< Le poesie religiose (1895)
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Febbrajo Scytharum solitudines

ELENA






Poi che da pria nel talamo furtivo
     Trasse il frigio garzon l’inclita druda,
     E tutta radiosa all’aer vivo
                    4Mirò la nuda

Beltà, che tanto i greci cori infiamma
     Da scemar fede all’amatusia dea,
     E che accendere poi di minor fiamma
                    8Ilio dovea;

Trepido e di sè fuor quasi, e di brama,
     Di riverenza incerto i sensi ardenti,
     Così, cadendo in su’ ginocchi, è fama,
                    12Sciolse gli accenti:


Donna, fantasma, dea, come e con quali
     Preci ti chiamerò, se tanto a’ miei
     Occhi tu splendi, e tanto agl’immortali
                    16Simile sei?

Dunque vive quaggiù, vive, e d’umana
     Forma quel luminoso idol si cinge,
     Ch’io di sogno stimai parvenza strana,
                    20Che amor ne finge?

O non è questo, ove di terra a un punto
     Un’occulta virtù leva il cor mio,
     L’Olimpo? Al trono de’ celesti assunto
                    24Or non son io?

Pur dalla coppa d’oro Ebe a me versa
     Il licor degli Dei; ridono, invase
     Di fulgor novo e d’armonia diversa,
                    28L’eteree case.

Ma no, tu parli, tu sorridi: oh dolce
     Voce, cui pari non udì l’eliso;
     Non le mense di Giove un riso molce
                    32Pari al tuo riso.

Deh, qualunque tu sii, beltà divina,
     O su la terra o nell’Olimpo io sia,
     Te certo amore a’ baci miei destina;
                    36Se qui, sei mia,


Verrà, nembo di guerra, alle fatali
     Mura la congiurata oste, e di pianto
     Cresceranno e di sangue, ahi, le immortali
                    40Acque del Xanto.

E tu forse, pietosa Ecuba, ad una
     Ad un vedrai di ferro empio i tuoi figli
     Procomber tutti, e qual leon digiuno
                    44Spiegar li artigli

Ne’ penetrali augusti e passar bieco
     Sopra il corpo di Priamo il vincitore,
     Strappando all’ara, a cui si stringon teco,
                    48Le regie nuore.

E trascinato nella polve anch’io
     Sozzo la chioma, livido la faccia,
     Sotto al piè del rivale io che fui dio
                    52Nelle tue braccia.....

Pur non sarà, se avvien ch’ a’ colpi suoi
     Te chiamando quest’anima si sciolga,
     Che dalla mente servatrice i tuoi
                    56Baci mi tolga.

Verrà; ma tra le fiamme, in cui s’invola
     Pergamo a’ pianti dell’ilíaca sposa,
     Tu passerai, bellezza aurea, tu sola
                    60Vittoriosa.


Languiranno all’età, quando pur voce
     D’aonio vate l’alte gesta avvivi,
     Gli eroi, cui dell’altrui vita l’atroce
                    64Strazio fe’ vivi;

Ma te, quanto Amor viva, in qual sia parte
     Dolenti opere spii l’etereo sole,
     Te bramerà, più che vigor di Marte,
                    68L’umana prole.

O beltà, salve! Alle tue rosee leggi
     Nascono l’arti e i docili costumi;
     Eterna vivi, onnipossente reggi
                    72Uomini e numi.

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