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II - Una risurrezione miracolosa
I III


Una risurrezione miracolosa.


Una mattina degli ultimi giorni di settembre del 2003, tre uomini salivano lentamente lo scoglio di Retz, aiutandosi l’un l’altro per superare le rocce, non essendovi alcuna traccia di sentiero.

Il primo era un uomo piuttosto attempato, fra i cinquanta e i sessant’anni, eppure ancora assai vigoroso, senza barba e senza baffi, le braccia e le gambe lunghissime, perfino troppo in proporzione del tronco, e gli occhi molto dilatati e quasi bianchi.

Gli altri due erano più giovani di qualche dozzina d’anni, anch’essi bene sviluppati, con muscolature possenti e cogli occhi egualmente bianchi e smorti.

In tutti e tre poi si osservava uno sviluppo assolutamente straordinario della testa e specialmente della fronte.

I loro vestiti erano d’una certa stoffa color caffè chiaro, che pareva una seta, e consistevano in casacche larghissime, e in calzoni corti ed ampi, fermati sotto il ginocchio.

Giunti sull’orlo superiore dello scoglio, si erano fermati dinanzi ad un’alta cancellata di ferro arrugginito e corroso dai sali marini che racchiudeva una piccola costruzione di forma circolare, sormontata da una cupoletta di vetro.

Una lastra di metallo situata in cima ad un palo, portava la seguente scritta, ancora abbastanza visibile: Proprietà privata del dottor Toby Holker.

— Ci siamo — aveva detto l’uomo attempato, levandosi da una tasca una chiave vecchissima, d’una forma speciale, e una carta ingiallita. — Che belle chiavi si usavano cent’anni fa!

— E sperate di farlo risuscitare il vostro antenato signor Holker? — domandò uno dei due che lo accompagnavano.

— Almeno le sue ossa le troveremo, ed anche quelle del suo amico — rispose il signor Holker.

— Ed i milioni, giacchè voi siete l’unico erede.

— È vero, signor notaio.

— Potrete aprire?

— Proviamo — rispose il signor Holker.

Introdusse la chiave nella toppa e, dopo qualche sforzo, fece scattare il chiavistello.

— Non fabbricavano male a quei tempi, i fabbri, — disse, spingendo il cancello. — Non credevo che dopo cent’anni le serrature funzionassero ancora.

Il piccolo recinto era coperto di ginestre e di sterpi e di cumuli di erbe secche. Si capiva che nessuno, da moltissimo tempo, era entrato colà.

— Vediamo — disse Holker, aprendosi il passo fra gli sterpi.

S’accostò, non senza provare una certa emozione, alla piccola costruzione e, rizzandosi quanto era lungo, appoggiò il viso alla cupoletta di vetro.

Subito un grido gli sfuggì.

— È incredibile! Sono là ambedue e mi sembrano intatti! Che il mio antenato sia proprio riuscito a scoprire un filtro così meraviglioso da poter sospendere la vita per cent’anni?

I suoi due compagni, avevano gettato uno sguardo attraverso i vetri, e anch’essi non avevano potuto frenare un grido di stupore.

— Sono là! Sono là!

— E pare che dormano — disse Holker, che era in preda ad una viva emozione.

— Signor Holker, vi sareste ingannato? — chiese il notaio.

— Non so che dire; ora ho una lontana speranza di poter rivedere vivo il mio antenato.

— Entriamo, signore. Avete la chiave del sepolcreto?

— Sì; non entriamo subito, però.

— Perchè?...

— Il mio antenato ha lasciato scritto che si lasci prima la porta aperta per qualche minuto.

— Non riesco a comprenderne il motivo — disse il compagno del notaio.

— Per non esporci ad un potente raffreddore, signor sindaco — disse Holker. — Si fa presto a buscarsi una polmonite.

— Che vi sia molto freddo lì dentro?

— Sembra che il dottor Toby, oltre il filtro avesse anche scoperto un certo liquido capace di sprigionare un freddo polare.

— Deve trovarsi in quel vaso che scorgete là in quell’angolo.

— Aprite, signor Holker — disse il notaio. — Sono impaziente di assistere alla risurrezione di quei due uomini.

Fecero il giro della piccola costruzione, finchè scoprirono una porticina di ferro.

