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AMBRA.
Se ne ha una traduzione in versi sciolti, con note (che non mi è stato possibile consultare) del pastor arcade Megete Inopeo (Franc. Battistini), Roma, 1803.
Il Del Lungo, alla cui singolare benevolenza vo debitore ormai di troppe cose, mi avverte che ne esiste un’altra, tenue giovanile lavoro di Francesco del Furia (1777-1856: veggasi di lui Arch. Stor. Ital., Nuova serie, IV, 248 e seg.). L’autografo fu acquistato, poco tempo fa, dall’illustre critico fiorentino, il quale si è compiaciuto comunicarmelo.
* Questa selva omerica prende titolo, come due di Stazio (I, iii,; II, ii), da una villa signorile. Se non che le staziane hanno veramente per soggetto la descrizione delle ville Tiburtina e Surrentina; qui solamente conchiude con le lodi della medicea di Poggio a Caiano, che piú brevemente si diceva e si disse poi il Poggio. Il palazzo fu, sull’antico, edificato da Lorenzo, che celebrò anch’egli quel luogo di delizie sotto il poetico nome di Ambra nelle stanze cosí intitolate. Ambra in sul Poggio a Caiano era il nome antico del luogo; derivatogli da un fossatello lí presso, che insieme con l’Ombrone (il piccolo Ombrone, tributario dell’Arno) formano una piccola isoletta; e il fossatello e l’isoletta si chiamavano Ambra. Degno specchio d’Omero la giudicò il Gravina (Ragion poetica, I, 39). E sola delle quattro piacque allo Scaligero (Poët., VI), che in questa omerica sentí piú ricca la invenzione e piú rotondo lo stile che non nella virgiliana Manto.
Per le altre savie cose dette dal Del Lungo intorno a questa selva, leggasi il seguito della nota che io ho trascritto solo per metà, a pag. 333 e 334 del suo Commento.
Pag. 96, v. 22 sgg.
Paragona la virtú della poesia sugli animi dei lettori alla potenza della calamita sul ferro (pietra eraclia o magnete da Eraclea e Magnesia, città della Lidia, dove fu trovata). A questa induzione magnetica, com’oggi si chiama, accenna il Poliziano anche nella selva Nutricia (vv. 307-311).
Pag. 98, v. 56 sgg.
In Omero: Iliade, lib. I, vv. 423-25:
Perocché ieri in grembo all’Océano
Fra gl’innocenti Etïopi discese
Giove a convito, e il seguîr tutti i Numi.
(Vers. del Monti).
* Gli Etiopi erano ai Greci tipo di popolo giusto e perfetto. L’Oceano e Teti, generatori de’ fiumi e delle Ninfe, figli del Cielo e della Terra. Da Teti, nacque Dori; da Dori, Tetide, madre d’Achille.
Pag. 99, v. 82.
Vogliono alcuni che Plutone non avesse l’elmo; il nostro ebbe per fermo qui in mente il verso 845 del V dell’Iliade:
. . . . . In arrivar, si pose
Minerva di Pluton l’elmo alla fronte,
Onde celarsi di quel fero al guardo.
((Vers. del Monti).
Pag. 100, v. 85 sgg.
Giano si raffigurava con una chiave nella sinistra come custode dell’universo: con la destra faceva il computo degli anni trascorsi.
Pag. 100, v. 88 sgg.
Vulcano, com’è noto, in odio al padre Giove perché sí mal composto, fu da lui con un calcio gettato dal cielo sulla terra, onde rimase zoppo. Di Saturno si sa che era rappresentato con i piedi costretti in strisce di lana, le quali gli erano tolte soltanto nelle sue feste (Saturnalia), che si celebravano per varî giorni nel dicembre, dopo aver consegnato alla terra la sementa del grano. Tutti attendevano a darsi bel tempo, a far conviti, a giocare, a regalarsi a vicenda: le scuole, i tribunali, le botteghe erano chiuse.
