< Le mie prigioni
Questo testo è stato riletto e controllato.
Capo LXXXI
Cap LXXX Cap LXXXII


Capo LXXXI.

_______


Nel 1825 Schiller fu riputato omai troppo indebolito dagli acciacchi della vecchiaia, e gli diedero la custodia d’altri condannati, pei quali sembrasse non richiedersi tanta vigilanza. Oh quanto c’increbbe ch’ei si allontanasse da noi, ed a lui pure increbbe di lasciarci!

Per successore ebb’egli dapprima Kral, uomo non inferiore a lui in bontà. Ma anche a questo venne data in breve un’altra destinazione, e ce ne capitò uno, non cattivo, ma burbero ed estraneo ad ogni dimostrazione d’affetto.

Questi mutamenti m’affliggevano profondamente. Schiller, Kral e Kubitzky, ma in particolar modo i due primi ci avevano assistiti nelle nostre malattie come un padre ed un fratello avrebbero potuto fare. Incapaci di mancare al loro dovere, sapeano eseguirlo senza durezza di cuore. Se v’era un po’ di durezza nelle forme, era quasi sempre involontaria, e riscattavanla pienamente i tratti amorevoli che ci usavano. M’adirai talvolta contr’essi, ma oh come mi perdonavano cordialmente! come anelavano di persuaderci che non erano senza affezione per noi, e come gioivano vedendo che n’eravamo persuasi, e li stimavamo uomini dabbene!

Dacchè fu lontano da noi, più volte Schiller s’ammalò, e si riebbe. Dimandavamo contezza di lui, con ansietà filiale. Quand’egli era convalescente, veniva talvolta a passeggiare sotto le nostre finestre. Noi tossivamo per salutarlo, ed egli guardava in su con sorriso melanconico, e diceva alla sentinella, in guisa che udissimo: — Da sind meine söhne! (là sono i miei figli!).

Povero vecchio! che pena mi mettea il vederti trascinare stentatamente l’egro fianco, e non poterti sostenere col mio braccio!

Talvolta ei sedeva lì sull’erba, e leggea. Erano libri ch’ei m’avea prestati. Ed affinchè io li riconoscessi, ei ne diceva il titolo alla sentinella, o ne ripeteva qualche squarcio. Per lo più tai libri erano novelle da calendarii, od altri romanzi di poco valore letterario, ma morali.

Dopo varie ricadute d’apoplessia, si fece portare all’ospedale de’ militari. Era già in pessimo stato, e colà in breve morì. Possedeva alcune centinaia di fiorini, frutto de’ suoi lunghi risparmii: queste erano da lui state date in prestito ad alcuni suoi commilitoni. Allorchè si vide presso il suo fine, appellò a sè quegli amici, e disse: — Non ho più congiunti; ciascuno di voi si tenga ciò che ha nelle mani. Vi domando solo di pregare per me. —

Uno di tali amici aveva una figlia di diciotto anni, la quale era figlioccia di Schiller. Poche ore prima di morire, il buon vecchio la mandò a chiamare. Ei non potea più proferire parole distinte; si cavò di dito un anello d’argento, ultima sua ricchezza, e lo mise in dito a lei. Poi la baciò, e pianse baciandola. La fanciulla urlava, e lo inondava di lagrime. Ei gliele asciugava col fazzoletto. Prese le mani di lei e se le pose sugli occhi. — Quegli occhi erano chiusi per sempre.



Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.