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LE NOZZE DI CADMO E D’ERMIONE
Contenuto: Il giorno che Ermione andò sposa a Cadmo, con Apollo e tutti gli dei, tranne Giunone, vennero a salutarla le Muse, recando ciascuna corone di fiori onde cinsero il letto nuziale: poi si diedero al canto e alla danza (1-20). E Calliope disse: o Beltà, raggio divino, prendi in custodia Ermione e dàlle perpetua giovinezza, perché come tu bello il volto, cosí virtú le fece bello il cuore. E te, o Cadmo, non impaurisca la sventura; e se mai un giorno ti colga, sii forte per sostenerla (21-53). Cosí cantava: alle ultime parole, nunzio di mali, un’oscura nube di duolo velò il volto degli sposi e degli dei (54-60). Allora Calliope, ridendo, aggiunse: Dura eterna la poesia quando celebra gl’inventori delle arti utili e belle: ora, di tutte le arti trovate dall’uomo, qual è la piú felice? Certo la scrittura, che dà corpo al pensiero umano e lo rende visibile agli occhi (60-86). Come Minerva, balzata dal capo di Giove, pugnò in Flegra, vittoriosa, contro i Giganti; cosí tu, scrittura, nobile figlia di Cadmo, fulminasti l’ignoranza, tiranna crudele dell’uomo (86-103). Questo il mostro che tu hai già vinto: per te il sapere illumina le menti, per te si purifica da superstizione il culto di Dio (104-132). Tale era il canto di Calliope, la sapienza e potenza del quale solo gli stolti non intendono (133-146). Stava Cadmo attento alle profetiche parole, pregustando la gioia della sua grande scoperta: e le Muse, da quel giorno, presero usanza di far liete di lor canti le nozze di quegli eccelsi, che hanno in pregio la poesia (133-157). Ora qual cosa maggiormente cara ad esse, di quella da te compiuta, o Trivulzio, a cui, piú che di armi (come all’avo tuo illustre), è data gloria di studi, che rendono l’uomo immortale? (157-187). Odi il tripudio delle Muse: vedi Amore che concede ad Imeneo la terza e quarta tua figlia, aspettandone prole onorata (186-197). Grazie, siate compagne, insieme alle arti da esse coltivate, alle due sorelle, onde la loro vita sia piena d’allegrezza (198-211). E tu, o idillio, vanne al mio dolce e cortese amico, e sì gli dici: oggi la tua casa è felice di doppie nozze, e il vecchio e infelice compagno de’ tuoi studi confonde alla tua gioia il suo debole canto (212-232). — Questo maraviglioso idillio fu composto nel 1825 e stampato subito in Milano dal Pogliani, insieme a La felicità coniugale del Gessuer, imitata dal Maffei, in occasione delle nozze delle due ultime sorelle Trivulzio, Elena e Vittoria: la prima sposò il conte Pietro Scotti di Sarmato Piacentino; la seconda, il march. Giuseppe Carandini, modenese. Erano figlie del March. Gian Giacomo (figlio, a sua volta, di Giorgio Teodoro, lano dell’imperatore d’Austria, morto nel 1802, e della contessa Cristina Cicogna: cfr. Litta Triv., tav. III) e della duchessa Beatrice Serbelloni; e sorelle di Giorgio Teodoro, di Rosa e di Cristina (cfr. la nota al v. 190). Il metro è il verso sciolto: cfr. la nota d’introd. a p. 22.
Il giorno ch’Ermïon, di Citerea1
Alma prole e di Marte, iva di Cadmo2
All’eccelso connubio, e la seguía
Tutta, fuor Giuno3, degli dei la schiera
5Gratulando al marito e presentando
Di cari doni la beata sposa.
Col delio4 Apollo a salutarla anch’esse
Comparvero le Muse. Una ghirlanda
Striugea ciascuna d’olezzanti fiori
10(Sempre olezzanti, perché mai non muore
Il fior che da castalia onda5 è nudrito);
E tal di quelli una fragranza uscía
Ch’anco i sensi celesti inebbriava,
E tutta odor d’Olimpo era la reggia.
