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Il conduttore di feretri
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Capitolo XVII.
I latrati dei cani si diffondevano sempre più intensamente per l’aria tranquilla, essendo cessato il vento; ma la slitta non si scorgeva ancora.
Essendo la vasta pianura interrotta di tratto in tratto da gruppi di pini del Canadà e di betulle, non era possibile scorgerla subito ad una così notevole distanza.
Ma gl’indiani dovevano averla scoperta, poichè continuavano la loro manovra silenziosa, passando da una macchia all’altra con molta prudenza, a quanto pareva.
— Se potessimo sorprenderli e gettarli a terra con una scarica improvvisa!... ― disse Sandy-Hook all’indian-agent, che gli cavalcava a fianco. ― Per bersaglieri quasi infallibili come siamo noi, non sarebbe che un semplice giuoco.
— L’indiano non si lascia sorprendere da altri cavalieri ― rispose John. ― Noi siamo stati dei veri stupidi ad inforcare i nostri mustani.
— Che dite, mister?
— Che sarebbe più facile avvicinarsi strisciando ed approfittando dei piccoli avvallamenti del suolo.
Tò! Guardate, Sandy! Ecco qui un branco di cani di prateria, che si presenterà, a meraviglia al nostro giuoco.
— Vedo: è una vera fortuna per noi. Quei monticelli ci permetteranno di raggiungere le macchie che gl’indiani stanno girando e rigirando per sorprendere il conduttore di cani corridori. E i mustani?
— Vi fidate di milord?
— Come di me stesso.
— Non fuggirà?
— Ma no! Non può stare ormai senza il suo maestro di boxe, che lo picchia tutti i giorni per fare di lui il più grande e il più famoso pugilatore della camera dei lords!
— Tira sempre bene di carabina?
— Benissimo. Vale uno scorridore.
— Saremo dunque cinque contro cinque; e siccome gl’indiani son sempre stati pessimi cacciatori colle armi da fuoco avremo ben poco da perdere in uno scontro, anzi, molto da guadagnare. Ecco lì una macchia di vecchi aceri. Pregate milord di cacciarvisi dentro e di guardare i nostri mustani. Promettetegli per domani un’emozionante caccia ai bisonti e vi obbedirà certamente. —
Il bandito tese le braccia e mostrando i suoi pugni che sembravano mazze da fucina, rispose:
― Lo farà subito o proverà i miei nervi ed anche la robustezza delle mie ossa. —
Poi, alzando la voce, comandò:
— Tutti a terra! —
Afferrò l’inglese per le spalle e lo spinse brutalmente verso la macchia, senza che l’allievo osasse ribellarsi, scambiando con lui poche rapide parole.
— Avanti i mustani! — comandò poi il bandito. — Sono sotto buona guardia, non dubitate. Lord Wylmore s’incarica di ammazzare da sè solo anche cento indios se tentassero di portarci via le bestie.
— Va bene, — disse l’indian-agent.
I cinque scorridori si gettarono in mezzo alla neve e cominciarono ad avanzare in silenzio quasi strisciando.
Gl’indiani ormai non erano più che a cinquecento passi, e pareva non si fossero accorti della vicinanza dei loro pericolosi avversari.
Intanto i latrati dei cani diventavano di momento in momento più acuti.
Ad un tratto sul fianco d’una lunga macchia, comparve un gruppo oscuro, che pareva formato da parecchi individui: cani o uomini? Nessuno avrebbe potuto dirlo.
— Che dite, mister John? — chiese il bandito.
— Mantengo ciò che ho detto prima: slitta canadese tirata da cani.
— Montata da un uomo solo?
— Non sono il buon Manitou delle pelli-rosse per esser un indovino di tanto valore.
— Avete ragione, — rispose il bandito sorridendo.
Un gran nuvolo di monticelli nevosi si stendeva dinanzi a loro, nascondendoli agli sguardi dei cinque indiani.
Erano tane di cani di prateria, animali bizzarri ed anche molto interessanti, che vivono come le marmotte delle alte montagne dell’Europa, ma amano radunarsi sempre in gran numero, quasi a formare delle vere repubbliche.
