< Le Selve
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Angelo Poliziano - Le Selve (XV secolo)
Traduzione dal latino di Luigi Grilli (1902)
Il campagnuolo
Manto (lat.) Rusticus (lat.)

II.


IL CAMPAGNUOLO1



Letta come prolusione al corso
sopra le Georgiche di Esiodo e di
Virgilio, nello Studio Fiorentino,
l’anno scolastico 1483-84.


  1. [p. 245 modifica]* Questa selva giudicata non gran cosa dal terribile Giulio Cesare Scaligero (Poët., VI) pare al Menke, come a molti che la lodarono innanzi di lui, e come parrà, credo, ai moderni lettori, soave ed elegantissima poesia; e per copia e spontaneità d’immagini (tanto difficile a un dottissimo, in soggetto tutto esiodèo e virgiliano), e proporzione di disegno, preferibile ad alcun’altra: io dirò francamente a tutte tre le altre. Mi associo pienamente al giudizio dell’illustre maestro, dal quale anche i lettori son certo non dissentiranno.


Or l’opulenza del ferace campo,
E del solerte agricoltor le cure,
E il sacro culto della terra madre
Dir si piace la rustica zampogna;
La zampogna che lieto, in su le rive5
Del Mincio, mi donò Titiro stesso,
Non ha gran tempo, e: modula con questa,
Disse, o garzone, un villereccio carme.
M’assisti, o Pane, e meco d’una cava

Rupe nel grembo alle Camene indulgi;10
Mentre di mezzo al ciel Febo dardeggia,
Mentre il tortore piange vedovato
La rapita compagna, ed i palombi,
Dai collari cangianti, ripetendo
Vanno il loro tubar. Qui con sussurro15
Blando gli amati pini ti rispondono,
Qui fischian tra’ coniferi cipressi
L’aure vaganti; qui dalle sorgenti
Scaturisce la pura onda, e, avvivata
Da un inesausto pullular di vena,20
Via tra’ lapilli colorati mormora;
Qui sotto le vicine ombre lasciva
Scherza, de’ canti miei già da gran tempo
Involatrice, la tua amabil Eco.

Beato, e a’ Numi assai conforme, quegli,25
Cui la gloria di larve menzognere

Folgoreggiante, non affanna, e il tristo,
Ebro piacer dello smodato lusso;
Ma lascia che i suoi dí scorran nell’ombra,
E d’umili fatiche i placid’ozi30
Dell’innocente sua vita conforta,
Lungi dal chiasso cittadino, parco
Ne’ desidèri; e lieto sua ventura
Carezza, e, pago del modesto avere,
Il cor non pasce d’avide speranze,35
Né d’inutili cure: indifferente
Cosí d’un regno che tramonti, come
Della minaccia di cattiva stella
E dell’esizïal luce sanguigna
D’una cometa. Il mobile favore,40
E la plebe, che mal soffre al potente
Di tener fede, su caduco seggio
Lui non leva, da un’aura popolare
Tratto in alto; né quegli che governa,

Falsi onori ostentando, avido il trae45
In questa parte e in quella; egli non teme
La propria coscïenza, né s’apparta
Di falli reo; la colpa, che dilania,
Segretamente non gli rode il core;
Non ricco, o pervenuto a sommi gradi,50
A giudizi maligni o a bassa invidia
Si trova esposto; non alternamente
Per livor bieco si consuma, e, gonfio
Di veleno, s’infiamma; e il bene altrui
Non assottiglia con tagliente sguardo.55
Nelle campagne solitarie ei vive,
E dell’aperto, immenso ciel si piace,
O nell’opre sudando, o via per l’erte
Montagne trascorrendo. A lui pertanto
Gradevole si porge ogni vivanda;60
Raccoglie nelle man curvate in tazza
L’acque correnti; gli dan cibo i rami

Di piante scosse, e su giaciglio duro
Traggon nuovo vigor le membra affrante.
Giacché all’alma il piacer torna piú accetto65
Quando a compagna s’ebbe la fatica,
E non la nausea o il tedio senza fine
Lo segue. Onde né, pallido, l’Autunno
Con l’alito nembifero; né Sirio
Di mali apportator con la sua rabbia70
Canicolare gli darà molestia,
Né i freddi intensi, né le algenti brume
L’affliggeran delle Rifee montagne:
Poi ch’egli è avvezzo a tollerar l’inverno,
Le piogge, i venti, e, a capo discoverto,75
Di giugno il sole, nella fredda notte
I suoi sonni dormire, a premer scalzo
Le dense brine, a sopportar la sete,
E con le ghiande a togliersi la fame;

E a stancare le fiere agili in corsa,80
I torrenti a guadare, a saltar fossi
Celeremente, a colpi di bipenne
L’annosa quercia ad atterrare, e, a viva
Forza a strappare la sua preda al lupo,
E a caricar di grave fascio il dorso85
Ed a trattar con incallita mano
Il grave, malagevole rastello,
E sotto il giogo il reluttante collo
A governar col braccio domatore
Del cornigero toro; e gli orsi irati90
Ad affrontar. Da ciò la vigoria
E la snellezza insinuasi negli arti;
E nell’ampio torace una gran forza;
Alimentano i muscoli gagliardi
La virtúFonte/commento: norm. delle membra, ed ogni fibra95
Con veemenza rigida si tende;
Onde l’alta figura, onde sul volto

