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Giovan Battista Marino - Le dicerie sacre (1614)
Diceria 1, dedica
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Al Sereniss.
D. CARLO
EMANUELLO,
F
Rà gli altri giuochi celebrati da Enea in honore delle ceneri d’Anchise, uno ne fù il trar dell’arco ad una Colomba in cima d’un albero di nave legata, dove ciascuno de’ Saettatori fece il suo colpo. Il primo investì il legno, e spaventò l’uccello. Il secondo colse in sù la corda,e recise il nodo, che lo teneva preso. Il terzo lo ferì in aria à mezo il volo, e fecelo piombare trafitto à terra. Il povero Aceste, che di tutti gli altri rimase l’ultimo, accorgendosi d’essere stato prevenuto all’acquisto della palma, nè avanzargli più luogo alla prova, volse contuttociò (che gliene avvenisse) scoccare in alto lo strale à voto: E portò il caso, che la saetta nel ritorno, che fe ingiù dalle nubbi, si trasse dietro una striscia di fiamma. Somigliante fortuna (Serenissimo Sire) posso dir’io essermi al presente incontrata nel rito solenne instituitpo da V. A. per honorare il funeral di Christo, poich’essendo stato proposto come un bersaglio à tutti i ragionamenti, ch’al suo cospetto si fanno, il suggetto della santa Sindone, laqual con buona ragione è figurata nella Colomba sì perch’è simbolo dello Spirito santo, da cui le voci de’ Predicatori son regolate, sì anche per che il Verbo eterno fù quella Colomba pura, ch’uscita dell’Arca del Paradiso ci recò il verde olivo della vera pace; & havendo molti facondi Dicitori, quasi tanti sacri arcieri, scoccate in esso le saette delle lor lingue, e con belle, e dotte predicationi colpito felicemente lo scopo, tanto, che già segnata è la meta, e tutti i concetti paiono hoggimai occupati, che altro resta al mio debole ingegno, se non gittar via il dardo, disperare della vittoria, e cedere la contesa? Hor sia, che può, ancorch’io conosca ciò essere invano, e sia sicuro di percuotere il vento, non voglio rimanermi di scaricar l’arco anch’io, alzar la mira, e drizzar la mia freccia al Cielo. Non già, ch’io pretenda d’emulare cotanti valorosi huomini, ò che speri pregio alcuno di loda, ò d’applauso. Sò che tutte le quadrella avventate dal nervo del mio snervato intelletto ricadranno subito à basso. Ma ò pur mi sia dato, se non di toccare il segno, almeno di tirar giù qualche scintilla, non di luce d’humana gloria, ma di fuoco di divina carità, sì che gli animi pij traggano da’ miei scritti alcun frutto di divota compunzione. Le saette sono alate; ma s’io non potrò sollevarmi con le penne della mente, che vola, tenterò al meglio, ch’io posso d’essercitarmi con la penna della mano, che scrive . Piaccia à V. A. con l’essempio di quel pietoso Troiano, sì come si è fin qui degnata d’assistere allo spettacolo, favorando della sua presenza tutti coloro, che di ciò hanno parlato, così rivolgere ancora gli occhi benigni all’estremo sforzo di questo suo divoto, concedendogli forza al saettare, e porgendogli con la celeste virtù del proprio Sagittario aiuto opportuno. In tanto con quella humiltà, ch’io posso maggiore, auguro à V. A. il compimento de’ suoi magnanimi pensieri. Di Torino adì 15. d’Aprile 1614.
- Di V. A. Serenissima
- Humiliss. e devotiss. Serv.
- Di V. A. Serenissima
- Il Cavalier Marino.
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