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L'amante sciocca L'amante sciocca - II

I.

Paolo Spada aspettava la sua nuova innamorata, con una vivace curiosità mescolata a una certa tenerezza piena d’indulgenza e a movimenti improvvisi e insoliti di buon umore. Egli aveva realizzato, finalmente, dopo alcuni anni vissuti fra i tormentosi piaceri di amori inconsciamente complicati, dopo aver adorato delle bizzarre e inquietanti creature che eran tali, naturalmente, o che si affrettavano a diventare bizzarre e inquietanti al suo contatto, dopo essere stato adorato nelle forme più turbolenti, più folli e più tetre dalle medesime creature, finalmente, egli aveva realizzato un suo antico desiderio: desiderio fluttuante sempre in quell’anima, ora sommersa in fondo al naufragio di qualche stravagante passione, ora galleggiante sul mare cheto che segue le tempeste, il desiderio, cioè, di amare una donna semplice e di esserne amato. Anzi, nei suoi momenti di accasciamento passionale, quando il più perfido ingranaggio psicologico e le mistificazioni dei sensi avevano esaltato i suoi nervi e il suo cuore, quando più egli aveva provato le stanchezze supreme e le nausee profonde di qualche amore complesso, impreciso ed enigmatico, egli non diceva di desiderare una donna semplice, diceva: una donna stupida. Era tale la sua ribellione a nuove avventure d’amore dove il cuore e la persona avessero dei misteri da rivelare, delle ombre da indagare, che egli arrivava alla volgarità di certi uomini comuni, i quali vantano, per aver inteso vantare ad altri, l’amore umile delle donne che non conoscono l’ortografia. Paolo Spada, l’artista squisito, narratore di storie sentimentali e crudeli, cesellatore di versi ora sonori, ora dolenti, sempre alti, sempre nobilissimi, rassomigliava, in queste sue rivolte, a un qualunque farmacista di provincia, che dica il suo avviso sull’amore e sulle donne, a tre o quattro amici, al lume azzurro di un boccale illuminato. E, certo, egli l’aveva cercata, spesso, questa donna semplice, anzi questa donna stupida, per ripetere il suo sincero e brutale aggettivo: e due o tre volte egli aveva creduto di trovarla e aveva avuto dei sussulti di gioia, un senso generale di pace nel suo spirito, come un addormentamento di tutti i sottili dolori che stridevano sui suoi nervi. Era stato deluso, sempre: giacchè nella semplicità apparente e ingannatrice di queste donne, egli aveva presto ritrovato quei segreti moti, quelle illogiche azioni, quelle incoerenze talvolta leggiadre, talvolta repulsive, che danno all’uomo innamorato l’acuto e torturante segnale di non so quale mistero racchiuso in un carattere, in un temperamento muliebre. Fresco e lieto, egli si era abbandonato alla dolcezza di trovarsi con una creatura limpida, cristallina: invece, quasi per una ironia, troppe volte ripetuta, perchè non paresse fatta apposta, egli si trovava innanzi a un enigma fisiologico e psicologico. In fondo, alcune di queste donne erano forse semplici, o meno complicate: ma appena elevatesi all’onore di essere amate da Paolo Spada e di amare Paolo Spada, subito vi era in loro, come per magica influenza, un annodarsi di pensieri, d’idee, di sentimenti, un ravvolgersi di circostanze e di fatti, un concentrarsi di veli e di ombre, per cui pareva che cangiassero di natura. Freddamente furibondo per l’inganno, Paolo Spada rodeva il freno di un giogo spirituale e sensuale, che lo opprimeva con una monotonia scorante. Quando veniva la liberazione, quando, cioè, l’amore finiva, egli giurava di essere più cauto, più sagace in un’altra prova.