La marzïal ferocia. Che di guerra
Se lo appelli il fragore, e chi piú lesto
A vestir l’armi? Chi piú risoluto100
Nell’infrenar col premere del morso
Il destrier che ricalcitra? o nel sangue
Di valorosi a immergere la spada?
O la picca a lanciare? o il giavellotto
A sprigionar dall’arco, o aprirsi il passo105
Con l’asta prepilata intra i nemici?
Chi potrà col robusto agricoltore
Vincer la prova, o faccia d’uopo un vallo
Costruire, o ricingere d’un’alta
Trincea l’accampamento, o contro all’oste110
Nemica dirizzare un petrïere,
Che con fracasso orribile, e fulmineo
Roteare, balestri enormi sassi
Per abbattere al suol moli superbe;
Chi nel trascorrer vigilante scòlta115
La notte insonne, o nel compir segreta

Marcia spedito, o, se lungo ne opprima
Assedio, in risparmiar le vettovaglie?
Cosí di Babilonia e dell’Arabia
Si dilatàr gl’imperi; un duce, scelto1120
Dalle mopsopie terre, al re de’ Persi
Nel maratonio pian fiaccò l’orgoglio;
E Roma, forte d’uomini siffatti,
S’impose al mondo e n’ebbe in man le sorti.

Ma qual solerte accorgimento e quanta125
Esperïenza delle cose apprese
L’arte agli agricoltor, tempo è ch’io dica.
Tosto che Borea in sul finir d’Autunno
Sulle campagne corse, allor che tócche
Dai primi freddi cadono le foglie,130
Abbandonando le materne braccia,
E non han carie da temer le roveri

Della selva recisa; ecco il villano,
Della stagione che s’avanza esperto,
D’una segreta cura ardere in core:135
Di qual albero sia convenïente
Fornire il plaustro a’ buoi, di quale il giogo
Fabbricarsi o l’aratro. Indugio all’opra
Ei non frapponga, e al suol del vecchio faggio
E della dodonèa quercia recise140
Cadan le cime, e gli olmi, di lor frondi
Spogli, ed i lauri echeggino d’intorno
Dalla bipenne valida percossi.
Poscia dal fumo ciaschedun de’ legni
Provato al focolar, novella forma145
Assuma, e a uffici vari si destini.
La voce della gru, che tra le nubi
Schiamazza, a un tratto il villico riscuote,
Mentre il bel gallo dalla cresta eretta
Con lo sbatter dell’ali il giorno chiama.150

Allora ei desta i suoi compagni all’opre,
E insiem prudente l’ispide sue terga
D’un ruvido centon veste, sul capo
Un berretto si getta e borzacchini
Fatti di cuoio naturai si calza.155
Indi all’aratro i ben pasciuti buoi
Aggiogati, del pungolo l’incita,
Ed il lavor col canto raddolcendo
Scava in solchi lunghissimi la terra
Col vomero, e in gran copia indi v’induce160
Degli acquai la piovana onda raccolta,
E di timo satolla e di macerie
L’esausto suolo. Dalla parca destra
Con largo gesto la sementa ai solchi
Ora egli affida; mentre la sinistra165
Il canestro sostien colmo di grano;
Ed affinché le seminate zolle
Cupidi augelli a devastar non calino

Via la preda recando alto nell’aria,
Con un sarchiello nella man va dietro170
E le porche ribatte il giovin figlio.
Ma non sí tosto, abbandonando i flutti
D’orïente, si levi in su la sera
L’astro d’Arturo; non appena il suolo
Esulti lieto di novelle fronde175
Varïopinte, e d’erbe iridescenti
Verdeggi tutto, ed a noi rieda alfine
Dal suo consorte getico secura2
La rondine sollecita, ed il nostro
Tetto festevolmente risaluti,180
Al lavoro di nuovo egli ritorna,
E, sul bure gravando, i nereggianti
Novali fende con l’adunco aratro,
I quali bruceran torridi soli
E algenti brine. Subito che il gelso185
Sapïente cominci a metter fronda;

Pria sapïente inver, dato ora al lusso,
Ché ferace non è di pomo alcuno,
Ma sol di velli serici ministro;
Nel campicel suo dolce il villan, sempre190
Bramoso di tentar nova coltura,
Sotterra le propaggini e i virgulti:
Né ai marci solchi di commetter lascia
E le fave pallenti ed i foraggi;
E va assettando col rastrel le zolle,195
E strappa le indomabili gramigne,
Ei rompe in fossi il monte, e frange il dorso
Della terra col valido bidente,
E i tralci delle viti in lunghe file
Pianta, disposte in regolar quinconce.200
E piú e piú volte di terren ricopre
Le barbe, e tònde con la falce i rami;
Or d’una vite il singolar rigoglio

Ei modera e reprime; or di sostegno
La debole soccorre, ora il pollone205
Stretto al sen dell’amata genitrice
Costringe al solco, e a lei vicin l’interra,
O dallo stesso grembo della madre
Piangente lo divelle, e via crudele
Lo mena, e altrove a viver lo conduce.210
Che dirò poi come gentil si faccia
Per altri succhi l’albero nostrano,
E in che modo ne’ tronchi aspri s’innesti
A marza od a bocciuol novo germoglio?
Poi che unir non si piace occhio con occhio215
La balda primavera, ma l’estate
Nel suo colmo; l’estate che i mannelli
Ammonticchiati trebbierà; l’estate
Che il riposto baccel trarrà dal guscio;
L’estate dalla qual, mentre in su l’aia220
Rimonda il vento le raccolte biade,

