< Le mie prigioni
Questo testo è stato riletto e controllato.
Capo XIII
Cap XII Cap XIV


Capo XIII.

_______


Lasciai ridere, e non opposi sillaba. I vicini mi diressero due o tre volte la parole; io stetti zitto.

— Non sarà più alla finestra — se ne sarà ito — tenderà l’orecchio ai sospiri di Maddalena — si sarà offeso delle nostre risa. —

Così andarono dicendo per un poco. E finalmente il caporione impose silenzio agli altri che susurravano sul mio conto.

— Tacete, bestioni, che non sapete quel che diavolo vi dite. Qui il vicino non è un sì grand’asino come credete. Voi non siete capaci di riflettere su niente. Io sghignazzo, ma poi rifletto, io. Tutti i villani mascalzoni sanno far gli arrabbiati, come facciamo noi. Un po’ più di dolce allegria, un po’ più di carità, un po’ più di fede ne’ benefizi del cielo, di che cosa vi pare sinceramente che sia indizio?

— Or che ci rifletto anch’io, rispose uno, mi pare che sia indizio d’essere alquanto meno mascalzone.

— Bravo! gridò il caporione con urlo stentoreo; questa volta torno ad aver qualche stima della tua zucca. —

Io non insuperbiva molto d’essere solamente reputato alquanto meno mascalzone di loro; eppure provava una specie di gioia, che que’ disgraziati si ricredessero circa l’importanza di coltivare i sentimenti benevoli.

Mossi l’imposta della finestra, come se tornassi allora. Il caporione mi chiamò. Risposi, sperando che avesse voglia di moralizzare a modo mio. M’ingannai. Gli spiriti volgari sfuggono i ragionamenti serii: se una nobile verità traluce loro, sono capaci di applaudirla un istante, ma tosto dopo ritorcono da essa lo sguardo, e non resistono alla libidine d’ostentar senno, ponendo quella verità in dubbio e scherzando.

Mi chiese poscia s’io era in prigione per debiti.

— No.

— Forse accusato di truffa? Intendo accusato falsamente sa.

— Sono accusato di tutt’altro.

— Di cose d’amore?

— No.

— D’omicidio?

— No.

— Di carboneria?

— Appunto.

— E che sono questi carbonari?

— Li conosco così poco che non saprei dirvelo. —

Un secondino c’interruppe con gran collera, e dopo d’aver colmato d’improperii i miei vicini, si volse a me colla gravità, non d’uno sbirro, ma d’un maestro, e disse: — Vergogna, signore! degnarsi di conversare con ogni sorta di gente! Sa ella che costoro son ladri? —

Arrossii, e poi arrossii d’aver arrossito, e mi parve, che il degnarsi di conversare con ogni specie d’infelici sia piuttosto bontà che colpa.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.