Così, a furia di sagacia, di cautela, di gelida pazienza, egli aveva ritrovata in Adele Cima la donna semplice, a cui il suo cuore stanco e disfatto anelava. Oh egli l’aveva sottoposta a una quantità di prove, la giovane donna, dai belli e lunghi capelli castani che si ammassavano sulla testina, dai grandi occhi lionati che guardavano con tanta tranquillità e tanto candore, e avevano il fascino della tranquillità e del candore, dalle fini sopracciglia nere e dalla fronte un po’ breve; e nelle prove, molto lunghe, convincenti, esaurienti, era risultato che Adele Cima era una donna assolutamente semplice e anche stupida, un pochino, non molto. La sua beltà mancava di finezza, la sua persona non aveva nè flessuosità nè opulenze, i suoi vestiti non erano elegantissimi: e, sovra tutto, ella non sapeva nulla di ciò, era giustamente persuasa di essere una donnina piacevole, era convinta di vestire come si conveniva, decentemente, era contenta di sè senza alterigia, e non aveva occhi per vedere nè il peggio, nè il meglio di quello che essa rappresentava. A Paolo Spada ella era piaciuta subito, per la sua freschezza, per non so che di nuovo e di fragrante, che era in lei, per questi indizii fisici di semplicità e anche di una certa stupidaggine, gentile, non soverchia, non urtante; quando ebbe fatti tutti gli assaggi per conoscerne l’anima, egli si abbandonò subito ad amare questa piccola Adele Cima. In quanto a lei, lo aveva amato immediatamente. Paolo Spada aveva fatto su lei un effetto folgorante. Il suo imbarazzo, la sua confusione, innanzi a lui, avevano qualche cosa di commovente. Le avevan detto che Paolo Spada era un illustre artista, che era un uomo celebre: ma ella non aveva letto di lui neppure una riga, e si era innamorata di lui, così, in un minuto secondo, senza rimedio. Ella si vergognava molto di questo subitaneo amore e non se lo sapeva spiegare.

— Io vi amo molto: ma non so il perchè — ella gli diceva, guardandolo coi suoi buoni occhi, che ingenuamente indagavano.

— Cercate bene — rispondeva lui, sorridendo teneramente.

— È inutile: non so perchè vi voglio bene. Lo sapete voi, forse, che conoscete tutte le cose?

— Io? Neppure per sogno.

— Allora non vi è, questo perchè — soggiungeva lei, subito convinta.

Pure, malgrado questo fulminante amore, Adele Cima era ancora la sua innamorata e non ancora la sua amante. Ella si rifiutava, debolmente, con argomenti vaghi, già quasi sedotta e trattenuta da uno sgomento che, ogni tanto, appariva nei suoi grandi occhi spalancati.

— Vi faccio paura? — le diceva Paolo Spada, un po’ scherzando, un po’ rattristandosi.

— Sì — rispondeva Adele.

— E perchè?

— Perchè siete una persona così diversa da me — ella diceva, con una umiltà sincera.

— Non importa, non importa — era la parola indulgente e carezzosa del seduttore.

Ella aveva finito per promettere di andare da lui, in quel giorno, alle due; e Paolo Spada, in un rinnovellamento pacifico di tutte le sue forze morali, in un rigoglio di tutte le sue energie fisiche, aveva inteso una viva gioia dilatarsi in lui. Nessun dubbio lo tormentava, come in tutti gli altri primi convegni, in cui mille volte aveva temuto che l’amata non giungesse — e gli era bene accaduto, di aspettare invano! — che un capriccio, un caso la trattenessero: egli era certo che Adele Cima sarebbe venuta al convegno. Era troppo semplice per mancare.

— Ed ella verrà anche a tempo, alle due, non prima e non dopo: forse, si tratterrà per via; per non giungere troppo presto — egli pensò, leggendo a distanza nell’anima della sua dilettissima stupida, come già la chiamava.

