< Le Selve Ardenti
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Capitolo V
Lord Wylmore
IV VI

Capitolo V.


Lord Wylmore.


Non si trattava di una vera scialuppa o baleniera, bensì d’uno di quei canotti indiani fabbricati con arte impareggiabile, di larghe scorze di betulla montate su un leggerissimo scheletro e maestrevolmente impeciate colla resina dei grandi pini.

Tali barche, usate da tutte le tribù indiane del nord, sono così maneggevoli, che si possono condurre fino sull’orlo delle rapide senza che l’abisso turbinoso le inghiotta.

Certo, ci vogliono quei rematori insuperabili i quali, invece di servirsi dei lunghi remi della marina, usano corte pale molto larghe e che non hanno più di due metri di lunghezza.

Le affondano recisamente, anche quasi nelle gole delle cateratte, ed adoperano una trazione così violenta, da eguagliare quella formidabile dell’elica.

I due misteriosi cacciatori, vecchi cacciatori certamente, che sapevano percorrere i fiumi, abitati da grosse bestie acquatiche, avevano messo dinanzi al canotto, a due metri dalla prora, una specie di scudo quadrato formato d’un pezzo di corteccia di betulla, dinanzi al quale avevano piantato una torcia d’ocote dalla fiamma vivissima e brillantissima quanto quella d’una moderna lampada ad acetilene.

I cigni colpiti, o meglio acciecati da quella luce che serpeggiava e scintillava fra le acque turbinanti della riviera, non potendo scorgere i cacciatori nascosti dietro allo scudo, si lasciavano ammazzare tranquillamente, mentre il giorno è difficile che si lascino prendere.

Hanno il volo pesantissimo, ma sono così sospettosi, che è quasi un caso che un destro cacciatore possa colpirne uno, nemmeno in una mattinata nebbiosa.

Invece, cacciati di notte, col sistema indiano, si lasciano prendere come le nostre allodole. Si direbbe che il fuoco faccia su quei grossi acquatici l’effetto degli specchietti.

I due cacciatori, quantunque fossero bene informati che la penisoletta era piena di bestie feroci, vi erano tranquillamente sbarcati.

Dovevano aver fatto buona caccia, perchè il loro canotto era carico quasi da affondare.

Erano due uomini di alta statura, uno massiccio come la punta d’una roccia, seminudo malgrado il freddo intenso, poichè non portava che un paio di calzoneros alla messicana molto scotennati, che mostravano dei mocassini discretamente bianchi, capigliatura e barba ed una grossa ciarpa di lana al collo.

L’altro invece era pure alto ma più smilzo, con capigliatura e barba biondastra cosparsa di abbondanti fili d’argento.

Indossava uno strano costume mezzo europeo e mezzo indiano, perchè i suoi calzoni erano neri e invece la sua casacca era di pelle gialla appena conciata e adorna di vezzi di perle che dovevano avere un bel valore.

John ed il signor Devandel, vedendoli, non avevano potuto frenare un gesto di stupore. La luce della torcia si proiettava benissimo sui due uomini, e non vi era caso d’ingannarsi.

― Sandy-Hook! — aveva esclamato l’indian-agent. — Che cosa fa qui quell’uomo, mentre avrebbe dovuto riposarsi tranquillamente nella sua Marylandia dopo l’ultima insurrezione di questi cani di Sioux?

Lord Wylmore! — aveva esclamato invece il signor Devandel. ― Che quel maniaco abbia proprio giurato di sterminare tutti i bisonti che passeggiano sul continente americano del gran nord? Che non sia ancora guarito del suo spleen?

― Dite della sua bisontite acuta, signor Devandel, ― rispose John. ― vediamo che cosa sanno fare quel celebre bandito e quel pazzo di lord.

— Si direbbe che si preparino a darsi dei pugni.

― Non mi stupirei. Il lord è testardo, e lo svaligiatore delle corriere di California non ha mai avuto troppa pazienza, che io sappia.

Sono sei anni che non lo incontriamo, ossia dall’ultima levata di scudi di Sitting-Bull e dei suoi Sioux, ma non deve essere cambiato. ―

I due uomini si erano messi di fronte l’uno all’altro, e quantunque sotto le boscaglie della penisoletta, orsi, lupi, giaguari e coguari avessero già cominciato ad urlare minacciosamente, malgrado la presenza della giovane indiana, presero una posa da consumati pugilatori.

― Ebbene, milord, ― disse il bandito con un sorriso ironico ― volete la vostra solita lezione?

— Sì, perchè io volere vincervi.

— Un allievo di Kalcraff? Mai, milord!

— Io avere questa speranza, come avere speranza di prendere il cuore di Minehaha.