Ogni famiglia ha la sua tana, ma tutte queste tane sono in comunicazione fra loro, sicchè quei pacifici abitanti della prateria possono scambiarsi delle lunghe visite e tenere anche rumorose assemblee per discutere gli affari della colonia.
D’estate e di primavera, quando l’uomo non si mostra, passano le loro giornate seduti sulle zampe posteriori come gli orsi, non stancandosi mai di empire l’aria di piccole grida che nulla hanno di sgradevole. Quando poi cominciano i primi freddi, tappano l’apertura delle loro tane e non ricompariscono che in primavera. Gl’indiani affermano che in ogni celletta sotterranea abitata da una famiglia, si trovino sempre pure una civetta ed un serpente a sonagli. Ma noi crediamo che questo rettile velenosissimo e dotato d’un buon appetito non tarderebbe a distruggere i coloni.
Non si tratta quindi che di una leggenda indiana e nient’altro.
I cinque scorridori, approfittando di quei monticelli che erano numerosissimi (talvolta coprono centinaia di metri quadrati) non cessavano di avanzarsi carponi sulla neve fortunatamente gelata.
Ormai gl’indiani non erano che a poche centinaia di passi e si erano arrestati dietro una macchia per sorprendere il misterioso conduttore di cani.
― Ognuno prenda posizione — disse l’indian-agent, nascondendosi dietro un monticello e caricando prontamente la carabina. ― Siamo a buon tiro e ci volgono le spalle. Mirate con calma, e se i superstiti, dato che ne rimangano, tentassero di piombarci addosso, crivellateli colle Colt.
― Io spero che non avremo bisogno delle nostre rivoltelle, — disse Sandy-Hook. ― Per mio conto son sicuro di buttar giù uno di quegli uomini come fosse un’anitra selvatica.
— Siete pronti?
— Sì, — risposero tutti.
— Mirate e sparate. La salita è vicina. —
Cinque spari rimbombarono confondendosi coi latrati dei cani. Tre cavalieri vuotarono l’arcione e restarono immobili sulla neve. Gli altri due, sfuggiti miracolosamente a quella scarica che avrebbe dovuto distruggere d’un colpo solo l’intero drappello, fecero spiccare ai mustani un gran salto, e partirono ventre a terra, seguìti dagli altri tre corsieri.
— Corpo d’un tuono — esclamò Sandy-Hook. — Come va questa faccenda? Ne abbiamo lasciati scappare due di quei briganti.
— La cosa è subito spiegata — rispose l’indian-agent. — Qualche indiano invece di una palla ne ha ricevute due e forse tre.
Raggruppati come si trovavano, non poteva ciascuno di noi scegliere il suo uomo.
— Sono una vera bestia, mister John.
— Ad ogni modo sono pertanto tre di meno — disse Harry. — Se continueremo sempre così, Nube Rossa e Minehaha, finiranno col rimanere senza guerrieri.
— Alla slitta! — gridò il signor Devandel.
Il veicolo si era arrestato a qualche centinaio di metri dal luogo ove erano caduti gl’indiani, ed un uomo, coperto da una folta pelliccia come un esquimese era balzato a terra tenendo in pugno due rivoltelle.
— Ohe, amico! — gridò l’indian-agent dopo aver ricaricato frettolosamente il rifle. — Potete avanzarvi con sicurezza poichè oramai più nessun pericolo vi minaccia. Siamo cacciatori visi pallidi. —
Lo sconosciuto rimise le rivoltelle nella cintura, risalì sulla sua slitta che era tirata da dodici grossi cani canadesi e raggiunse gli scorridori.
— Buona sera, signori, — disse. — Pare che io debba a voi la mia vita. —
Era un uomo sulla cinquantina, assai barbuto, molto colorito in viso o di forme quasi erculee.
Gli scorridori avevano risposto al saluto.
— Senza di noi, signor mio, — rispose l’indian-agent — a quest’ora la vostra capigliatura si troverebbe probabilmente fra le mani delle Selve Ardenti.