In onore della semplicità di Adele Cima, egli non fece nessun preparativo nella sua casetta di via San Sebastianello, che guardava piazza di Spagna e le prime vette degli alberi del Pincio: altre volte egli bruciava dei profumi, egli comperava dei gigli, delle orchidee per piacere alle sue raffinate amanti. Un fascio di rose in un vaso di cristallo gli parve che bastasse. Del resto, le sue stanze che formavano il suo quartierino da scapolo, da amante e da scrittore, avevano in sè tale accumulamento di bizzarrie, nei mobili, nelle stoffe, nella disposizione, in ogni oggetto, che egli guardava tutto ciò, con occhio compiaciuto, pensando allo stupore della cara piccola donna, sorridendo, da prima, all’effetto che avrebbe prodotto su lei ogni cosa, dai tappeti di Smirne, a un idolo di bronzo e avorio panciuto, orribile; dal letto che era dissimulato sotto una grande stoffa di chiesa, ai ritratti delle donne amate che guardavano dalle loro cornici di argento inglese e di cuoio impresso. E una crescente tenerezza, lo invadeva, all’idea di quella buona giovane creatura, così attraente e così nuova per lui, che veniva col suo passo quieto e misurato a dargli dell’amore senza enigmi, senza misteri, senza noie e senza scene. Egli si decideva ad amarla molto e bene, questa povera Adele Cima, senza mai darle un dispiacere, senza mai farle intendere da quali altezze di pensiero e di sentimento egli discendesse, per raggiungere l’umiltà di quell’amore, senza mai comunicarle la febbre che lo ardeva, nelle sue ore di lavoro e di doloroso lavoro. Voleva amarla moltissimo e bene, giacchè egli sentiva quale grande refrigerio alle sue vene ardenti sarebbe venuto dalla freschezza di quell’amore, quale equilibrio sereno avrebbe messo nei suoi nervi quella mitezza d’anima muliebre, quale pace forte e vivificante avrebbe data al suo mobile e inquieto pensiero, la lentezza, la semplicità, la piccolezza del pensiero di Adele Cima. Sì, quella stupida gli sarebbe stata infinitamente cara, giacchè sarebbe stata infinitamente utile al morbo del suo spirito!

Ella venne alle due, precise. Paolo Spada che aveva gli occhi sull’orologio, come giuocando con sè stesso, sorrise, udendo suonare alla porta. Andò ad aprire egli stesso. Adele Cima gli apparve innanzi e gli sorrise, così innamoratamente, che l’uomo sentì vincersi da una emozione. Invece di baciarla sulle labbra, molto finemente, egli si inchinò e le baciò la mano. La trattava come una duchessa: egli si accorse subito che ella era meravigliata e confusa di ciò, cominciando a non capir nulla, da quel primo bacio. Poi, Adele Cima si distrasse immediatamente: egli l’aveva condotta a sedere sopra un divano, dove era gittato uno scialle turco, e le toglieva lentamente un guanto, scherzando con le dita: essa stringeva ogni tanto la mano di lui, mentre si guardava intorno, incantata. Mai, aveva visto nulla di simile: e tutto le sembrava strano e incomprensibile, producendole esattamente l’impressione che egli aveva preveduta. In sè, egli sorrise di aver perfettamente indovinato quell’effetto. Adele Cima era come egli la vedeva, la intendeva, la supponeva, di una facilità d’interpretazione tale, come se egli rileggesse un libro imparato a memoria nell’infanzia e tutti i brani gli si ricostruissero nella mente.

— Vi piace, qui? — le domandò lui.

— .... Sì — ella rispose, dopo un minuto di esitazione. È sempre così oscura, la casa?

— Sempre. Io odio la luce, in città.

— Ah! — ella disse, senza chiedere altro. — E ci state solo, qui?

— Ho un servo: l’ho mandato via.

— Non vi annoiate, solo!

— No, mai. Salvo quando vi aspetto.

— Io sono venuta puntualmente — ella soggiunse, subito, volendosi difendere.

— Sì, sì, cara — e le baciò le due mani.