— Di quella selvaggia! Voi diventate di giorno in giorno più pazzo.

— Allora io prenderò quello della donna che addomestica tutte queste brutte bestie.

— Siete pazzo, vi ripeto.

— Voi dirmelo sempre, e scordarvi che io essere un autentico lord inglese.

— Possono impazzire anche quelli, signor mio.

— I lords? Oh, mai!

— Sono dunque fabbricati di carne e di ossa diverse dalle nostre?

— Certo, brigante!

— E continuate ad offendermi?

— Voi chiamarmi sempre pazzo. Io ripicchiare.

— Per farmi arrabbiare?

— Io volere gettarvi giù.

— A suon di pugni?

— Sempre.

— Avete la pelle d’un coccodrillo, milord, — disse il bandito. — Tutte le mattine vi tambusso maledettamente, ed ecco che il giorno dopo, siete più in gamba del giorno innanzi.

Io non ho mai incontrato, durante la mia vita avventurosa, un uomo resistente come voi. Eppure ne ho atterrati degli uomini, quando scorrevo la bassa prateria!

— Quegli uomini non erano milords inglesi.

— La finite?

— Io essere pronto.

— Per la solita lezione mattutina?

— Io mostrare alla donna rossa che ammaestra le bestie, come sono forti gli inglesi.

Milord, cambiatevi la testa o meglio il cervello.

— È ben chiuso.

— Corpo d’una balena! In guardia allora! Ma comincio ad essere stanco dei vostri insopportabili capricci.

— Io avere sempre sterline per pagare voi, brigante, e chèques da scontare.

— Non mi lagno, io: voi pagate come un gran signore, e le vostre sterline cominciano a pesarmi.

— Voi gettarle nella rapida.

— Io non essere un milord, — rispose il gigante. — Non posseggo castelli, nè in Irlanda, nè nel Gallese. Picchiamoci dunque finchè le bestie se ne stanno tranquille.

— Pronto — rispose il lord, mettendosi rapidamente in guardia coi pugni all’altezza del viso.

— Quell’uomo è proprio pazzo! — sussurrò il signor Devandel in un orecchio dell’indian-agent — Come mai quei due uomini dopo l’ultima insurrezione degli Sioux si trovano in questo paese quasi deserto? Sapreste dirmelo, John? —

Il vecchio scorridore di prateria mise una mano sulle spalle della giovane indiana, la quale pareva pronta ad interrompere quella strana disputa, e coll’altra prese per il collo Curlam, stringendolo assai forte come per avvertirlo di non abbaiare.

Intanto il famoso svaligiatore delle corriere della California ed il maniaco inglese si erano messi in guardia, l’uno di fronte all’altro, a pochi passi dal canotto già così carico di cigni, da affondare o quasi.

L’aurora sorgeva allora. Il cielo lentamente s’imporporava, e la luce si diffondeva dolcemente sulla grande riviera del Lupo sempre scrosciante.

— Lasciamoli fare, — aveva detto l’indian-agent al signor Devandel. Uno è un gran birbante e l’altro un gran pazzo. Ci presenteremo al momento opportuno.

— Siete pronto, milord? — chiese in quel momento il bandito.

— Io avere freddo.

— Io vi scalderò a suon di pugni.

— Io amare la boxe. Voi essere grande maestro. Quando io ritornare in mia patria volere vincere tutti i lords della Camera dei Pari.

— Sono dei facchini quelle persone.

— Voi essere un asino.

— Ah, mi offendete? Prendete questo, milord. —

Il pugno chiuso del bandito, un pugno enorme che sembrava una mazza da fucina, colse in pieno petto l’inglese, il quale in quel momento non si teneva in guardia.

— Aho! — esclamò andando a gambe levate. — Voi picchiate forte questa mattina, mister.

— Quando vi persuaderete, milord, che io non sono un uomo da abbattersi a chiacchiere?

Volete la rivincita?

— Certo, mister.

— Che pelle avete? Siete corazzato come una tartaruga.

— Io essere inglese.

— Corpo del Grande Spirito delle pelli-rosse, anche gl’indiani si buttano giù a furia di pugni!

Voi siete proprio pazzo.

— Un lord? Aho! Voi, sì, essere pazzo.

— Volete che continuiamo la lezione?

Yes.

— Che il diavolo vi porti! È vero che pagate, ma sono già abbastanza seccato di ammaccarvi tutte le mattine le costole o su questa o sull’altra riva del fiume.

— Costole dure, è vero, mister?

— Non ne avevo mai trovate di così resistenti, eppure batto senza riguardo.

— Io volere questo.

— Perchè?

— Per diventare boxers ― rispose l’inglese, il quale si era già rialzato. ― Quando io tornare in patria rompere muso a tutti i lords della Camera dei Pari.