15De’ bei serti immortali adunque in prima
Le divine sorelle incoronaro
Dell’aureo letto nuzïal la sponda;
Indi al canto si diero e alle carole.
Della danza Tersicore guidava
20I volubili giri; e in queste note
L’amica degli eroi6 Callïopèa
Col guardo in sé raccolto il labbro apriva:
Beltà, raggio di lui che tutto move7,
Tu che d’amor le fiamme accendi, e godi
25Star di vergini intatte e di fanciulli
Nelle nere pupille, in guardia prendi
Di Venere la figlia, e al tempo avaro8
Non consentir che le tue9 rose involi
Alle caste sue gote. A lei concedi
30La non caduca gioventú de’ numi,
Ch’ella di numi è sangue; e come belle
Tu festi, o diva, d’Ermïon le forme,
Così virtude a lei fe’ bello il core.
Immenso della luce eterno fonte10
35Vibra i suoi dardi il sole11, e nelle cose
Sveglia la vita; e tu, reina eterna
De’ cor gentili, se bontà vien teco,
L’amor risvegli che stagion non perde,
E spargi di perenne alma dolcezza
40Le perigliose d’Imeneo12 catene.
Bacia queste catene, inclito figlio
D’Agenore; le bacia, ed in vederti
Genero eletto a due gran dii13 t’allegra;
Ma cognato al tonante egíoco14 Giove
45Non ti vantar, che l’alta ira di Giuno
Costar ti farà caro un tanto onore.
Pur, dove avvenga che funesto nembo
Turbi il sereno de’ tuoi dí, non franga
L’avversità del fato il tuo coraggio,
50Che a sé l’uom forte è dio. Tutte egli preme
Sotto il piè le paure, e delle Parche
Su ferrei troni alteramente assise15
Con magnanima calma i colpi aspetta.
Cosí cantava. All’ultime parole,
55Di non lieto avvenire annunziatrici,
Cadmo chinò pensoso il ciglio, e scura
Nube di duolo d’Ermïon si sparse
Su la candida fronte. Anco de’ numi
Si contristar gli aspetti, ed un silenzio
60Ne seguí doloroso. Allor la diva,
Col dolce lampo d’un sorriso16 intera
Ridestando la gioia in ogni petto,
Su l’auree corde fe’ volar quest’inno:
Schietta com’onda di pietrosa vena
65Delle Muse la lode i generosi
Spirti rallegra, e immortalmente vive
L’alto parlar che dal profondo seno
Trae dell’alma il furor che Febo inspira17,
Quando ai carmi son segno18 i fatti egregi
70De’ valorosi, o i peregrini ingegni
Trovatori dell’arti onde si giova
L’umana stirpe e si fa bello il mondo.
Or di quante produsse arti leggiadre
Il mortale intelletto, aura divina19,
75Quale il canto dirà la piú felice?
Te, di tutte bellissima e primiera20,
Che con rozze figure21 arditamente
Pingi la voce, e color dando e corpo
All’umano pensiero22, agli occhi il rendi
80Visibile: ed in tale e tanta luce,
Che men chiara del Sol splende la fronte,
Ei vola e parla a tutte genti, e chiuso
Nelle tue cifre si conserva eterno.
Dietro ai portenti che tu crei smarrita
85Si confonde la mente, e perde l’ali
L’immaginar. Qual già fuori del sacro
Capo di Giove orrendamente armata
Balzò Minerva, ed il paterno telo23,
Cui nessuno de’ Numi in sua possanza
90Ardía toccar24, trattò fiera donzella,
E corse in Flegra a fulminar tremenda
I figli della Terra25, e fe’ sicuro
Al genitore dell’Olimpo il seggio:
Tal tu pure, verace altra Minerva,
95Dalla mente di Cadmo partorita,
E nell’armi terribili del vero
Fulminando, atterrasti della cieca
Ignoranza gli altari, e la gigante
Forza frenasti dell’Error, che, stretta
100Sul ciglio all’uomo la feral sua benda
Di spaventi e di larve all’infelice
Ingombrava il cerèbro, e sí regnava
Solo e assoluto imperador del mondo.