Paolo Spada era innamorato molto, in quell’ora, e la piccola donna vestita di un bigio comune, di un vestito che egli le conosceva già, gli piaceva moltissimo: ella era in casa sua: lo amava, ella, perchè era venuta a lui, senza maggiori indugi, senza pretese, senza domande di fedeltà, senza patti: lo amava, tutto lo diceva in lei: eppure egli indugiava a chiederle di esser sua, così, per prolungare quei minuti, così tranquilli, sicuro oramai di lei, come della luce del sole. Adele Cima guardò le rose. Egli si alzò, e gliene dette due, le più belle. Essa non le odorò, non le mise alla cintura, le tenne mollemente fra le dita, quasi senza guardarle.

— Non amate le rose? — le chiese Paolo Spada.

— .... Sì.

— Forse amate qualche altro fiore, specialmente?

— No, nessun fiore, specialmente.

— Io ho amato molto il giglio, una volta, poi le violette di Parma, poi le orchidee....

— Che sono, le orchidee....

— Certi fiori molto rari, molto strani....

— Non li conosco — mormorò ella, distratta.

Pure, un lieve pallore l’aveva scolorita. Egli non se ne accorse. Ora, ella si era levata e avvicinatasi a un tavolino, ne aveva preso un ritratto di donna.

— Chi è questa signora?

— Quale? Ah!... una russa.

— Una straniera? Siete stato in Russia, voi?

— Sì, una volta.

— È lontano, è vero?

— Lontano: vi fa molto freddo.

— Perchè vi andaste allora?

— Mah!... per seguire questa signora....

— Voi l’amavate?

— Sì.

Un silenzio si fece. Adele Cima si morsicò il labbro inferiore: poi domandò:

— Come si chiamava?

— Questa russa? Natalia.

— Che bel nome!

— Vi pare?

— Il mio è così brutto, non è vero? — disse ella venendo a lui, con una espressione di malinconia che lo turbò.

— Adele? Ma Adele vale mille volte più di Natalia — egli esclamò, volendo consolarla subito.

— Eh, no! — diss’ella, tristemente — è un brutto nome.

— A me piace immensamente, cara.

— Perchè mi volete bene.

— Forse per questo.

— Ma è un brutto nome, non dice nulla.

Si allontanò nuovamente da lui, andò a guardare gli altri ritratti; egli la seguiva, tenendole una mano, lusingato e intenerito da quella semplicità, da quella ingenuità. Ella prese un altro ritratto e glielo porse:

— Era bionda, questa?

— Sì, bionda.

— Vi piacciono le bionde?

— Mi piace la donna che amo.

— Più le bionde o più le brune?

— Quella che amo, quella che amo! — replicò lui, lietamente, felice di essere amato così e di amare così.

— Il castagno è uno sciocco colore di capelli — ella dichiarò a occhi bassi, come mortificata da questa inferiorità sua.

— Ma no.

— Me lo hanno detto, lo so. Avrei voluto esser bionda, io.

— I vostri capelli sono belli.

— Ma biondi, sarebbero stati bellissimi — replicò lei, ostinatamente.

Egli le voltò, con un gentile atto, la testa verso lui e la baciò sui capelli. Ella sorrise, innamoratissimamente: e subito dopo, gli chiese:

— Tutte queste signore sono state vostre amanti?

— Quasi tutte.

— Sono molte — ella disse, abbassando gli occhi.

— Io non sono più un giovanotto.

— Avete avuto molte amanti; tutti gli uomini ne hanno tante?

— Sapete.... nella nostra professione.... le occasioni sono più facili....

— Già.... è vero, voi siete uno scrittore. Siete anche un poeta?

— Sì, cara — disse lui, sorridendo.

— Scrittori e poeti pare che abbiano molte amanti — e gli occhi grandi e belli le si velarono di lacrime.