Può essere che si trovi a ridire sul compes, reso con la parola calzare. Se cosí fosse, non rimane che sostituire, a quello ora esistente, il verso che segue: Ma di lana la fascia ond’ha il pie’ stretto, ecc.
Pag. 102, v. 124. sgg.
Ecco la favola: Ino, figlia di Cadmo, tebano, era moglie di Atamante re d’Orcomeno, a cui ella aveva partoriti Learco e Melicerte. Essa prese a educar Dionisio figlio di Semele sua sorella, della qual cosa adiratasi Era fece andare in frenesia Atamante. Questi, negli eccessi di furore, uccise Learco, e perseguitò Ino e Melicerte, ond’ella insieme col figlio si gettò in mare, e ambedue, per mercé di aver allevato Dionisio, furon elevati al grado di Dei marini. (V. Manuale della religione e mitologia dei Greci e dei Romani di E. G. Stoll; Firenze, Paggi, 1866, pag. 116, 7.)
Pag. 102, v. 130 sgg.
Non ci è quasi poeta antico, annota il Del Lungo, cominciando da Omero, che non abbia fatto pianger Tetide pel suo Achille, ucciso da Paride coll’aiuto di Apollo.
Tetide è una delle Nereidi piú ragguardevoli: fu allevata da Era, e, contro sua voglia, data in moglie a Peleo, mortale. Ambivano la sua mano Zeus (Giove) e Posidone; ma, avendo presagito Temi che il figlio di lei sarebbe divenuto piú grande del padre, ne deposero il pensiero. Allorché Zeus corse pericolo d’essere legato dalla moglie Era e dal fratello Posidone, Tetide fece venir su dal mare Briareo, dalle cento braccia, il quale spaventò i congiurati. Questi brevi accenni servano in qualche modo a chiarire le allusioni mitologiche del Poliziano.
Pag. 104, v. 166.
È qui rammentata la strage dei Niobidi. Niobe, moglie di Anfione re di Tebe, altiera per la sua numerosa prole ardí paragonarsi con Latona che aveva due soli figli. Per questo furono i suoi figlioli uccisi da Apollo e da Latona o Artemide. Presa la sventurata madre da acerbissimo dolore, indurí e divenne un masso delle rupi solitarie di Sipilo. Il famoso gruppo di Niobe, in marmo, attribuito a Prassitele ed appartenente al tempio di Apollo, fu trovato a Roma nel 1583: è ora nel museo di Firenze.
Pag. 106, v. 199.
Sarpedonte, figliolo di Giove e di Laodamia, re di Licia, ucciso da Pàtroclo (Iliade, XVI):
Ned occhio il piú scernente affigurato
Avría l’illustre Sarpedon: tant’era
Negli strali, nel sangue e nella polve
Sepolto tutto dalla fronte al piede.
(Vers. del Monti).
Pag. 106, v. 209.
Memnone fu ucciso da Achille.
Pag. 107, v. 220 sgg.
Per la migliore intelligenza del passo, tolgo dal Commento del Del Lungo, poiché a me, come già dissi, non fu possibile rinvenire il libro, le seguenti note apposte all’Ambra dal pastor Arcade Megete Inopeo: “Si dice che Achille presso l’Inferno, nelle isole de’ beati, prese per moglie Medea, figlia d’Eta, re di Colco e d’Idia. Eta era figlio del Sole; Idia poi è un’isola dell’Oceano nel Porto Eusino. Nell’isola di Leuce si dava ad Achille per seconda moglie Elena, con la quale credevasi che si facesse vedere nel bosco a lui consacrato.
Pag. 111, v. 292 sgg.
Cfr. La Giostra, lib. I, st. II.
Questa con ambe man le tien sospesa
Sopra l’umide trecce una ghirlanda
D’oro e di gemme orïentali accesa:
Questa una perla agli orecchi accomanda:
L’altra al bel petto e ai bianchi omeri intesa
Par che ricchi monili intorno spanda, ecc.