Tale è il mostro, o cadmèa26 nobile figlia,
105A cui guerra tu rompi, e tanto hai tolto
Già dell’impero, ch’ogni sforzo è indarno,
Se il ciel non crolla27, a sostenerlo in trono.
Di selvaggia per te si fa civile
L’umana compagnia; per te le fonti
110Del saper, dilatate in mille rivi
E a tutti aperte, corrono veloci
Ad irrigar le sitibonde menti.
Per te piú puro e in un di Dio piú degno
Si sublima il suo culto, e con amore
115Al cor s’apprende da ragion dettato;
Non da colei che in Aulide28 col sangue
D’Ifigenia propizi invoca i venti,
E, spinta in ciel la fronte e dell’eterno
Le sembianze falsando, spaventosa
120Fra le nubi s’affaccia e cupo grida:
Chiudi gli occhi, uman verme, e cieco adora.
Ma, d’alta sapienza uso amoroso
E della prima idea29 diritto spiro,
Filosofia, coll’armi adamantine30
125Della scritta ragion l’orrenda larva
Combatterà; vendicherà del nume
Da quell’empia converso in crudo spettro
L’oltraggiata bontade; e l’uom, per vie
Tutte di luce, al suo divin principio
130Fatto piú presso, si farà piú pio,
E dirà seco: De’ miei mali il primo
E la prima mia morte è l’ignoranza.
Tal era della diva il canto arcano.
Della diva Calliope, a cui tutte
135Stanno dinanzi le future cose,
E, secondo che il tempo le rivolve
Nel suo rapido corso, a tutte dona
E forma e voce e qualitade e vita31
Con tal di sensi e di dottrine un velo,
140Ch’occhio vulgar nol passa; onde agli stolti
La delfica favella32 altro non sembra
Che canora follía. Povero il senno
Che in quei deliri ascoso il ver non vede!
Né sa quanta de’ carmi è la potenza
145Su la reina opinïon33, che a nullo
De’ viventi perdona e a tutti impera!
Stava tacito attento alle parole
Profetiche di tanta arte il felice
Insegnatore; e nel segreto petto
150Dell’alto volo, a cui l’uman pensiero
Le ben trovate cifre avrían sospinto,
Pregustava la gioia, e della sorte34
Già tetragono ai colpi si sentía.
Preser le Muse da quel giorno usanza
155Di far liete de’ canti d’Elicona
Degli eccelsi le nozze, ovunque in pregio
Son d’Elicona i dolci canti. Or quale35,
Qual v’ha sponda che sia, come l’insúbre36
Dalle Grazie sorrisa37 e dalle Muse?
160Qual tempio sorge a queste dee piú caro
Che l’eretto da te, spirto gentile,
Nelle cui vene del Trivulzio sangue
Vive intero l’onor38? Alto fragore
D’oricalchi guerrieri e d’armi orrende
165Empiea, signor, le risonanti vòlte
Delle tue sale un dí, scuola di Marte,
Quaud’il grand’avo tuo39, fulmin di guerra,
Delle italiche spade era la prima.
Or che in regno di pace entro i lombardi
170Elmi la lidia tessitrice40 ordisce
L’ingegnosa sua tela, e col ferrigno41
Dente agli appesi aviti brandi il lampo
La ruggine consuma, a te concede
Altra gloria e piú bella e senza pianti,
175Senza stragi e rovine, il santo amore
De’ miti studi del silenzio amici,
Che da Febo guidati e da Sofia42
Traggon l’uom del sepolcro e il fanno eterno43.
Qui dell’arte di Cadmo e della sua
180Imitatrice44 i monumenti accolti
Di grave meraviglia empion la vista
De’ riguardanti: qui, di Pindo e Cirra45
Posti i gioghi in obblio, l’ascrèe fanciulle46
Fermano il seggio, e grato a te le invia
185Il gran padre Alighier, che per te monde47
D’ogni labe contempla le severe
Del suo nobil Convito alte dottrine.
