dove fu fulminato da Pallade Aiace d’Oileo, e d’onde camparono Agamennone ed esso Ulisse. Il quale, spinto dal vento al paese de’ Ciconi alleati di Troia, dopo saccheggiata la lor città, n’è respinto con perdita de’ suoi; approda in Libia, presso i mangiatori del dolce loto; poi in Sicilia, dove si libera dal terribile antro del ciclope Polifemo; in Eolia, dove riceve da Eolo chiusi in un otre i venti; a Lamo, città de’ Lestrigoni, dove Antifate gli divora compagni e gli fracassa navi; all’isola Eèa, dove Circe, tramutati in bestie i compagni, lo trattiene seco; va alle foci d’Averno, fra i popoli Cimmerii, spintovi da Mercurio a consultar l’ombra di Tiresia (figlio d’Everro) e offrir sangue di vittime ai Mani; erra per le acque di Sicilia, premunito da Circe contro la voce delle Sirene, e scemato di sei compagni nel passare fra i mostri Scilla e Cariddi; tocca la Sicilia, donde è cacciato dal Sole, a cui la Ninfa e figlia Lanipezie, riferisce degli armenti uccisigli dai compagni di lui: i quali Giove, per punizione, sperde in naufragio, solo Ulisse salvandosi all’isola Ogigia, ospitato dalla ninfa Calipso, figlia d’Atlante. Tutte queste avventure racconta da sé l’eroe nella reggia d’Alcinoo. Egli s’era partito, dopo lungo soggiorno, da Calipso, e novamente era stato da Nettuno travolto a pericolo di morte; dalla quale l’aveva salvato la Dea marina Leucotea, traendolo alle spiagge dell’ospitale Corcira, dove il re Alcinoo lo accoglie magnificamente. Alcinoo lo rinvia alla sua Itaca; la nave che ce lo ha accompagnato, al ritorno è convertita, verificando un antico oracolo, in sasso; Ulisse tornato in Itaca, trova la sua casa invasa dai proci. Adopera sottili arti a danno di essi e in prova della fedeltà di sua famiglia; finché insieme col figlio uccide i proci a colpi di freccia, e ritorna padrone della propria casa.
- ↑ [p. 256 modifica]Omero, nell’Odissea:
Cosí detto, Minerva ai poggi ameni
Risalí dell’Olimpo, ove han tranquilla
Sede i Celesti; ché furor di venti
Mai non lo scuote, né la pioggia il bagna
O ingombrano le nevi. Ivi sereno
È l’aer sempre, né mai nube il turba,
E una candida luce lo rischiara
Che i santi numi eternamente allegra.
(Vers. del Màspero). - ↑ [p. 256 modifica]Dopo avere il Poliziano rilevata la straordinaria ricchezza della poesia omerica, e dettala fonte d’ogni arte e scienza, segue celebrando la doviziosa varietà del suo stile. Accenna alla retorica, alla filosofia mitica e naturale del Poeta (principi universali delle cose, lotta e pacificazione degli elementi, rivoluzione degli astri e loro influenza, eclissi, terremoti, venti, folgori, pioggia, lampi, tuono; Dio, sua essenza, potenza, provvidenza; immortalità dell’anima, metempsicosi); alla filosofia morale (ragione, passioni, affetti, virtú, vizi, umane vicende); alla scienza politica e militare; alla musica e aritmetica; alla divinazione e alla medicina; alla poesia tragica, comica, amorosa, epigrammatica; alle arti del disegno ispirazioni in Omero: chiude le lodi del divino poeta col racconto degli onori resi alla sua memoria, notando come fosse oggetto di culto speciale presso gl’Indiani, che cantavano i suoi poemi tradotti nella loro lingua, e Alessandro Magno, il quale, è noto, ne custodiva le opere in preziosi cofani, consultandolo nelle sue spedizioni, e tenendolo sotto il capezzale.
- ↑ [p. 256 modifica]Celebre per la bellezza e dolcezza del clima e per la feracità del suolo, che la favola le attribuisce, per essere stata irrigata da una pioggia d’oro.
- ↑ [p. 257 modifica]Lorenzo Lippi ha un epigramma su questo argomento, cosíFonte/commento: norm. tradotto da Arnaldo Bonaventura nel suo bel volume: La Poesia neo-latina in Italia dal sec. XIV al presente: saggio e versioni poetiche. Lapi edit., 1900. Scolpí la man di Fidia l’aspetto di Giove. — E il modello? — gli chieser. — Tale, disse, lo fece Omero.
- ↑ [p. 257 modifica]Zoilo, grammatico e critico, fu cosí aspro censore di Omero da esser soprannominato ὅμηρομάστιγος (flagello di Omero). Tolomeo Filadelfo, re d’Egitto, grande protettore degli studi e ammiratore del sommo poeta, vendicò la gloria di lui, facendo, secondo alcuni, crucifiggere il detrattore insolente, secondo altri lapidarlo o bruciarlo vivo a Smirne, presso cui scorre il Melète. V. rispetto alla favola sulla nascita di Omero i v. 325 sgg. di questa Selva.
- ↑ [p. 257 modifica]Conclusione. Descrizione della meravigliosa villa medicea del Poggio a Caiano costruita dal Magnifico, il quale pure la celebrò con le note stanze “Ambra„, e in cui, secondo il Del Lungo, pare scrivesse il Poliziano la presente Selva. Amenità del sito, reso piú attraente dall’abbondanza delle acque derivatevi e dal vario e straordinario numero di animali nostrani e forestieri fatti venire dai luoghi piú remoti. Vedi per maggiori particolari le note del Del Lungo.