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Lev Tolstoj - Le confessioni (1879-1881) (1882)
Traduzione dal russo di Anonimo (1913)
VII
VI VIII


VII.


Non avendo trovato nella scienza la spiegazione desiderata, mi misi a cercarla nella vita, sperando di trovarla fra quelli che mi circondavano. Cominciai ad osservare i miei simili, a studiar la loro vita e il loro modo di considerare il problema che mi aveva condotto alla disperazione.

Ed ecco ciò che trovai fra uomini della mia condizione per coltura e genere di vita.

Per gli uomini di questa specie si hanno quattro soluzioni alla terribile situazione nella quale ci troviamo tutti.

La prima soluzione è quella dell’ignoranza; essa consiste nel non sapere, nel non comprendere che la vita è un male, un’assurdità. Le persone di questa categoria, per lo più donne e uomini molto giovani o molto sciocchi, non hanno ancora scorto questo problema della vita che si presentava a Schopenhauer, a Salomone, a Budda. Esse non vedono nè il drago che li attende, nè i sorci che rodono il cespuglio a cui si aggrappano, e succhiano le gocce di miele. Ma ciò non durerà che fino all’istante in cui qualche cosa attirerà la loro attenzione sul drago o sui sorci, e allora esse cesseranno di succhiare il miele.

Da queste persone non ho nulla da imparare; non si può cessar di sapere ciò che si sa.

La seconda soluzione è l’epicureismo. Essa consiste, pur conoscendo la disperazione della vita, a profittare dei beni che s’offrono a noi, a non guardare nè il drago nè i sorci, a succhiare il miele il più piacevolmente possibile, soprattutto se ve n’è molto. È ciò che Salomone esprime così:

«Per questo ho colto la gioia, perchè sotto il sole non v’ha nulla di meglio per l’uomo che mangiare, bere e divertirsi, ed è ciò che gli resterà del suo lavoro, durante i giorni di vita che Dio gli dà sotto il sole.

Va dunque, mangia il tuo pane con gioia e bevi gaiamente il tuo vino, perchè le tue opere sono accette a Dio. Vivi giocondamente tutti i giorni della vita della tua vanità con la donna che hai amato, la quale ti è stata data sotto il sole per tutti i giorni della tua vanità.... Fa secondo il tuo potere tutto ciò che avrai il mezzo di fare, poichè nel sepolcro in cui vai non v’è nè opera, nè discorsi, nè scienza, nè saggezza».

È con questo che la maggioranza delle persone della nostra condizione mantengono la possibilità di vivere. Le condizioni in cui si trovano sono tali ch’essi hanno maggiori beni che mali, e la stupidità morale dà loro la possibilità di dimenticare che i vantaggi della loro situazione sono occasionali, che non tutti possono avere mille donne e dei palazzi, come Salomone, che per ogni uomo che ha mille donne v’hanno mille uomini che non hanno donne, e che per ogni palazzo v’hanno mille uomini che lo fabbricano col sudore della loro fronte, e che il caso che oggi m’ha fatto Salomone può trasformarmi domani in schiavo di Salomone. La stupidità della loro immaginazione dà loro facoltà di dimenticare ciò che impedisce a Budda di dormire, l’ineluttabilità della malattia, della vecchiaia, della morte, che, oggi o domani, distruggerà tutti i suoi piaceri.

Così pensa e sente la maggioranza degli uomini del nostro tempo e della nostra condizione. Il fatto che alcuni di essi affermano che la stupidità del loro pensiero e della loro immaginazione è la filosofia ch’essi chiamano positiva, secondo me non esclude questi uomini dalla categoria di quelli che, per non vedere la questione, succhiano il miele. Io non potevo imitare queste persone; non avendo la loro stupidità d’immaginazione, non potevo crearla in me. Io non potevo — come non l’avrebbe potuto nessun altro — staccar gli occhi dai sorci e dal drago, dopo che li avevo visti.

La terza soluzione è quella della forza e dell’energia. Essa consiste nel distruggere la vita, dopo aver compreso che è un male e un’assurdità. Così fanno le poche persone che siano forti e logiche.

Avendo compreso la stupidità dello scherzo che ci viene giocato, avendo compreso che il bene dei morti è superiore a quello dei vivi e che è meglio non essere, essi mettono fine tutto a un tratto a questo scherzo scemo. Per fortuna i mezzi non mancano: la corda, l’acqua, il coltello, il treno, ecc. Il numero delle persone della nostra società che agiscono così, diventa sempre più grande.

Per la maggior parte, esse agiscono così nel più bel periodo della loro esistenza, quando la loro anima è in piena espansione, quando non hanno ancora acquisito quelle abitudini che degradano lo spirito umano.

Questa soluzione mi pareva la più degna e avrei voluto sceglierla.

La quarta soluzione è la debolezza. Si ha compreso il male e la vanità della vita, ma si continua a vivere, sapendo già in anticipo che non ne risulterà nulla. Gli uomini di questa specie sanno che la morte è migliore della vita; ma, non avendo la forza di agire ragionevolmente, di finirla al più presto con questo inganno e di uccidersi, hanno l’aria di attendere qualche cosa. È la soluzione della debolezza, poichè quando so che un’idea è migliore ed è in mio potere il seguirla, perchè non la seguo?

Io appartenevo a questa categoria.

Così gli uomini, trovandosi nel mio caso, si salvano per quattro vie dall’orribile contraddizione. Ebbi un bell’impiegare tutte le mie forze intellettuali: tranne queste quattro vie, non trovai nulla.

