< Le poesie religiose (1895)
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Alla virtù Dopo il temporale

ENCELADO





Cadde il saturnio re; fredda è la mano
     Che infranse ai figli della terra il petto;
     Ma senza tempo all’alta pena addetto
                    4Giace il Titano.

E non l’ira celeste e de’ captivi
     Fratelli il fato e il sovrapposto monte
     Premon così l’indomita sua fronte.
                    8Come dei vivi

La Miseria e l’Error, furie gemelle
     Per cui tanta di mali ombra s’addensa,
     E di gelido oblio serra un’immensa
                    12Onda il ribelle.

Dunque mai non sarà chi dall’indegno
     Strazio il redima, e la sulfurea mole
     Spezzando il tragga a riveder del sole
                    16Splendido il regno?

Pur ei sotto al tormento immane, quale
     Granitica ruina immoto resta.
     Se non che a quando a quando ansa, e la testa
                    20Leva immortale.

E se strider quassù nella marea
     Degli umani conflitti oda un’audace
     Sfida, o contro un poter bieco e tenace
                    24S’armi un’Idea;

O desto a un punto in generosa lotta
     Arda un popol che ignavo e morto parve,
     E di preti e di re squallide larve
                    28Urlino in rotta;

Fervido allor su la tartarea polve
     Torcesi il fiero, e dall’etnee fornaci
     La speranza aspirando, al ciel minaci
                    32Fiamme rivolve.

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