Odi il suon delle cetre, odi il tripudio
Delle danze; ed Amor vedi, che gitta
190Via le bende, e la terza e quarta rosa
Del tuo bel cespo ad Imeneo consegna:48
Ed allegro Imeneo nel piú ridente
Suol le trapianta che Panaro e Trebbia49
Irrighino di chiare onde felici;
195E germogli n’aspetta, che faranno
Liete d’odori e l’una e l’altra riva
Di generose piante ambo superbe50.
Or voi d’ambrosia rugiadose il crine51,
Il cui sorriso tutte cose abbella52,
200Voi dell’inclita Bice53 al fianco assise,
Grazie figlie di Giove, accompagnate
Le due da voi nudrite alme donzelle;
E vengano con voi l’arti diletto
In che posero entrambe un lungo amore,
205L’animatrice delle tele e quella
Che di musiche note il cor ricrea:
Onde la vita coniugai sia tutta
Di dolce aspersa e di ridenti idee,
Simiglianti alle prime di natura
210Vergini fantasie, che in piante e in fiori
Scherzano senza legge e son piú belle.
E tu, ben nato idillio mio, che i modi54
Di Tebe osasti con ardir novello
All’avene sposar di Siracusa,
215Vanne al fior de’ gentili55, a lui che fermo
Nella parte miglior del mio pensiero
Tien della vera nobiltà la cima
E de’ cortesi è re; vanne e gli porgi
Queste parole: Amico ai buoni, il cielo
220Di doppie illustri nozze oggi beati
Rende i tuoi lari56, ed il canuto e fido
De’ tuoi studi compagno all’allegrezza
Che l’anima t’innonda il suo confonde
Debole canto, che di stanco ingegno
225Dagli afíanui battuto è tardo figlio;
Ma non è tardo il cor, che, come spira
Riverente amistade, a te lo sacra.
Questo digli, e non altro. E, s’ei dimanda
Come del viver mio si volga il corso,
230Di’ che ad umil ruscello egli è simile.
Su le cui rive impetuosa e dura
I fior piú cari la tempesta uccise57.
- ↑ 1. Il giorno ecc.: Il Visconti ne Le Muse, poesia composta per le nozze Braschi nell’81 (cfr. la nota d’introd. a p. 9), cominciava: «Quando la bionda Ermione Cinta il bel crin di rose Giove all’eroe Fenicio In nodo aureo compose, Le figlie di Mnemosine Carme scioglieano arcano Della prole di Venere sul talamo tebano». — Citerea: Venere, cosí detta dall’isola di Citera a lei sacra. Cfr. Ovidio Fast. IV, 286.
- ↑ 2. Cadmo: il mitico fondatore di Tebe, figlio di Agenore e di Telefassa e fratello d’Europa e di Fenice. Secondo Erodoto (II, 49) era di Tiro, secondo Ovidio (Metam. IV, 571) di Sidone, secondo Pausania (IX, 12) di Tebe in Egitto. Si crede ch’egli introducesse in Grecia o dalla Fenicia o dall’Egitto un alfabeto di 16 lettere (Cfr. Erodoto V, 58 e Diodoro Siculo III, 67). Sposò Ermione, dalla quale ebbe vari figli, e uno fu Semele.
- ↑ 4. fuor Giuno: Questa dea era adirata con Cadmo in causa della sorella di lui Europa, cui Giove amò e rapí sotto forma di toro. Cfr. Musog., v. 119 e seg.
- ↑ 7. delio: dell’isola di Delo.
- ↑ 11. castalia onda: la fonte Castalia, sacra alle Muse, era a piè dell’Elicona. Cfr. Ovidio Am. I, xv, 36.
- ↑ 21. L’amica degli eroi: la Musa del canto epico.
- ↑ 23. raggio ecc.: emanazione de «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Dante Par. xxxiii, 145.
- ↑ 27. e al tempo ecc.: cfr. La Bell. dell’Univ., v. 304 e segg.
- ↑ 28. tue: date da te.
- ↑ 34. Immenso ecc.: Tasso XV, 47: «Il sol, de l’aurea luce eterno fonte».
- ↑ 35. i suoi dardi: cfr. la nota al v. 108, p. 190.
