< Le avventure di Pinocchio (1892)
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II.


Maestro Ciliegia regala il pezzo di legno al suo amico Geppetto, il quale lo prende per fabbricarsi un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali.


In quel punto fu bussato alla porta.

— Passate pure, — disse il falegname, senza aver la forza di rizzarsi in piedi.

Allora entrò in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato, quando lo volevano far montare su tutte le furie, lo chiamavano col soprannome di Polendina, a motivo della sua parrucca gialla, che somigliava moltissimo alla polendina di granturco.

Geppetto era bizzosissimo. Guai a chiamarlo Polendina! Diventava subito una bestia, e non c’era più verso di tenerlo.

— Buon giorno, mastr’Antonio, — disse Geppetto. — Che cosa fate costì per terra?

— Insegno l’abbaco alle formicole.

— Buon pro vi faccia.

— Chi vi ha portato da me, compar Geppetto?

— Le gambe. Sappiate, mastr’Antonio, che son venuto da voi, per chiedervi un favore.

— Eccomi qui, pronto a servirvi, — replicò il falegname, rizzandosi su i ginocchi.

— Stamani m’è piovuta nel cervello un’idea.

— Sentiamola.

— Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?

— Bravo Polendina! — gridò la solita vocina, che non si capiva di dove uscisse.

A sentirsi chiamar Polendina, compar Geppetto diventò rosso come un peperone dalla bizza, e voltandosi verso il falegname, gli disse imbestialito:

— Perchè mi offendete?

— Chi vi offende?

— Mi avete detto Polendina!...

— Non sono stato io.

— Sta’ un po’ a vedere che sarò stato io! Io dico che siete stato voi.

— No!

— Sì!

— No!

— Sì! —

E riscaldandosi sempre più, vennero dalle parole ai fatti, e acciuffatisi fra di loro, si graffiarono, si morsero e si sbertucciarono.

Finito il combattimento, mastr’Antonio si trovò fra le mani la parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si accòrse di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.

— Rendimi la mia parrucca! — gridò mastr’Antonio.

— E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace. —

I due vecchietti, dopo aver ripreso ognuno di loro la propria parrucca, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita.

— Dunque, compar Geppetto, — disse il falegname in segno di pace fatta — qual è il piacere che volete da me?

— Vorrei un po’ di legno per fabbricare il mio burattino; me lo date?

Mastr’Antonio, tutto contento, andò subito a prendere sul banco quel pezzo di legno che era stato cagione a lui di tante paure. Ma quando fu lì per consegnarlo all’amico, il pezzo di legno dètte uno scossone, e sgusciandogli violentemente dalle mani, andò a battere con forza negli stinchi impresciuttiti del povero Geppetto.

— Ah! gli è con questo bel garbo, mastr’Antonio, che voi regalate la vostra roba? M’avete quasi azzoppito!...

— Vi giuro che non sono stato io!

— Allora sarò stato io!...

— La colpa è tutta di questo legno....

— Lo so che è del legno: ma siete voi che me l’avete tirato nelle gambe!

— Io non ve l’ho tirato!

— Bugiardo!

— Geppetto, non mi offendete: se no vi chiamo Polendina!...

— Asino!

— Polendina!

— Somaro!

— Polendina!

— Brutto scimmiotto!

— Polendina! —

A sentirsi chiamar Polendina per la terza volta, Geppetto perse il lume degli occhi, si avventò sul falegname e lì se ne dettero un sacco e una sporta.

A battaglia finita, mastr’Antonio si trovò due graffi di più sul naso, e quell’altro due bottoni di meno al giubbetto. Pareggiati in questo modo i loro conti, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita.

Intanto Geppetto prese con sè il suo bravo pezzo di legno, e ringraziato mastr’Antonio, se ne tornò zoppicando a casa.



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