— Probabilmente, ma non certamente — rispose l’ercole barbuto. — Avrebbero dovuto fare un po’ i conti colle mie due rivoltelle e poi colla mia ascia.
È vero bensì che le palle volano, e non si sa mai dove vanno a finire.
— E da dove venite, voi? — chiese il signor Devandel.
— Dalle miniere del Manitoba.
— Dal di là della frontiera, dunque?
— Sì, signore.
— E andate?
— A seppellire, o meglio a portare un feretro a Sisseton.
— Un feretro, avete detto? — esclamò Sandy-Hook, gettando uno sguardo sulla slitta, sulla quale si vedeva una massa oblunga che aveva tutte le apparenze di una cassa da morto.
— Vi stupite?
— Certo.
— È un mestiere come un altro — rispose il conduttore di cani sorridendo. — Gli yankees sono molto originali quando hanno del denaro da spendere; e ne guadagnano molto in quelle miniere.
Quando uno muore, desidera al pari dei cinesi, farsi seppellire in patria, ed io l’incarico di condurre i morti al loro villaggio o nelle loro città.
— E guadagnate? — chiese John.
— Assai più dei minatori. Essi trovano molto oro sulle rive del lago, ma muoiono in gran numero ed i trasporti sono più frequenti di quello che credete.
Guardate: il trasporto di questo cadavere mi è stato pagato cinquecento dollari. È vero bensì che la via è lunga e che i pericoli da affrontare non si contano. Per esempio, la notte scorsa i lupi, sentendo forse l’odore del morto, mi assalirono e dovetti consumare più di cinquanta cartucce, che non furono sprecate ve lo assicuro.
— Siete un valoroso — disse Sandy-Hook. — Vi ammiro, sì, ma io non farei mai il vostro mestiere. —
L’uomo barbuto, un canadese certamente, alzò le spalle, guardò il feretro caricato sulla slitta colla stessa indifferenza d’un becchino che si prepara a seppellire un cadavere qualunque e poi disse:
— Io guadagno abbastanza senza logorarmi la vita nelle miniere, e basta.
— Un po’ selvatico l’amico! — borbottò Harry. — Eppure l’abbiamo salvato ora da una morte certa. —
Poi, alzando la voce, chiese:
— Avete veduto degl’indiani salire verso il nord?
— Io non ho veduto che dei lupi ― rispose il conduttore di feretri quasi brutalmente.
— Volete ripartire? — chiese il signor Devandel un po’ seccato.
— Viaggio più di notte che di giorno.
— Allora buon viaggio.
— Buona notte, signori. —
Si sedette sulla cassa, la quale era coperta da una pelle di bisonte, prese la frusta a manico corto colla correggia lunghissima e mandò un fischio acuto.
I cani balzarono innanzi, ed il piccolo veicolo col suo carico funebre scomparve in breve dietro le macchie.
― Bel mestiere! ― esclamò Sandy-Hook ― Io non lo farei nemmeno se mi offrissero cento sterline per ogni trasporto. E che strano tipo quell’uomo!
― Torniamo ai nostri cavalli? ― chiese Harry. ― Qui non vi è più nulla da fare, ora che gl’indiani se ne sono andati, meno quelli che sono rimasti a terra.
― Andiamo a vedere che cosa fa il nostro inglese ― disse l’indian-agent.
― Vi aspetterà, Sandy-Hook, per fare una partita di boxe ― disse Giorgio.
― Che tutte le corna dei bisonti che passano attraverso l’America lo portino al polo! ―
Diedero un ultimo sguardo ai tre indiani, i quali giacevano colle braccia aperte in mezzo alla neve, e si misero sulla via del ritorno. Ricominciava a nevicare, ed il vento fischiava fortissimo attraverso le macchie, ululando sinistramente.
I cinque uomini nascosero le batterie delle carabine sotto le casacche, e marciando rapidamente attraverso il campo dei cani di prateria giunsero finalmente nella macchia dove si trovava l’inglese.
Lord Wylmore, fedele alla consegna, guardava i cavalli avvolto nella sua pelle di bisonte.