Attendono i granai l’ampio ricolto.
Delle campagne polverose allora
S’impingua arido il suol, le putri zolle
Si corrompono, e fuor getta il lupino225
I caduchi germogli; allor dal clivo
Si derivan le roche acque sonanti,
E ne’ campi dilaga il rio precipite.
Poscia quando Orïon di spada armato
Nel bel mezzo del ciel sia ricomparso,230
E la splendida aurora in croceo ammanto,
Fugate l’ombre, Arturo abbia veduto,
Le sue tosto di pruni orride siepi
Schiude la vigna, e dal flessibil tralcio
Il vignaiuol l’aurata uva raccoglie,235
Che la moglie e la figlia giovinetta,
Compagne nel lavoro, in canestrelli
Bassi e in ceste via portano sul capo:

Né dell’opera lor sentono il peso,
Ché per se stesso allevia la fatica240
Il buon volere; ch’anzi pur nel grembo
Recano i pomi onde son curvi i rami,
E bacche, e fichi, e noci. E non è senza
Faccende il verno: allor delle sue coccole
Spogliasi il lauro; allor quelle del mirto245
Trascelgon essi e le caduche ghiande,
E striscian dell’ulivo i glauchi rami.
Di notte poi s’attarda alla lucerna
Il villano ad intessere fiscelle
Con sottil giunco, o a far graticci o rozze250
Ceste col vinco, a scinder faci o legni
Da ripari, o a rifar doghe alle botti,
O a togliere scabrezze a’ ferramenti,
O con sasso tritato a lucidarli.

Ora poi che dirò delle sue gioie,255
E del molto e beato ozio che segue

Alle fatiche? Non sí tosto il primo
Alitare de’ zefiri odorosi
Alla montagna il grave gel distempra,
Soavemente ridono le stelle260
Vaghe nel ciel rasserenato; dolce-
mente la luna via pel terso azzurro
Sprona i tardi giovenchi, e piúFonte/commento: norm. di quella
Del celeste fratel sua traccia splende;
E dall’alato pegaseo condotta,265
Le chiome ognor di nettare stillanti
Spreme la moglie di Titone, e tutte
Di fecondanti umori empie le glebe.
Splendida in vista, nuovi germi esprime
Del grembo fuor la genitrice terra,270
E la sua fronte d’ogni gemma adorna:
D’idalio sangue la pudica rosa3
Il sen tinge e d’un unico colore
Non s’appaga la bruna violetta,

Ch’è talor bianca, or rossa, or degli amanti275
Del pallido colore; appena nato,
Manca il ligustro piú che neve intatto;
Né vive a lungo il giglio che rinnova
De’ fior materni il calice; men brevi
I purpurei amaranti hanno i lor giorni;280
Qui scritto ha il suo dolor Giacinto in grembo,
Qui a Cerere diletto e pien di sonno
Il papavero dorme; qui Narciso
Si specchia; ma colà nutrono l’aure
Il zafferan che il suo spande all’in giro285
Soavissimo odor noto ai teatri:
Né il radïante fiorarrancio niega
I suoi splendori, o il tribolo è discosto;
Tirio colore quella biada veste,
Questo cespo di vivo oro fa pompa290
E questi fiori i candidi lapilli

Emular tentano, i cerulei quelli;
E su pei dolci clivi, e nelle chiuse
Valli, e lunghesso le silenzïose
Correnti, rigermogliano con vasto295
Palpitar l’erbe tremule, e sorride
Ogni cosa, ogni cosa lussureggia,
E sotto un astro amico riscintilla.
Graniscono le spiche: ai genitali
Soffi, di latte turgono gli steli300
Radi dell’orzo; i tralci dalle rotte
Gemme spremono il pianto, e sulle viti
L’acerba primaticcia uva apparisce:
Le rime de’ novelli alberi, nate
Pur mo, liete verdeggiano, e alla pia305
Materna pianta crescono i rampolli:
Mentre l’astretta a innaturali nozze,
Delle foglie non sue maravigliando,
I legittimi insiem rami confonde

E gli adottivi. Radioso il crine,310
Dall’alto, poi che ricomparve il sole,
Discendon l’Ore, che del ciel le soglie
E gli atrî guardan, che felicemente
La bellissima Temi ebbe di Giove,
Irene e Dice ed alla madre sua315
Compagna Eunomia; e i fior novi dispiccano:
Tra le quali Proserpina, piú bella
Dai regni dello Stige rivarcando,
Corre alla genitrice; alma compagna
Alla sorella è Venere, e gli Amori,320
Dolci pargoli, a Venere fan scorta:
Mentre delizïosi appresta Flora
Baci al lascivo suo consorte. In mezzo,
Discinti all’aura i crin, nude le mamme,
Scherza, e del piede il suolo urta una Grazia,325
Ritmicamente: Naiade stillante
Guida le danze, e giú dai monti scendono