Pag. 113, v. 328 sgg.
Smirna era una delle Amazoni, moglie a Tereo. La città, che sorgeva da prima sotto il monte Sipilo, accolse Criteide incinta di Omero per opera del Dio fluviale Melete, e ivi diede in luce il divino poeta. Ma ben undici città dell’Asia si contesero la gloria di avergli dato i natali, tra le quali: Chio, Colofone, Itaca, Pilo, Argo e Atene.
Pag. 117, v. 393.
Calamo, figlio del fiume Meandro, amò Carpo, vaghissimo giovane. Mentre Carpo si trastullava in quelle acque, sorpreso da un’improvvisa tempesta, vi restò annegato. Calamo, addoloratissimo di ciò, non volendo sopravvivere all’amico, si precipitò nel fiume paterno, e vi si sommerse. Calamo fu cangiato in canna e Carpo in frutto. (Meg. Inop.).
Pag. 119, v. 4.28.
* Prende Achille nel momento piú sublime della sua ira; quando rappacificato con Agamennone rientra in battaglia, cercando Ettore a vendetta dell’amico diletto; e quello sottrattogli da Apollo, si rovescia contro gli altri Troiani, “d’ogni parte furibondo trascorrendo con l’asta pari a un Dio„.
Pag. 121, v. 472 sgg.
* Dà principio alla compilazione dell’Iliade. Ire tra Achille e Agamennone, nel campo greco desolato dalla pestilenza per avere Agamennone ritenuta la figlia di Crise sacerdote di Apollo. Calcante augure (figlio di Testore) rivela, a istigazione di Achille, la cagione della pestilenza: Agamennone si rovescia contro ambedue, chiedendo in cambio di Criseide la Briseide d’Achille, cosí che questi già pon mano alla spada se Minerva noi trattenesse. Nestore procura invano pace fra’ due capitani. Achille si ritira dal consiglio e dalla guerra, fremendo della donzella perduta; ed è consolato da Tetide, che gli promette e gli ottiene da Giove, a dispetto di Giunone, di ridurre l’esercito greco a mal partito co’ Troiani assediati; lib. I. Eccitato a battaglia da un falso sogno, mandatogli da Giove, Agamennone, radunati i Greci, finge, per tentarli, di voler levar l’assedio e rimpatriare. Il campo, da quest’annuncio commosso, già si dispone a partire; e a stento lo trattengono Ulisse e Nestore; quegli con preghiere e minacce, e busse alla linguaccia di Tersite, e con la memoria del prodigio d’Aulide, de’ nove uccelli divorati da un dragone poi pietrificato, dimostrazione dei dieci anni fatali dell’assedio troiano; questi, rammentando i voti fatti ed i segni avuti di favore celeste e mostrando vicina la caduta della città, si preparano al combattimento i Greci, primeggiando fra essi, per singolar dono di Giove, Agamennone. Catalogo delle navi greche, poi delle milizie troiane: premessa la invocazione delle Muse; II. Essendo i due eserciti a fronte, Paride, prima fuggente dinanzi a Menelao, rampognato da Ettore, si offre di venire con l’Atride al paragone delle armi, e da quello decidere qual de’ due s’abbia Elena, cagion della guerra. Se ne fanno patti solenni: ma, cominciato il duello, e, avendone Paride la peggio, Venere avvoltolo in una nube lo trasporta tra le braccia di Elena: III. Quando già, richiedendo Agamennone Elena, sarebbe finita la guerra, il Troiano Pandaro, per consiglio de’ Numi che vogliono la rovina di Troia, ferisce di saetta Menelao vincitore: e se ne attacca improvvisa, sanguinosa battaglia. IV. Si combatte con varia fortuna, mescolandosi di qua e di là gli Dei: mirabile prova di Diomede, il quale, mentre dall’altra parte combattono Ettore e Sarpedonte, mena strage de’ Troiani e osa ferire Venere e Marte stesso; V. Glauco e Diomede, incontratisi per combattere, si