A quello schietto dolore, egli non resse. Le prese le mani, l’abbracciò, cercò di consolarla con una quantità di parole vaghe, come si dicono ai bimbi per farli finire di piangere, per farli addormentare; ella ascoltava, già subito confortata, guardandolo negli occhi, credendogli come il bimbo crede alla mamma. Egli le soggiunse che tutti quelli erano stati amori effimeri, che ella sola era l’amata, la vera, l’unica: e una immensa fede in queste proteste di amore si leggeva nel volto di Adele Cima. Pian piano egli l’aveva condotta di là, nella sua stanza. Sovra una scansietta di legno scolpito, sostenuta da una gran mano di bronzo, erano, in legature fini di pergamena, tutti i volumi di prose e di poesie di Paolo Spada. L’innamorata ne prese uno e l’aprì:

— Che bella carta.... — disse, passandovi sovra, lievemente, le dita. — Voi avete scritto tutto questo?

— Sì, cara.

— È un romanzo?

— Sì, anima mia.

— Deve essere bello. Io ho letto pochissimi romanzi — ella concluse, posando il libro.

Guardò nuovamente i volumi nello scaffale:

— Ci mettete molto tempo per scriverne uno, di libro?

— Per lo più, molto tempo.

— Ah! — ella disse, chinando nuovamente gli occhi. — E siete solo quando scrivete?

— Solissimo. Qualunque rumore mi turba. La presenza di una persona, anche silenziosa, non mi fa scrivere.

— Sì? — ella disse, con un accento fra sorpreso e sgomento. — E perchè questo?

— Così — egli rispose, un po’ brevemente, non volendo darle altre spiegazioni.

Ella ebbe il contraccolpo di quella piccola durezza. Si sollevò verso lui, lo guardò, gli chiese:

— Mi volete bene?

— Sì, tanto, cara.

— Vi ho seccato con quella domanda sciocca?

— No, no, non potete seccarmi.

— Io stessa sono una sciocca, compatitemi.

— Io vi voglio bene, non posso compatirvi.

— Mi volete bene, malgrado la mia stupidità? — domandò, fra il riso e il pianto.

— Malgrado la vostra stupidità, vi adoro — disse lui, lietamente e crudelmente.

— Ah! grazie.

Come l’ora cadeva, continuando a guardarsi intorno con stupore e con paurosa ammirazione, Adele Cima diventò l’amante di Paolo Spada; e fu senza lacrime e senza spasimi, senza proteste e senza giuramenti. Egli si sentì felicissimo, come mai. In quelle ore d’amore egli non si tormentò a sorvegliarsi e a sorvegliare l’anima dell’amata: egli non s’inchinò a misurare il pallore dell’amata e non tese l’orecchio a raccogliere il balbettìo della passione erompente: egli non pensò ad esser guardingo, in quell’eterno e terribile istinto di diffidenza, che, nei maggiori trasporti, divide le anime degli amanti, insuperabilmente. Il suo cuore e i suoi nervi si trovarono di pieno accordo in un abbandono giovanile e semplice, singolare in un uomo che aveva molto e bene e male vissuto, che aveva vissuto, infine. Il beneficio che egli aspettava dall’amore di Adele Cima, gli venne largo e completo, giacchè un cordiale, un morbidissimo senso di riposo avvolse tutte le sue forze, fece tacere ogni stridore, versò balsamo su tutte le vecchie cicatrici inciprignite: e quando ella fu per partire e lui s’inginocchiò innanzi a lei per baciarle devotamente la mano, un verace, un grande impeto di riconoscenza animava Paolo Spada. E lei? Innamoratissima e timida, adorandolo già e sentendo una ignota, invincibile confusione in sè, ella fu felice e taciturna, piena di sorrisi ineffabili —

il suo sorriso era più intelligente dei suoi occhi larghi e limpidi — piena di dedizioni semplici e complete, obbedendo alla legge dell’amore con una immensa umiltà che la inebbriava. Solamente, dopo, ella continuò a dargli del voi; e teneramente, egli la riprese di ciò:

— Dammi del tu, cara....

— Non mi riesce.

— E perchè?

Non oso.

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