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LAOCOONTE
I.
Perchè di Dio spregiò l’ira, e la troppa
Fede irrise de’ ciechi armenti umani,
Or qui l’audace con ululi vani
4La sorte accusa, e in aspre pene intoppa.
Da’ piedi a’ fianchi, alle braccia, alla coppa
Avvinghianlo i serpenti, ed ei con mani
Adunche invan dal petto ansio gl’immani
8De’ famelici mostri orbi disgroppa.
Silenziosa intanto alla ferrigna
Aer sorge la notte; ode l’orrendo
11Strazio la turba da lontano, e ghigna.
Ei solitario nell’immenso orrore,
I profondi nell’ombre occhi figgendo,
14L’alba invoca e la pace, e mai non muore.
II.
“Nè se inferrato a questa roccia in queste
Spire sotto un’ignota ira mi fiacco,
Mentre al suon delle mie voci moleste
Fugge sbeffando il popolo vigliacco.
Nè se gli odj selvaggi e le tempeste
Tutte scateni sul mio corpo stracco,
O Natura, avverrà che le funeste
Dimande io cessi rassegnato e fiacco.
Cadrò, d’un cieco nume ostia feroce
Cadrò, ma sin nell’are tue più cupe
T’incalzerà il mio sguardo e la mia voce.„
Così con destinato animo piange
Per l’alta notte. Alla nettunia rupe
Con fragor di cachinni il mar si frange.