Aho! Che festa!

— Dei pazzi!... Chiameranno degli infermieri, vi metteranno una camicia di forza e vi porteranno di peso ad un manicomio.

— Un lord? Io avere molti castelli e molte sterline. Io essere inglese.

— Lo so a memoria ― rispose il bandito. — Badate che gli orsi grigi e neri sembrano stanchi di questo spettacolo e che pare si preparino a leccarsi i baffi.

— Io avere mia carabina.

— Sbrighiamoci, milord: io ne ho abbastanza dei vostri capricci.

— Io pagare lezioni di boxe.

— E io non essere vostro servo — rispose Sandy-Hook. — Orsù, finiamo la nostra lezione.

Siete pronto?

— Sempre. —

Si erano rimessi in guardia, mentre tre o quattro orsi, malgrado i cenni imperiosi della giovane indiana, a poco a poco si accostavano ai pugilatori sbadigliando, o meglio fingendo di sbadigliare.

Lord Wylmore, più cocciuto che mai, si scagliò addosso al bandito colle pugna tese, sperando forse di sorprenderlo.

Ma Sandy-Hook, allievo del famoso Kalcraff, non era uomo da cadere in un agguato.

Le sue mani rotearono un momento con rapidità vertiginosa ed un pugno tremendo piombò novamente sull’inglese, quasi all’altezza del collo, e lo stese a terra per la seconda volta.

Gli orsi manifestarono la loro soddisfazione con grugniti poco promettenti e fecero un altro passo innanzi.

— Scappate, milord! — gridò il bandito. — Vengono a divorarvi ed a mettere fine alle vostre pazzie. —

L’inglese, invece di obbedire, si allungò sul terreno, stropicciandosi energicamente la parte colpita.

Pareva non si fosse nemmeno accorto della presenza di quei cinque o sei bestioni, ne avesse udito i loro fremiti.

La giovane indiana per altro era balzata prontamente dinanzi alle belve, mentre John ed il signor Devandel, con una mossa fulminea, tagliavano la ritirata al bandito, frapponendosi fra lui e il canotto.

— Buon giorno, mister Sandy, — disse l’indian-agent con accento un po’ ironico. — Che cosa venite a cercare qui? Non vi sono nè treni nè corriere da svaligiare sulla riviera del Lupo. —

Il bandito, udendo quelle parole, si era arrestato di colpo ed aveva impugnata la lunga navaja spagnola che teneva nella larga fascia di lana rossa, aprendola con un colpo secco.

— Chi siete? — tuonò mettendosi subito in guardia, come se dovesse impegnare lì per lì un duello.

— Sono cinque anni che non ci vediamo, mister Sandy, dall’ultima insurrezione degli Sioux, tuttavia dovreste ricordarvi dell’indian-agent.

Mister John! — gridò il bandito, lasciando cadere la navaja e tendendo la destra.

— E questo signore lo conoscete?

— Fulmini di Satana? Il signor Devandel, il figlio dello scotennato.

Che cosa fate qui, signori?

— Sarei curioso di sapere prima per quale motivo vi si trova così lontano dalla bassa prateria, mister Sandy, — disse il capitano.

— E sempre insieme a quel pazzo, affetto da una bisontite inguaribile — soggiunse l’indian-agent.

Il bandito scoppiò in una risala così fragorosa da far indietreggiare perfino gli orsi.

— Ma che!... Non pensa più ai bisonti — disse poi. — Mi si è appiccicato ai fianchi, perchè si è follemente innamorato di Minehaha, e poi perchè vuol ritornare in Inghilterra boxer di prima forza.

— Anche voi seguite Minehaha? — chiese John con vivo stupore.

— Certamente! Dalla sua cattura dipende la mia grazia e la mia fortuna, ora che il governo dell’Unione ha messo una taglia di diecimila dollari sulla testa di quella famosa Scotennatrice.

Perchè, signor Devandel, la grazia non me l’hanno affatto accordata, sebbene me l’avessero promessa per la vostra liberazione, e così non sono potuto ritornare nella mia Marylandia.

D’altronde ora poco m’importerebbe. Mia madre è morta. —

Un rauco singhiozzo lacerò la gola del terribile bandito, mentre i suoi occhi si velavano di pianto.

— Orsù, — disse poi — vi ritornerò colla capigliatura di Minehaha e coi diecimila dollari, e finirò la mia vita avventurosa come un onesto piantatore di cotone.

— La capigliatura di Minehaha, avete detto? — chiese l’indian-agent. — Ah, no, signor mio, quella appartiene a me, e non la cedo a nessuno.

Contentatevi del premio: quello ve lo lascio volentieri.