Holker introdusse la chiave nella serratura ed aprì facilmente. Subito una corrente estremamente fredda investì i tre uomini, costringendoli a retrocedere rapidamente.

— Vi è un banco di ghiaccio là dentro! — esclamò il sindaco. — Che cosa contiene quel vaso per produrre un simile freddo? Che gli scienziati di cent’anni fa valessero meglio di quelli d’oggi?

— Grand’uomo quel mio antenato — disse Holker. — Farò una ben meschina figura io, vicino a lui!...

Attesero alcuni minuti, poi, quando la corrente fredda diminuì, uno alla volta s’introdussero nel sepolcreto, avanzandosi carponi, essendo la porta assai bassa e stretta.

Si trovarono in una stanza circolare, colle pareti coperte da lastre di vetro, ben connesse da armature di rame.

Nel mezzo vi era un letto abbastanza largo e su di esso, avvolti in grosse coperte di feltro, si scorgevano due esseri umani coricati l’uno presso l’altro.

I loro volti erano gialli, gli occhi chiusi, e le loro braccia, che tenevano sotto le coperte, parevano irrigidite. Non si riscontrava su di loro alcun indizio di corruzione delle carni.

Il signor Holker s’era accostato rapidamente a loro e aveva sollevato le coperte.

— È incredibile! — esclamò. — Come si possono essere conservati così questi due uomini, dopo cent’anni? Possibile che siano ancora vivi? Nessuno lo ammetterebbe.

I suoi compagni si erano anche essi accostati e guardavano con una specie di terrore quei due uomini, chiedendosi ansiosamente se si trovavano dinanzi a due cadaveri o a due addormentati.

Quello che si trovava a destra era un bel giovane di venticinque o trent’anni, coi capelli di color biondo rossiccio, di statura alta e slanciata; l’altro invece dimostrava cinquanta o sessant’anni, aveva i capelli brizzolati, ed era più basso di statura e di forme più massicce.

Sia l’uno che l’altro erano meravigliosamente conservati: solo la pelle del viso, come abbiamo detto, aveva assunto una tinta giallastra, simile a quella delle razze mongoliche.

— Qual è il vostro antenato? — chiese il notaio.

— Il più vecchio. L’altro è il signor James Brandok.

— Agirete subito?

— Senza ritardo.

— Siete medico, è vero?

— Come il mio antenato.

— Sapete come dovete operare?

— Il documento lasciato da Toby Holker parla chiaro. Non si tratta che di far due iniezioni.

— Ed il liquido misterioso?

— Deve trovarsi in quella cassetta — rispose il signor Holker, indicando una scatola di metallo che si trovava in fondo al letto.

— Torneranno subito in vita?

— Non credo; forse dopo che li avremo immersi nell’acqua tiepida.

— Dovremo quindi portarli fino alla borgata?

— Non è necessario — rispose il signor Holker. — Ho dato ordine al mio macchinista di raggiungermi col Condor e non tarderà a venire. Porterò il mio antenato ed il signor Brandok a casa mia, a Nuova York. Desidero che tutti ignorino per ora la risurrezione di questi due uomini.

Mentre parlava aveva aperto la cassetta di ferro dove si vedevano dei documenti, due fiale di cristallo piene d’un liquido rossastro e delle siringhe.

— Ecco il filtro misterioso — disse, prendendo le fiale. — Agiremo senza perdere tempo.

Denudò il petto dei due addormentati, poi immerse una siringa in una delle due fiale, dicendo: — Una iniezione in direzione del cuore e una nel collo: vedremo se avranno qualche effetto.

— Signor Holker, — disse il notaio — voi che siete dottore, vi sembra che siano morti? Hanno un certo aspetto...

— Di mummie egiziane?

— No, perchè le loro carni hanno ancora una certa freschezza.

— Allora di persone non morte — disse il signor Holker.

— Sapete che non dispero?

— Batte il loro cuore?

— No.

— Sono freddi?

— Sfido io, colla temperatura che regnava qui dentro! Sono immersi in una specie di catalessi, che mi ricorda gli straordinari esperimenti dei fakiri indiani.

— Dunque non disperate?

— Mah... Constato solamente che sono meravigliosamente conservati dopo venti lustri.

Aiutatemi, signor Sterken.

— Che cosa devo fare?