riconoscono ospiti e si cambian l’armi. Intanto in Troia, per consiglio d’Ettore e degli altri principali, le matrone recano il peplo votivo all’altare della nemica Minerva. Ettore, rientrando in battaglia incontra Andromaca, sua donna, e il fanciullo Astianatte e dice loro addio; VI. Ettore, rientrato in battaglia, sfida i piú valorosi dei Greci; di questi la sorte elegge Aiace Telamonio, che gli sta a fronte lungamente con pari valore. La notte pone fine alle armi; ne’ due campi si fa adunanza, e i Greci cingono il loro di una trincea; VII. Giove, vietato agli Dei d’intervenire nella guerra, pesa le sorti de’ Troiani e de’ Greci; e annunzia a questi con la folgore sciagure: i quali, riprese le armi, dopo vicende diverse, sono respinti nella trincea: accanto a quella i Troiani, guidati da Ettore, si accampano e accendono fuochi; VIII. Atterrito Agamennone del pericolo imminente, parla di fuga. Gli altri capitani gli fan cuore, e propongono un’ambasciata ad Achille perché torni alle armi: la quale riuscendo a vuoto, Diomede li conforta che faranno da sé; IX. Vegliando in gran sospetto Agamennone co’ suoi, spediscono esploratori nel campo troiano Ulisse e Diomede: i quali, incontrato Dolone, spia de’ Troiani, dopo presane notizia del campo nemico, lo uccidono; poi vanno alla tenda di Reso, re di Tracia, al quale, uccidendo pure lui e dodici de’ suoi, rapiscono (com’era voluto dai fati per la rovina di Troia) i cavalli. E salvi se ne tornano; X. Il giorno dipoi, attaccata la pugna, sconfitti in principio i Troiani, poi rincorati da Ettore, cacciano i Greci dentro il campo; e, incalzandoli, già sono per superare il muro fieramente difeso dai piú valenti de’ Greci. Ettore, lanciando un gran sasso, apre finalmente la via alle navi. Strage dei Greci, che pur seguitano entro il campo la difesa, e tengon fermo validamente; aiutati di nascosto da Nettuno, come i Troiani da Giove. Giunone, per dar agio maggiore a Nettuno, vestito il cinto di Venere e con l’aiuto del Sonno, addormenta Giove nelle sue braccia. I Troiani vengono con strage ributtati; finché Giove svegliatosi, sdegnato rinnova la loro fortuna: e già Ettore e i suoi sono col fuoco alle navi greche, alla cui difesa combatte eroicamente Aiace maggiore; XI, XII, XIII, XIV, XV. Intanto, dopo lunghe preghiere, Patroclo (nipote d’Attore), ottenute da Achille le sue armi e i cavalli, spaventa i Troiani; i quali, credendolo l’eroe, fuggono innanzi a lui dalle navi pericolanti. Patroclo, contro la raccomandazione d’Achille, li insegue in campo aperto, uccide Sarpedonte e mena strage fino alle porte di Troia: dove, conquiso da Apollo, ferito da Euforbo, Ettore lo uccide; XVI. Sul cadavere, disarmato, di Patroclo è da Menelao ucciso Euforbo (figlio di Pantoo) e si combatte accanitamente perché i Troiani nol rapiscano a’ Greci; ai quali rimane. E seguita la battaglia; XVII. All’annunzio della morte di Patroclo, Achille si scuote. Il solo suo affacciarsi dal muro, caccia via spaventati i Troiani, che rimangono accampati fuori della città. Tetide consola il figlio nel dolore immenso per la morte dell’amico, e gli procura da Vulcano nuove splendidissime armi. Egli si riconcilia con Agamennone; ed entra in battaglia; XVIII, XIX. Giove, perché Achille non affretti l’eccidio di Troia, dà licenza agli Dei di combattere, ciascuno per la parte che piú gli piace; gli Dei scendono alla battaglia, e Achille combatte con Enea e con Ettore; ambedue sottrattigli dagli Dei. Furibondo si rivolta