— Tuoni di Giove! Mister John, mi ero proprio dimenticato che la figlia di Nube Rossa porta sul suo scudo di guerra la vostra capigliatura.

— Voi precedete forse le truppe del generale Miles? — chiese il signor Devandel.

— Quelle del generale Farsythe; ma sono ancora ben lontane. Gli Sioux sono stati più lesti dei nostri, e sono entrati nel Nebraska senza nemmeno impegnare un combattimento. Sitting Bull non è più con loro, ma sono comandati da un altro capo famoso, il Grosso Piede.

Se non si fosse ammalato, a quest’ora tutti gli ultimi guerrieri, sfuggiti a tanti combattimenti, si troverebbero nel dominio inglese, in marcia verso i grandi laghi del Canadà.

— E dite.... —

Il bandito non aveva atteso la fine della domanda, e si era precipitato come un pazzo verso la riva, bestemmiando peggio d’un marinaio greco.

— Il canotto! Il canotto! — urlava.

Era troppo tardi. La leggiera imbarcazione, investita da un grosso lastrone di ghiaccio, era affondata insieme coi cigni.

Fortunatamente le carabine dell’inglese e del bandito erano state appoggiate al tronco d’un albero, per servirsene contro gli animali che infestavano la penisoletta.

— Per la morte di tutti i diavoli che regnano nell’inferno! — urlò il bandito, vedendo il canotto scomparire sotto la corrente e i cigni filare verso la rapida. — Che lord Wylmore mi abbia gettato addosso qualche malefizio? Da quando siamo nel Nebraska tutto va di male in peggio. Che ne pensate, mister John?

— Io non so affatto nulla — rispose l’indian-agent. — D’altronde consolatevi, Sandy-Hook. Qui abbiamo un buon rifugio ed anche una lampada meravigliosa che vi farà stupire.

— Me n’infischio io delle lampade! Preferirei avere il mio canotto.

Come prenderemo ora Minehaha?

— Abbiamo del tempo — rispose John. — Gli Sioux non si moveranno tanto presto se il loro capo è ammalato.

— Avrei peraltro desiderato di catturarla prima dell’arrivo delle truppe americane — rispose il bandito tendendo i pugni. — Preme più a me che a voi, perchè vale diecimila dollari.

— No, no; avete torto, — rispose l’indian-agent — Preme più a me la capigliatura, che a voi la taglia.

— Sì, andate a prenderla ora che non possiamo attraversare il fiume.

Volete saltare nella rapida?

Non sarò certamente io che tenterò un simile colpo.

— Chi lo sa? — rispose John. — Volete seguirci?

— Dove?

— Nel rifugio degli ultimi Atabask?

— In una grande caverna che si prolunga sopra la rapida?

— Sì.

— L’avevo notata per il vivo splendore che usciva dalle sue finestre. Che cosa brucia là dentro? Un pozzo di petrolio?

— Non lo credo.

— E quegli animali non ci mangeranno?

— Come vedete, mister siamo ancora vivi. L’ultima degli Atabask sa tenerli indietro e farsi temere.

— Che cos’è? Una domatrice?

— Che ne sappiamo noi?

— L’avventura è strana e ad un uomo pari mio, che ne ha fatte e provate di tutti i colori, forse non dispiacerà.

Io non mi sono mai fidato di quelle bestie, nemmeno se domate.

Milord, avete finito? Il pugno che vi ho scaraventato attraverso il collo, non era poi di grosso calibro. —

Il lord si grattò due o tre volte la testa, poi si alzò lentamente, afferrando la carabina che il bandito gli porgeva.

Guardò il signor Devandel e l’indian-agent, ma parve non riconoscerli. I suoi occhi invece, che scintillavano come quelli d’un pazzo colla pupilla enormemente dilatata, si fissarono sulla giovane indiana, la quale frenava a grande stento gli orsi, i giaguari ed i coguari pronti a lanciarsi all’assalto.

— Minehaha? — chiese, alzando una mano verso il bandito.

— Sua sorella — rispose Sandy-Hook.

— Mia cognata; bene, benissimo.

— Venite, milord?

— E quelle bestie?

— Ci penserà la vostra futura cognata a trattenerle.

— Aho! Benissimo!

Mister John, andiamo? ― chiese Sandy-Hook. ― Ormai siamo prigionieri, e non possiamo per ora saltare la riviera. Nemmeno un vero lupo lo potrebbe fare, e le nostre gambe non sono robuste e nervose come quelle di quegli animali. —

La giovane indiana mandò tre fischi stridenti, che fecero indietreggiare precipitosamente le belve feroci, poi si mise alla testa del piccolo drappello, continuando a fischiare.


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