- ↑ 40. Imeneo: cfr. la nota al v. 293, p. 19.
- ↑ 43. due gran dii: Venere o Marte.
- ↑ 44. egíoco: cfr. la nota al v. 145, p. 102
- ↑ 51. Parche: cfr. la nota al v. 48, p. 99.
- ↑ 61. Col dolce lampo ecc.: cfr. la nota al v. 168. p. 136.
- ↑ 68. il furor ecc.: l’estro poetico.
- ↑ 69. son segno: sono oggetto di mira, e quindi materia. Petrarca P. I, son. 80: «Amor m’ha posto come segno a strale».
- ↑ 74. aura divina: Anche Orazio (Sat. II. ii, 79) chiama l’anima divinae particulam aurae.
- ↑ 76. Te ecc.: la scrittura. Cfr. la nota al v. 2.
- ↑ 77. Con rozze figure: co’ segni dell’alfabeto.
- ↑ 78. color dando ecc.: cfr. Mascher. I, 28 e segg.
- ↑ 88. telo: dardo, fulmine.
- ↑ 89. Cui nessuna ecc.: cfr. Musog. v. 135 e la nota corr.
- ↑ 91. corse in Flegra ecc..: cfr. Musog. vv. 510 e segg.
- ↑ 104. o cadmea ecc.: o scrittura.
- ↑ 107. Se il ciel non crolla: Supposizione impossibile, fatta per dar maggior forza all’affermazione. Cosí Dante Purg. iv, 64: «Tu vedresti il Zodiaco rubecchio Ancora all’Orse piú stretto rotare, Se non uscisse fuor del cammin vecchio». Cfr. anche Leopardi All’Ital., 121 e segg.
- ↑ 116. colei che ecc.: la superstizione, che fece sacrificare in Aulide Ifigenia figlia di Agamennone, per rendere propizia la navigazione de’ Greci a Troia. Altrove (La superstiz. 4) il Monti stesso: «Questa è colei che d’Aulide la riva E Tauride macchiò di sangue umano, Famoso pianto della scena argiva». E Dante (Par. v, 70): «Onde pianse Ifigenia il suo bel volto, E fe pianger di sé e i folli e i savi, Ch’udir parlar di cosí fatto colto».
- ↑ 123. della prima idea: di Dio.
- ↑ 124. adamantine: dure come il diamante, invincibili.
- ↑ 138. E forma ecc.: cfr. la nota al V. 78.
- ↑ 141. La delfica favella: la poesia. Cfr. Serm. sulla Mit., v. 144.
- ↑ 145. la reina opinion: l’opinione pubblica.
- ↑ 152. e della sorte ecc.: Dante Par. xvii, 23: «avvegna ch’io mi senta Ben tetragono ai colpi di ventura».
- ↑ 157. 'Or quale ecc.: Mossa consimile a quella de’ vv. 18 e segg. Ad Anna Malaspina.
- ↑ 158. l’insubre: cfr. la nota al v. 17, p. 182.
- ↑ 159. sorrisa: allietata dal sorriso. Cfr., per forma consimile, Dante Par. I, 95.
- ↑ 160. Qual tempio ecc.: il tempio è la casa stessa del Trivulzio, cara alle Muse per l’amore vivissimo di lui alla poesia e per gli studi compiuti sul Convito di Dante. Cfr. la nota al V. 185.
- ↑ 167. il grand’avo tuo: Gian Giacomo Trivulzio, grande capitano, che serví gli Aragonesi di Napoli e poi (1494) Carlo VIII, col quale fu nel ’95 alla battaglia di Fornovo. Luigi XII lo fece maresciallo di Francia, co’ feudi di Vigevano e di Melzo e col governo del ducato di Milano. Nel 1509 vinse ad Agnadello contro i Veneziani; nel 1513, per errore d’altri, perdé la battaglia di Novara. Morí a Chartres il 5 dic. 1518. Cfr. Litta Triv. tav. III e Carlo Rosmini Dell’Istoria intorno alle militari imprese e alla vita di G. G. T. ecc.: Milano, De Stefanis, 1815.