Le Oreadi: pronte la giogaia eccelsa
Lasciano le Napee; non tra le fronde
S’occultano le Driadi: non canti330
Ristanno i Fauni di levar; non suoni
Di sprigionar dalle cerate canne
I Satiri, e gli augei queruli intorno
Soavemente di garrire; e sopra
I flutti l’alcïon, tra le dens’ombre335
Filomela si duole, e in sulle rive
Il niveo cigno e sotto l’ospitale
Tetto la vaga rondinella. Lievi
Ronzan le pecchie e dentro agli alveari,
Di nettare dolcissimo ricolmi,340
Alle cellette innumere ponendo
Vanno le terse fondamenta prime.
Ne’ prati insieme scherzano le gregge,
E un divampare di felici amori
È in tutto il bosco; giovine marito345
Vuol lasciva cavalla, e vuol dal toro

Soddisfatto il desíoFonte/commento: norm. la vaccherella.
Di lussuria s’accendono le scrofe,
L’innamorato ariete corneggia,
E la fetida pecora dell’irco350
Ardente di libidine s’appaga.
Appoggiati ai bastoni, i guardïani
Con intimo piacer stanno osservando
Poi come il grembo de’ portati novi
Abbia Lucina alle pregnanti sciolto,355
Onde la figliolanza a’ genitori
Sia nel numero uguale, i tenerelli
Nati a muovere i passi anco inesperti
In grembo si raccoglie il mandrïano;
Mentre la pecorella e la capretta,360
Deboli ancora pe’ recenti parti,
Si toglie in su le spalle, e adagio adagio
Intra il soffice strame indi compone,
E ne’ presepi custodisce. Appena
Ch’abbia vigor ripreso, in su l’aerea365

Balza il rovo a brucar questa si trae,
Quella nov’erba in campi solatii;
O sen vanno a libar le fresche e dolci
Acque delle correnti, onde la loro
Bevanda abbiansi i piccoli reclusi,370
E dalle mamme turgide in gran copia
Fluisca il latte. Attendono i poppanti
Capretti, attendon gli scherzosi agnelli,
E chiamano con teneri belati
Le cornigere madri. Al suol sdraiata,375
Colmi gli uberi, allatta la sua pingue
Figliolanza la scrofa, ed i succianti
Col suo grugnito affettuoso adesca,
E si convolve nell’immondo brago;
Coll’incallito muso or le radici380
Avidissimamente e i bulbi scava,
Or di morbida polta si satolla.
Con suo grave muggir trista la vacca

Chiama piangendo il vitellin smarrito,
E la gran selva inconsolabilmente385
Di sue querele flebili riempie.
Ogni bosco, ogni valle ed ogni stagno
Ne rintrona: piú volte ella gemendo
Qua e là trascorre per le foscheggianti
Macchie e foreste; al monte ed alla stalla390
Riede piú volte ad indagar, nel suo
Desiderio struggendosi; e dolcezza
Niuna di paschi, o allettatrice fronda
Di salcio, od erba rugiadosa, o vaghi
Fiumi tra verdi margini scorrenti395
Con tenue mormorío di limpid’acqua,
Han la sua doglia d’alleviar possanza.
Salta il puledro via pei verdi campi,
E nel fuggir suo celere deliba
Il sommolo dell’erba, o d’alto monte400
Gli aspri gioghi guadagna e la sferrata
Unghia sua batte il torrente sassoso:

Fiera la testa folgora a lui bello
E sul suo fronte la criniera danza,
Vibran gli orecchi, e dalla nereggiante405
Orbita grande la pupilla emerge;
Dalle narici dilatate fuma
L’alito ardente, la cervice ei leva
Come a terror de’ libici leoni
La cresta il gallo; il gallo che la luce410
Del Fonte/commento: norm. affretta col suo vigile canto:
Valido il petto ed animoso, tutta
La vigoria de’ muscoli palesa;
Ardue le spalle e al cavalcare acconcia
La schiena omai; lungo i depressi lombi415
Corre duplice spina ed al ristretto
Ventre è di freno il ben ricolmo fianco.
Lussureggian le terga arrotondate,
E, di setole densa, irrigidisce
La lieve ondante coda; ampia la giubba420

Vela il florido collo e sparsa ondeggia
Sovra l’omero destro; e cosíFonte/commento: norm., fiero,
Agilissimamente le sottili
Gambe piegando, via si lancia in corsa,
Forte annitrendo: la tornita e breve425
Ugna leva rumor simile a vasto
Di coribanti cembali fracasso.

Del guardïan de’ greggi alme dovizie!
Oh quanta e qual tranquillità serena
Al felice sorride! Oh, come in tutto430
Il suo cor la letizia, in tutta l’alma
Le dolcezze veraci essa alimenta!
Inconsapevol ei d’odio e di frodi,
Non dell’inane ambizïone schiavo,
Nelle speranze sue franco innocente435
Ed assai ricco del nativo stato
E dei tesori che gli dà la terra,
Vive a se stesso, nella solitudine,

A suo arbitrio, e, censor degli atti suoi,
Con animo sdegnoso ogni ricchezza440
Abbomina e il regal fasto schernisce.
Se per lui non s’adergono palagi
Da tenaree colonne sostenuti;4
Fonte/commento: norm. delle stanze ridono le volte
D’avorio intarsïate, ovver se pietra445
A musaico gli stipiti non fregi;
Se di cedro le tavole rotonde,
Di tartaruga adorne, in su tre piedi
Non poggiano; se tazze che l’esperto
Mirone ornava di sottil lavoro5450
Per molteplici gemme radïanti,
Non sbocciano per lui su laute mense,
O non si tingon di Mileto i velli6
Nel color della porpora, e non lascia
Della fine lanuggine satollo455
La sua prigione il baco, e i prezïosi
Filamenti, Fonte/commento: norm. folgora su trama