sugli altri Troiani, e ne fa orribile scempio. Il fiume Xanto, pieno di cadaveri, avvolge nelle sue onde Achille; il quale è salvato da Giunone, che manda Vulcano a bruciare il campo e il fiume. Battaglia di Numi: Minerva contro Marte e Venere; Apollo contro Nettuno; Giunone contro Diana. Infuriando tuttavia Achille, Apollo lo svia per inganno, acciò i Troiani possano salvarsi in città. Solo rimane fuori (tale è il fato) Ettore; XX, XXI. Fugge al venire d’Achille. Giove libra le sorti, e pronuncia la morte di Ettore. Consigliato da Minerva, questi si rivolta al nemico; e combattono. Ettore è ucciso e trascinato da Achille intorno alle mura, presenti i genitori; XXII. Funerali solenni a Patroclo; XXIII. Il corpo d’Ettore, tuttavia straziato dall’implacabile Achille, è poi reso da lui a Priamo, che viene nella sua tenda a supplicarlo e recargli il prezzo del riscatto. Ne’ funerali solenni di Troia ad Ettore si chiude il poema; XXIV.
Pag. 131, v. 649.
Telegono, figlio di Ulisse, uccise in conflitto, senza saperlo, il padre, di cui andava in traccia, con un’asta, la quale aveva la punta di tartaruga marina detta pastinaca.
Pag. 133, v. 686 sgg.
* L’Odissea: Ricongiunge alla guerra iliaca le gesta d’Ulisse, innanzi d’enumerar quelle che sono soggetto del poema; giovandosi del ricordo che ne fa Menelao a Telemaco andato da lui in cerca del padre: la sua presenza nel cavallo di legno introdotto da Sinone; l’aver egli preso per la gola Anticlo d’Ortigia, che non rispondesse di là dentro alle voci d’Elena, presenti i Troiani; dopo l’eccidio di Troia, il naufragio sofferto dall’armata greca al promontorio di Cafareo, dove fu fulminato da Pallade Aiace d’Oileo, e d’onde camparono Agamennone ed esso Ulisse. Il quale, spinto dal vento al paese de’ Ciconi alleati di Troia, dopo saccheggiata la lor città, n’è respinto con perdita de’ suoi; approda in Libia, presso i mangiatori del dolce loto; poi in Sicilia, dove si libera dal terribile antro del ciclope Polifemo; in Eolia, dove riceve da Eolo chiusi in un otre i venti; a Lamo, città de’ Lestrigoni, dove Antifate gli divora compagni e gli fracassa navi; all’isola Eèa, dove Circe, tramutati in bestie i compagni, lo trattiene seco; va alle foci d’Averno, fra i popoli Cimmerii, spintovi da Mercurio a consultar l’ombra di Tiresia (figlio d’Everro) e offrir sangue di vittime ai Mani; erra per le acque di Sicilia, premunito da Circe contro la voce delle Sirene, e scemato di sei compagni nel passare fra i mostri Scilla e Cariddi; tocca la Sicilia, donde è cacciato dal Sole, a cui la Ninfa e figlia Lanipezie, riferisce degli armenti uccisigli dai compagni di lui: i quali Giove, per punizione, sperde in naufragio, solo Ulisse salvandosi all’isola Ogigia, ospitato dalla ninfa Calipso, figlia d’Atlante. Tutte queste avventure racconta da sé l’eroe nella reggia d’Alcinoo. Egli s’era partito, dopo lungo soggiorno, da Calipso, e novamente era stato da Nettuno travolto a pericolo di morte; dalla quale l’aveva salvato la Dea marina Leucotea, traendolo alle spiagge dell’ospitale Corcira, dove il re Alcinoo lo accoglie magnificamente. Alcinoo lo rinvia alla sua Itaca; la nave che ce lo ha accompagnato, al ritorno è convertita, verificando un antico oracolo, in sasso; Ulisse tornato in Itaca, trova la sua casa invasa dai proci. Adopera sottili arti a danno di essi e in prova della fedeltà di sua famiglia; finché insieme col figlio uccide i proci a colpi di freccia, e ritorna padrone della propria casa.