- ↑ 170. la lidia tessitrice: Aracne di Lidia, che osò sfidare ne’ lavori femminili Minerva e che poi fu convertita da questa dea in ragno. Cfr. Ovidio Metam. VI, 5 e Dante Inf. xvii, 18 e Purg. xii, 43.
- ↑ 171. ferrigno: arrugginito.
- ↑ 177. da Febo ecc.: guidati dall’amore del bello e del vero.
- ↑ 178. Traggon ecc.: Petrarca Trionf. d. Fam. I, 9: «quella Che trae l’uom del sepolcro, e ’n vita il serba».
- ↑ 179. e della sua imitatrice: la stampa.
- ↑ 182. Cirra: Cfr. la nota al v. 23, p. 41.
- ↑ 183. l’ascrèe fanciulle: le Muse. Cfr. la nota al v. 13, p. 40.
- ↑ 185. per te monde ecc: «Quelli che si misero primi all’ardua impresa di ridurre a miglior lezione quella altissima e sapientissima prosa (il Convito) furono i signori Gian Giac. Trivulzio, V. Monti e Gio. Antonio Maggi (Milano, 1826 e Padova, 1827). Essi si dolgono grandemente dell’orribile guasto in che trovarono i Codici tutti per loro esaminati... Si fecero animosi ad emendare ed illustrare i passi viziati; a rettificare l’interpretazione e l’ortografia; ad espungere senza riguardi i volgari idiotismi: a corredare di annotazioni il testo...» Ferraz., p. 772. Cfr. anche Gamba, p. 135.
- ↑ 190. la terza e quarta rosa: Il M. per il matrimonio delle due prime figlio del Trivulzio (Rosa, che sposò nel ’17 il march. Giuseppe Poldi Pezzoli e Cristina, che sposò nel ’19 il conte Giuseppe Archinto) aveva composto Il cespuglio delle quattro rose e Il ritorno d’Amore al cespuglio delle quattro rose. Ciò posto, è manifesto che qui allude alle due ultime sorelle, la terza e quarta rosa.
- ↑ 193. Panaro scorre presso Modena; Trebbia, presso Piacenza: le città donde erano gli sposi.
- ↑ 197. Di generose ecc.: gloriose ambedue per aver dato i natali ad uomini illustri.
- ↑ 198. d’ambrosia rugiadose il crine: Cfr. le note a’ vv. 26, p. 3 e 4, p. 186.
- ↑ 199. Il cui sorriso ecc.: cfr. Serm. sulla Mit., v. 8.
- ↑ 200. dell’inclita Bice: della madre delle spose, la contessa Beatrice Serbelloni, che il M., nella dedica dell’opusc. Un sollievo ecc., salutava «Verace anima antica In questa per gran colpe orrida età».
- ↑ 212. che i modi ecc.: che osasti riunire alla dolcezza amorosa della poesia teocritea gli alti intindimenti civili della poesia pindarica.
- ↑ 215. al fior de’ gentili: al Trivulzio stesso.
- ↑ 221. i tuoi lari: la tua casa. I Lari erano, com’è noto, dei famigliari, protettori della casa: e già fin nella poesia antica lare significa casa. Cfr., p. e., Orazio -Sat. I, i, 56; Epist. I, vii, 58 ecc. Cfr. anche Parini Od. II, 97. XVI, 41; e Foscolo All’am. ris., 77 ecc.
- ↑ 232. Giustamente nota il Pucc., p. 130: «Questo non è un umil ruscello, ma un largo fiume di poesia. E dire che sgorga dalla fantasia d’un uomo di 70 anni, già abbandonato dalla fortuna, la quale gli avea tanto sorriso! Anzi a me pare che la vena del M. si facesse piú pura e piú limpida quanto piú egli si avvicinava alla fine della sua splendida carriera.... Vedi quanto è soave di sentimenti, d’immagini e di suoni il primo canto di Calliope, com’è vero e bello di pensieri e nobile di forme il secondo, e ammira tutto l’Idillio come uno de’ piú vaghi fiori della moderna poesia».