— Voi avere veduto Minehaha? — chiese subito a Sandy-Hook.
― No; abbiamo veduto solamente un morto — rispose il bandito.
― Minehaha morta?
― No, cavalca ancora verso il nord.
― Io amare bella india.
― Corretele dietro, se credete. Per nostro conto ci accampiamo qui fino allo spuntar del sole.
— Io non volere lasciare Minehaha.
— Padronissimo di andarvela a cercare e di farvi divorare dai lupi — disse il signor Devandel impazientito.
Aveva appena pronunciate quelle parole, che a non molta distanza si udirono degli ululati spaventosi, poi dei colpi di arme da fuoco, che parevano prodotti da grosse Colt.
— Assalgono il conduttore di feretri! — gridò l’indian-agent sbarazzandosi prontamente della coperta che si era già gettata sulle spalle.
Sandy-Hook fece un gesto di dispetto, poi colla sua solita brutalità disse:
― E che cosa vorreste fare, mister John? Andare ancora in aiuto di quel selvaggio che non sa che cosa sia la riconoscenza? Lasciate che i lupi divorino lui, i cani e anche il morto.
— Siamo scorridori di prateria! — rispose fieramente l’indian-agent. — Quando un pericolo minaccia un uomo bianco, noi accorriamo sempre in sua difesa, sempre anche se è un bandito. Chi mi segue?
— Di corsa, John — rispose il signor Devandel. — Ti seguiremo tutti. —
E si slanciarono infatti tutti dietro a Devandel, compresi l’inglese e Sandy-Hook.
Gli spari si succedevano agli spari, ed i feroci ululati dei lupi rispondevano con un clamore infernale, coprendo i latrati dei cani.
Il conduttore di feretri si difendeva disperatamente, bruciando le cartucce delle sue due Colt con grande calma.
Anche fuggendo doveva mirare per abbattere il maggior numero di avversari.
Intanto i nostri sei uomini correvano sulla bianca pianura gelata, leggermente ottenebrata da un po’ di nebbia.
Oltrepassate altre due macchie, videro un centinaio e più di grossi lupi grigi che si accavallavano e si azzannavano ferocemente come se si disputassero qualche cosa.
Dinanzi a loro fuggiva la slitta con un continuo lancio di proiettili che il conduttore non cessava di regalare ai suoi inseguitori.
― Addosso a quelle bestiacce! ― gridò l’indian-agent.
Sei spari subito rimbombarono, formando quasi una sola detonazione.
I lupi, vedendosi assaliti alle spalle, si dispersero a destra ed a sinistra ringhiando e mostrando i denti, e allora i sei avventurieri videro, e ne stupirono, che i lupi si accanivano contro il feretro che il conduttore aveva gettato loro per salvare la propria pelle e quella dei cani.
— Ah, furfante! — gridò Sandy-Hook, vedendo pure che la slitta continuava a fuggire. — Ve l’avevo detto, signori miei, di abbandonare quell’uomo al suo destino. Vedete? Noi per la seconda volta esponiamo la nostra vita per salvarlo, ed il vile fugge lasciandoci nell’imbarazzo. Corpo d’un bufalo marcito, che non si lasci trovare da me!
— Ed avrete mille ragioni di dargli una lezione — disse il signor Devandel. — È un becchino canaglia!
— Lo linceremo! — disse Harry.
— Attenti! — gridò in quel momento Giorgio. — Ora i lupi se la prenderanno con noi. —
Quelle bestie infatti si erano riunite ed urlavano con maggior furore, minacciando un assalto.
Non si occupavano più del feretro, che d’altronde non erano stati capaci di aprire, quantunque posseggano mascelle e denti d’una robustezza eccezionale.
I sei avventurieri avevano prontamente ricaricate le carabine e si ritiravano lentamente verso il loro accampamento, ben risoluti a difendere i loro mustani, senza dei quali non avrebbero potuto continuare l’inseguimento delle ultime Selve Ardenti.
Ma i maledetti animali, quantunque non potessero essere affamati dopo la grande scorpacciata della notte precedente, tuttavia pareva non intendessero affatto di lasciare la nuova preda.