Pag. 136 v. 737.
Omero, nell’Odissea:
Cosí detto, Minerva ai poggi ameni
Risalí dell’Olimpo, ove han tranquilla
Sede i Celesti; ché furor di venti
Mai non lo scuote, né la pioggia il bagna
O ingombrano le nevi. Ivi sereno
È l’aer sempre, né mai nube il turba,
E una candida luce lo rischiara
Che i santi numi eternamente allegra.
(Vers. del Màspero).
Pag. 136, v. 739 sgg.
Dopo avere il Poliziano rilevata la straordinaria ricchezza della poesia omerica, e dettala fonte d’ogni arte e scienza, segue celebrando la doviziosa varietà del suo stile. Accenna alla retorica, alla filosofia mitica e naturale del Poeta (principi universali delle cose, lotta e pacificazione degli elementi, rivoluzione degli astri e loro influenza, eclissi, terremoti, venti, folgori, pioggia, lampi, tuono; Dio, sua essenza, potenza, provvidenza; immortalità dell’anima, metempsicosi); alla filosofia morale (ragione, passioni, affetti, virtú, vizi, umane vicende); alla scienza politica e militare; alla musica e aritmetica; alla divinazione e alla medicina; alla poesia tragica, comica, amorosa, epigrammatica; alle arti del disegno ispirazioni in Omero: chiude le lodi del divino poeta col racconto degli onori resi alla sua memoria, notando come fosse oggetto di culto speciale presso gl’Indiani, che cantavano i suoi poemi tradotti nella loro lingua, e Alessandro Magno, il quale, è noto, ne custodiva le opere in preziosi cofani, consultandolo nelle sue spedizioni, e tenendolo sotto il capezzale.
Pag. 136, v. 752.
Celebre per la bellezza e dolcezza del clima e per la feracità del suolo, che la favola le attribuisce, per essere stata irrigata da una pioggia d’oro.
Pag. 144, v. 896.
Lorenzo Lippi ha un epigramma su questo argomento, cosíFonte/commento: norm. tradotto da Arnaldo Bonaventura nel suo bel volume: La Poesia neo-latina in Italia dal sec. XIV al presente: saggio e versioni poetiche. Lapi edit., 1900.
Scolpí la man di Fidia l’aspetto di Giove. — E il modello? — gli chieser. — Tale, disse, lo fece Omero.
Pag. 146, v. 926.
Zoilo, grammatico e critico, fu cosí aspro censore di Omero da esser soprannominato ὅμηρομάστιγος (flagello di Omero). Tolomeo Filadelfo, re d’Egitto, grande protettore degli studi e ammiratore del sommo poeta, vendicò la gloria di lui, facendo, secondo alcuni, crucifiggere il detrattore insolente, secondo altri lapidarlo o bruciarlo vivo a Smirne, presso cui scorre il Melète. V. rispetto alla favola sulla nascita di Omero i v. 325 sgg. di questa Selva.
Pag. 147, v. 936 alla fine.
Conclusione. Descrizione della meravigliosa villa medicea del Poggio a Caiano costruita dal Magnifico, il quale pure la celebrò con le note stanze “Ambra„, e in cui, secondo il Del Lungo, pare scrivesse il Poliziano la presente Selva. Amenità del sito, reso piú attraente dall’abbondanza delle acque derivatevi e dal vario e straordinario numero di animali nostrani e forestieri fatti venire dai luoghi piú remoti. Vedi per maggiori particolari le note del Del Lungo.