Sottil l’oro contesto, effigïante
Vive sembianze, quali un dí ritrasse
Pergamo già con maestrevol ago,460
E quali con le spole risonanti
Finsero Memfi e Tiro e Babilonia;
Ben ei giace su molli erbe disteso,
Ove un cavo macigno apresi in antro,465
O dove il salcio al sussurrar de’ venti
Le sue chiome abbandona, e o canne o infisse
Verghe tra loro con corteccia unisce.
Raccomandata a lievi travicelli,
Sta di fronde contesta la capanna,
Che la paura e le seguaci cure470
Non osin penetrare, in cui giocondi
Sensi alimenta nel tranquillo core
E di sonni durevoli conforta
Le sue membra il signor delle foreste

E degli armenti; vigile d’attorno475
È la turba de’ cani, e lo spartano
Audace veltro ed il crudel molosso.
Gli dà fuoco la selice percossa,
Il rio dolci acque, che la mano attinge,
E biade il campo; a lui non cacio o latte480
Fanno difetto, non silvestri cibi;
Alta si leva in su la rupe l’elce
E gli distilla dalla scorza il miele,
E con le rame cariche le ghiande
Gli somministra. Amori suoi le balze485
Sono, i deserti frondeggianti boschi,
Le fredde scaturigini, gli spechi,
Le roride amenissime convalli,
E le forre ed i zefiri, e l’arguto
Gorgheggiar degli augei, le Ninfe, i Fauni490
Ed i piccoli Satiri capripedi,
Pane dal volto rubicondo, e, cinto
Le tempie di cipresso, il Dio Silvano,

E l’antico Sileno ed i Priapi,
Guardïani de’ campi, e Pale, diva495
De’ greggi, e Apollo, che, pastore in Fere,
Rese i luoghi felici, e le Baccanti
Dai capelli discinti, e Bacco, il quale
Nella cornuta fronte i bicolori
Corimbi squassa, e il pampinoso tralcio500
Nella giovine man. L’amore, il canto
E il suon tuttora gli riempion l’alma;
Ognor de’ fiori ei gusta la fragranza
E di Venere i doni, ed il piacere
Ignoto alle città, fonte di vita.505
Questi gli studi in che tranquillamente
Il pastore la sua vita trascorre.

Poscia, allorchéFonte/commento: norm. le stridule cicale
Cominciano a frinir, l’ali vibrando,
E fiera incombe a’ mietitor l’estate,510

Cessa alquanto il lavoro; e, d’una rupe
Stesi all’ombra, si dànno essi bel tempo:
Nel ripieno barile è vin gustoso,
La polenta non manca al latte mista,
Non di giovenca ben pasciuta il coscio,515
Mentre un grato cader d’acque sonanti
E l’aure il crin vanno blandendo e il viso.
Indi all’opere tornano fin tanto
Che le stellanti lucciole la notte
Non escano a chiarir col dorso in fiamma520
E l’uve dolci al labbro ecco ridona
Autunno padre; e il liquido spremuto
Con assiduo pigiar cola dal torchio;
E il fitto sciame de’ fanciulli esulta,
Insolente drappello, e intorno e sopra.525
Prono l’uno con man concava beve,
L’altro dal tino stesso il mosto attinge,

E con labbruzzi crepitanti sugge;
Questo, supino, il grappolo, sospeso
Sul volto, spreme nella bocca, quello530
Del compagno le schiuse avide canne
Irrora, e, asperso di licor, s’insozza
Il mostaccino e il seno; ebbro vacilla
Sovra le piante malsicure il passo.
Al sopraggiunger dell’acuto inverno,535
Quando rigidi pendono i ghiacciuoli
Giú dalle gronde, il fuoco alto divampa
Dalla grande catasta; allora tutto
L’ingenuo vicinato insiem s’accoglie;
E giovani dabbene e austere madri540
Co’ lor duri consorti ed i fanciulli
E la donzella da marito, a veglia
Siedon felici, e ingannano le prime
Ore notturne, e generoso il vino
D’ogni rea cura l’anima disgreva.545

E, a vicenda, tra lor cercan diletto.
La tibia dall’enfiato otre sprigiona
Argute note; or cantano da soli,
Or a tenzone, or vibran le agitate
Bacchette sopra i timpani protesi,550
E percuotono i cembali sonanti,
E danzan lieti, e bronzi urtan con bronzi
E la tromba volubile si sposa
Al grave suono del ritorto corno;
Alto in coro si grida, e scoppian risa.555

E che abbondanza nella piena casa!
Quale dovizia di provvisïoni!
Ché, né i granai dell’annual ricolto
Son capaci, né bastano le botti
All’odorante mosto; e nel frantoio560
Giarra non v’ha che vuota sia. Prosciutti
Pendono giúFonte/commento: norm. dal trave affumicato;

Va carica di grappoli sospesi
Lunga pertica, e non uve appassite
Fanno difetto e prugne e fichi secchi,565
Ciriege e noci dalla dura scorza,
Sorbe e nespole c’han quasi regali
Corone in capo; e, insieme con le pere,
Mele cotogne, d’amatori imbelli,
Che la vecchiaia già sfiorò, conforto,570
E vini cotti, ed onfacin liquore,
E mostarda che provoca le lacrime,
E sicïonie olive preparate,
Di special gusto; ed oltre a questo, sapa,
Fresco miele, lupini mangerecci575
E marroni scoppianti nella brace,
E fiscelle di canne lavorate
Latte stillanti, e funghi secchi: l’orto
Vicin largisce senza spesa i cibi.