— Tenete semplicemente una di queste fiale, mentre io inietto il liquido scoperto dal mio antenato.

— Che sia invece fatale?

— Io eseguisco la sua ultima volontà; se muore, ammesso che dorma ancora, non sarà colpa mia. Proviamo!...

Il signor Holker prese la siringa, appoggiò la punta acutissima sul petto del dottore in prossimità del cuore e fece una iniezione abbondante, sottocutanea. Ripetè la medesima operazione sul collo, prese la vena giugulare, poi attese, in preda ad una profonda ansietà, tenendo in mano il polso del suo antenato. Nessuno parlava: tutti tenevano gli sguardi fissi sul dottore, colla speranza di sorprendere su quel viso giallastro una mossa qualsiasi, che potesse essere indizio d’un ritorno alla vita. Era trascorso un minuto, quando il signor Holker si lasciò sfuggire un grido di stupore.

— È incredibile!

— Che cosa avete? — chiesero ad una voce il notaio ed il sindaco.

— Quest’uomo non è morto!

— Batte il suo polso?

— Ho sentito una leggera vibrazione.

— Che vi siate ingannato? — domandò il notaio, che era diventato pallidissimo.

— No... è impossibile... il polso batte... leggermente sì, tuttavia batte... Non sogno io.

— Dopo cent’anni!...

— Silenzio... ascoltiamo se anche il cuore dà qualche segno di vita...

Il signor Holker aveva appoggiato il capo sul largo petto del suo antenato.

— È freddo? — chiese il sindaco.

— Finora sì.

— Cattivo segno: i morti sono sempre freddi.

— Aspettate, signor sindaco, il filtro ha appena cominciato ad agire.

— E...

— Tacete! Meraviglioso!... incredibile!... Cos’ha inventato il mio antenato? Che cosa sono in suo paragone i medici moderni? Degli asini, compreso me!

— Batte dunque il cuore? — chiesero ad una voce il sindaco ed il notaio.

— Sì... batte...

— Non v’ingannate?

— Sono un medico.

— Eppure la tinta giallastra non scompare ancora — disse il notaio.

— Dopo... dopo il bagno forse... Sì, il cuore batte!... È un miracolo!... Ritornare in vita dopo cent’anni! Chi lo crederebbe?

— Ed il polso?

— Vibra sempre con maggior forza.

— Rivolgetevi al signor Brandok, dottore — disse il sindaco.

In quel momento un fischio sonoro echeggiò al di fuori.

— Il mio Condor — disse il signor Holker. — Giunge in tempo!

— Desiderate qualche cosa dal vostro macchinista? — domandò il notaio.

— Che porti una leva per aprire il sotterraneo. Ed ora occupiamoci del signor Brandok — Denudò il petto del giovane e ripetè su di lui le iniezioni fatte già al signor Toby.

Due minuti dopo, udì un lieve fremito nei polsi, e constatò per di più che la tinta giallastra tendeva a scomparire e che un lievissimo rossore compariva sulle gote dell’addormentato.

— Quale miracolo! — ripeteva il signor Holker. — Domani questi uomini parleranno come noi.

Il notaio era ritornato con un negro di statura imponente, un vero ercole, con spalle larghissime, braccia grosse e muscolose.

— Harry, — disse il signor Holker, rivolgendosi verso il gigante — prendi queste due persone, e portale sul Condor. Bada di non stringerle troppo.

— Sì, padrone.

— Sono pronti i materassi?

— E anche la tenda.

— Sbrigati, ragazzo mio.

Il signor Holker spostò il letto e mise le mani su una piastra di ferro di forma circolare, munita d’un anello.

— Deve essere qui sotto il sotterraneo contenente i milioni del mio antenato e del signor Brandok — disse.

— Vi saranno ancora? — chiese il notaio.

— Solo noi potevamo sapere che i due addormentati ve li avevano posti, e poi noi abbiamo veduto che tutto era in ordine qui dentro, quindi nessuno può esservi entrato.

Passò la leva portata dal macchinista nell’anello e alzò, non senza fatica, la piastra.

Essendo già calate le tenebre, accese una lampada elettrica e scorse una scaletta scavata nella viva roccia.

Scese giù, seguito dal notaio e dal sindaco e si trovò in una celletta di due metri quadrati contenente due casseforti d’acciaio.