Prima: non comprendere che la vita è una stupidità, una vanità e un male e che è meglio non vivere. Non potevo ignorar questo e, sapendolo, non potevo chiudere gli occhi. Seconda: goder la vita com’è, senza pensare all’avvenire. Questo pure m’era impossibile; come Sakia Muni, non potevo andare a caccia mentre sapevo esistere la vecchiaia, il dolore e la morte. La mia immaginazione era troppo viva; inoltre, non potevo godere di un’occasione temporanea che m’aveva gettato per un istante in mezzo ai piaceri. Terza: avendo compreso che la vita è un male e un’assurdità, porvi fine uccidendomi. L’avevo compreso, ma, non so perchè, non mi uccisi. Quarta: vivere come Salomone e Schopenhauer, sapere che la vita è una stupida farsa che c’è stata giocata, e cionondimeno vivere, alzarsi, vestirsi, pranzare, chiacchierare ed anche scrivere dei libri. Ciò m’era penoso, mi ripugnava; eppure rimasi in questa situazione.

Ora comprendo che se non mi uccisi, fu per causa della coscienza vaga del disorientamento dei miei pensieri. Per quanto il cammino dei miei pensieri e dei pensieri dei saggi che mi avevano fatto comprendere la vanità della vita mi sembrasse convincente e indiscutibile, rimaneva in me un leggero dubbio sulla verità del mio ragionamento.

Il dubbio era questo: io — o la mia intelligenza — abbiamo riconosciuto che la vita è stupida. Se non v’è una ragione suprema (e non v’è, nulla potendo provare la sua esistenza), allora la ragione è per me la creatrice della vita. Se non vi fosse ragione, non vi sarebbe vita. Come dunque questa ragione può negar la vita, essendone l’autrice? Ma, d’altra parte, se non vi fosse la vita, non vi sarebbe la ragione: allora la ragione è figlia della vita. Dunque la vita è tutto, la ragione è il frutto della vita e questa stessa ragione nega la vita. Sentivo che questo ragionamento falliva in qualche punto. La vita è un male senza senso, questo è indiscutibile, mi dicevo, ma io ho vissuto, vivo ancora e tutta l’umanità ha vissuto e vive tuttora. In che modo? Perchè vive se non può vivere? Come? Sarei dunque con Schopenhauer il solo abbastanza intelligente per aver sentito la stupidità e il male della vita?

Le considerazioni sulla vanità della vita non sono poi tanto straordinarie e vennero fatte da molto tempo dalle persone più semplici, eppure si è vissuti e si vive ancora. Perchè vivono tutti senza mettere in dubbio la ragion d’essere della vita?

Il mio sapere, confermato dalla sapienza dei saggi, m’ha rivelato che tutto al mondo, l’organico come l’inorganico, è combinato con un’intelligenza meravigliosa, e che la mia situazione sola è stupida. E questi imbecilli — la moltitudine degli uomini — non sanno nulla del mondo organico e inorganico, eppure vivono, e la vita par loro assai ragionevole.

Mi veniva in mente: v’è forse qualche altra cosa ch’io ignoro? L’ignoranza agisce sempre in questo modo; essa dice sempre che è stupido ciò che non conosce. V’ha evidentemente un’intera umanità che ha vissuto e che vive, pur avendo l’aria d’aver compreso il senso della sua vita, senza di che non avrebbe potuto vivere, ed io dico che tutta questa vita è un controsenso, che non posso vivere.

Nessuno c’impedisce di negar la vita mediante il suicidio. Ebbene, allora ucciditi e non ragionerai più. La vita non ti piace, ucciditi! Se vivi senza poter comprendere il senso della vita, finisciti, ma non tormentarti in questa vita ripetendo che non la comprendi. Sei venuto in mezzo ad una compagnia assai allegra; tutti stanno benissimo, tutti fanno ciò che fanno e tu t’annoi, trovi tutto ciò miserabile; allora vattene!

Infatti che cosa siamo se, persuasi della necessità del suicidio, non abbiamo il coraggio di ucciderci? Che cosa siamo se non le persone più deboli, più inconseguenti o semplicemente le più stupide, che fan pompa della loro stupidità come un pagliaccio del suo toppè.

La nostra saggezza, per quanto innegabile, non ci ha dato la conoscenza del senso della nostra vita, mentre tutta l’umanità che compone la vita, dei milioni di esseri, non mettono in dubbio il suo senso.

In verità, dai tempi lontani che la vita, di cui so qualche cosa, esiste, vi furono uomini che conobbero questo ragionamento della vita e mi condussero a trovarla assurda. Eppure essi hanno vissuto, attribuendo alla vita un senso qualunque.

Da quando la vita si manifestò presso gli uomini, essi ne hanno compreso il senso e hanno condotto questa vita fino a me. Tutto ciò che è in me e intorno a me, corporeo o spirituale, tutto è il frutto della loro scienza della vita.

Questi stessi strumenti del pensiero, coll’aiuto dei quali analizzo questa vita e la critico, son stati fatti da essi e non da me. Io stesso nacqui, fui allevato, crebbi grazie ad essi. Furono essi ad estrarre il ferro, a tagliare il legno, ad addomesticare le mucche ed i cavalli, ad imparar a seminare, ad organizzar le società, ad orientar la nostra vita, ad insegnarmi a pensare e a parlare. Ed io, loro allievo, io, nutrito, allevato da essi, io che penso pei loro pensieri e le loro parole, io ho loro provato che essi sono un controsenso!

«V’è in ciò qualcosa che non va, mi dicevo. Mi devo esser sbagliato in qualche punto».

Ma non potevo trovare dove fosse l’errore.

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