D’in su la torre candida, beati580
Ne’ rai del sole, tubano i colombi,
Aprono l’ali, e, supplicanti i baci
Soavi della tenera compagna,
Le girano d’intorno, e nelle bocche
Insertano le bocche. E già nel nido585
Covano alternamente i genitori.
Ecco, schiudonsi l’ova ed agl’implumi
A vicenda ridàn l’esca ingollata,
Empiendone i becchetti spalancati.
E gli animali da cortile aggiungi,590
E, imperatori de’ crestati, i galli,
Che, allegramente dibattendo l’ale,
All’aurora fan festa, che dal sonno
Destano il sol col vigilante canto,
E col pugnare acquistan vigoría;595
Eccoli a fronte, becco contro becco,
L’ire attizzanti con frequenti assalti;

Divampano gli spirti, e sono i colpi
Delle zampe respinti dalle zampe,
Terribilmente; contro i petti i petti600
Cozzano; intorno la vittoria sua
Con lieti gridi il vincitor diffonde;
Ed insultando all’inimico vinto,
Malvagiamente il pavido calpesta.
Tace questo e s’asconde ed al superbo605
Signore il collo di piegar si cruccia:
Sí come è giusto, il vulgo spettatore
Fa al re corteggio; al re splendido, a cui
Ne la test’alta porporeggia eretta
La cresta, e splende il folgorante ciuffo610
Con grato error su la cervice, e veste
L’aurato collo e gli omeri la vaga
Magnificenza delle penne; ha l’ampio
Qual si conviene bargiglion fiammante
Bianchi riflessi; e sul robusto petto615

Gli cade giúFonte/commento: norm. di barba a somiglianza;
Adunco il rostro e breve; i lionati
Occhi saettan con baglior tremendo;
Vaste e candide orecchie esplica il capo;
Sono le gambe ruvide calzate,620
Brevi; munite di robusto artiglio
Le zampe, e l’ali e gl’ispidi lacerti
Stendonsi lunghi smisuratamente;
Alto la curva dipartita coda
Con le arricciate estremità s’aderge.625
Di vigor genitale esuberante,
Tuttaquanta la razza egli feconda,
Ed ora con l’oblunga ugna la terra
Raspando, il cibo si procaccia, or cauto
L’apparir d’una nube all’orizzonte630
Con la pupilla in su rivolta spia:
Lui non assalta la squamosa biscia

Impunemente, ed il rapace nibbio
Dal cielo addosso non gli piomba giúFonte/commento: norm..
Schiamazza intanto la parturïente635
Consorte assidua con l’arguta voce;
La vecchierella allor l’uova raccoglie
E del giorno tien conto, e alla lucerna
L’esplora accorta, e poi della crescente
Luna il tempo aspettando, non sí tosto640
A chiocciare cominci la gallina
In numero inegual glie le suppone;
Questa, poichéFonte/commento: norm. le ha rivoltate a lungo,
Solerte ascolta se mai dentro il guscio
Pigolare il pulcin senta, che lieve645
Col suo beccuccio la leggera scorza
Tenti, e si provi d’uscir fuori. Altrove
Fa l’oca prosperar la biennale
Mèsse delle sue piume, e, ben satolla,
Nella densa palude avida pésca:650

Mentre col molle pièFonte/commento: norm. va remigando
Su per lo stagno l’anitra dal capo
Picchiettato, e, la giovine famiglia
Sollecitando al nuoto, or su l’acque ergesi,
Ed or profondamente vi s’attuffa.655
Della gemmata coda il gran ventaglio
Schiude il pavone, ambizïoso amante.
Ma dall’uccellator tratto in inganno,
Con mentito richiamo, ingrassa il tordo,
Nutrendosi di fichi e di friscello.660
La tortorella sovra un tronco posa,
E nel cibarsi tristamente geme,
Ed infelice a’ dolci amor sospira.
La vedova pernice entro la gabbia
Piange, e si duol la peregrina quaglia.665
Antri segreti qui scava il coniglio,
Qua la pregnante lepre e il cavriolo
Nel vasto chiuso vanno errando insieme
Col cerbiatto e il cinghial dal dente adunco;

Russano ghiri in questa parte, in quella670
Partorisce la femmina del riccio;
Fanno un rumore che concilia il sonno
L’api d’intorno, e pesci prigionieri
In gran copia raccolgono i vivai.
Cosí le membra lor placidamente675
Rinfrancano in siffatte opre i villani,
E a grati studi attendono giocondi;
Maestra è lor la terra, che né il giogo
Di tollerare s’addimostra schiva,
Né di scarsa mercede ricompensa,680
Se mai compenso di frumento alcuno
Al laborioso agricoltor si spetti.