— Sono qui dentro i milioni — disse.

— Li fate portare sul vostro Condor? — chiese il notaio.

— Appartengono al mio antenato ed al signor Brandok. Essendo vivi, non ho più alcun diritto su queste ricchezze... Harry!

Il negro che era già tornato, dopo aver portato via Toby e Brandok, scese nel sotterraneo.

— Aiutami — gli disse Holker.

— Basto io, signore — rispose il gigante. — I miei muscoli sono solidi e le mie spalle larghe.

Prese la cassa più grossa e la portò via.

— Signori, — disse Holker, quando anche la seconda fu levata — la vostra missione è finita. Il signor Brandok ed il mio avo sapranno ricompensarvi presto della vostra gentilezza.

— Ce li condurrete un giorno? — chiese il notaio.

— Ve lo prometto.

— Siete ormai certo che essi tornino in vita? — domandò il sindaco.

— Io lo spero, dopo un buon bagno nell’acqua tiepida. Fra quattro ore io sarò a Nuova York e domani vi darò mie notizie.

Uscirono dal sepolcreto e dalla cinta, chiudendo il cancello e si diressero verso il margine della rupe che si affacciava sull’oceano, dove si vedeva vagamente e fra le tenebre, una massa nera che agitava sopra di sè delle ali mostruose.

— Accendi il fanale, Harry — disse il signor Holker.

Uno sprazzo di luce vivissima si sprigionò, illuminando tutta la cima della rupe e la massa che si agitava presso il margine.

Era una specie di macchina volante, fornita di quattro ali gigantesche e di eliche grandissime, collocate al di sopra di una piattaforma di metallo, lunga e stretta, difesa all’intorno da una balaustra. Nel mezzo, collocati su un soffice materasso e riparati da una cortina, si trovavano il dottor Toby e Brandok, coricati l’uno presso l’altro. Il negro stava invece all’estremità della piattaforma, dietro ad una piccola macchina, munita di parecchi tubi.

— Arrivederci presto, signori — disse Holker, salendo sulla piattaforma e sedendosi presso i due risuscitati.

— Buon viaggio, signor Holker — risposero il notaio ed il sindaco. — Dateci domani notizie del dottore e del signor Brandok.

— A cento miglia all’ora, ragazzo mio — disse Holker al negro. — Ho molta fretta.

Le ali e le eliche si misero in movimento e la macchina volante partì con velocità fulminea, passando sopra l’isola di Nantucket e tenendo la prora verso il sud-ovest. Il signor Holker esaminava intanto il dottore Toby ed il suo compagno, appoggiando spesso la mano sui loro petti e tastando di quando in quando anche i polsi.

La vitalità tornava lentamente nei due addormentati. Il loro polso cominciava già a battere, assai debolmente però, ma ancora non respiravano ed il cuore rimaneva muto.

— Vedremo dopo il bagno — mormorava il signor Holker. — Morti non sono, quindi non devo disperare. Quale sorpresa per loro quando riapriranno gli occhi! Rivivere dopo cent’anni! Quale meraviglioso filtro ha scoperto il mio antenato! E, cosa inesplicabile, non sono invecchiati!

Il Condor intanto continuava la sua corsa fulminea. Aveva passato l’isola e correva sopra l’oceano, mantenendosi ad un’altezza di centocinquanta metri.

La sua lampada mandava sempre un lungo sprazzo di luce che si rifletteva sulle onde.

A mezzanotte, verso ovest, si scorsero a un tratto delle ondate di luce bianca che salivano a grande altezza.

— Nuova York, padrone — disse il negro.

— Di già? — rispose Holker. — Hai superato le cento miglia all’ora, mio buon Harry.

Sbrighiamoci, e bada di non urtare qualcuno.

Si era alzato e guardava verso quelle luci.

— Arriveremo presto — mormorò.

Venti minuti dopo il Condor correva sopra un raggruppamento di case immense, di torri e di campanili.

Descrisse alcuni giri in aria, proiettando il fascio di luce sui tetti delle case, poi calò su una vasta terrazza di metallo, situata sulla cima d’un palazzo di venti piani.

— Siamo giunti, padrone — disse il negro.

— Prendi i due addormentati e portali nella mia camera. E silenzio con tutti!

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