I loro occhi splendevano come carboni accesi, e dalle loro gole puzzolenti uscivano sempre più acuti gli ululati.
Il feretro era rimasto solo sulla neve col suo morto già certamente gelato.
— Corpo d’un cane sventrato! — gridò Sandy-Hook, dopo d’avere sparata una fucilata. — Chi ci libererà ora da questa peste? Ecco che cosa vuol dire compiere delle buone azioni! Che l’inferno inghiotta quel furfante!
— Non ve la prendete tanto calda — disse John. — Non sarà la prima volta, almeno per noi, che avremo fatto fronte ad un attacco di lupi.
— Ne ho ammazzati anch’io parecchi nella bassa prateria.
— E allora ammazzatene altri nell’alta.
— Queste cartucce si potevano risparmiare.
— Gli americani ci hanno largamente provvisti. Orsù, non lasciamoli avvicinare troppo. Sarà meglio sparare due per volta; poi metteremo mano alle rivoltelle.
Sono sempre molti, ciò nonostante noi siamo stati uomini da dare delle seccature anche ai giganteschi orsi grigi. —
Due spari si confusero cogli ululati dei lupi. Harry e Giorgio avevano fatto fuoco, e, non importerebbe dirlo, due bestiacce erano andate a gambe all’aria.
Fortunatamente la macchia era vicina. I sei uomini, dopo d’avere sparato ancora, vi si slanciarono, balzarono sui loro mustani dietro le cui selle l’inglese aveva già legate le pelli di bisonte, e partirono a corsa sfrenata verso il nord.
― Facciamoli correre — aveva detto l’indian-agent. — Le loro gambe sono più corte di quelle dei nostri cavalli. —
Attraversarono al gran galoppo la macchia e si spinsero innanzi, sparando di quando in quando qualche colpo di rivoltella.
Era l’inglese che faceva i migliori colpi con quelle armi. Anche a cinquanta passi, e nonostante il movimento del cavallo, era difficile che mancasse il bersaglio.
— To’! — esclamò Sandy-Hook. — Se invece di dedicarsi al boxe si esercitasse colle Colt, diventerebbe il campione inglese.
Ma già ha il cervello malato quel pover uomo. —
I lupi continuavano a correre urlando sempre più forte.
Ma i loro sforzi non riuscivano. Coll’esser troppo pasciuti avevano perduto gran parte della loro agilità, e forse non era più la fame che li animava.
Le macchie si succedevano alle macchie sempre più ampie formate di abeti, di pini neri del Canadà e di aceri zuccherini.
I sei cavalieri per far perder tempo ai loro avversari, invece di attraversarle, le costeggiavano, scomparendo, per un momento in mezzo alle piante.
Quella corsa durava da una buona mezz’ora, quando i lupi cominciarono a rimanere indietro.
Una scarica di rifles li decise a rinunciare alla caccia della selvaggina umana.
— Di che cosa vi lamentate voi, dunque, Sandy-Hook? — chiese l’indian-agent. — Come vedete, non sempre i lupi sono pericolosi, anche se sono in buon numero.
— Sì, quando si hanno dei cavalli forti e sicuri come i nostri e quando quelle bestie hanno troppo mangiato. Io sono sicuro che se fossero state digiune, ci avrebbero raggiunti. Che ne dite voi, mister John!
— Forse avete ragione..,. Ci accampiamo?
— La serata è stata pesante — rispose il bandito — e mi pare di avere il diritto di riposarmi un poco.
Anche gl’indiani dormiranno in qualche luogo, sicuri di non essere seguiti. —
Una gran macchia si offriva dinanzi a loro e molto folta, essendo per la maggior parte composta di piante di romice.
I sei cavalieri vi si cacciarono dentro, legarono i mustani, dopo aver dato loro un po’ d’erba scavata sotto la neve con non poca fatica, e prepararono l’accampamento senza accendere il fuoco.
Cinque minuti dopo, tutti, fuorchè l’indian-agent, che montava da solo il primo quarto di guardia, russavano come ghiri.