E le sfere sublimi ei pure attinge
Sovra i celeri vanni della mente,
E quale sia la volontà de’ Numi685
Scruta sagace; e quel che si maturi,
E da quali astri, comparendo ovvero

Occultandosi, al sorgere o al cadere;
Ciò che il rapido volgere dell’anno
Rechi col varïar delle stagioni;690
Qual sia d’arar, qual di falciare il tempo;
Ciò che d’Olenio apportino le stelle;
Quale riversi grandine funesta
Lo Scorpione sui colli; di che nembi
Orïon vada carico; quai piogge695
Addensino o il Delfin ch’Arïon preme,
O le Pleiadi, o l’Iadi fanciulle,
O il vecchio Arturo; donde traggan l’erbe
I prezïosi umor; perchéFonte/commento: norm. alle biade
La ruggin noccia ed alle viti il secco;700
Qual cosa valga a sperdere le nebbie,
A tener lungi le tempeste; quale
Sia l’indole de’ venti o la ragione
Onde il nubilo ciel si rassereni;
Quali la notte d’ogni luce muta,705
Quali la mestrua luna indizi rechi,

Sia che piena trascorra, o che di nuovo
A scemar prenda. Previdente, pure
Di leggi perïodiche tien conto,
E del giorno lunar. Sa in ver che adduca710
Il dí settimo, in cui propizïevole
Accolse Delia il fratel suo nascente;7
Anche sa quai prescrivano faccende
L’undicesimo giorno e il dodicesimo:
Onde l’agricoltore, o i velli tosa715
Alla sua greggia, o per le colme biche
Falcia le bionde ariste, ovver la tela
Della moglie apparecchia, da che il ragno
Le pendule sue tele anch’esso ordisce
Nel dodicesmo. È favorevol giorno720
Il tredicesimo a piantar virgulti,
Non a fidare la sementa ai solchi.
Egli pertanto dalle avverse cose
Guardasi, e quello che gli giova affretta.

Onde quali ai connubi e quali ai prati725
Sian dí fausti o nefasti ei non ignora;
E sa quando castrar debbasi il pingue
Capretto; quando chiuder si convenga
Gli armenti dentro gli steccati; quando
Sia il tempo d’apprestare i maritaggi730
E di compirli; in quale giorno il cane
La sua rabbia deponga, e in quale il reo
Malor che fiero gli dilania il petto;
In quale notte a preferenza vada
Errando in volta la malvagia Erinni.735
In designati dí gli alberi ei pota,
Degusta i vini, impone il giogo a’ buoi:
Ed intorno alla regola de’ venti,
Alle piove e al gradevole sereno
L’orto e l’occaso della luna spia:740
Mette mano ai lavori allor che tersa
Brilla nel cielo, ma se poi si corca

Da vapori offuscata, o se nel quinto
Giorno ha i corni diritti ovvero ottusi,
O se non li ha sottili, e se va adorna745
Di triplice corona, ei, timoroso
Della tempesta, si raccoglie in casa:
Se rossa splende, allora i venti attende,
E non s’inganna in preveder con quale
Corno provochi Cintia i boreali750
Euri, con quale susciti gli australi.
Né lascia al sol di chiedere responsi:
Se con raggio inegual la pioggia annunzi,
Se, nascendo, le nubi innanzi cacci,
O se d’un fosco anello ricingendo755
Gli orli estremi, onde erompe, lo ammonisca
Che d’Eolo usciran fuor delle grotte
Fieri i venti. E del ciel studia l’aspetto:
Se stella mai precipiti rigando
L’aer terso, de’ cauri furïosi760

Annunziatrice, ovver se gli astri, consci,
Si velino di súbita caligine,
E seco traggan ruinose piogge;
E indaga ciò che col suo gemin arco
L’iride apporti, o quello che minacci765
Con la bicorne fronte, allor che segna,
Pressoché tinta d’un color, l’eterea
Cupola immensa d’un suo breve giro.
Ora del Cancro specula i presepi,
Or gli aselli di Bacco, e quel che l’Austro770
Prospetta, e quel che all’Aquilone è volto.
E osserva il balenar, del tuono il rombo,
I cieli a pecorelle, il brumal giorno,
E tutto insieme il volgere dell’anno.
Al nocchier similmente egli predice775
I nembi che terribili sui legni
Ruineranno, se l’urlante mare
Per avventura levisi, e spumoso
Lavi gli scogli e contro ai lidi piombi.

Allor per le giogaie alto un fragore780
Pur va, pien di spavento, ed alla riva
Tornan gli smerghi, e stridono sui flutti.
L’aïron stesso, alzandosi sublime,
Sfida le nubi e il ciel; strette in coorti
Scherzan tra lor le folaghe e schiamazzano;785
Ma la volubil rondine di voli
Cinge lo stagno, e quasi rade l’acque;
Mentre la rana gracida, la nera
Cornacchia lenta va lungo la sponda,
O il capo e il collo madido nel fiume790
Attuffa, e con noioso crocidare,
Troppo lenta a venir, chiama la pioggia.
Passan le gru stridendo, e, in lor viaggio,
Rigan le pervie nubi; mal sicuro
Il delfino nell’onde erutta l’acqua795
Dalle narici fuor; gracchiano i corvi
E la voce ringoian; l’operosa

