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Capo II
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Tre mesi prima, io era andato a Torino, ed avea riveduto, dopo parecchi anni di separazione, i miei cari genitori, uno de’ fratelli e le due sorelle. Tutta la nostra famiglia s’era sempre tanto amata! Niun figliuolo era stato più di me colmato di benefizi dal padre e dalla madre! Oh come al rivedere i venerati vecchi io m’era commosso, trovandoli notabilmente più aggravati dall’età che non m’immaginava! Quanto avrei allora voluto non abbandonarli più, consacrarmi a sollevare colle mie cure la loro vecchiaia! Quanto mi dolse, ne’brevi giorni ch’io stetti a Torino, di aver parecchi doveri che mi portavano fuori del tetto paterno, e di dare così poca parte del mio tempo agli amati congiunti! La povera madre diceva con melanconica amarezza: «Ah, il nostro Silvio non è venuto a Torino per veder noi!». Il mattino che ripartii per Milano, la separazione fu dolorosissima. Il padre entrò in carrozza con me, e m’accompagnò per un miglio; poi tornò indietro soletto. Io mi voltava a guardarlo, e piangeva, e baciava un anello che la madre m’avea dato, e mai non mi sentii così angosciato di allontanarmi da’parenti. Non credulo a’presentimenti, io stupiva di non poter vincere il mio dolore, ed era sforzato a dire con ispavento: «D’onde questa mia straordinaria inquietudine?». Pareami pur di prevedere qualche grande sventura.
Ora, nel carcere, mi risovvenivano quello spavento, quell’angoscia; mi risovvenivano tutte le parole udite, tre mesi innanzi, da’ genitori. Quel lamento della madre: «Ah! Il nostro Silvio non è venuto a Torino per veder noi!» mi ripiombava sul cuore. Io mi rimproverava di non essermi mostrato loro mille volte più tenero. ― Li amo cotanto, e ciò dissi loro così debolmente! Non dovea mai più vederli, e mi saziai così poco de’loro cari volti! e fui così avaro delle testimonianze dell’amor mio! ― Questi pensieri mi straziavano l’anima.
Chiusi la finestra, passeggiai un’ora, credendo di non aver requie tutta la notte. Mi posi a letto, e la stanchezza m’addormentò.