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Capo IV.
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Rimasi stabile in questa risoluzione più tardi, ma cominciai a ruminarla e quasi volerla in quella prima notte di cattura. Verso il mattino le mie smanie erano calmate, ed io ne stupiva. Ripensava a’ genitori ed agli altri amati, e non disperava più della loro forza d’animo, e la memoria de’ virtuosi sentimenti, ch’io aveva altre volte conosciuti in essi, mi consolava.
Perchè dianzi cotanta perturbazione in me, immaginando la loro, ed or cotanta fiducia nell’altezza del loro coraggio? Era questo felice cangiamento un prodigio? era un naturale effetto della mia ravvivata credenza in Dio? ― E che importa chiamar prodigj, o no, i reali sublimi benefizi della religione?
A mezzanotte, due secondini (così chiamansi i carcerieri dipendenti dal custode) erano venuti a visitarmi, e m’aveano trovato di pessimo umore. All’alba tornarono, e mi trovarono sereno e cordialmente scherzoso. ― Stanotte, signore, ella aveva una faccia da basilisco disse il Tirola; ora è tutt’altro, e ne godo, segno che non è ― perdoni l’espressione ― un birbante: perchè i birbanti (io sono vecchio del mestiere, e le mie osservazioni hanno qualche peso), i birbanti sono più arrabbiati il secondo giorno del loro arresto, che il primo. Prende tabacco? ― Non ne soglio prendere, ma non vo’ ricusare le vostre grazie. Quanto alla vostra osservazione, scusatemi, non è da quel sapiente che sembrate. Se stamane non ho più faccia da basilisco, non potrebb’egli essere che il mutamento fosse prova d’insensatezza, di facilità ad illudermi, a sognar prossima la mia libertà?
― Ne dubiterei, signore, s’ella fosse in prigione per altri motivi; ma per queste cose di stato, al giorno d’oggi, non è possibile di credere che finiscano così su due piedi. Ed ella non è siffattamente gonzo da immaginarselo. Perdoni sa: vuole un’altra presa?
― Date qua. Ma come si può avere una faccia così allegra, come avete, vivendo sempre fra disgraziati?
― Crederà che sia per indifferenza sui dolori altrui: non lo so nemmeno positivamente io, a dir vero; ma l’assicuro che spesse volte il veder piangere mi fa male. E talora fingo d’essere allegro affinchè i poveri prigionieri sorridano anch’essi.
― Mi viene, buon uomo, un pensiero che non ho mai avuto: che si possa fare il carceriere ed essere d’ottima pasta.
― Il mestiere non fa niente, signore. Al di là di quel voltone ch’ella vede, oltre il cortile, v’è un altro cortile ed altre carceri, tutte per donne. Sono... non occorre dirlo... donne di mala vita. Ebbene, signore, ve n’è che sono angeli, quanto al cuore. E s’ella fosse secondino...
― Io? ― (e scoppiai dal ridere).
Tirola restò sconcertato dal mio riso, e non proseguì. Forse intendea, che s’io fossi stato secondino mi sarebbe riuscito malagevole non affezionarmi ad alcuna di quelle disgraziate.
Mi chiese ciò ch’io volessi per colezione. Uscì, e qualche minuto dopo mi portò il caffè.
Io lo guardava in faccia fissamente, con un sorriso malizioso che voleva dire: «porteresti tu un mio viglietto ad altro infelice, al mio amico Pietro»?. Ed egli mi rispose con un altro che voleva dire: «No, signore; e se vi dirigete ad alcuno de’ miei compagni, il quale vi dica di sì, badate che vi tradirà».
Non sono veramente certo ch’egli mi capisse, nè ch’io capissi lui. So bensì ch’io fui dieci volte sul punto di dimandargli un pezzo di carta ed una matita, e non ardii, perchè v’era alcun che negli occhi suoi, che sembrava avvertirmi di non fidarmi di alcuno, e meno d’altri che di lui.