Formica l’ova trae fuor della buca,
Raspa la cagna blandamente il suolo;
Il tardigrado granchio con le morse800
I sassolini abbranca e si zavorra,
Ed alla ripa indi s’attacca; stride
Con malaugurio il topo cattivello
E pesta l’erbe tenere; s’arrampica
La scolopendra dalle cento gambe805
Su per i muri; l’asinella pigra
Scuote le orecchie; pendono dal lume
I putreolenti funghi; ed assetata
Di sangue, torna all’assalto la mosca,
Con la sua tromba punzecchiando il volto.810
Né l’api industri scostansi dall’arnie;
E la brace e la cenere addensate,
Restan sotto la pentola aderenti,
E i carboni tralucono. Non meno
È d’Euro indizio la natante piuma,815

La foglia ch’erra e il cirro che s’innalza,
La fiamma che si flette o che s’estingue,
Che nelle stoppie si dilata appena,
E disprigiona un’umida scintilla.
E voi pure di venti e di tempeste820
Téma abbiate, o pastori, allor che il gregge
Ver’ gli ubertosi pascoli s’avvía
All’impazzata scorrazzando; allora
Che scherzano gli agnelli àlacri, e calci
Impetuosi tra di lor s’avventano,825
Fuggendo a sbalzi, e appuntansi le corna;
O quando a forza, malagevolmente,
Dalla pastura si distaccan; quando
Lo splendore de’ cieli immacolati
Guardano i buoi con la pupilla in su,830
E fiutan l’aria, e traggon dalle nari
Stillanti umori di frequente, e sovra
Il destro fianco godono sdraiarsi
E in contrario lambiscono il pelame,

O con alto muggir sul tardo vespro835
Ritornano e tempestano le stalle;
Quando il porco i manipoli dell’erba,
Non per lui fatti, col grugno scompiglia,
E quando nel suo covo ulula il lupo,
E fiero, senza paventar, piúFonte/commento: norm. accosto840
All’uom si fa, come implorando, ed erra
Qua e là per le campagne coltivate.
Ciel, mare e terra, la natura in somma
Tutta l’agricoltor chiama a consiglio,
Ed al voler delle tutrici stelle,845
Caro ai numi, la sua vita uniforma,
E il presagito nella mente volge,
Con acume il futuro antivenendo.

Tali, o Superi, a me date la vita!
Che ognor poss’io di simili dolcezze850
Goder, bearmi in opere siffatte,

E di beni sí puri aver dovizia!
Questi i miei voti assidui. Né giammai,8
Giammai per fermo al ciel leverò preci,
Onde sulla mia fronte invidïata855
Purpurea benda folgori, e gravoso
Il triregno sul mio capo si levi.

Questo, ozïando, io ravvolgeva in mente
In uno speco della fiesolana
Medicea villa, alla città non lungi,860
D’onde agli sguardi dell’augusto colle
Firenze s’offre e il gran corso dell’Arno;
De la villa, ove placido soggiorno
A me assente il magnifico Lorenzo
E cari agi, non ultimo Lorenzo865
Vanto d’Apollo, e delle sbalestrate
Camene fedel àncora Lorenzo.
Il qual vedrà, se mi conforti i giorni9

Di piú serena pace, il canto mio
Su piú robuste penne alto levarsi.870
Né soltanto le selve ardue ed i monti
Ridiranno i miei canti, ma tu pure
(Cara speranza!) tu, mia dolce altrice,
Que’ carmi a vile non avrai, Firenze,
Madre sebben di piúFonte/commento: norm. nobili vati;875
E la saggia farà copia del dire
A me in triplice lingua eco d’intorno.10

  1. [p. 245 modifica]Milziade, il quale nel 490 a.C. debellò i Persiani in Maratona, villaggio dell’Attica, presso il mare.
  2. [p. 245 modifica]Allude alla nota favola di Progne, figlia di Pandione re d’Atene, la quale, perseguitata dal marito Tereo, fu cangiata in rondine.
  3. [p. 245 modifica]Cfr. la descrizione del giardino di Venere nella Giostra, st. LXXIX.
  4. [p. 246 modifica]Marmo di color verde.
  5. [p. 246 modifica]Mirone era un famoso statuario greco, celebre negli epigrammi dell’Antologia e presso i poeti classici.
  6. [p. 246 modifica]* Pergamo, reggia d’Attalo; Menfi, de’ re egiziani; Tiro e Babilonia grandi produttrici e lavoratrici di porpora e d’altre splendidezze.
  7. [p. 246 modifica]Apollo, figliolo di Giove e di Latona, fratello di Diana, era considerato anche Dio degli armenti, dei campi e delle selve. Per tutti i prognostici riferiti in questa Selva, v. Plinio, Naturalis historia.
  8. [p. 246 modifica]* Singolare questa protesta del poeta georgico (già da sei anni priore; e tre dopo, laureato e canonico) di non voler diventar né cardinale, né papa: singolare ai posteri indiscreti che hanno appunto sospettato in lui qualche ambizioncella prelatizia.
  9. [p. 246 modifica]* Traducono questo verso virgiliano in buona prosa fiorentina i priorati e pievanie e beneficietti senza cura, che il poeta sapeva chiedere e ottenere dai suoi ricchi patroni.
  10. [p. 246 modifica]In greco, latino e toscano.




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